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Processo civile telematico: a un anno dalla riforma

di Lorena Canaparo - 24 luglio 2015

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Quando si parla di PCT si fa riferimento a un complesso di attività – disciplinate normativamente a diversi livelli – e alla loro attuazione tecnica. Queste attività riguardano il lavoro dell’avvocato, quello del giudice e delle cancellerie e, necessariamente, costringono ciascun operatore a considerare il proprio agire come una parte di un insieme più articolato. L’analisi dei problemi e la ricerca delle soluzioni comporta inevitabilmente uno sforzo di comprensione reciproca. La collaborazione diventa essenziale per la risoluzione dei problemi, anche attraverso modifiche e adattamenti dell’organizzazione del lavoro di una “categoria”.


L’obiettivo è l’individuazione della soluzione che produca un’efficienza a cascata atta a migliorare la qualità del servizio reso.


La logica di fondo che ispira il PCT è quella secondo cui il lavoro di ciascun operatore possa essere recuperato e utilizzato a vantaggio degli altri. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, al vantaggio e al risparmio di risorse che deriva dalla verbalizzazione tramite consolle che comporta, a seguito dello scarico dell’evento da parte della cancelleria (che viene così sgravata dall’onere di scannerizzazione e di preparazione delle copie), la visibilità dell’atto per l’avvocato (e la possibilità di estrarne copia) direttamente dal proprio ufficio.


In questa prospettiva ogni discorso sull’efficienza non può restare circoscritto a una categoria.
In relazione ai giudici va rilevato che gli interventi normativi che hanno interessato il processo civile (dal regime delle preclusioni alla motivazione sintetica delle sentenze, dalla costituzionalizzazione della “ragionevole durata” del processo alla legge Pinto e al calendario per il processo) hanno sicuramente tracciato la figura del giudice come impegnato, oltre che a rendere una decisione il più possibile corretta e argomentata, a preoccuparsi anche dell’efficienza.


Le valutazioni di professionalità a cui i magistrati sono costantemente soggetti (solo quelle ordinarie sono sette nell’arco della vita professionale) richiedono al dirigente dell’ufficio di riferire circa la professionalità del singolo con riferimento alla gestione del proprio ruolo e alla durata media dei processi. In relazione al personale amministrativo lo sforzo richiesto, oltre a quello di una capillare e intensa acquisizione delle necessarie competenze informatiche, è la veicolazione delle risorse liberate a favore dell’ufficio del giudice. Dal lato dell’avvocatura non può non rilevarsi che sia esperienza comune quella secondo cui se il processo venga introdotto con un atto chiaro\completo\sintetico, questo dato si ripercuota sul lavoro degli altri protagonisti, agevolando l’attività difensiva, quella istruttoria e quella decisoria e risolvendosi in un’efficienza a cascata.


Vantaggi innegabili apportati dal PCT al lavoro del giudice sono la possibilità di avere in ogni
momento il polso del proprio ruolo e di lavorare altrove; attraverso il collegamento internet e con un lettore di smart card è possibile lavorare con consolle da casa.


I principali problemi concreti rilevati e a tutt’oggi in gran parte non risolti sono:



  • rete lentissima in ufficio; 

  • difficoltà di collegamento da casa; 

  • dotazione hardware piuttosto obsoleta; 

  • server e reti informatiche ancora inadeguate; 

  • necessità di assistenza informatica on line in tempo reale; 

  • necessità di assistenza informatica in loco;

  • necessità di miglior coordinamento normativo tra PCT e norme processuali; 

  • necessità di sviluppo consolle cancelliere (per consentire di firmare digitalmente i processi verbali redatti ai sensi dell’art 130 c.p.c.); 

  • necessità di sviluppo consolle pm (per consentire la necessaria interlocuzione nei settori: fallimentare, volontaria giurisdizione, stato delle persone).


Va, infine, affrontato il nodale problema con cui devono fare i conti giudici e avvocati (ma soprattutto i giudici) chiamati a utilizzare il PCT e, cioè, quello della lettura degli atti e dei documenti.


Si tratta di un problema centrale, che non può essere paragonato a quelli che l’informatizzazione degli uffici e dei servizi ha posto sino ad oggi.


Centrale perché il computer nasce per scrivere, per organizzare, per elaborare, ma non per leggere o, per lo meno, non per leggere i testi su cui noi lavoriamo. Il lavoro del giudice oggi si svolge sulla carta; è guardando e studiando la carta che il giudice elabora il suo pensiero (ed è così anche per l’avvocato); poi il frutto dell’elaborazione viene direttamente scritto su pc usando un elaboratore testi (che è nato per scrivere e che tutti noi siamo da tempo abituati a utilizzare con profitto). Non è soltanto la mole dell’atto a creare difficoltà, ma è l’impossibilità (almeno per il momento) per il giudice di consultare l’atto e il documento telematico nel modo in cui legge gli atti e i documenti di carta (contemporaneamente aperti e sparpagliati sulla scrivania). Allo stato, quindi, non è pensabile rinunciare ad avere copie cartacee degli atti e dei documenti. In una visione prospettica penso che occorra percorrere la strada che porti alla standardizzazione degli atti. Un atto redatto in modo da essere poco intellegibile, se non addirittura incompatibile rispetto a come verrà “visto” e “letto” dal giudice, risulta poco efficace. In questa prospettiva bisogna rendersi conto che l’avvento del PCT sta cambiando il modo in cui il giudice si avvicina agli atti (e anche ai documenti). Perché “li vede” in modo diverso; attraverso strumenti (il computer, i software) che, in prospettiva, porteranno efficienza in termini di reperimento delle informazioni e individuazione delle questioni, ma, per il momento, a fronte di atti redatti in modo “tradizionale”, complicano (e non di poco) il lavoro del giudice.

Autore
Lorena Canaparo
Presidente di sezione civile del Tribunale di Savona

Il lavoro di ogni operatore può essere utilizzato a vantaggio degli altri Lorena Canaparo