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Una strana mailing list

di Vittorio Gaeta - 24 luglio 2015

Ringrazio l’Ordine degli Avvocati di Torino e Area per avermi chiesto di presentare la mailing list Malta 2013 sulla protezione internazionale e il diritto di asilo, sia per il piacere che provo nel venire in questa città, sia per l’occasione di confrontarmi con testi e autori dei quali spero di essere più o meno all’altezza. Vi faccio una breve storia della mailing list.


1. Nel 2013 l’EASO, ufficio europeo con sede a Malta che si occupa di asilo, dedicò alcune sessioni alla formazione dei magistrati italiani. Ne nacquero così contatti dei magistrati sia con operatori delle Commissioni e dell’Alto Commissariato dei rifugiati, sia con colleghi di altri Paesi europei, che attribuiscono le cause di protezione internazionale al giudice amministrativo.


L’esperienza risultò così interessante che si decise di creare la mailing list tematica Malta 2013, aperta a giudici, pm, avvocati e studiosi, che vide da subito un’intensa partecipazione, fatta sia di scambi di provvedimenti e di opinioni, sia di richieste di suggerimenti specifici, del tipo: “come ci si regola negli altri uffici sulla questione ...”, alle quali gli iscritti corrispondevano e corrispondono generosamente.


Si creò così un vero e proprio laboratorio permanente di autoformazione, che vide un forte ruolo propulsivo di Aldo De Matteis, consigliere di Cassazione in pensione, sempre molto prodigo di consigli e di stimoli.


Nell’autunno 2014, poi, si decise di elaborare un questionario sulle prassi vigenti in materia di protezione internazionale, secondo l’impostazione riassunta dal suo avviso preliminare: “alle domande si dovrà rispondere sulla sola base dell’esperienza applicativa: non si risponderà a domande corrispondenti a casi mai affrontati. Le risposte, poi, dovranno basarsi sulle soluzioni adottate nella pratica, anche quando non corrispondano all’opinione personale”.


La formulazione delle domande, che è sempre il momento più difficile per un questionario, fu dapprima effettuata da un gruppo ristretto di magistrati, poi sottoposta alla lista e infine cristallizzata nella versione finale. Le risposte delle varie sedi furono rielaborate secondo parametri uniformi, e infine messe a disposizione della lista.


2. C’è da ricordare a questo punto che la formazione dei magistrati italiani che si occupano di protezione internazionale è assai carente.
Le leggi che hanno dato attuazione alla normativa europea sull’asilo, il cui nucleo essenziale risale ormai a diversi anni fa, non sono state finora oggetto di significativa implementazione da parte di uffici ministeriali o di autogoverno della magistratura; né si dispone di dati ufficiali sull’entità del contenzioso o sulle percentuali di accoglimento delle domande. La legge 146/14, che ha rimodulato le attività e gli organici delle Commissioni territoriali, all’art. 5 prevede la formazione dei suoi membri, ma non quella dei magistrati. Eppure sappiamo o dovremmo sapere che il brocardo  iura novit curia è un’idea regolativa, non una verità empirica.



La materia soffre anche di quella che chiamerei la dublinizzazione di secondo grado: come il Regolamento di Dublino ha attribuito la competenza ad esaminare le domande di protezione al Paese della UE (per lo più, del Sud o dell’Est) di primo approdo del richiedente asilo, che pure spesso asilo, che pure spesso vorrebbe raggiungere dei parenti o amici ben integrati nei Paesi del Nord, così la nostra legislazione ha istituito (prima delle modifiche dello scorso anno) le Commissioni territoriali e aperto i Centri di accoglienza (CARA) soprattutto lì dove arriva gran parte dei profughi: nel Sud Italia, con un pesante aggravio delle sue strutture amministrative e giudiziarie, le cui esigenze di funzionalità appaiono, a tutti i governi che si succedono negli anni, recessive rispetto a quelle del Nord, ipotetico motore del Paese.


Il questionario di cui vi parlo è stato un momento importante di autoformazione e ha portato all’elaborazione di una relazione sulle prassi che ha ricevuto molta attenzione al seminario internazionale sull’immigrazione tenuto nello scorso febbraio a Catania. Il suo scopo, più che di elaborare e discutere complesse questioni giuridiche, era di coinvolgere il maggior numero possibile di operatori nella discussione dei problemi quotidiani della protezione, che sono anzitutto di organizzazione degli uffici e di gestione dei flussi di controversie. Speravamo così di favorire una razionalizzazione delle prassi: credo che, se il questionario venisse ripetuto oggi, molte risposte sarebbero diverse, alla luce della nuova consapevolezza degli altrui orientamenti.


3. All’inizio non si era certi neppure di quali sedi avessero competenza sull’asilo, per la presenza nel distretto giudiziario di una Commissione territoriale o di un CARA. Poi abbiamo saputo che si tratta degli uffici di Ancona, Bari, Bologna, Cagliari, Caltanissetta, Catania, Catanzaro, Firenze, Lecce, Milano, Napoli, Palermo, Potenza, Roma, Torino e Trieste. I carichi non sono proporzionali ai bacini di utenza ma presentano una forte sperequazione a danno di Puglia, Calabria e Sicilia Orientale, peraltro non facile da quantificare per la carenza di dati ufficiali aggiornati. In quasi tutte le sedi hanno dato risposta gli organi giudicanti. Più ridotta la partecipazione delle Procure Generali, ridottissima quelle delle Procure di primo grado.


4. Abbiamo così appreso che:


» la percentuale di giudici che trattano la protezione internazionale sul totale dei giudici civili non lavoristi varia molto da un ufficio all’altro ma è comunque più bassa in primo grado; le decisioni sono appellate in misura maggiore rispetto ad altre decisioni civili, probabilmente grazie all’elevata diffusione del gratuito patrocinio;


 » c’è un forte ricorso ai giudici onorari, non sempre dotati di formazione specifica;


» i tempi di definizione delle procedure sono contenuti e tendono a diminuire;


» le forme di collaborazione delle e con le Commissioni sono a macchia di leopardo;


» gran parte delle Procure, specie di primo grado, si disinteressa della materia, e lo stesso può dirsi di solito per l’Avvocatura dello Stato;


» la difesa dei richiedenti asilo, benché svolta da avvocati specializzati, presenta spesso un insoddisfacente livello qualitativo e di conoscenza degli atti processuali;


» le spese processuali sono quasi sempre compensate, o altrimenti liquidate al minimo;


» in primo grado l’ascolto del richiedente asilo è abbastanza frequente, ma i criteri di nomina e di retribuzione degli interpreti sono privi di razionalità;


» l’istruttoria, disposta per lo più d’ufficio, è piuttosto accurata e si avvale di Internet per la ricerca di informazioni sul Paese di origine (COI) del richiedente asilo;


» la maggior parte dei giudici prende in considerazione le criticità dei Paesi di origine, come i conflitti etnico-religiosi, anche se non specificamente allegate.


In gran parte degli uffici la protezione è trattata da una sezione specifica, che in circa metà dei casi è la sezione “famiglia e minori”. Ciò non sempre è un bene: mentre per ragioni storiche nelle grandi città “famiglia e minori” godono tra i magistrati di prestigio, che tende a comunicarsi alla protezione con ricadute positive sull’adeguatezza delle misure organizzative e sulla destinazione di personale, il contrario accade spesso nelle sedi medie o piccole. Da segnalare positivamente Torino, che in primo grado attribuisce la protezione e tutta l’immigrazione alla sezione che tratta il Tribunale delle imprese e in appello a due diverse sezioni, nessuna delle quali si occupa di minori e famiglia. Sul piano sostanziale, vi è divisione tra chi, ai fini della protezione sussidiaria, ritiene sufficiente la mera provenienza da Paesi dove c’è violenza indiscriminata e chi invece richiede anche una credibile narrazione individualizzata delle vicissitudini sofferte.


Inoltre, nonostante la fisiologica presenza di maggiore o minore apertura verso i flussi migratori, è quasi unanime il giudizio positivo sull’idoneità della protezione umanitaria a soddisfare esigenze comunque meritevoli di tutela. È una peculiarità italiana, dovuta, più che alla storica propensione nazionale al compromesso, alla volontà di compensare la vulnerabilità dei richiedenti asilo, spesso accentuata se non creata dalla defatigatorietà delle procedure amministrative e giudiziarie.


5. Nel seminario di Catania, essendomi stato richiesto di enunciare proposte per il miglioramento della trattazione delle cause di protezione, premisi il mio scetticismo verso riforme normative abborracciate, che creano più problemi di quelli che credono di risolvere, e soprattutto verso l’illusione che le riforme siano più efficaci dei mutamenti culturali e delle prassi innovative.


Espressi poi l’auspicio che mediante circolari scritte a leggi invariate:


»il Ministero dell’Interno inviti le Commissioni territoriali a trasmettere al giudice della protezione una copia di tutti gli atti della procedura amministrativa;


»il Ministero della Giustizia raccolga i dati dei ricorsi in tema di protezione, e i presidenti di Corte li illustrino nelle inaugurazioni dell’anno giudiziario;


»il Ministero della Giustizia, anche su sollecitazione del CSM o di organismi associativi, assuma le determinazioni (ad es., massicce applicazioni straordinarie di magistrati e di personale) necessarie per fronteggiare – con procedure standard anche se flessibili – punte abnormi di flussi migratori che gravano all’improvviso su certi uffici più che su altri: trattasi di emergenze non meno importanti di EXPO 2015, che ha indotto ad adottare provvedimenti straordinari per il Tribunale di Milano;


»il Ministero della Giustizia adegui e renda remunerative le tariffe degli interpreti e traduttori, sì da incentivare la collaborazione di soggetti
capaci e indipendenti;


»si intraprenda una seria formazione dei pm nelle funzioni civili, perché l’unità delle carriere e l’indipendenza del pm hanno senso solo se tutte
le funzioni conferite dalla legge a quest’organo vengono svolte con uguale competenza e senso del dovere.


Dopo questa carrellata sulle attività della ml, che spero di qualche interesse, vorrei dire qualcosa che riguarda più direttamente il tema della solidarietà, oggetto del bel libro di Rodotà, che evidenzia in modo particolare la centralità assoluta che ha assunto anche sul piano giuridico l’art. 2 della Costituzione. Il libro afferma una sorta di primato della solidarietà, che avrebbe inglobato e trasceso la fraternità; io però credo che la fraternità debba ancora esprimere molte delle sue potenzialità.


La lista di cui vi parlo, questo laboratorio permanente di autoformazione, nasce da una comunicazione orizzontale, fraterna in senso ampio, nella quale i ruoli di giudice, pm, avvocato, docente, operatore umanitario, membro di Commissione territoriale, e gli approcci diversi che essi implicano, non impediscono quell’arricchimento che deriva dal reciproco prendersi sul serio che oggi è così raro.


Malta 2013 è una mailing list dove si discute senza polemizzare, dove ci si sforza di trovare soluzioni comuni oppure di chiarire i termini oggettivi
dei dissensi, dove si divaga serenamente senza perdere il filo e senza rimproverarsi gli off-topic: io sono particolarmente orgoglioso di avere mesi fa mandato alla lista l’apprezzato articolo del procuratore Spataro sulla Stampa a proposito di Bob Dylan e la giustizia.


La solidarietà nasce dall’alterità e non dall’identità, e può a sua volta trascendersi in fraternità, purché eviti la delimitazione troppo rigida dei soggetti coinvolti. Mi spiego. È fisiologico che una lista sull’asilo solleciti sensibilità di apertura verso i fenomeni migratori, di disponibilità verso i richiedenti asilo; così è anche nella ml Malta. Eppure, nel lavoro quotidiano ad es., di giudice, è quanto mai preziosa la capacità
di non essere schiavi delle proprie preferenze e dei propri pregiudizi: la capacità del giudice non ben disposto verso i richiedenti asilo di accogliere le loro domande, o la capacità del giudice ben disposto di respingerle.


È vitale che nel dibattito pubblico sui fenomeni migratori si provi a mettere in comune idee e riflessioni, anche se è raro che chi guarda con
sfavore all’immigrazione sia disposto a prendere sul serio le posizioni opposte, contrastandole con argomenti. Chi ha posizioni di apertura, tuttavia, dovrebbe pur chiedersi con onestà se l’irrisione degli sfavorevoli non sia anche una difesa dall’altrui, dalla nostra prontezza nel dare etichette stigmatizzanti (di xenofobia, di razzismo, magari di fascismo o nazismo) alle posizioni restrittive.


Buona o cattiva che sia, con l’immigrazione di massa si convive da anni: al di là di posizioni estreme, io non vedo come prevalenti quelle forme
aggressive di razzismo o di buonismo che attirano la rappresentazione mediatica. Vedo invece lo sforzo, in gran parte di coloro che si occupano
a vari livelli del fenomeno, di affrontarlo con cautela e razionalità. Razionalità, proprio perché lo sradicamento da cui nasce l’immigrazione
di massa, e che a sua volta ne è rafforzato (io non credo all’irenismo della migrazione come creazione del presepe multiculturale), non è un
prodotto della ragione.


In luoghi come la ml Malta, che si occupa dell’Altro perché i richiedenti asilo sono Altro, si esprime lo sforzo di comunicare tra quelli che sono diversi non solo nelle professioni ma anche, a volte, nel modo di concepire e valutare la diversità.


Questo ha a che vedere con solidarietà e fraternità, e con la loro capacità di produrre uguaglianza di trattamento davanti alla legge. Però non saprei bene argomentare il perché: su questo, preferisco rivolgermi al prof. Rodotà.


Grazie della vostra attenzione.


*Intervento al convegno su “Solidarietà e diritto”, tenuto il 18 maggio 2015 nell’Aula Magna “Fulvio Croce” del Palazzo di Giustizia di Torino, presente il prof. Stefano Rodotà

Autore
Vittorio Gaeta
Consigliere della Corte d’Appello di Bari