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Riforma della prescrizione in una sistematica revisione del “nuovo” processo penale

di Michele Ciambellini - 9 gennaio 2015

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La prescrizione non è una causa di estinzione del reato come tutte le altre.
Basti pensare che la prescrizione è sentita, sia dagli operatori del diritto che da tutti i cittadini, talora come “giusta” e fisiologica, talora come profondamente “ingiusta”, in funzione di numerose variabili. Recenti e clamorose vicende giudiziarie hanno riacceso ancora una volta i riflettori su questo istituto, inducendo il Governo ad annunciare immediati interventi normativi in materia.
Materia che però, a differenza di altre contenute nel codice Rocco, risulta oggetto di una recente rivisitazione, risalente a meno di dieci anni fa, senza che ciò abbia evitato successive ricorrenti polemiche. Proprio per questo, nel corso degli ultimi anni, più commissioni ministeriali sono state istituite per elaborare un progetto di riforma della prescrizione senza che, purtroppo, ne sia mai derivato un deciso impulso a tradurre i risultati dei lavori in provvedimenti normativi.
La verità è che la prescrizione del reato è istituto noto a tutti gli ordinamenti giuridici ma che, nella sua declinazione italiana, costituisce un unicum.
Invero il confronto con altri paesi europei – ai quali tanto spesso ci si richiama quando la volontà politica di intervento normativo in un determinato settore è forte – evidenzia come l’Italia sia l’unica nazione in cui il termine di prescrizione continua a correre anche in pendenza del processo, nonostante lo Stato, con l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, abbia mostrato l’inequivoca volontà di perseguire penalmente l’autore di un reato. Un decorso che prosegue, peraltro, sino a quando non si giunga alla definizione del procedimento con sentenza irrevocabile.
Ma l’unicità del sistema italiano è data anche dal contesto di norme processuali e di scelte di politica giudiziaria in cui l’istituto della prescrizione va ad operare. Un sistema penale caratterizzato dall’elevatissimo numero di procedimenti, determinato sia dal ricorso alla sanzione penale ogni volta che il sistema non riesca ad approntare efficaci forme (civilistiche o amministrative) di tutela dell’interesse leso o del soggetto danneggiato dalla condotta antigiuridica, sia dalla diffusione di tipologie di reato e di forme di criminalità organizzata presenti nel nostro paese in misura enormemente superiore a quella di altre nazioni europee.
Un sistema, pertanto, ingolfato sia da migliaia di “processetti”, sia da centinaia di processi estremamente complessi per numero di imputati e reati contestati. Un sistema dove il ricorso ai riti alternativi è drammaticamente inferiore alla percentuale che era stata pronosticata al momento dell’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura.
Un panorama nel quale il reiterato ricorso alla legislazione “clemenziale” rappresenta per gli operatori del settore (e anche per gli imputati…) una delle poche certezze da riporre nel futuro.
Un processo penale caratterizzato, altresì, dal divieto di reformatio in peius, tale da rendere l’impugnazione di qualunque sentenza, anche la più incontestabile, un sostanziale dovere del difensore. Un ambito, quindi, nel quale la durata del processo, spesso, può giocare a favore dell’imputato colpevole, anche quando non si verifichi l’eventualità più auspicata (dopo l’assoluzione), ossia l’estinzione del reato per prescrizione.
Questo spiega, ad  esempio, la scelta, a prima vista incomprensibile, del rito ordinario da parte di imputati detenuti, in processi dove, all’esito di una faticosa e lunga istruzione dibattimentale, viene integralmente confermata l’ipotesi accusatoria, sulla base di un patrimonio probatorio sostanzialmente identico a quello a disposizione delle parti all’udienza preliminare.
In questo articolato panorama si inserisce il “fenomeno” italiano della prescrizione dei reati: una vera e propria falcidie non solo per le fattispecie contravvenzionali, ma persino per molti delitti, sia ad offensività, per così dire, “monosoggettiva” (si pensi a percosse, lesioni, ingiuria, minacce, piccole truffe contrattuali), sia incidenti su beni di più ampio interesse (quali i reati contro la P.A., le truffe ai danni dello Stato, le truffe c.d. “collettive o seriali”, i reati fiscali e tributari).
Paradossalmente, sia che la prescrizione colpisca reati inerenti vicende di grande clamore e interesse collettivo, sia che incida su reati con una singola persona offesa e di nessuna rilevanza mediatica, l’effetto sulla percezione dell’efficacia del sistema giustizia da parte del cittadino è identico. Essa accresce la sfiducia nell’amministrazione della giustizia e aumenta il senso di cronica impunità intorno a determinate categorie di reati.
E ciò ancor di più quando la “morte per prescrizione” sopraggiunge dopo un lungo e laborioso iter processuale, sviluppatosi in più gradi di giudizio, eventualmente dopo annullamenti con rinvio successivi all’esperimento dei mezzi di impugnazione.
A volte è il clamore suscitato da una singola sentenza a indurre la politica a parlare di urgenza di procedere alla riforma delle norme in tema di prescrizione. Spesso con la prospettazione di soluzioni, come l’aumento delle pene massime edittali, e il conseguente innalzamento del termine di prescrizione, puramente emergenziali e prive di qualunque approccio sistematico. Proposte a cui, non di rado, fa da contraltare la voce di chi ammonisce che la riforma non può essere forzata dai guai prodotti da qualche “giudice lumaca”.
In più occasioni l’ANM, anche in seno al gruppo di studio istituito dal Ministro della giustizia Severino nel novembre 2012, ha ribadito l’assoluta necessità di collegare la riforma della prescrizione a modifiche “di sistema”, che realizzino le precondizioni necessarie a ridurre l’incidenza del fenomeno e, quindi, il forte carattere patologico assunto nella realtà giudiziaria italiana.
Occorrono, cioè, processi celebrati a breve distanza di tempo dal fatto e, soprattutto, processi più rapidi.
In particolare, si è sottolineata la necessità di un approccio che includa interventi sul regime di deducibilità delle nullità e una pragmatica rilettura dei principi di oralità e immediatezza alla luce di quanto si osserva nella quotidianità delle aule giudiziarie (si pensi all’estensione del campo d’azione dell’art. 190 bis c.p.p,., di recente richiamata proprio per il reato di corruzione, in relazione alla vuota liturgia della rinnovazione degli atti in caso di mutamento del magistrato). Improcrastinabile è anche una revisione critica del sistema delle impugnazioni, troppo spesso asservite a una finalità puramente dilatoria.
Con specifico riferimento alle norme sulla prescrizione, l’ANM ha sempre indicato quale soluzione regina la cessazione del decorso del termine in coincidenza con l’esercizio dell’azione penale, passaggio processuale che evidenzia inequivocabilmente l’interesse dello Stato a perseguire un determinato reato.
Proposta che, però, per quanto più intrinsecamente coerente con il principio giuridico a base dell’istituto della prescrizione del reato, suscita forti opposizioni – invero comprensibili in assenza di una riforma strutturale – per il pericolo che il sistema si vada a “tarare” nel senso di consumare quasi integralmente il termine di prescrizione sino alla data di esercizio dell’azione penale, facendo poi procedere lentamente il processo nella fase del giudizio, per il venire meno della forza propulsiva derivante dal pericolo di prescrizione.
In linea subordinata, l’ANM ha espresso parere favorevole a un sistema che preveda, perlomeno, dei periodi di “congelamento” del termine di prescrizione, sia durante il processo di appello che di cassazione. Strumento che, per quanto “ibrido”, costituisce almeno una presa d’atto del drammatico congestionamento delle Corti d’appello e della difficile situazione della Suprema Corte e che realizzerebbe, ove attuato, una funzione dissuasiva rispetto a impugnazioni supportate esclusivamente dalla speranza di ottenere la prescrizione del reato.
In conclusione, una riforma della prescrizione che non sia affiancata da una sistematica revisione del  “nuovo” processo penale – ormai venticinquenne – rischia di essere comunque fonte di ulteriori e imprevedibili scompensi.
Si tratta di una riforma che deve andare di pari passo con una ragionata depenalizzazione di numerosi illeciti, per i quali, tuttavia, debbono essere individuate sanzioni amministrative di reale applicabilità o efficaci meccanismi di tutela riparatoria della persona offesa.
Al tempo stesso, occorre un ragionamento sereno e approfondito sul modo in cui attribuire realmente al giudice il ruolo di giusto dominus dei tempi del procedimento e del processo, a fronte di una prassi in cui il pubblico ministero sembra governare unilateralmente i tempi delle indagini preliminari e la difesa i tempi del giudizio. Invero, in assenza di un potere di approfondito sindacato da parte del giudice circa la reale necessità di determinati mezzi di prova, specie testimoniale, e in mancanza di una sanzione di decadenza dalla prova nel caso di citazione negligente dei testi o di materiale impossibilità di reperirli, la durata del dibattimento rischia di essere – come spesso è – governata dalla parte che ritenga di poter trarre maggiori benefici dal rendere più lontana possibile la definizione del giudizio. E, analoghe considerazioni, debbono farsi sulla mancanza di strumenti che consentano al giudice un efficace controllo sulla durata delle indagini preliminari e sulle eventuali inerzie del pubblico ministero.
Altamente critica, sempre in tale prospettiva, è poi tutta la materia delle impugnazioni, sempre più lontane, come dimostrano le statistiche sul numero delle sentenze di riforma, dall’essere strumento per introdurre una seria istanza di rivalutazione di fatto e/o di diritto, e sempre più utilizzate per dilatare i tempi necessari a giungere a una sentenza irrevocabile.


In assenza di un intervento di tal fatta, e che purtroppo non appare assolutamente vicino, l’istituto della prescrizione rischia di continuare a essere ancora per molto tempo una “forma di smaltimento” non dichiarata del carico della giustizia penale e, al tempo stesso, il parafulmine sul quale si riversano tutte le negatività prodotte dal sistema processuale.

Autore
Michele Ciambellini
Componente del CDC dell’ANM

La prescrizione non è una causa di estinzione del reato come tutte le altre. Michele Ciambellini