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Carichi esigibili individuali: una reale esigenza organizzativa o solo un falso mito?

di Francesca Picardi - 24 luglio 2015

Carichi esigibili individuali

L’art. 37 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111, prevede che i capi degli uffici giudiziari, sentiti i presidenti dei rispettivi consigli dell’ordine degli avvocati, redigano ogni anno, entro il 31 gennaio, un programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti, determinando, da un lato, gli obiettivi di rendimento dell’ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, e, dall’altro, l’ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, stabilito secondo criteri oggettivi e omogenei, come la durata, la natura e il valore della causa.

Il tema dei carichi esigibili individuali e, cioè, riferiti al singolo magistrato è, dunque, oggetto di attenzione da parte del legislatore, il quale, però, nel disciplinare le valutazioni di professionalità, con riferimento al parametro della laboriosità, ha fatto riferimento alla diversa nozione di “standard” di rendimento, rimettendone l’individuazione al Consiglio Superiore della Magistratura, in relazione agli specifici settori di attività e alle specializzazioni. Piu` precisamente, ai sensi dell’art. 11, comma e, lett. b e comma 3, lett. e, del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, il Consiglio Superiore della Magistratura disciplina, con propria delibera, “l’individuazione per ciascuna delle diverse funzioni svolte dai magistrati, tenuto conto anche della specializzazione, di standard medi di definizione dei procedimenti, ivi compresi gli incarichi di natura obbligatoria per i magistrati, articolati secondo parametri sia quantitativi sia qualitativi, in relazione alla tipologia dell’ufficio, all’ambito territoriale e all’eventuale specializzazione”.

Ad ogni modo, allo stato attuale, sia la determinazione dei carichi di lavoro esigibili dai singoli magistrati, sia quella dei loro “standard” di rendimento è rimessa alla magistratura stessa, che, tuttavia, continua ad essere profondamente divisa su tali argomenti, come conferma la lettura degli articoli proposti in questa sezione. La distanza delle divergenti posizioni emerge dalle risposte che vengono date ai seguenti quesiti:



  • l’organizzazione degli uffici giudiziari e più in generale della giustizia è condizionata dal carico di lavoro esigibile dai singoli magistrati?

  • è possibile individuare un carico di lavoro esigibile tendenzialmente unico su tutto il territorio nazionale o, al contrario, occorre differenziare da ufficio ad ufficio (in considerazione di molteplici variabili, quali, ad esempio, la sua dimensione, la misura dell’arretrato, il tipo di organizzazione, la complessità dei processi, l’esperienza del singolo magistrato, il livello di assistenza al giudice e così via).


Secondo alcuni schieramenti, l’individuazione dei carichi di lavoro esigibili dai singoli magistrati è indispensabile al fine della razionale programmazione dell’attività giudiziaria e della corretta organizzazione della giustizia in quanto consente di comprendere quali obiettivi siano concretamente perseguibili in ciascun ufficio giudiziario in base alle risorse disponibili e, di conseguenza, quanti magistrati siano necessari per rispondere, con tempi ragionevoli, alla domanda di giustizia, tenuto conto dell’arretrato oramai esistente e delle sopravvenienze.

Al contrario, secondo un altro orientamento, la capacità di risposta giudiziaria in tempi ragionevoli non dipende dai numeri – ed in particolare dalla quantità dei carichi (intesi come sopravvenienze dell’ufficio e del giudice) o dalla dimensione dell’ufficio – ma è condizionata prevalentemente dalla concreta organizzazione dell’ufficio. In quest’ottica ai carichi esigibili di lavoro del singolo magistrato vengono contrapposti i livelli di servizio, che implicano la determinazione degli obiettivi sostenibili a livello di singolo ufficio giudiziario, nell’ambito di una programmazione partecipata che riceva l’apporto di tutti coloro che operano nell’ufficio e con l’ufficio (ivi compresa l’avvocatura).
In questa sede si omette volutamente di esprimere qualsiasi opinione personale, limitandosi a sottolineare che appare urgente trovare un punto di mediazione tra questi approcci così diversi.

Difatti, se la magistratura non riuscirà a individuare una nozione condivisa di carichi esigibili e di “standard” di rendimento, sprecherà un’occasione che le è stata attribuita dal legislatore, dando l’impressione di essere incapace di assumere scelte organizzative e di risolvere i propri problemi.

Autore
Francesca Picardi
Comitato di redazione - Componente del CDC dell’ANM