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Procedimento disciplinare e valutazione di professionalità: differenze e interferenze

di Gianluca Grasso - 24 luglio 2015

Giustizia

1. Due sistemi distinti?
Quella del rapporto tra procedimento disciplinare e valutazione di professionalità potrebbe sembrare una questione scontata. Si tratta di due fattispecie completamente diverse per natura, finalità e conseguenze. La realtà mostra come, pur nella diversità ontologica tra i due ambiti, sussistano tra di loro diversi punti di contatto. Il rischio, in concreto, è quello di sovrapporre gli esiti dei due giudizi, di modo da far discendere, quasi automaticamente, dalla sanzione disciplinare una valutazione non positiva. Come ha sottolineato la giurisprudenza amministrativa, in tale ambito bisogna evitare di trasformare il giudizio di professionalità in un’automatica e ulteriore sanzione rispetto all’esito disciplinare, determinando un inaccettabile ne bis in idem.
Nel presente lavoro si cercherà di indagare il rapporto tra giudizio disciplinare e valutazione di professionalità al fine di apprezzarne le differenze e le interferenze.

2. La cornice normativa
La Carta Costituzionale prevede che la giustizia è amministrata in nome del popolo (art. 101) e la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere (art. 104). In tale contesto, tra le diverse competenze riconosciute al CSM figurano quelle riguardanti le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati (art. 105). La scelta del Costituente di riservare tali ambiti alle prerogative dell’organo di governo autonomo evidenzia come la gestione della carriera dei magistrati e i profili disciplinari costituiscano uno snodo fondamentale per garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Sia le progressioni in carriera sia la materia disciplinare sono state profondamente innovate dalla riforma dell’ordinamento giudiziario (ex multis N. ZANON, F. BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura, Bologna, 2014, 138 s..; P. FILIPPI, La valutazione di professionalità, in E. ALBAMONTE, P. FILIPPI (a cura di), Ordinamento giudiziario. Leggi, regolamenti e procedimenti, Torino, 2009, 351 ss.).
Il procedimento disciplinare è regolato dal d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, che ha sostituito all’atipicità degli illeciti un sistema basato sulla tipizzazione delle condotte rilevanti. I nuovi criteri in materia di valutazioni di professionalità sono contenuti nell’art. 11, co. 1, d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 (come sostituito dall’art. 2 l. 30 luglio 2007, n. 111), che ha introdotto, al posto del previgente sistema di progressione in carriera, sette fasce di anzianità, maturabili ogni quadriennio. Se il precedente sistema si basava sulla valutazione globale della professionalità, la nuova normativa ha previsto un insieme di parametri (capacità, laboriosità, diligenza e impegno), ciascuno dei quali deve essere autonomamente positivo.
La stessa disciplina demanda al CSM il compito di regolare gli “elementi in base ai quali devono essere espresse le valutazioni dei consigli giudiziari, i parametri per consentire l’omogeneità delle valutazioni, la documentazione che i capi degli uffici devono trasmettere ai consigli giudiziari entro il mese di febbraio di ciascun anno”. La normativa secondaria è contenuta, principalmente, nella circolare n. 20691 dell’8 ottobre 2007 e successive modifiche.

3. Procedimento disciplinare e valutazione di professionalità
Se il fine ultimo e comune del sistema disciplinare e delle valutazioni di professionalità, nel contesto costituzionale, può essere rinvenuto nella garanzia della corretta tutela giurisdizionale dei diritti e delle libertà dei cittadini, i due ambiti si differenziano notevolmente per natura, oggetto e conseguenze.

3.1. Differenze
Nel discorrere dei rapporti tra le due fattispecie, si parla di reciproca autonomia in relazione ai parametri utilizzati, agli interessi tutelati e all’ampiezza della valutazione (D. CAVALLINI, Le valutazioni di professionalità dei magistrati: prime riflessioni tratte da una ricerca empirica sui verbali del Csm, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 1242). Altri hanno richiamato la figura dei cerchi concentrici per dare conto dell’ampiezza della valutazione compiuta di professionalità rispetto al giudizio disciplinare (cfr. B. GIANGIACOMO, Interferenze tra sistema disciplinare e valutazioni di professionalità dei magistrati, in Questione giustizia, 2010, 2, 103 ss.).
Il sistema disciplinare, che discende dal rapporto di impiego tra il magistrato e lo Stato, tende ad assicurare il regolare svolgimento della funzione giudiziaria, nonché il prestigio dell’ordine giudiziario (da ultimo, D. CAVALLINI, L’evoluzione della responsabilità disciplinare dei magistrati, in D. CAVALLINI (a cura di), Argomenti di ordinamento giudiziario, Bologna, 2014, 94). La sua struttura si articola nella definizione di comportamenti ritenuti illeciti e correlative sanzioni. Le norme disciplinari rappresentano lo standard minimo cui devono ispirarsi i comportamenti del magistrato mentre il riferimento più elevato è costituito dalle norme deontologiche.
Il sistema delle valutazioni non si limita a verificare la violazione di alcune disposizioni ma mira, in positivo, a considerare la professionalità del magistrato, che costituisce una "precondizione della sua indipendenza ed assolve alla duplice funzione di assicurare la correttezza delle decisioni prese, e quindi della adeguatezza del servizio giustizia, ed al tempo stesso di consentire la progressione in carriera dei magistrati, selezionati in base alle loro capacità tecniche e alle loro attitudini" (M. FRASCA, La valutazione della professionalità: l’art. 11 del d.lgs. 160/2006 e le circolari del Consiglio Superiore; l’autorelazione; la funzione dei capi degli uffici, dei Consigli Giudiziari; il Giudizio del CSM, in <www.csm.it>).
Al di fuori della logica sanzionatoria, il sistema di valutazione non deve essere considerato come un attentato all’autonomia e all’indipendenza della magistratura ma un procedimento diretto a perseguire l’interesse generale dell’efficiente e imparziale esercizio della giurisdizione (CAVALLINI, Le valutazioni di professionalità dei magistrati, cit., 1226). Il sistema, peraltro, al fine di garantire un corretto equilibrio tra controllo della professionalità e indipendenza (FILIPPI, cit., 352), deve basarsi su una valutazione tecnica, che prescinda dal merito delle decisioni adottate e tenda a verificare, in capo al magistrato, l’esistenza del bagaglio di conoscenze tecniche e delle componenti necessarie per il corretto esercizio delle funzioni giudiziarie (FRASCA, cit.).
Che la valutazione di professionalità non abbia portata sanzionatoria nei confronti dei magistrati emerge chiaramente dal recente parere n. 17 (2014) del Consiglio consultivo dei giudici europei, riguardante la valutazione del lavoro dei giudici, la qualità della giustizia e il rispetto dell’indipendenza giudiziaria (in <http://tinyurl.com/pbo7ksb>; per un primo commento M.G. CIVININI, Valutazioni di professionalità e qualità della giustizia, in <http:// tinyurl.com/ofwuvqx>), ove si sottolinea come lo Stato di diritto di una democrazia richieda non solo che la giustizia sia indipendente ma anche che essa sia amministrata da tribunali competenti che pronuncino decisioni di qualità. Indipendenza dei giudici non significa che questi non debbano rendere conto del loro lavoro. Nell’interesse generale, dunque, la valutazione individuale dei giudici deve avere per obiettivo il miglioramento del sistema giudiziario, al fine di garantirne la migliore qualità possibile. Nel testo si affronta anche la questione del rapporto con i procedimenti disciplinari, precisandosi che questi ultimi debbano essere nettamente distinti dalle valutazioni di professionalità.
Sul piano delle differenze, nel nostro ordinamento, il procedimento disciplinare assume natura giurisdizionale. La verifica della professionalità, invece, si realizza attraverso un procedimento amministrativo. Di conseguenza, le pronunce della sezione disciplinare, che rivestono la forma delle ordinanze e delle sentenze, sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite Civili della Cassazione mentre contro le delibere dell’assemblea plenaria del CSM si può ricorrere davanti al giudice amministrativo.
Riguardo all’oggetto, inoltre, mentre il giudizio disciplinare verte su singoli comportamenti che rilevano in quanto sussumibili in una delle condotte qualificate come illeciti disciplinari, il giudizio di professionalità riguarda il lavoro del magistrato nel suo complesso attraverso l’esame delle funzioni esercitate in ruolo o fuori ruolo nel quadriennio sottoposto a valutazione sulla base dei prerequisiti dell’equilibrio, dell’autonomia, dell’indipendenza e dei parametri della capacità, della laboriosità, della diligenza e dell’impegno. Il giudizio disciplinare si conclude con l’affermazione o l’esclusione della responsabilità e, quindi, con l’applicazione o meno di una sanzione. Il giudizio di professionalità può condurre al positivo riconoscimento della valutazione o alla sua negazione attraverso un esito non positivo o negativo. Peraltro, non necessariamente le sanzioni disciplinari sono più afflittive delle conseguenze sul piano professionale di una valutazione non positiva o negativa. La rimozione, ad esempio, nella scala delle sanzioni disciplinari è una misura estrema, mentre due valutazioni negative consecutive determinano la dispensa dal servizio.

3.2. Interferenze
Al di là delle diversità strutturali tra le due fattispecie, diversi sono i punti di contatto e le interferenze. Parziale coincidenza, innanzitutto, sussiste riguardo ai doveri del magistrato, indicati dal d.lgs. n. 109/2006 (art. 1) in imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio, e ai parametri di valutazione della professionalità, che non contemplano espressamente il riserbo e la correttezza, pur rilevando questi indirettamente allorquando si valutano alcuni dei profili in cui si articola il giudizio di professionalità, in relazione, ad esempio, ai rapporti di collaborazione con gli uffici giudiziari, i magistrati destinatari del coordinamento e i soggetti istituzionali terzi.
Riguardo agli elementi di valutazione tra i fatti che possono eccezionalmente attenere alla sfera privata del magistrato vi sono quelli provvisti di rilievo disciplinare (Capo II, n. 6, circolare). In questo caso, il Consiglio giudiziario o il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione ne verificano l’incidenza sulle qualità professionali del magistrato, anche con riferimento al profilo dell’attualità, qualora si tratti di elementi relativi a periodi oggetto di pregresse valutazioni. Tra le fonti di conoscenza, acquisibili e utilizzabili ai fini della valutazione di professionalità, vi sono, pertanto, le informazioni disponibili presso la segreteria della sezione disciplinare (Capo VII, n. 1, circolare).
In ordine agli illeciti, alcune fattispecie tipiche trovano dei corrispondenti nei parametri e negli indicatori della professionalità, come in tema di ritardi. In ambito disciplinare, l’art. 2, co. 1, lett. q) prevede “il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni”, con presunzione di non gravità del ritardo che non ecceda il triplo dei termini previsti dalla legge, mentre la circolare, tra gli indicatori della diligenza, contempla il “rispetto dei termini per la redazione e il deposito dei provvedimenti, o comunque per il compimento di attività giudiziarie”, rinviando per il relativo accertamento all’esame dei prospetti statistici comparati o alle indicazioni dei dirigenti degli uffici. La circolare, inoltre, prescrive che il parametro della diligenza è positivo quando “i termini generalmente osservati per la redazione e il deposito dei provvedimenti, o comunque per il compimento di attività giudiziarie, sono conformi alle prescrizioni di legge o sono comunque accettabili in considerazione dei carichi di lavoro e degli standard degli altri magistrati dello stesso ufficio addetti alla medesima tipologia di provvedimenti, salvo che sussistano ragioni obiettivamente giustificabili, quali il periodo di ferie o di assenza giustificata a qualsiasi titolo” (Capo VIII, n. 4.1). Riguardo allo schema relativo al deposito dei provvedimenti, le disposizioni vigenti prevedono che la rilevazione sia limitata ai ritardi nel deposito delle sentenze superiori ai sessanta giorni rispetto al termine fissato dalla legge o, nei casi in cui è previsto, dallo stesso giudice, operando un’ulteriore differenziazione con riferimento ai ritardi di rilevanza disciplinare, a quelli superiori ai centottanta giorni, a un anno e ai due anni. La valutazione è quindi più ampia e non è limitata ai soli ritardi di rilievo disciplinare.
Specifiche interferenze emergono anche in relazione alla laboriosità e alla capacità.
Tra gli indicatori della laboriosità, infatti, vi è il rispetto dei tempi di trattazione dei procedimenti e dei processi, che può essere accertato anche attraverso le informazioni esistenti presso la segreteria della sezione disciplinare (Capo V, n. 2, lett. b, circolare) e l’assenza di rilievi di natura disciplinare in relazione ai tempi di trattazione degli affari figura tra le condizioni per un giudizio positivo del parametro (Capo VIII, n. 3.1).
In relazione alla capacità, la circolare prevede che tale parametro sia positivo quando, tra le altre condizioni, non risultino violazioni di norme giuridiche e errori di fatto rilevanti in sede disciplinare (Capo VIII, n. 2.1, circolare).
Sul rapporto tra i due procedimenti, la disciplina vigente (Capo XII) non contempla una pregiudizialità disciplinare che determini l’automatica sospensione del procedimento concernente la valutazione, salvo i casi di sospensione dalle funzioni e dello stipendio (artt. 21 e 22 d.lgs. n. 109/2006). In tutte le altre ipotesi di pendenza di un procedimento disciplinare, anche anteriormente all’esercizio dell’azione, la Commissione può sospendere, con provvedimento motivato, la procedura per il conseguimento della valutazione di professionalità, sempre che l’accertamento dei fatti oggetto del procedimento incida sulla definizione della procedura di valutazione. La circolare, quindi, sottolinea l’autonomia dei due giudizi anche se nella prassi la sospensione è un provvedimento diffuso, attesa l’incidenza che gli esiti disciplinari possono avere sul giudizio di professionalità e il rilievo del giudicato disciplinare per quanto attiene all’accertamento del fatto e alla sua illiceità.
Al di là dei richiamati punti di contatto, una stretta connessione tra disciplinare e valutazione emerge in presenza di una condanna in sede disciplinare, dove il rischio è quello di un’automatica incidenza sul piano della verifica della professionalità, quasi che la valutazione non positiva o negativa costituisca una sanzione accessoria o ulteriore rispetto a quella disciplinare. Nella prassi, infatti, le valutazioni non positive di professionalità sono spesso legate a condanne in sede disciplinare (CAVALLINI, op. ult. cit., 1240). Escludere l’automaticità dell’incidenza non vuol dire che la valutazione debba prescindere dagli esiti disciplinari ma che questi debbano essere esaminati nel diverso contesto del giudizio di professionalità. Le risultanze disciplinari, invero, anche quando abbiano portato all’esclusione di responsabilità, formano oggetto del vaglio del CSM. La presenza di un procedimento disciplinare conclusosi con condanna o anche con proscioglimento può richiedere una motivazione rinforzata rispetto a quella standard, per dare conto delle ragioni che hanno indotto la Commissione a ritenere non rilevante la vicenda disciplinare ai fini della valutazione. Le motivazioni possono essere le più varie, ma tra di esse si segnala quella dell’episodicità della vicenda, che non ha inciso in maniera significativa sul giudizio di professionalità (CAVALLINI, ult. cit., 1240).
Guardando alla prassi, i punti di maggiore criticità sono emersi in corrispondenza non tanto degli illeciti disciplinari conseguenti a condotte penalmente rilevanti o di comportamenti incidenti sui prerequisiti di professionalità (indipendenza, imparzialità ed equilibrio), ma in relazione al fenomeno dei ritardi nel deposito dei provvedimenti, ove talvolta si sono registrate applicazioni non sempre omogenee. Al riguardo, va segnalato che l’assemblea plenaria, durante la precedente consiliatura, nella seduta del 10 settembre 2014, ha respinto, a maggioranza, una proposta di delibera di sesta commissione che tendeva a introdurre un certo automatismo tra esito disciplinare e valutazione di professionalità, definendo i contenuti del giudicato e del principio del “dedotto e deducibile” utilizzabili in sede di verifica della professionalità.
A fronte delle differenze e delle interferenze evidenziate, è utile richiamare alcuni principi e orientamenti emersi nella giurisprudenza amministrativa, sia pur prevalentemente in relazione al vecchio sistema delle progressioni in carriera.

3.3. Orientamenti della giurisprudenza amministrativa
Con riferimento all’esercizio del sindacato giurisdizionale sugli atti del CSM, la giurisprudenza (Tar Lazio 29 marzo 2010, n. 4924; 4 maggio 2007, n. 3926; 18 luglio 2003, n. 6358) individua come ambito d’indagine l’estrinseca legittimità del provvedimento adottato, con particolare riguardo alla fedele ricostruzione dei fatti e alla congruità e logicità della motivazione posta a base della scelta in concreto effettuata dal Consiglio, essendo inibito al GA di sovrapporre una sua valutazione a quella effettuata dall’organo cui tale potere spetta in via esclusiva.
In tema di valutazione di professionalità del magistrato, il giudice amministrativo riconosce che tale attività costituisce esercizio da parte del CSM delle prerogative costituzionali esclusive riconosciute dall’art. 105 Cost., nell’ambito del quale l’organo di governo autonomo ha un potere discrezionale di merito (Tar Lazio 23 febbraio 2012, n. 1893).
Partendo da tale presupposto, la giurisprudenza formatasi in prevalenza sotto la previgente disciplina, che prescriveva la globalità del giudizio per la progressione in carriera (circolare n. 17003 del 22 settembre 1999 sulla verifica periodica della professionalità dei magistrati), o in relazione a fattispecie che ricadono nella fase transitoria, ritiene che la globalità della valutazione rimessa al CSM comporti la possibilità che qualunque elemento al quale possa essere riconosciuto un valore sintomatico della personalità e della preparazione professionale, della laboriosità e dell’equilibrio del magistrato – anche se già assunto a fondamento di un provvedimento disciplinare – sia suscettibile di autonoma valutazione per quanto riguarda la sua valenza ai fini del giudizio di professionalità, senza preclusioni o vincoli (C. Stato 3 giugno 2010, n. 3544; 7 giugno 2005, n. 2921; 17 giugno 2003, n. 3401; 28 marzo 1992, n. 3391; Tar Lazio n. 1893/2012; n. 4924/2010; 3 novembre 2008, n. 9540; n. 3926/2007; n. 6358/2003; 15 ottobre 1999, n. 2288).
Ferma restando la specificità dell’attuale giudizio in relazione a ciascuno dei parametri indicati dalla legge, è tuttora la normativa vigente ad attribuire possibile rilievo alle risultanze disciplinari, purché esse incidano su uno degli elementi necessari a fondare il giudizio di professionalità. Le eventuali condotte che in precedenza abbiano formato oggetto di un provvedimento disciplinare possono rilevare non già in vista di un’inammissibile duplicazione di sanzione bensì ai fini di un accertamento proteso al pieno apprezzamento obiettivo della personalità professionale del magistrato. Il pregiudizio disciplinare nel quale sia incorso il magistrato, pertanto, non può automaticamente dar luogo a un esito negativo di professionalità, ma deve formare oggetto di apprezzamento in relazione al caso concreto.
Tar Lazio n. 4924/2010, riguardo a una fattispecie relativa al previgente sistema di valutazione, con riferimento a un precedente disciplinare cui il CSM aveva attribuito rilievo determinante, ha stabilito che «la latitudine (pur riconoscibile) della valutazione discrezionale in argomento rimessa all’organo di autogoverno» non può «estrinsecarsi nella apodittica assolutizzazione di tale precedente, la cui concreta rilevanza va invece commisurata con riferimento: alla gravità degli addebiti e della sanzione inflitta; alla collocazione temporale dei fatti a fondamento delle contestazioni; alla durata delle relative condotte; alla persistenza di atteggiamenti, anche successivamente alle contestazioni e/o alla inflizione della condanna, omogeneamente stigmatizzabili; comunque dovendo dare conto il giudizio sull’idoneità, laddove gli elementi sopra indicati dimostrino attuale consistenza (e, quindi, il precedente disciplinare si riveli suscettibile di essere preso in considerazione), della prevalenza di essi sul complesso degli altri elementi rilevanti”.
La valutazione in concreto della rilevanza disciplinare attiene anche al profilo temporale (C. Stato n. 3544/2010). Possono rilevare nel giudizio di professionalità anche fatti antecedenti al periodo in valutazione, in ragione della gravità dei comportamenti stessi, della loro effettiva connessione con lo svolgimento di funzioni giudiziarie, della prevalenza degli elementi di insufficiente equilibrio e compostezza sulle pur riconosciute e condivise doti di capacità e diligenza e, infine, dell’attinenza di tali elementi alla inidoneità alla progressione in carriera (C. Stato n. 3401/2003). Tuttavia, la giurisprudenza, nel contesto del nuovo sistema di valutazione, ha stabilito che se l’episodio sotteso alla sentenza disciplinare – che nel caso di specie aveva determinato l’applicazione di una sanzione tenue − è stato già valutato nell’ambito del procedimento esitato in un giudizio non positivo, deve escludersi che esso possa tornare a fondare un nuovo giudizio di analogo segno, non potendo risolversi in un elemento negativo permanente e immanente sulla carriera dell’interessato, tale da potersi delineare quasi come una sorta di effetto accessorio della condanna disciplinare (C. Stato 8 luglio 2013, n. 3600).
Riguardo alla valutazione dei prerequisiti della professionalità, i fatti accertati nel procedimento disciplinare e paradisciplinare se sono consistiti nella grave violazione del dovere di equilibrio e correttezza possono portare a una valutazione negativa (C. Stato 5 luglio 2010, n. 4250). L’imparzialità, l’indipendenza e l’equilibrio costituiscono condizioni imprescindibili per un corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali (C. Stato 13 giugno 2013, n. 3265), al di là e a prescindere dalla preparazione professionale e dalla diligenza (C. Stato 29 maggio 2014, n. 2780).
In altra controversia è stata considerata legittima la valutazione del Consiglio che ha rinvenuto la carenza della capacità tecnico-professionale di redazione di provvedimenti considerando sia il profilo della generale carenza, nelle motivazioni, dei requisiti di chiarezza e completezza espositiva, sia l’evidente presenza di “violazioni di norme giuridiche e errori di fatto rilevanti in sede disciplinare” (Tar Lazio n. 1893/2012).
In tema di ritardato deposito dei provvedimenti è stato ritenuto illegittimo il deliberato nel quale il CSM imputava a un magistrato, in sede di valutazione per la nomina a consigliere di Cassazione, un notevole ritardo nella pubblicazione delle sentenze senza aver previamente accertato se lo stesso fosse conseguente al deposito delle minute ovvero alla pubblicazione delle sentenze, in tal modo arbitrariamente addebitando al suddetto magistrato una disfunzionalità delle sue capacità di lavoro e incorrendo in un evidente e non irrilevante vizio logico (C. Stato 14 maggio 2015, n. 2449).
La questione dell’incidenza dei ritardi sulla valutazione di professionalità e sul parametro della diligenza, in particolare, è questione da valutarsi caso per caso, con riferimento anche alla situazione lavorativa e organizzativa dell’ufficio in cui il magistrato è stato chiamato a svolgere le proprie funzioni. La disciplina vigente, peraltro, impone che il giudizio positivo riguardi ogni singolo parametro (capacità, laboriosità, diligenza e impegno), essendo preclusa la formale compensazione tra parametri diversi. Sul punto, una recente pronuncia ha ritenuto che la gravità dei ritardi nel deposito delle pronunce, a fronte di una delibera che dia conto della loro incidenza negativa sui parametri di valutazione, non possa essere messa in comparazione con gli altri risultati di segno positivo pure conseguiti dal magistrato negativamente scrutinato (Tar Lazio 11 marzo 2015, n. 4305), senza che possa trovare detrimento il principio per cui il giudizio di valutazione di professionalità sul magistrato aspirante alla progressione in carriera deve essere globale.

Autore
Gianluca Grasso
Magistrato di Tribunale destinato alla Corte di Cassazione

La valutazione individuale dei giudici deve avere l’obiettivo di migliorare il sistema giudiziario Gianluca Grasso