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Profili di incostituzionalità della negoziazione assistita obbligatoria

di Massimo Vaccari - 9 gennaio 2015

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Introduzione
L’ultimo prodotto del frenetico riformismo dell’attuale Governo è il decreto-legge 12 settembre 2014 n. 132, recante "Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile". Nel capo II del provvedimento è contenuta la disciplina della procedura della negoziazione assistita da un avvocato, un istituto che per la prima volta fa la sua comparsa nel nostro ordinamento, sul modello di quello francese, introdotto dalla legge n. 2010-1609 del 22 dicembre 2010. 
Si tratta di una forma di a.d.r. cogestita dagli avvocati delle parti e finalizzata al raggiungimento di un accordo, avente valenza di titolo esecutivo, che eviti il giudizio. Essa si articola: nella sottoscrizione da parte delle parti in lite di un accordo (c.d. convenzione di negoziazione) mediante il quale esse convengono di cooperare per risolvere in via amichevole una controversia vertente su diritti disponibili tramite l’assistenza dei rispettivi difensori; nella successiva attività di negoziazione vera e propria e nell’eventuale sottoscrizione, da parte di difensori e parti, dell’accordo conciliativo.
Due sono le ipotesi di negoziazione assistita previste dal nuovo intervento normativo: la procedura facoltativa (o volontaria), rimessa alla libera iniziativa delle parti, e la procedura obbligatoria, strutturata come condizione di procedibilità della domanda, solo per talune materie (controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e controversie in cui una parte vanti una pretesa, a qualsiasi titolo, al pagamento di somme non eccedenti cinquantamila euro, con esclusione delle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori).
Alla seconda delle due fattispecie è specificamente dedicata la disciplina dell’art. 3 che ricalca quella del procedimento di mediazione previsto quale condizione di procedibilità della domanda (art. 5, comma 1 bis, del d.lgs. n. 28 del 2010). Gli artt. 2 e quelli da 4 a 11 regolano la negoziazione assistita volontaria, anche qualora con essa si intenda raggiungere una soluzione consensuale di procedimenti di separazione, divorzio e modifica delle condizioni di tali istituti (art. 6).
Le norme sulla negoziazione assistita obbligatoria entreranno in vigore, decorsi novanta giorni dalla conversione in legge del decreto (cfr. art. 3 ultimo comma), mentre tutte le altre disposizioni sono entrate in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta.
Secondo la stima del Ministero il nuovo modello di procedura “consentirà di ridurre il flusso delle cause in entrata dei Tribunali e dei giudici di pace di circa 60.000 cause per anno” (così la relazione tecnica leggibile sul sito del Ministero, www.ministerodellagiustizia.it).
A ben vedere questo ottimismo, e l’enfasi propagandistica con la quale è stata presentata l’introduzione dell’istituto nel nostro ordinamento, non sembrano giustificati, dal momento che, con riguardo alla negoziazione assistita volontaria,  è facile prevedere un insuccesso dell’istituto per tutte le ipotesi in cui le parti controvertano della responsabilità contrattuale di una di loro. Sarà molto improbabile infatti che esse possano raggiungere un nuovo accordo finalizzato a definire quel contrasto.
Quanto invece alla disciplina sulla negoziazione assistita obbligatoria essa presenta diverse criticità, alcune delle quali si illustreranno in queste pagine, che rischiano seriamente di impedirne l‘applicazione. 
Sotto il profilo concreto poi la prognosi sopra citata dà per scontato che le future negoziazioni sortiranno necessariamente un esito conciliativo ma se ciò non dovesse accadere sarà evidente come esse saranno servite solo a ritardare l’inizio dei processi che mirano a prevenire.
Perlomeno quest’ultima considerazione avrebbe allora dovuto indurre gli artefici di questa prima fase di quella che, stando agli annunci, dovrebbe essere, una più estesa riforma della giustizia civile a una particolare cautela, per non rischiare di essere drasticamente smentiti nell’arco di un tempo non eccessivamente lungo.


La sovrapposizione di forme di a.d.r. diverse (contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.)
La sottoposizione a negoziazione assistita obbligatoria delle controversie relative a sinistri stradali ripropone la questione che si era presentata allorquando, a far data dal 22 marzo 2012, e sia pure per un limitato periodo di tempo, anche questa categoria di giudizi era stata assoggettata al tentativo obbligatorio di mediazione.
In particolare, soprattutto in dottrina, era risultato quanto mai controverso il rapporto tra quel presupposto e la condizione di proponibilità prevista dall’art. 145, primo comma, cod. assicurazioni. Infatti la questione da risolvere era stata se il danneggiato potesse attivare la procedura di mediazione prima o durante il decorso degli spatia deliberandi previsti dall’art. 145, 1° e 2° comma, cod. ass.
Analogamente, ora, si tratta di stabilire quale sia la relazione tra la norma speciale sopra citata e l’art. 3, comma 2, d.l. 132/2014.
Poiché quest’ultima norma prevede per l’invito a concludere la convenzione di negoziazione assistita requisiti di forma e di contenuto minori di quelli contemplati dall’art. 148 cod. ass., è ipotizzabile che esso sia inserito nella raccomandata indirizzata alla compagnia di assicurazione. Inoltre, al fine di raccordare tra loro i due diversi termini previsti per la risposta alla sollecitazione del danneggiato, può ammettersi che venga assegnato il maggior termine di cui all’art. 145 cod. ass. Ancora la raccomandata dovrà essere inviata anche al danneggiante. 
Questa soluzione presenta l’indubbio vantaggio di scongiurare, a fronte dell’acclarato esito negativo della fase stragiudiziale prevista dal codice delle assicurazioni, un ulteriore tentativo di conciliazione nelle forme della negoziazione assistita che sarebbe inutilmente gravatorio, in termini di tempi e di costi, per la parte danneggiata.
Ad essa pare però di ostacolo il dato normativo del comma 5 dell’art.3  (Restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di mediazione e conciliazione, comunque denominati) che invece giustifica la sovrapposizione di forme di a.d.r. diverse.
La collocazione della norma, dopo l’elenco dei giudizi per i quali la negoziazione assistita costituisce condizione di procedibilità (comma 1), ne rende piuttosto chiaro il significato: la procedura va espletata anche se sia stata preceduta da una diversa forma di a.d.r. prevista obbligatoriamente.
Essa quindi allude, oltre che alla procedura ex art. 145 cod. ass., anche ai casi di mediazione ex contractu (art. 5, comma 5, d.lgs. 28/2010) e alle controversie agrarie in cui una delle parti possa svolgere una domanda di condanna di importo fino a cinquantamila euro, e che sono soggette, a pena di improcedibilità, al tentativo di conciliazione davanti all’ispettorato agrario ai sensi dell’art. 11, comma 3 d.lgs. 150/2011.
Rispetto a tutte queste ipotesi la soluzione adottata con il d.l., prescindendo completamente anche dalla considerazione della durata che abbia avuto la precedente fase conciliativa, può comportare una dilatazione eccessiva dei tempi di accesso alla giustizia, oltre che un aggravio di costi difficilmente giustificabile, e pertanto non pare conforme non solo al parametro dell’art. 24 ma anche a quello dell’art. 3 Cost. 
Le medesime considerazioni valgono rispetto ai casi in cui si intenda avanzare domande oggettivamente o soggettivamente complesse, alcune delle quali soggette a negoziazione assistita e altre a mediazione obbligatoria. Si pensi alle seguenti ipotesi: domanda, che si fondi su un contratto bancario, come tale soggetta a mediazione obbligatoria, e che sia connessa a una domanda di condanna al pagamento di una somma fino ad euro 50.000,00 che si fondi su un contratto, non qualificabile come bancario, con lo stesso o con altro soggetto. Ancora si pensi al caso di una domanda avente ad oggetto la costituzione o l’accertamento di un diritto reale, anch’essa assoggettata a mediazione, alla quale si accompagni una domanda di condanna al risarcimento danni per un importo fino ad euro 50.000,00, e che deve essere preceduta dalla negoziazione assistita a pena di improcedibilità. A fronte di simili eventualità infatti si dovranno seguire iter stragiudiziali differenti, aventi tempi di svolgimento diversi, e già questa prospettiva costituirà un serissimo ostacolo al raggiungimento di una soluzione conciliativa tra le parti, essendo evidente che questa difficilmente può prescindere da un confronto su tutte le questioni oggetto di lite.
Non pare quindi aver tenuto conto di tutti questi aspetti l’affermazione contenuta nella relazione illustrativa al d.l. secondo cui la negoziazione assistita obbligatoria ha una funzione complementare rispetto alla mediazione obbligatoria.
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La reintroduzione del gratuito patrocinio (contrasto con gli artt. 2, 3, 24 e 36 Cost.)
Particolare perplessità suscita la disposizione di cui al comma 6 dell’art. 3, secondo la quale: quando il procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda all’avvocato non è dovuto compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 e successive modificazioni…(la norma prosegue definendo le modalità con cui far constare la condizione di non abbiente).
Con questa norma è stato di fatto reintrodotto, limitatamente alla procedura di negoziazione assistita, l’istituto del gratuito patrocinio, una volta disciplinato, in via generale, dal r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, abrogato dall’art. 23 della legge 30 luglio 1990, n. 217.
Come noto quel testo normativo prevedeva l’assistenza tecnica gratuita del povero ammesso al beneficio, sul presupposto che fosse un dovere e un onere per la classe forense assistere i meno abbienti, in modo da assicurare loro un’adeguata tutela giurisdizionale. Questa impostazione, allorquando entrò in vigore la Carta costituzionale, fu oggetto di rilievi di incostituzionalità sia, nella prospettiva dei non abbienti, per contrasto con gli artt. 3, comma 2, e 24 commi 1 e 3 Cost; sia, nella prospettiva degli avvocati, per contrasto con l’art. 36, comma 1 Cost. 
Proprio queste considerazioni hanno indotto quindi nel tempo a optare per una diversa tecnica di assistenza giudiziaria per i non abbienti che ha trovato espressione nell’introduzione dapprima, per il solo processo penale, con la legge 30 luglio 1990, n. 217, e poi anche per il processo civile, con la  legge 29 marzo 2001, n. 134, del diverso istituto delpatrocinio a spese dello Stato. In base ad esse ai non abbienti è assicurata la possibilità di avvalersi di un difensore generalmente retribuito dallo Stato, sia pure con compenso ridotto rispetto a quello usuale. Le leggi predette sono state poi interamene sostituite dal d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115 (artt. da 74 a 145).
Fino ad epoca recente tra commentatori e operatori del diritto era pressoché unanime l’opinione che non fosse possibile ottenere il patrocinio a spese dello Stato per l’attività stragiudiziale, pur nella ricorrenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione a tale beneficio.
La ragione fondamentale che fondava quel postulato era che le norme del T.U.S.G (in particolare art. 74, comma 2) che individuano l’ambito di applicazione di tale istituto lo ammettevano nell’ambito di un processo civile o in un procedimento di volontaria giurisdizione.
A porre in crisi questa conclusione ha però contribuito a livello normativo già la disciplina speciale contenuta nel d.lgs. 27 maggio 2005, n. 116 che ha recepito in Italia la direttiva Ue 2003/8, intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere, invero solo civili, attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato.
Un ulteriore spunto alla revisione della impostazione tradizionale è poi derivato dalle recenti modifiche alla disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione che hanno previsto l’obbligo dell’assistenza tecnica quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda. 
Il nuovo contesto normativo consente di affermare che la mediazione obbligatoria, anche nella modalità demandata dal giudice ai sensi dell’art. 5 comma 2 del d.lgs. 28/2010, costituisce una fase prodromica o incidentale del giudizio, cosicché, qualora non si concluda con una conciliazione, il difensore della parte non abbiente può ottenere il compenso a carico dello Stato per l’assistenza prestata nel corso di essa.
Il decreto legge 132/2014 ha invece escluso tale possibilità per le ipotesi in cui la negoziazione assistita sia condizione di procedibilità della domanda, con una soluzione che risulta ancor più iniqua per la sua estensione perché esclude il diritto al compenso del difensore anche qualora le parti, all’esito di quella procedura, raggiugessero un accordo conciliativo.
È opportuno infatti chiarire che, qualora la fase stragiudiziale abbia un simile esito, difettano non solo i presupposti normativi ma anche quelli sostanziali per porre a carico dello Stato il compenso del difensore della parte non abbiente poiché, avuto riguardo ai secondi, si può verificare o che parti convengano di addebitare i costi della difesa del non abbiente alla controparte o che il non abbiente, per effetto della transazione, acquisti le risorse che gli consentono di retribuire il suo difensore (è inteso che anche l’attività svolta dal difensore nella fase stragiudiziale che non abbia un successivo sviluppo, giudiziale o conciliativo, resta esclusa dal patrocinio a spese dello Stato). 
La legittimità della previsione in esame poi non può certo discendere dall’art. 13, comma 1 della l. 247/2012 che stabilisce che l’attività dell’avvocato può essere gratuita poiché tale norma allude appunto a una possibilità e quindi comporta che sia lo stesso professionista a scegliere tale modalità di svolgimento del proprio incarico.
La norma pare quindi non conforme ai principii di cui agli artt. 2, 3, 24 e 36 Cost., ma nemmeno alla direttiva UE 2003/8 con riguardo alle controversie transfrontaliere che debbano essere precedute dalla procedura di negoziazione assistita, perché finisce per privare di assistenza tecnica la parte non abbiente che intenda partecipare alla negoziazione assistita obbligatoria, essendo quasi scontato che nessun difensore accetterà di prestare la propria opera gratuitamente in suo favore.
Vi è poi un ulteriore profilo di incostituzionalità della disposizione.  Essa tace sulla sussistenza di un diritto al compenso per coloro che intervengano nella procedura di negoziazione assistita obbligatoria come consulenti tecnici di parte. Si noti infatti che la possibilità che alla procedura possano partecipare soggetti diversi dagli avvocati delle parti è implicitamente ammessa dal legislatore, laddove all’art. 9, comma 3 menziona «coloro che partecipano al procedimento» come categoria distinta da quella dei difensori delle parti.
Orbene, in difetto di una specifica esclusione, deve ritenersi, per le ragioni sopra esposte, che tali professionisti possano godere del patrocinio a spese dello Stato, a differenza degli avvocati. Palese è quindi la violazione dell’art. 3 Cost.


Insussistenza dei presupposti della necessità ed urgenza (violazione dell’art. 77 Cost. e 3 Cost.)
La giurisprudenza costituzionale (sent. 23 maggio 2007 n.171 e sent. 30 aprile 2008, n.128), mutando il proprio orientamento, da qualche anno è arrivata ad ammettere il sindacato sull'esistenza dei presupposti straordinari di necessità e urgenza del decreto legge, salvo ritenere, a tutela della discrezionalità politica, che la mancanza di tali requisiti deve risultare evidente. La Corte ha anche precisato che il sindacato non è precluso dalla conversione in legge, atteso che l'eventuale vizio del decreto legge si risolve in un vizio della legge di conversione, per aver erroneamente valutato l'esistenza dei requisiti di validità in effetti non sussistenti e quindi convertito in legge un atto inconvertibile.
Secondo il giudice delle leggi l’evidente mancanza dei requisiti della necessità e urgenza può essere desunta da elementi intrinseci ed estrinseci alla decretazione e tra i secondi ha elencato: in primo luogo il preambolo del decreto legge, dove è contenuta la giustificazione dei presupposti giuridici e dunque soprattutto dei requisiti di necessità e urgenza del decreto legge stesso; in secondo luogo l’analisi tecnico normativa che l’accompagna; in terzo luogo il contesto normativo nel quale il provvedimento va inserirsi.
Nel caso di specie nel preambolo dell’intervento normativo in esame, a giustificazione dello stesso, si adduce «la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni in materia di degiurisdizionalizzazione e adottare altri interventi per la definizione dell’arretrato civile», senza evidenziare gradi di urgenza differenti per le diverse norme che lo compongono. Ed allora il differimento dell’efficacia delle disposizioni sulla negoziazione assistita obbligatoria di ben centocinquanta giorni rispetto al momento della pubblicazione del decreto in Gazzetta confligge in modo palese con quella finalità ed è sufficientemente indicativa della insussistenza in esso dei presupposti previsti dall’art. 77 Cost.


Parimenti la norma crea un’irragionevole disparità di trattamento tra i giudizi che verranno promossi in quell’arco di vacatio legis e i successivi, esonerando solo i primi dall’osservanza della condizione di procedibilità.

Autore
Massimo Vaccari
Giudice del Tribunale di Verona

L’ottimismo, e l’enfasi propagandistica con la quale è stata presentata l’introduzione dell’istituto nel nostro ordinamento non sembrano giustificati Massimo Vaccari