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L’indipendenza va conquistata a colpi di diritto

di Christophe Régnard - 31 gennaio 2017

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Cari colleghi,


è un grande piacere essere qui tra voi per dibattere un tema che è al centro del mio attuale incarico professionale e che si ricollega alle mie due funzioni di presidente dell’Associazione Europea dei Magistrati e membro del Consiglio Superiore della Magistratura in Francia.


Mi è stato chiesto di parlarvi del «governo autonomo» della Magistratura e delle problematiche in materia di indipendenza della stessa.


La nozione stessa di governo autonomo o autogoverno della Magistratura, che sembra legittima in molti Paesi, è alquanto vituperata in Francia. La scorsa settimana mi è capitato di leggere su un importante quotidiano nazionale, che richiamava le difficoltà della magistratura, che «il governo dei giudici era fonte di paralisi». Non pochi politici, non appena si ritrovano invischiati in vicende giudiziarie, denunciano il «governo dei giudici», la politicizzazione della magistratura e uno spirito di corpo figlio della nostra formazione comune alla Scuola di Magistratura – che taluni vorrebbero, tra l’altro, sopprimere – che attenterebbero alla democrazia.


La realtà è ben diversa. Non c’è in Francia governo dei giudici, se non nella testa di coloro che lo lamentano!


L’inadeguatezza dei mezzi, l’evidente squilibrio tra i diversi poteri (il potere giudiziario è definito semplice «autorità giudiziaria» nella Costituzione del 1958), vietano un qualunque reale governo dei giudici, tra l’altro non auspicabile e non rivendicato.


Queste critiche sistematiche rivolte all’azione della Magistratura, che, con ogni probabilità, si lascia di proposito versare nella penuria, non sono certamente uniche in Europa, ma in Francia sono diventate un leitmotiv, che ha, gradatamente, minato la fiducia che i francesi riponevano nella magistratura.


Parlare oggi di autogoverno della Magistratura sembrerebbe a molti dei miei colleghi e ai decisori politici francesi spropositato, quando non addirittura scioccante!


E, tuttavia, non è legittimo pensare che l’indipendenza di un corpo sia meglio assicurata dal corpo stesso? La risposta alla domanda è evidente. Ma deve essere sfumata, come testimoniato dalla situazione cilena che abbiamo avuto modo di richiamare, in occasione dell’ultima riunione annuale dell’Unione Internazionale dei Magistrati, tenutasi ai primi di ottobre a Barcellona.


I nostri colleghi cileni auspicavano che prendessimo posizione per denunciare il funzionamento della loro Magistratura e il dominio forte della Corte di Cassazione sul processo di valutazione, nomina, promozione e disciplina dei giudici. In Cile è infatti la corte suprema a gestire la magistratura nel suo complesso, fissando finanche le proprie regole di funzionamento. I nostri colleghi intendevano denunciare attacchi all’indipendenza giurisdizionale e un blocco di una qualunque evoluzione giurisprudenziale, indotta dal fatto che qualunque magistrato prospetti una nuova soluzione, non conforme alle «norme» della corte suprema, veda sfumare la propria carriera. La soluzione immaginata prevedeva la delega delle competenze al Parlamento… Ovvero, come passare dalla padella alla brace…


Più che l’autogoverno dei magistrati (sempre meno accettabile nelle nostre democrazie e gravido di rischi), più che una gestione totalmente esterna (e necessariamente politica), è nei Consigli di Giustizia che si delinea la via intermedia da percorrere.


È d’altronde questa un’esigenza avvertita in tutti i testi internazionali che fissano le norme di una magistratura indipendente e imparziale. Dall’articolo 1.3 della carta europea sullo statuto dei giudici, adottata nel 1998 dal Consiglio d’Europa, al paragrafo 3 della magna carta dei giudici europei del 2010, passando per gli articoli 26 e successivi della raccomandazione 2010(12) del Consiglio d’Europa su «magistrati, indipendenza, efficacia e responsabilità», tutti i testi invocano la creazione di un «organo indipendente, costituito in base alla Legge o alla Costituzione, che punti a garantire l’indipendenza della magistratura e di ciascun magistrato e a promuovere un efficace funzionamento del sistema giudiziario».


Detti testi insistono altresì su due punti essenziali che riguardano la composizione e i poteri di tali organi:


- una composizione che assicuri la più ampia rappresentanza dei magistrati (almeno la metà dei magistrati eletti dai propri pari, secondo il Consiglio d’Europa; una presenza esclusiva o una maggioranza sostanziale dei magistrati eletti dai propri pari, secondo il CCJE);


- poteri più ampi, ovvero, secondo il CCJE «le più ampie prerogative per qualunque aspetto relativo al loro statuto, nonché all’organizzazione, al funzionamento e all’immagine delle istituzioni giudiziarie» e, per la precisione, con riferimento alla carta europea sullo statuto dei giudici «qualunque decisione relativa a selezione, reclutamento, nomina, progressione di carriera o messa a riposo di un magistrato».


È proprio su questi due punti che mi soffermerò, richiamando le problematiche emerse in Francia e allargando lo sguardo ad alcuni esempi europei.


Avrei potuto parlarvi di altri aspetti essenziali dell’indipendenza dei magistrati, che si situano non tanto a livello istituzionale, quanto a livello funzionale in ciascuna giurisdizione. Mi riferisco, in particolare, all’assegnazione dei fascicoli, alla ripartizione dei magistrati nelle diverse sezioni e, più in generale, a un principio essenziale che è quello del giudice naturale.


Avrei anche potuto accennare alla gestione delle giurisdizioni, suscettibile di ripercuotersi sull’operato dei magistrati, e prefigurare altrettanti potenziali attacchi alla loro indipendenza giurisdizionale. Ma il limitato tempo a mia disposizione mi obbliga a operare delle scelte. Mi atterrò, quindi, nel mio intervento alle questioni di ordine istituzionale.


QUALE COMPOSIZIONE PER IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA


Istituire un Consiglio di Giustizia, incaricato di gestire la magistratura, ha un significato unicamente laddove lo stesso possa agire in piena indipendenza. Perché ciò accada, la qualità e le modalità di designazione dei suoi componenti rivestono un ruolo di primo piano.


NON TOGATI? IN QUALE PROPORZIONE E CON QUALI GARANZIE?


La presenza di non togati in seno ai Consigli di Giustizia è spesso vista come il miglior modo di contrastare il «presunto» corporativismo e un nefasto gioco interno.


In Europa, come ricordavo poc’anzi, il dibattito sembra orientarsi a favore di una composizione mista, a maggioranza di togati. L’espressione «non meno del 50%» di magistrati è essenzialmente una scelta diplomatica, pensata per consentire a Belgio e Portogallo di mantenere le rispettive composizioni paritarie.


Il recente dibattito aperto in seno alla rete europea dei Consigli di Giustizia, su iniziativa dei paesi anglosassoni e del Nord Europa, per i quali la presenza di membri non togati nel processo di nomina e promozione dei magistrati sembrava costituire un grave attentato all’indipendenza, è la conferma di quanto la questione resti sensibile.


In Francia, la presenza di una componente non togata è sancita dai testi sin dal 1994 e, occorre riconoscerlo, fino al 2008, quanto meno, con soddisfazione di tutti.


La riforma costituzionale del 2008, entrata in vigore nel 2011, introducendo una maggioranza di non togati (8 contro 7 per formazione – 4


contro 6, in precedenza), è venuta a sbilanciare un già fragile edificio. Oltre a violare deliberatamente le indicazioni europee, genera potenzialmente per la magistratura un rischio di politicizzazione. In effetti, 6 degli 8 membri non togati sono ormai designati dal Presidente della Repubblica e dai presidenti delle due assemblee (due membri ciascuno). Soltanto un veto, molto improbabile, del Parlamento a maggioranza qualificata può impedire una nomina. Non è richiesto nessun criterio di competenza.


Anche se i colleghi che si sono succeduti dal 2011 non hanno in realtà provocato un’eccessiva politicizzazione, grazie alla presenza di personalità davvero indipendenti; sussiste tuttavia il rischio che questi 6 membri (nell’ipotesi in cui fossero nominati da autorità politiche appartenenti alla stessa maggioranza) costituiscano un blocco compatto, capace di «tenere» in mano tutte le nomine e quindi l’intera magistratura.


Quale che sia la proporzione di magistrati in seno al Consiglio, occorre comunque che vi siano assicurazioni sulle condizioni di nomina o, volendo attenersi alle indicazioni europee, sulle condizioni di elezione dei suoi componenti.


In Francia, se 6 dei 7 magistrati del CSM sono eletti dai propri pari, il sistema privilegia chiaramente la gerarchia giudiziaria. Infatti, al di là dei vertici della Corte di Cassazione, membri di diritto, vengono eletti in ciascuna sezione competente del Consiglio: un magistrato che si colloca fuori dalla gerarchia della Corte di Cassazione, un primo presidente della Corte d’appello e un presidente di Tribunale o un


 In sintesi, circa 300 magistrati, che rappresentano la gerarchia giudiziaria, designano tanti membri quanti quelli designati dalle migliaia di Corti e Tribunali!


Ma, quantomeno, il sistema si fonda realmente su elezioni libere e democratiche. Il che non è sempre vero in tutta Europa.


In Spagna, è il sistema elettivo a essere stato di recente rimesso in discussione. I componenti togati sono ormai scelti dal Parlamento, in base a una rosa di candidati patrocinati da altri magistrati. Il numero di questi padrini è stato notevolmente ridotto. Ne consegue che le organizzazioni rappresentative dei magistrati sono state bypassate e la scelta finale resta del Parlamento, senza controllo alcuno ad opera dell’apparato giudiziario.


Il secondo esempio riguarda la Turchia, Paese in cui i magistrati sono ampiamente maggioritari ed eletti dai propri pari, conformemente alle indicazioni europee. Ma, nell’autunno del 2014, in occasione del rinnovo dell’Alto Consiglio dei Giudici e dei Procuratori, il governo ha, molto semplicemente, truccato le elezioni per far eleggere magistrati a lui vicini. Questi candidati, che si sono presentati sotto un’etichetta pseudoindipendente, hanno beneficiato, diversamente dalle altre associazioni professionali di magistrati, di tutti i mezzi dello Stato per fare campagna elettorale (conferenze e incontri ai quali venivano condotti in autobus, disponibilità di indirizzi di posta elettronica e di cellulari a fini della propaganda elettorale…). Inoltre, il governo ha fatto promesse in materia salariale e di sospensione di eventuali procedimenti giudiziari a carico dei candidati da lui sostenuti, ove fossero stati eletti.


L’esito delle elezioni è stato, ahimé, in linea con le attese del governo. Da un anno a questa parte, i magistrati sono, per volontà del Presidente della Repubblica, trasferiti d’ufficio e sanzionati da un Consiglio chiaramente subordinato, in spregio a qualunque garanzia minima chiesta dall’Europa!


QUALE PRESIDENZA PER IL CONSIGLIO


Non meno importante è la questione relativa alla presidenza del Consiglio (e in Francia della presidenza delle diverse sezioni competenti dello stesso).


Per lungo tempo è stato il Presidente della Repubblica, in qualità di garante costituzionale dell’indipendenza dell’autorità giudiziaria, a presiedere il CSM. Il Ministro della Giustizia fungeva da vice presidente. A detta di alcuni equivaleva ad affidare la guardia del gregge al lupo…


In realtà, né il Presidente della Repubblica, né il Guardasigilli, partecipavano regolarmente alle sedute e, per lo più, quando ciò accadeva, la loro competenza non era vincolante.


In occasione della riforma del 2008, la presidenza del Consiglio è passata al primo presidente della Corte di Cassazione (presidente della sezione in composizione plenaria e della sezione competente per la magistratura giudicante), il procuratore generale presso la Corte di Cassazione presiede invece la sezione competente per la magistratura requirente – il cosiddetto “parquet”.


Positiva sotto il profilo simbolico, tale presidenza pone tuttavia non poche difficoltà. Innanzitutto, Il Consiglio Costituzionale ha fatto divieto ai vertici della Corte d’appello di presiedere sedute nelle quali si dibattano nomine di magistrati della Corte di Cassazione, il che indebolisce ulteriormente il numero dei magistrati in seno al CSM per queste posizioni di rilievo.


Inoltre, nella pratica, quando il Consiglio si riunisce tre giorni a settimana (due per la sezione competente per la magistratura giudicante e uno per la sezione competente per la magistratura requirente), il carico di lavoro è tutt’altro che trascurabile. E questo incide sulle altre attività dei presidenti delle Corti.


Infine, benché si dibatta del fatto che i ricorsi avversi le decisioni del Consiglio (in materia di nomine e di disciplina) siano esaminati dal Consiglio di Stato e non dalla Corte di Cassazione nella sua composizione plenaria, il fatto che il CSM (e dunque la sua sezione disciplinare) sia presieduto dal presidente della Corte di Cassazione rappresenta una delle argomentazioni che vengono fatte valere per impedire un’evoluzione che appare, per altri versi, legittima.


Si potrebbero immaginare altri sistemi, in particolare, la designazione del presidente del Consiglio da parte dell’autorità politica, tra i non togati, o un’elezione del Presidente tra i suoi membri. Se la prima soluzione appare inaccettabile, in quanto darebbe, agli occhi dell’opinione pubblica, l’idea di una politicizzazione del Consiglio, la seconda lo sarebbe unicamente ove la scelta non fosse limitata a un non togato, come avevano teorizzato alcuni in Francia, a difesa di un CSM composto in modo paritario. In presenza di una voce preponderante, in caso di parità, in sede di voto, i magistrati finirebbero per essere messi in minoranza!


In diversi Paesi, la natura dei poteri esercitati dal CSM influisce sulla composizione del Consiglio, e, in particolare, sul numero della componente non togata. In Francia, non è così. Non solo la composizione è squilibrata, ma i poteri sono limitati!


QUALI POTERI PER IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA?


Ho citato in apertura le norme europee che invocano più ampie prerogative per il Consiglio di Giustizia. In Francia, le prerogative del Consiglio sono tra le più limitate.


NOMINE: POTERE DI PROPOSTA O DI PARERE E QUALE TIPO DI PARERE?


In materia di nomine, il CSM, nel 90% dei casi, si esprime su una proposta del Ministro della Giustizia. È così per tutti i magistrati requirenti e per la quasi totalità dei magistrati giudicanti, eccezion fatta per i componenti della Corte di Cassazione, i primi presidenti e i presidenti dei Tribunali.


Il Consiglio, esaminato l’incartamento dei magistrati proposti, visti i nominativi degli altri candidati e raccolte, eventualmente, le «osservazioni» di questi ultimi, ovvero la contestazione della scelta del Ministro, esprime un parere.


Detto parere è conforme per i magistrati giudicanti, vale a dire che il Ministro è tenuto ad attenervisi, mentre è semplice per la magistratura requirente; il Ministro può quindi «passare oltre» e procedere alla nomina di un proprio candidato, a dispetto di un parere negativo espresso dal Consiglio. Questa eventualità, che fino a qualche anno fa era un semplice caso di scuola, è scomparsa di recente, essendosi i ministri impegnati pubblicamente a rispettare il parere espresso dal Consiglio. Tuttavia, le pratiche interne al Consiglio, le pressioni amichevoli su taluni componenti perché votino a favore di un candidato, piuttosto che di un altro, sono ben lungi dall’essere scomparse…


Il potere del CSM si esercita realmente soltanto per l’alta gerarchia della magistratura giudicante. Per i membri della Corte di Cassazione, i primi presidenti e i presidenti dei Tribunali, il CSM assicura infatti gli inviti a presentare candidatura, seleziona i candidati utili, tiene le audizioni e ne propone la nomina al Presidente della Repubblica, la cui competenza non è vincolante.


Eccezion fatta per quest’ultimo caso, il quadro è chiaramente insoddisfacente, anche se il Consiglio ha ottenuto, in questi ultimi anni, dal Ministero, nell’interesse dei magistrati, maggiore trasparenza e riesce, tramite la pratica delle raccomandazioni e delle segnalazioni, a pesare sempre più sulle proposte del Ministero.


Esaminando i dossier dei candidati proposti dal Ministro, ma anche quelli degli «osservanti», ovvero dei magistrati che hanno presentato regolare candidatura, ma non sono stati scelti, il Consiglio si autorizza a segnalare situazioni personali che ritenga meritevoli di attenzione, come nel caso dei magistrati che versino in difficoltà familiari o di salute.


Inoltre, esprimendo un parere negativo sulla proposta che gli viene avanzata, il Consiglio raccomanda al Ministro taluni candidati, in vista di una nomina successiva. Queste raccomandazioni positive sono ampiamente seguite dal Ministero. Occorre dire che il messaggio indirizzato alla cancelleria è chiaro: se non nominate il candidato che vi raccomandiamo, esprimeremo sistematicamente parere non conforme ai candidati che fossero nominati al posto suo!


Le evoluzioni attese sono molteplici. A lungo termine, l’auspicio espresso in modo maggioritario dalla magistratura è di creare uno stretto collegamento tra l’attuale direzione dei servizi giudiziari e il CSM, perché quest’ultimo possa godere di piena competenza nella gestione della carriera dei magistrati, dal reclutamento alla pensione.


A breve, si auspica, invece, un allineamento totale delle competenze della sezione del CSM per la magistratura requirente alle competenze della sezione per la magistratura giudicante e quindi la possibilità non soltanto esprimere pareri vincolanti per il Ministro, ma anche, e soprattutto, il riconoscimento del potere di proposta per tutte le posizioni della gerarchia giudiziaria del “parquet”.


Non dovendo più la propria proposta al Ministro, c’è motivo di ritenere che molti procuratori si sentirebbero più sereni e liberi di agire in piena indipendenza!


DISCIPLINA: QUALI POTERI E QUALI MEZZI D’INDAGINE? QUALI RICORSI E DINANZI A CHI?


In materia di disciplina, il quadro non è dissimile da quello delle nomine.


Non appena il CSM viene investito, un membro del Consiglio viene designato quale rapporteur. Non dispone però di alcun mezzo di indagine.


Può unicamente procedere di persona alle audizioni, ai confronti e alle perizie. Nei casi complessi, soprattutto quando il Consiglio è interpellato a seguito di una lagnanza di una parte in causa, può risultare molto difficile, tenuto conto dell’attività che il Consiglio svolge in parallelo sul fronte delle nomine, condurre il lavoro istruttorio in tempi ragionevoli. Istituire un collegamento, parziale o totale, con l’ispettorato generale dei servizi giudiziari, o, quanto meno, distaccare degli ispettori presso il CSM, tutelando l’indipendenza del Consiglio, appare a molti indispensabile, ma... ahimé non all’ordine del giorno…


Altro problema in materia di disciplina è la natura della decisione resa dal Consiglio. Se nella sezione competente per la magistratura giudicante il CSM decide da solo in merito all’eventuale colpa e alla sanzione da irrogare, nella sezione competente per la magistratura requirente, le cose non stanno così. Il CSM si limita a esprimere un parere, mentre la decisione finale spetta al Ministro.


Il fatto che il Ministro – che nel 95% dei casi sia all’origine del procedimento e che assicuri attraverso il proprio direttore dei servizi giudiziari l’accusa all’udienza – abbia la facoltà di pronunciarsi su una sanzione, supera ogni immaginazione!


L’ultima difficoltà ha infine a che vedere con i ricorsi. Non previsti dai testi. La pratica ha portato il Consiglio di Stato a pronunciarsi, quale istanza d’appello o di cassazione, sulle decisioni del Consiglio. Un dato questo che può sorprendere, tenuto conto del particolare posto che occupa in
Francia il Consiglio di Stato, incaricato dei ricorsi contro atti amministrativi, ma anche consigliere del governo e incaricato di formulare pareri su tutti i progetti di legge!


A garanzia di maggiore indipendenza, si fa strada l’idea di un possibile ricorso in Cassazione. L’idea circolata soprattutto nella magistratura... Dubito fortemente che possa vedere la luce a breve!


DIFESA DELL’ISTITUZIONE GIUDIZIARIA: INDIPENDENZA E DEONTOLOGIA


Il CSM francese è ormai muto!


Fino al 2008, gli era capitato di esprimersi, quando la magistratura o singoli magistrati venivano tirati in causa dai politici, per ricordare un certo numero di regole in materia di rispetto dei giudici e di difesa dei grandi principi di indipendenza.


Il nostro ex presidente della Repubblica, lui stesso richiamato all’ordine a seguito di dichiarazioni infelici, ha fatto adottare il principio secondo il quale il CSM non possa esprimersi pubblicamente su un argomento, salvo il caso in cui non sia stato investito della questione … dal Presidente della Repubblica o dal Ministro della Giustizia … In altri termini, mai quando gli attacchi provengano dalla maggioranza!


Certamente, il CSM, pubblicando ogni anno, nel suo rapporto annuale di attività, studi approfonditi su argomenti di attualità che lo stesso sceglie, elude tale divieto costituzionale. Ma il quadro resta insoddisfacente, in quanto il CSM non può reagire nell’immediato, ove siano in gioco l’indipendenza di un magistrato o della magistratura tutta.


Nell’ambito dell’abortita riforma costituzionale del 2012, si era parlato di riconoscere un tale potere al Consiglio e permettergli di esprimersi spontaneamente sulle questioni di indipendenza e deontologia. Una riforma, ahimé, nata morta...


CONSULTAZIONI SUI PROGETTI DI LEGGE E SUL BUDGET


Un CSM dai poteri ristretti in materia di nomine e disciplina, un CSM muto e un CSM mai consultato, né associato alle grandi questioni organizzative del Ministero.


Il CSM francese non è padrone del suo budget, che gli viene stanziato nell’ambito di dialoghi gestionali con il Ministero della Giustizia, preliminarmente alla presentazione della Finanziaria al Parlamento.


Il CSM francese non viene mai consultato riguardo al budget allocato al funzionamento del sistema giudiziario. Solo di recente ha ottenuto che gli fosse comunicata la politica relativa alle risorse umane in capo alla cancelleria e che ci fosse trasparenza quanto al numero di posizioni vacanti in seno alle giurisdizioni.


Il CSM francese non era mai stato consultato ufficialmente prima della presentazione dei testi di legge aventi ripercussioni sul funzionamento della magistratura, né tanto meno sui progetti di modifica dello statuto della magistratura. Sottoposte al suo parere erano unicamente modifiche di testi disciplinanti il funzionamento del Consiglio stesso.


Questa situazione inverosimile evolve lentamente nella giusta direzione, soprattutto perché il CSM si è di recente spontaneamente investito di tali questioni, ha reso un parere sull’ultimo progetto di legge organica, ne ha garantito la diffusione presso il Parlamento ed è stato, tutt’a un tratto, invitato, in occasione dei dibattiti parlamentari, a illustrare la propria posizione. Una prima assoluta!


CONCLUSIONE: VERSO UN VERO CONSIGLIO DI GIUSTIZIA


L’avete capito, il CSM francese non è in nulla conforme alle norme internazionali: composizione sbilanciata, poteri limitati, divieto di comunicare. Viene da sempre mantenuto, come tutta la magistratura, con un peggioramento impresso nel 2011, sotto una forma di tutela dal potere esecutivo.


Una riforma costituzionale, destinata a correggere quella del 2008, è stata avviata nel 2012 da François Hollande. Ristabiliva una maggioranza di togati, sopprimeva la nomina dei non togati ad opera dei politici, a beneficio di una scelta collegiale a cura di una commissione composta dai rappresentanti delle più alte cariche del mondo della giustizia costituzionale, amministrativa e finanziaria e allargava le competenze del CSM alla magistratura requirente (senza tuttavia spingersi fino a un allineamento completo della magistratura giudicante e requirente).


La riforma, sostenuta malvolentieri dal Ministro della Giustizia, è stata in gran parte svuotata della sua sostanza all’Assemblea Nazionale, poi abbandonata, dopo l’esame al Senato, quando il governo si è reso conto che non avrebbe mai raggiunto la maggioranza per riformare la Costituzione, anche su un testo ridotto all’osso.


Tuttavia, l’attuale CSM, su impulso del suo Presidente, evolve e s’impadronisce gradatamente di competenze, di cui non necessariamente dispone per legge.


In materia di nomine, quando gli viene unicamente sollecitato un parere, lo correda di segnalazioni e raccomandazioni che stanno dando i loro effetti.


In materia disciplinare, il CSM si forgia una giurisprudenza che impone il rispetto di garanzie per i magistrati interessati. Lo stesso dicasi per i diritti dei magistrati in tutte le fasi del procedimento disciplinare (rispetto del contraddittorio, accesso al fascicolo, possibilità di essere assistito da un avvocato a propria scelta).


Parimenti, non potendo investire direttamente l’ispettorato generale dei servizi giudiziari, designa magistrati della Corte di Cassazione perché procedano alle necessarie indagini.


Ha anche introdotto, di recente, sul modello canadese, un servizio di supporto alla deontologia, una sorta di numero verde che consente a ciascun magistrato di richiedere consulenza in materia di deontologia.


Attraverso riflessioni globali e studi pubblicati nel proprio rapporto annuale di attività (sulla parità in magistratura o sul ruolo dei capi giurisdizione), il CSM, malgrado il divieto di prendere posizione quando non ne sia stato sollecitato dal Presidente della Repubblica o dal Guardasigilli, solleva principi di cui assicura la divulgazione. Ha d’altronde ottenuto di recente dal Ministero (il che può apparire aneddotico, ma è in realtà essenziale) la possibilità di rivolgersi direttamente ai magistrati, tramite l’invio di informazioni ai rispettivi indirizzi email professionali.


In ultimo, il CSM, partecipando alle reti europea e francofona dei Consigli di Giustizia, si apre all’istituzione e applicazione degli standard internazionali.


Garantire realmente l’indipendenza della magistratura, nell’interesse dei cittadini, come esplicitato nei testi internazionali, è una lotta permanente. L’indipendenza non ci sarà mai data. Spetta a noi magistrati conquistarla, a colpi di diritto. Per questo, in qualità di presidente dell’Associazione Europea dei Magistrati, non posso che rallegrarmi di vedere questa lotta proseguire sullo sfondo della solidarietà internazionale.


Il lavoro dovrà portarlo avanti ciascuno nel proprio Paese. Ma dobbiamo anche portarlo avanti insieme a livello europeo. Fare sentire la nostra voce perché regole chiare siano fissate a livello europeo, non soltanto all’atto dell’ingresso nell’Unione Europea, ma anche e soprattutto dopo. Imporre queste norme, pena il ricorso innanzi alle giurisdizioni europee. Ecco la battaglia che dobbiamo portare avanti.


L’Associazione Europea dei Magistrati e l’Unione Internazionale Magistrati, che hanno intrapreso l’aggiornamento della carta universale sullo statuto dei giudici, intendono fare la propria parte negli anni a venire.


Traduzione dell’intervento al XXXII Congresso nazionale dell’ANM – Bari, 24 ottobre 2015.

Autore
Christophe Régnard
Presidente dell’Associazione Europea dei Magistrati

La nozione stessa di governo autonomo o autogoverno della Magistratura, che sembra legittima in molti Paesi, è alquanto vituperata in Francia. La scorsa settimana mi è capitato di leggere su un importante quotidiano nazionale, che richiamava le difficoltà della magistratura, che «il governo dei giudici era fonte di paralisi» Christophe Régnard