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Rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento di valutazione di professionalità

di Mariolina Panasiti - 24 luglio 2015

Valutazione di professionalità

Punto centrale di tutta la tematica, anche per quanto riguarda la proiezione degli effetti, è, prioritariamente, l’accertamento della natura dei due diversi procedimenti, e, correlativamente, degli organi competenti.
La valutazione in ordine alla natura dei procedimenti e dei relativi accertamenti refluisce direttamente, infatti, sulla relazione intercorrente tra le due diverse tipologie procedimentali, nel senso – eventualmente – dell’autonomia, ovvero della pregiudizialità, ovvero della rilevanza dell’una procedura in relazione all’altra.
Come è noto, i procedimenti disciplinari e i relativi illeciti risultano caratterizzati rispettivamente dalla procedimentalizzazione secondo il rito penale e dalla tipizzazione degli illeciti, in conformità al principio di legalità. Correlativamente, diversi sono gli organi competenti, e, cioè, l’apposita sezione disciplinare del CSM, con organo di impugnazione individuato nelle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, per il procedimento disciplinare; la IV Commissione del CSM per le valutazioni di professionalità, con organo competente in sede di impugnazione individuato nel Tar.

Da qui una prima delimitazione netta tra i due diversi procedimenti, rivestendo il procedimento disciplinare natura strettamente giurisdizionale; il procedimento per la valutazione di professionalità, natura prettamente amministrativa, questa riportata all’ambito di quella che viene reputata essere comunque la gestione di un rapporto di lavoro riconducibile al pubblico impiego, seppur connotato da tratti del tutto peculiari.
Nell’ambito di tale collocazione sistematica che ha riguardo alla natura delle due tipologie di procedimenti si inserisce una prima conseguenza di ordine sistematico, consistente nella più volte affermata autonomia tra il giudizio disciplinare e quello relativo alle valutazioni di professionalità, da ultimo ribadita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 508 del 12.1.2011, con l’affermare che «la natura giurisdizionale della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura esclude che i suoi provvedimenti possano essere vincolati da quanto il Consiglio abbia deliberato quale Organo amministrativo, stante la diversita` dell’oggetto, dei criteri e delle finalita` delle valutazioni da compiere nell’esercizio dell’una funzione e dell’altra».

E' soluzione in larga parte condivisa dai Consigli giudiziari all’atto del procedimento per valutazione di professionalità, e dal CSM, quest’ultimo nelle due diverse composizioni, giurisdizionale e amministrativa, che la conclusione del giudizio disciplinare, assolutorio o di condanna, non vincola l’organo di autogoverno rispetto alla valutazione dei fatti dal diverso angolo visuale proprio delle valutazioni di professionalità, e viceversa, stante la radicale differenza di finalità dei due diversi giudizi. Finalità consistenti nell’accertamento di un fatto ben preciso e delimitato, espressamente tipizzato secondo i parametri dettati dall’art. 2 decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, sul quale unicamente si forma il giudizio nell’ambito 69 della procedura disciplinare; laddove, invece, la valutazione di professionalità è deputata al controllo della permanente sussistenza di talune condizioni che, secondo degli indicatori individuati, consentono di “fotografare” l’attività del magistrato e di affermarne la perdurante capacità − ed efficienza − lavorativa secondo standard adeguati. Cosicché la valutazione disciplinare si assesta sul parametro e tributivo della sanzione, laddove la valutazione di professionalità astrattamente è deputata a verificare l’attività del magistrato che, mediante un percorso valutativo che si snoda per un arco temporale prefissato, si estrinseca nell’ambito di un rinnovato esame di idoneità.

Se tali sono le finalità dei due diversi procedimenti, cui corrispondono correlativamente diversità di procedure e diversa individuazione degli organi competenti, va da sé che nel sistema nessun rapporto di pregiudizialità − se non nei casi espressamente previsti − ricorre, come del pari neppure alcuna efficacia vincolante è configurabile di un giudizio (segnatamente quello disciplinare) nell’ambito dell’altro.

In concreto, però, è innegabile che l’esito del giudizio disciplinare assai spesso finisce con l’influire sulla valutazione di professionalità, rispetto alla quale non costituisce, però, valutazione immediatamente recepibile, ma riveste connotazioni di fatto o di elemento, sotto il profilo delle c.d. “fonti di conoscenza”, doverosamente valutabile, rispetto al quale il recepimento passa attraverso l’obbligo di motivazione, espressione di un giudizio autonomo tracciabile in sede di valutazione di professionalità. La valutazione di professionalità, invero, essendo diretta a ricostruire il “profilo completo e concreto delle reali caratteristiche professionali del magistrato” (così la relazione introduttiva alla circolare sulle valutazioni di professionalità), si estrinseca in un giudizio globale rispetto al quale le risultanze emerse in sede disciplinare non possono non comporsi nell’ambito di un giudizio complessivo sul valore del magistrato sottoposto a scrutinio di professionalità (così Tar Lazio del 13.5.2013 n. 4745), così che, valutate le risultanze disciplinari nel complessivo più ampio percorso professionale del magistrato, il giudizio può approdare a una valutazione di professionalità anche positiva, venendo in tale ultimo giudizio in rilievo non già lo specifico episodio accertato disciplinarmente, bensì un percorso ben più ampio, connotato da molteplici ulteriori indicatori.

Del resto, ove si interpretasse il rilievo disciplinare come automaticamente ridondante in punto di professionalità, difficilmente potrebbe superarsi il rilievo dell’attribuzione di un medesimo fatto nell’ambito di due distinte procedure, per quanto aventi natura diversa, giurisdizionale l’una, amministrativa l’altra, e diversi effetti, sanzionatoria la prima, valutativa la seconda.
Concretamente non può negarsi, però, che diversi tra gli illeciti tipizzati dall’art. 2 d.lvo n. 109/2006, realizzati nell’esercizio delle funzioni, finiscono per coincidere o comunque con l’essere significativi ai fini della valutazione degli indicatori di professionalità di cui alla legge 30 luglio 2007, n. 111, recante Modifiche alle norme sull’Ordinamento giudiziario, e alla circolare n. 20691 dell’8 ottobre 2007 – Deliberazione del 4 ottobre 2007 del CSM. Nella prassi, le tipologie di illecito che intersecano maggiormente il giudizio in punto di valutazioni di professionalità, anche sotto il profilo quantitativo, sono quelle di cui alle lett. b) (l’omissione della comunicazione, al Consiglio superiore della magistratura, della sussistenza di una delle situazioni di incompatibilità di cui agli articoli 18 e 19 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni); c) (la consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge) e soprattutto q) (il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni) dell’art. 2 d.lvo rich., le prime due interferenti eventualmente con l’ambito delle precondizioni di cui al Capo III della circolare n. 20691 dell’8 ottobre 2007 del CSM − indipendenza, imparzialità ed equilibrio – l’insussistenza delle quali conduce ad una valutazione negativa di professionalità senza possibilità di gradazione del giudizio finale; la fattispecie di cui alla lett. q) dell’art. 2 rich., potendo influire sui parametri della capacità organizzativa e della diligenza, come specificati nella medesima circolare, con possibile approdo ad una gradazione di giudizio, nell’ambito delle soluzioni di “carenza” e di “grave carenza”, cui corrispondono soluzioni di “non positività” o di “negatività”.

Sul punto dei rapporti tra giudizio disciplinare e valutazioni di professionalità la richiamata circolare n. 20691 dell’8.10.2007 del CSM dedica il Capo XII, che fissa due distinte tipologie di approccio della Quarta Commissione del CSM, la quale ha, in prima battuta, l’obbligo di sospendere la procedura di valutazione di professionalità laddove il magistrato sia stato sospeso in via obbligatoria dalle funzioni e dallo stipendio ai sensi dell’art. 21, d.lvo n. 109/2006, in quanto sottoposto a misura cautelare personale nell’ambito di un procedimento penale; ovvero sia stato sospeso in via facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio ai sensi dell’art. 22, d.lvo n. 109/2006, in quanto sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo; oppure ancora sia stato sospeso in via facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio ai sensi dell’art. 22 d.lvo n. 109/2006, in quanto sottoposto a procedimento disciplinare. Viceversa l’obbligo di sospensione della valutazione cede il passo a una mera facoltà di sospensione della valutazione, all’esito, quindi, di una scelta di tipo discrezionale e mediante provvedimento motivato, laddove si registri la pendenza di un processo penale e/o disciplinare, nonché nelle ipotesi di formale apertura del procedimento di trasferimento d’ufficio ai sensi dell’art. 2 r.d.lgs. n. 511/1946.

Al di là, quindi, dei casi più gravi, la cui previsione è da attribuirsi non tanto a una diretta “autorità” esplicata dalla decisione disciplinare sulla valutazione di professionalità, quanto alla sostanziale superfluità della valutazione nel caso di irrogazione di sanzioni ovvero di misure cautelari che di fatto determinano in quel momento del giudizio la sospensione del magistrato dall’esercizio delle funzioni, l’iter del procedimento disciplinare e
la sua stessa pendenza non determinano neppure alcun obbligo di sospensione della procedura di valutazione di professionalità.
Quanto precede delinea in via teorica il sistema dei rapporti tra valutazioni di professionalità e procedimento disciplinare.
Nella pratica non può sottacersi, però, che, in via pressoché unidirezionale, gli esiti dei giudizi disciplinari condizionano − anche se in via mediata e dopo autonoma valutazione, di cui deve rendersene conto in motivazione – le procedure di professionalità. Poste le tipologie prevalenti di illeciti sopra indicati come direttamente incidenti nelle valutazioni di professionalità, non può negarsi che la pronunzia disciplinare per l’integrazione degli illeciti di cui alle lett. b), c), ma soprattutto q), dell’art. 2 d.lvo cit. refluiscano sulle valutazioni di professionalità.
In particolare, l’illecito di cui alla lett. q) dell’art. 2 cit., è quello che ha una maggiore incidenza, nella gran parte dei casi, sulla valutazione di professionalità: un approdo interpretativo piuttosto consolidato dei Consigli giudiziari e della IV Commissione del CSM, condiviso anche dal Plenum, conduce nella gran parte dei casi nelle ipotesi di ritardo nel compimento di atti, a una valutazione non positiva (nei casi più gravi negativa) di professionalità, avuto riguardo ai parametri della capacità organizzativa del magistrato e della diligenza; in taluni più rari casi anche in punto di laboriosità.

Per converso, carenze − limitando l’analisi all’illecito di cui alla lett. q) dell’art. 2 cit.− organizzative e di diligenza che conducono al mancato superamento della valutazione di professionalità, possono non essere, nella gran parte dei casi, sufficienti a sostenere una valutazione disciplinare. Basti pensare che il ritardo nel compimento di atti relativi all’esercizio delle funzioni per integrare l’illecito disciplinare deve essere reiterato, grave e non giustificato, e che la necessità di tipizzazione dell’illecito al quale è uniformato il d.lvo n. 109/2006, ha postulato la specificazione, contenuta nella medesima lett. q) dell’art. 2, secondo la quale si presume non grave il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti per il compimento dell’atto; laddove nessuno di tali presupposti risulta tipizzato in punto di valutazione di professionalità, ove rileva soltanto una stima che, partendo dalla considerazione dei ritardi nel compimento di attività giurisdizionale, descriva le caratteristiche della diligenza del magistrato e delle sue capacità organizzative in termini anche solo di carenza, tale che ne risulti svalutata la professionalità del magistrato e l’efficienza dello stesso. Basti pensare che avuto riguardo al parametro della diligenza, la richiamata circolare del CSM segnala che si ha il raggiungimento della valutazione positiva allorquando «i termini generalmente osservati per la redazione e il deposito dei provvedimenti, o comunque per il compimento delle attività giudiziarie, sono conformi alle prescrizioni di legge o sono comunque accettabili in considerazione dei carichi di lavoro, degli standard degli altri magistrati dello stesso ufficio addetti ad analoghe funzioni, e di altre situazioni obiettivamente giustificabili (quali, ad esempio, le assenze autorizzate in conformità della disciplina di ordinamento giudiziario o l’eccezionale complessità di particolari provvedimenti da redigere)».

Può affermarsi comunque che solo in casi particolari i rilievi nell’ambito della valutazione di professionalità sfociano anche in rilievi di natura disciplinare; per converso è assai raro che rilievi disciplinari di cui alle lett. a), b) e soprattutto q) dell’art. 2 d.lvo rich. non approdino in corrispondenti rilievi in punto di valutazione di professionalità, per quanto mediati attraverso autonoma considerazione da parte dei Consigli giudiziari e della IV Commissione del CSM. Anzi, di prassi, il CSM, se non proprio talora gli stessi Consigli giudiziari, arrestano il giudizio, nell’ambito di una valutazione discrezionale, in attesa dell’esito definitivo del procedimento disciplinare.
Si pone a tal punto – però – una problematica di coerenza del sistema, che ha riguardo a due distinti profili.
Il primo, ancorato alla considerazione che l’illecito disciplinare e il relativo giudizio contemplano, conformemente alla disciplina di tutti gli illeciti, la possibilità di revisione, laddove tale possibilità è esclusa nel caso delle valutazioni di professionalità, anche ove ancorate ai fatti emersi nel giudizio disciplinare. In tal caso, il tentativo di dare coerenza al sistema passa dall’affermazione che giudizio disciplinare e giudizio di professionalità, l’uno di natura giurisdizionale, l’altro di natura amministrativa, sono autonomi, ragion per cui il giudizio di professionalità si fonda su presupposti e valutazioni proprie, anche quanto mutua la sua genesi dal giudizio disciplinare. Il secondo profilo ha riferimento alle proiezioni dei due diversi giudizi.

Ed invero, posti gli indubbi riflessi della pronunzia disciplinare sulla valutazione di professionalità, la rigidità del sistema delineato con la circolare in materia di professionalità sopra richiamata comporta che, nel caso di approdo non positivo o negativo del giudizio di professionalità, si proceda, da parte dei Consigli giudiziari e del CSM, a rivalutazione del magistrato rispettivamente dopo un anno, ovvero dopo due anni, non già dalla data della valutazione precedente, bensì dal periodo precedentemente valutato, periodo che, ad intervalli quadriennali, è ancorato al Decreto Ministeriale di nomina, e che non coincide mai con il momento della valutazione e della comunicazione di questa allo scrutinando, nel complesso iter procedimentale scandito dalla sequenza autorelazione - rapporto del Dirigente - parere del Consiglio giudiziario - delibera del CSM. Consegue quindi che il periodo oggetto di rivalutazione cade in un intervallo di tempo in cui il magistrato non ha avuto l’esito del giudizio disciplinare, ma soprattutto non ha avuto cognizione della valutazione di professionalità, in termini utili ad autoemendare la propria condotta, così che spesso anche il periodo di rivalutazione risulta pregiudicato dalle medesime problematiche che hanno comportato, eventualmente sulla scorta dei rilievi disciplinari, il mancato superamento della valutazione (ad esempio, gravi e reiterati ritardi nel deposito dei provvedimenti).

Se quanto precede è accettabile e coerente al sistema di sanzioni, che esplicano i loro effetti per l’avvenire, tali caratteristiche difettano nel caso di valutazione di professionalità, i cui effetti (giudizio non positivo o negativo, con rivalutazione rispettivamente dopo un anno o dopo due anni), lungi da proiettarsi nel futuro rispetto alla comunicazione dell’esito del procedimento amministrativo data al magistrato, risultano forieri di conseguenze rispetto a un momento assai precedente rispetto all’esito del giudizio di professionalità e alla sua conoscenza, perché, come detto, gli effetti − segnatamente rivalutazione dei medesimi parametri − sono ancorati a un'immediata continuità temporale rispetto alla scadenza del periodo oggetto di valutazione.
In tal caso la coerenza del sistema risulta ancorata, almeno formalmente, al richiamo alla funzione dei due diversi giudizi: l’uno, quello disciplinare, che esaurisce i suoi effetti con l’irrogazione della sanzione, ed ha funzione genericamente di emenda e special-preventiva ed effetti per il futuro; l’altro giudizio, quello di professionalità, fissato teleologicamente alla complessiva valutazione di idoneità e di capacità del magistrato, in vista di un sistema efficiente da offrire all'utenza, osservata, nel sistema a cadenze quadriennali di valutazione indicate dall’art. 11 l. 30 luglio 2007, n. 111, senza soluzioni di continuità, del pari e correlativamente alla stessa continuità nell’esercizio delle funzioni. Va da sé, infatti, che, posto che l’esercizio delle funzioni è caratterizzato da continuità temporale; che la valutazione di professionalità è costruita in termini di costante osservazione e valutazione dell’attività del magistrato; che al mancato superamento della valutazione rimane esclusa ogni caratterizzazione sanzionatoria, questa esclusivamente rimessa al giudizio disciplinare, risulta esclusa, almeno sotto il profilo formale, ogni attribuzione di incoerenza eventualmente legata a un sistema che procede a rivalutazione del magistrato per un periodo nel quale costui non ha avuto contezza degli addebiti, rectius delle carenze, riscontrate in sede di valutazione di professionalità.

Autore
Mariolina Panasiti
Magistrato di sorveglianza a Milano

Gli esiti dei giudizi disciplinari condizionano le procedure di professionalita` Mariolina Panasiti