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25 ottobre 2015

La relazione di Ilaria Sasso del Verme, vicesegretario generale dell'ANM

XXXII Congresso nazionale ANM

Riforme ed efficacia della giurisdizione

L'ultima giornata del congresso nazionale dell'ANM non poteva che essere dedicata al tema delle riforme in materia di giustizia, un tema di cui abbiamo già discusso anche nelle due giornate precedenti ma che vogliamo oggi affrontare in modo più dettagliato confrontandoci con la politica, con l’avvocatura, con il mondo dell’impresa, con attenti osservatori del mondo della giustizia.

Ci proponiamo di avere un confronto costruttivo, che non si traduce in scontro, perché le logiche di contrapposizione non ci appartengono e non ci sono mai appartenute. Ma il ruolo dell'ANM di interlocutore essenziale nel dibattito sui temi della giustizia, ruolo che ci è stato riconosciuto anche ieri dal Ministro Orlando, ci impone un'analisi che può essere anche fortemente critica.

E sui temi delle riforme il confronto che ci proponiamo di avere ci impone di ragionare sulla qualità delle riforme fatte e su quale impatto esse abbiano avuto in termini di efficacia della giustizia, ma anche e soprattutto sulle riforme da fare, su quelle realmente necessarie ai fini del miglior funzionamento del sistema, su quelle proposte che ci appaiono invece pericolose, se non dannose, per una giurisdizione che sia rapida, efficace ma anche di qualità.

Il punto di partenza di questa discussione è un dato oggettivo sul quale vi è sicuramente un’opinione unanimemente condivisa: la crisi della giustizia e soprattutto la davvero eccessiva durata dei processi dimostrano come ci sia bisogno di riforme che restituiscano efficacia al sistema. E i magistrati sono i primi che quelle riforme vogliono, essendo peraltro indubitabile che le disfunzioni del sistema giustizia si traducono purtroppo in una perdita di fiducia nella giurisdizione e nella alta funzione che la magistratura è chiamata a svolgere. Ciò avviene anche, peraltro, perché troppo spesso si fanno ricadere sul magistrato tutte le inefficienze del sistema, in gran parte addebitabili invece all’assenza di risorse, di investimenti, alla mancanza, appunto, di riforme adeguate.

L’inadeguatezza della legislazione è, spesso, anche all’origine delle tensioni nel rapporto tra giustizia ed economia, nella misura in cui rimette all’azione della magistratura la risoluzione di conflitti economico-sociali, in assenza di un’opzione normativa che si faccia carico dell’opera di bilanciamento degli interessi contrapposti. E se la magistratura è chiamata ad intervenire nella sua doverosa attività di tutela dei diritti, nel rispetto dei principi costituzionali, essa non può farsi carico, come pure qualcuno vorrebbe, della sostenibilità economica delle decisioni giudiziarie.

E dunque, se il punto di partenza della discussione è la indubbia necessità di riforme, tuttavia nel dibattito politico e pubblico vi è profonda diversità di impostazioni nell'individuare quali riforme siano davvero necessarie e utili per restituire efficienza al sistema.

Il tema di maggiore attualità è quello della riforma del processo penale.

Il disegno di legge approvato alla Camera interviene dopo alcune riforme, quali quelle della messa alla prova e della tenuità del fatto, sicuramente apprezzabili in quanto dirette verso l’obiettivo di snellire il dibattimento.

Il disegno di legge di riforma del processo penale tuttavia, se pure presenta alcune utili ma settoriali e limitate innovazioni, sembra aver eluso i nodi fondamentali del processo penale, introducendo invece norme che da un lato mettono a rischio l’efficacia delle indagini, dall’altro ridimensionano i poteri e dunque il ruolo del giudice e della giurisdizione, sacrificati in nome dell’obiettivo di una maggiore rapidità dei procedimenti che, siamo certi, non sarà raggiunto seguendo questa strada.

In particolare, preoccupa che si vogliano introdurre nuovi stringenti termini per l’esercizio dell’azione penale, termini che non si confrontano con la realtà degli uffici giudiziari, con i carichi di lavoro ma anche con aspetti pratici dell’attività giudiziaria. Dall’altro lato, vengono fortemente limitati i poteri del giudice dell’udienza preliminare, che non potrà più disporre integrazioni probatorie e che non potrà far altro che archiviare, in caso di seconda richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero ed in assenza di opposizione, diventando così quasi un mero certificatore. Se questa è la risposta del legislatore al problema della durata dei processi, crediamo davvero che si sia imboccata la strada sbagliata.

Preoccupa altresì l’introduzione di un nuovo illecito disciplinare costituito dalla violazione delle norme sulle iscrizioni nel registro degli indagati: anche questa novità da un lato non tiene conto della realtà giudiziaria e dall’altro è espressione di un pensiero politico che tende a scaricare sul magistrato le inefficienze del sistema. E nello stesso solco si inquadra la previsione di una relazione del Ministro al Parlamento su tutti i singoli casi di ingiusta detenzione, quasi a voler realizzare una sorta di processo pubblico, a prescindere da quelle che sono le reali responsabilità dei magistrati. Abbiamo il dovere di ricordare, però, che molti casi di ingiusta detenzione non solo non sono imputabili al magistrato, ma derivano dalla corretta applicazione del nostro sistema processuale fondato sul principio della formazione della prova nel dibattimento, che fisiologicamente può avere esiti diversi da quelli delle indagini. E addirittura talvolta la riparazione per ingiusta detenzione deriva dalla dichiarazione di incostituzionalità di norme che, nella loro vigenza, hanno imposto al magistrato di disporre il carcere.

Se questi sono alcuni punti del disegno di legge di riforma del processo penale sui quali abbiamo manifestato forti critiche, è ancor più grave che la riforma non affronti proprio quelli che sono i nodi più problematici del processo penale, quali ad esempio le difficoltà dell’istruttoria dibattimentale, il sistema delle notifiche, la disciplina delle nullità e della competenza territoriale, il cui regime consente di travolgere, anche all'esito, un intero processo durato anni, facendo sì che esso ricominci dall’inizio per questioni, a volte meramente formali, che tuttavia vengono decise in cassazione dopo che si sono svolti due gradi di giudizio.  

E dunque, anche la scelta di aumentare la pena per alcuni delitti, se da un lato appare incoerente rispetto alle recenti politiche volte a ridimensionare il sovraffollamento delle carceri, dall’altro non può costituire una risposta adeguata alle presunte insicurezze sociali, se non è accompagnata da seri interventi che rafforzino il processo, ne garantiscano la rapidità e, dunque, l’efficacia, e assicurino il principio della certezza della pena.

Ed in questa direzione appare anche essenziale una riforma organica e strutturale dell’istituto della prescrizione: il tema viene invece affrontato in modo inadeguato e senza tener conto delle indicazioni provenienti dall’Europa, da ultimo con la sentenza della Corte di Giustizia Europea sulle frodi IVA. L'Europa, ancora una volta, ci ha detto che il nostro regime della prescrizione è inadeguato. Non troppo tempo fa, è stata riformata la responsabilità civile dei magistrati invocando le pronunce della Corte di Giustizia Europea e sostenendo che la riforma la chiedeva l’Europa, sebbene ben altro affermassero quelle pronunce, che si riferivano esclusivamente alla responsabilità dello Stato e non a quella del magistrato, in nessun paese europeo disciplinata in modo così rigoroso, tanto da mettere a rischio la serenità del giudizio. E tuttavia oggi, a fronte della chiara indicazione proveniente dall’Europa, il tema della prescrizione viene affrontato in modo inadeguato, limitandosi ad un aumento dei termini per le fasi dell’appello e della Cassazione.


Analoga timidezza ha caratterizzato l’intervento del legislatore in materia di corruzione: dobbiamo dare atto che qualche passo in avanti è stato fatto, e non possiamo che apprezzare le innovazioni in tema di falso in bilancio, di autoriciclaggio, nonché le ultime riforme specificamente in materia di corruzione. Probabilmente, però, la portata del fenomeno corruttivo nel nostro Paese e i suoi devastanti effetti anche sull’economia e sul mercato, oltre che sul democratico svolgimento della vita pubblica, avrebbero dovuto indurre a scelte più coraggiose.

Altro tema al centro del dibattito politico e pubblico è quello delle intercettazioni.

Quanto alla legge delega in tema di intercettazioni, essa è molto generica e non scioglie i nodi fondamentali della questione, rimettendo al legislatore delegato l’individuazione del punto di equilibrio tra le esigenze di indagine e processuali e il diritto alla riservatezza.

Qualsiasi scelta dovrà, però, essere preceduta da una riflessione seria e approfondita: la genericità della legge delega consentirebbe anche, ad esempio, di vietare l’inserimento del testo delle intercettazioni nelle ordinanze cautelari, il che sarebbe non solo un errore ma soprattutto un grave pregiudizio per il diritto di difesa.


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Le riforme necessarie riguardano, poi, anche aspetti organizzativi e, dobbiamo rimarcarlo, non possono avvenire senza investimenti di risorse. Apprezziamo che il Ministro abbia individuato i fondi per 1.500 tirocinanti da destinare all'ufficio del processo e speriamo che l’ufficio del processo diventi presto una realtà.

Ma il problema più grave resta quello della assoluta e ormai non più fronteggiabile insufficienza del personale amministrativo. Abbiamo il dovere di rappresentare ancora una volta che in queste condizioni gli uffici giudiziari sono destinati alla paralisi.

Occorre procedere con urgenza a nuove assunzioni di personale amministrativo, bloccate ormai da decenni, ed anche provvedere a una più razionale distribuzione sul territorio delle piante organiche dei magistrati e del personale di cancelleria, portando così a compimento la riforma della geografia giudiziaria, che è stata realizzata a fatica e tra tante resistenze ma che, per concretizzare completamente i suoi effetti positivi, deve essere accompagnata dalla redistribuzione degli organici.


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Il processo civile telematico è la plastica dimostrazione che le riforme non possono essere attuate senza adeguati investimenti: il processo civile telematico è un’innovazione che va al passo con i tempi e che, se ben attuato, potrà nel futuro costituire uno strumento formidabile, ma non è pensabile farlo funzionare senza i necessari investimenti nell’informatica e nel personale. Occorre un impegno serio per affrontare i costanti problemi tecnici ed informatici, garantire la formazione dei magistrati e del personale, rafforzare l’assistenza tecnica, ma anche adeguare le regole del processo allo strumento informatico, che deve essere introdotto in modo più graduale, per poter costituire davvero un’occasione di miglioramento, e non di aggravio, del lavoro di magistrati, avvocati, personale amministrativo.


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Crediamo, in conclusione, che affrontare il tema delle riforme significhi innanzitutto stabilire quale giustizia vogliamo e quale modello di magistrato vogliamo. Vogliamo realizzare un modello di giurisdizione efficace ma anche di qualità, indipendente e autonoma, che sia capace di innovare orientamenti giurisprudenziali, che sia in grado di amministrare la giustizia in nome del principio secondo cui la legge è uguale per tutti, o vogliamo un magistrato burocrate, conformista, timoroso delle sanzioni e attento ai numeri e alla quantità dei processi piuttosto che alla qualità della giurisdizione? A questa domanda dovrà rispondere, con i fatti, il legislatore, ma a noi spetta promuovere la realizzazione di un sistema di giustizia efficace ma di qualità e difendere il modello costituzionale di una giurisdizione autonoma e indipendente, che è garanzia dei diritti e delle libertà dei cittadini e cardine per la vita democratica del Paese.


Ilaria Sasso del Verme
Vicesegretario generale dell'ANM


 



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