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25 settembre 2015

Intervento del presidente dell'ANM di Caltanissetta Fernando Asaro

Cerimonia in ricordo dei giudici Saetta e Livatino, 25 settembre 2015

Signor Presidente della Repubblica,
a nome di tutti i magistrati del Distretto di Corte di Appello di Caltanissetta, Le porgo il nostro deferente saluto ed un sentito e profondo ringraziamento per avere accolto l’invito dell’Associazione Nazionale Magistrati di Caltanissetta a presenziare alla commemorazione dei Magistrati Antonino Saetta e Rosario Angelo Livatino.


Rivolgo il saluto dei Magistrati del Distretto a tutte le Autorità politiche, civili, religiose e militari, ai Colleghi, agli studenti degli istituti superiori di Caltanissetta, ai Dirigenti scolastici, agli insegnanti, al Pubblico.
Un affettuoso saluto indirizzo ai familiari di Antonino e Stefano Saetta, alla moglie ed ai figli Roberto e Gabriella Saetta ed un commosso ricordo va a Rosalia Corbo e Vincenzo Livatino, genitori di Rosario Livatino.


Commemorare, per noi magistrati, non è soltanto il doveroso ricordo di un giorno di uomini come Antonino Saetta e Rosario Livatino per celebrare la forza del loro impegno umano e professionale, non è la passerella della vanità dove conta esserci, ma è un momento di confronto collettivo e di comune riflessione sul valore del nostro impegno attraverso l’esempio della loro vita, attraverso la lettura dei loro provvedimenti; per noi in queste giornate conta “chi siamo” e “da dove veniamo”.


È con questo spirito che la Giunta Sezionale dell’ANM ha voluto riportare in una parete del nostro Palazzo di Giustizia, insieme all’anatema gridato contro la mafia da Papa Giovanni Paolo II, le riflessioni di alcune delle vittime della criminalità mafiosa, affinché divengano un saldo riferimento morale, un’accogliente cornice all’interno della quale, tutti noi, ogni giorno siamo tenuti ad illuminare il valore Giustizia con i colori del nostro impegno.

Ed allora ascoltiamoli. Rosario Livatino sul valore della funzione di magistrato:

vi sono tante forme di affrontare il lavoro di magistrato: v’è quella distaccata e fredda di chi vede nelle tavole processuali solo un informe mucchio di carte che bisogna semplicemente ordinare secondo certe regole e quella di chi scorge in esse invece i drammi umani che vi si celano e che è consapevole di quanto una decisione potrà lenirli o esasperarli; c’è quella di colui che chiudendo la porta del proprio ufficio alla fine della giornata di lavoro, lascia dentro di esso tutti i problemi che nel suo corso vi ha incontrato e ritrova nel privato una parentesi di sollievo e quella di colui che invece si compenetra talmente in quei problemi, che li soffre fino al punto da farli propri e portarli con sé ovunque vada, macerandosi nel dubbio dell’errore ben oltre quel segno che il proprio stretto dovere imporrebbe



Antonino Saetta ripeteva spesso La nostra dignità ci impone, alle volte, di affrontare con coraggio situazioni difficili. E ci dà, anche, tutto il coraggio di cui, in quei casi, abbiamo bisogno.
Antonino Saetta e Rosario Livatino hanno esercitato nella vita professionale soltanto le funzioni di magistrato, trattando i processi per ciò che sono: accertamento penale di fatti attribuibili ad imputati e non altro; sono il modello di cittadini e magistrati sobri e riservati nei comportamenti e nello svolgimento delle loro funzioni, distanti da ogni forma di personalismo, unicamente impegnati ogni giorno nel servizio del valore Giustizia. Li abbiamo conosciuti solo dopo la loro tragica fine; prima, nello svolgimento delle loro funzioni, erano semplicemente e felicemente cittadini, magistrati, uomini, padri, figli.


Magistrati che in quegli anni, come tanti, ma non come tutti, hanno vissuto il loro percorso umano e professionale ispirandosi a valori di disinteresse personale, di indipendenza, di imparzialità, lontani da centri di potere, politici o economici, palesi od occulti, capaci di dire no alle intimidazioni, no alle suggestioni del potere, no al polveroso ed innocuo quietismo burocratico, no all’indifferenza ed ignavia, no alle lusinghe dell’esposizione mediatica.


Magistrati e cittadini che hanno vissuto ed operato in Sicilia non inseriti in un salotto, in un circolo, in un rapporto di potere, in un gioco di apparenze; hanno lavorato - rafforzando e rinnovando l’azione della magistratura italiana - in un contesto ambientale e in un tempo in cui la parola “mafia” era raramente pronunciata, in un’epoca in cui i mafiosi non venivano isolati ed emarginati, ma ossequiati e rispettati anche oltre i confini del clan.


Sono Servitori dello Stato uccisi dalla inqualificabile criminalità mafiosa mentre, a bordo delle loro vetture private, non tutelati in un periodo in cui i magistrati venivano uccisi frequentemente e senza preavviso, si stavano recando verso il luogo di lavoro.


Seguendo il loro esempio, leggendo le loro sentenze, raccogliendo la loro eredità morale potremo noi oggi intendere il nostro ruolo di cittadini e magistrati; la loro testimonianza possa aiutare noia comprendere le nostre radici, possa accompagnarci ad andare in pellegrinaggio nei luoghi della memoria e della nostra storia allo scopo, oggi e qui, di sconfiggere l’indifferenza, gli abusi del potere, la tepidezza, l’insana ambizione, gli individualismi, svolgendo il nobile e delicato ruolo di magistrati al servizio dello Stato senza debiti di riconoscenza, senza ostentazione o esibizione e così indossando la toga senza dover dire grazie se non ai propri genitori che quella toga ci hanno donato.


Fernando Asaro
Presidente ANM Distretto Caltanissetta



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