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Strumenti deflativi del processo civile

di Antonella Stilo - 29 maggio 2017

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PREMESSA


Il processo civile, così come è, non funziona: questo è sotto gli occhi di tutti ed è da molti anni oggetto di un vivace dibattito vertente sulle cause dell’inceppamento della macchina della giustizia, sugli effetti negativi dell’inefficienza del sistema processuale (sia sul piano della tutela e dell’attuazione dei diritti, sia sul piano economico), nonché, naturalmente, sui possibili rimedi.


All’interno di questo dibattito si colloca l’introduzione di strumenti deflattivi del processo civile, volta, unitamente ad altri interventi normativi (tra cui quelli sui costi dell’accesso alla giustizia, sull’informatizzazione del processo, sui “filtri” nel sistema delle impugnazioni), a raggiungere l’obiettivo della riduzione dell’arretrato e del contenzioso nel suo complesso.


In particolare, la via della “degiurisdizionalizzazione”, o, come è stato efficacemente scritto, della “fuga” dal processo è apparsa come una delle soluzioni da privilegiare per diminuire il carico pendente presso i Tribunali italiani.


Ed infatti il Legislatore ha puntato su una serie di istituti, tra cui la mediazione e la negoziazione assistita, cui sono dedicate le pagine che seguono, allo scopo di far sì che le controversie vengano portate alla cognizione di un giudice solo quando ciò sia strettamente necessario, sì da invertire il trend della giurisdizione civile.


La scelta legislativa si presenta, di per sé, quanto mai opportuna: spostare alcune controversie al di fuori dei Tribunali o favorirne una soluzione conciliativa stragiudiziale rappresenta oggi un’opzione irrinunciabile, di cui va garantita l’effettività e l’agevole percorribilità.


Resta tuttavia da verificare se e in quale misura gli strumenti deflattivi del contenzioso stiano contribuendo in concreto alla soluzione dei problemi della giustizia civile e soprattutto se tali meccanismi costituiscano al momento un punto di arrivo o semplicemente un punto di partenza nella prospettiva di addivenire a un processo rapido e virtuoso.


GLI STRUMENTI DEFLATTIVI DEL PROCESSO CIVILE: LA MEDIAZIONE


Si è già detto che il Legislatore, al fine di rendere più efficace il servizio giustizia, ha introdotto nel corso del tempo una serie di misure dirette a limitare il numero di controversie da portare alla cognizione del giudice civile.


Tra le misure prescelte, assume un rilievo preminente lo strumento della mediazione Come è noto, la mediazione è stata istituita con il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, in attuazione della delega legislativa contenuta nell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, e allo scopo di trasporre la direttiva europea n. 2008/52/CE.


Con la sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2012 la mediazione obbligatoria è stata tuttavia dichiarata incostituzionale per eccesso di delega, salvo essere poi reintrodotta dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 che ha convertito con modifiche il d.l. n. 69 del 2013, e le cui disposizioni si applicano a far data dal 20 settembre 2013.


Con il termine mediazione oggi si intende quella «attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa» (art. 1 lett. a), d.lgs. n. 28 del 2010, come modificato dalla legge n. 98 del 2013).


La mediazione è, quindi, secondo il successivo art. 2 dello stesso d.lgs., lo strumento per addivenire alla conciliazione, che è, invece, la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione. La mediazione è obbligatoria, ossia è “condizione di procedibilità” della domanda giudiziale, in relazione alle controversie in materia di condominio, diritti reali, divisioni, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazioni, comodato, affitto di aziende, risarcimento di danni derivanti da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, di contratti assicurativi, bancari e finanziari.


Sono invece esclusi:


a) i procedimenti per ingiunzione, compresa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;


b) i procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;


c) i procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile;


d) i procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;


e) i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;


f) i procedimenti in camera di consiglio;


g) l’azione civile esercitata nel processo penale (art. 4 d.lgs. n. 28 del 2010 novellato).


La mediazione c.d. obbligatoria – così come riscritta dalla legge n. 98 del 2013 – ha la durata temporanea di quattro anni (scadrà, dunque, in data 20 settembre 2017) e si distingue sia dalla mediazione facoltativa (frutto di una libera iniziativa delle parti) che dalla «mediazione su invito del giudice», espunta dal decreto n. 28 del 2010, ma a cui il giudice potrebbe comunque (quantomeno in teoria) far ricorso, e ancora dalla «mediazione ex officio» (introdotta dal Legislatore del 2013), per cui il magistrato procedente – sulla base di una sua motivata scelta discrezionale –«può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione»ovviamente in casi in cui la mediazione non è già obbligatoria per legge.


Peraltro, anche la «mediazione ex officio», a differenza di quella oggetto di un mero invito da parte del giudice, rende l’esperimento del procedimento di mediazione condizione di procedibilità della domanda giudiziale (pure in sede di appello), ossia è a sua volta una forma di mediazione obbligatoria, soltanto che è affidata alla valutazione discrezionale motivata dell’A.G. e, per tale ragione, è esclusa dalla sperimentazione e può essere attivata in ogni controversia, purché vertente su diritti indisponibili.


Due sono quindi – allo stato – le ipotesi di mediazione obbligatoria: l’una nasce direttamente dalla legge, è limitata ad alcune materie con riferimento alle quali costituisce condizione preventiva di procedibilità della domanda ed è circoscritta nel tempo, formando per l’appunto oggetto di sperimentazione quadriennale; l’altra, invece, è il frutto di una valutazione discrezionale del giudice, opera non «quale filtro preventivo alle liti»bensì come condizione sopravvenuta di proponibilità della domanda, e non è vincolata «nei contenuti né nei tempi della sperimentazione».


Sotto il profilo procedurale, la mediazione (nell’ambito della quale, ove obbligatoria, le parti devono necessariamente farsi assistere da un avvocato) viene introdotta con un’istanza che va presentata all’organismo di mediazione prescelto, con sede nel luogo del giudice territorialmente competente per il giudizio.


Il procedimento (che ha una durata massima stabilita dalla legge di tre mesi, trascorsi i quali il processo può iniziare o proseguire) si svolge senza particolari formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo e il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole per la definizione della controversia (art. 8 d.lgs. n. 28 del 2010).


In specie, una volta intrapreso il procedimento di mediazione, viene fissato un incontro preliminare tra le parti nel corso del quale il mediatore le informa sulla funzione e le modalità di svolgimento della procedura. Laddove in questo primo incontro emerga l’impossibilità di addivenire a un accordo, ciò è sufficiente ai fini della procedibilità dell’azione giudiziaria (tra l’altro, in questo caso nessun compenso è dovuto all’organismo di mediazione: art. 17 n. 5-ter d.lgs. 28/2010).


Se invece la mediazione riesce, l’accordo viene verbalizzato e sottoscritto dal mediatore e dagli avvocati delle parti e il verbale di conciliazione ha efficacia di titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione per gli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.


Come anticipato, il Legislatore ha previsto un periodo di quattro anni di sperimentazione della mediazione obbligatoria, onde verificare se la mediazione sia davvero uno strumento utile per definire le liti al di fuori dei Tribunali, così di fatto rinviando alla scadenza di tale periodo la scelta – da effettuare in base ai risultati raggiunti – se mantenere la mediazione obbligatoria o affidarsi alla sola mediazione volontaria.


Pur non essendo ancora scaduto il quadriennio, è possibile fare un bilancio sul funzionamento dell’istituto, valendosi dei rilievi statistici effettuati dalla Direzione Generale di Statistica del Ministero della Giustizia.Dall’ultima rilevazione del 2016 emerge che tra il 21 marzo 2011 e il 31 marzo 2016 c’è stato un incremento di richieste di mediazione da 60.000 a quasi 200.000.


Dal 2013 al 2016 vi è stato pure un aumento della percentuale di aderenti comparsi: si è passati infatti dal 23,7% del terzo trimestre del 2013 al 46% del primo trimestre del 2016; in particolare, gli aderenti sono comparsi laddove si trattava di liti in materia di successioni ereditarie (60,1%), divisione (57,1%) e patti di famiglia (56,3%). Nel 52,6% dei casi, invece, l’aderente non è comparso; nel restante 1,4% dei casi, poi, il proponente ha rinunciato prima dell’esito.


Risulta altresì dai dati pubblicati che il tasso più alto di mediazioni si è registrato in Lombardia (seguita dal Lazio e dalla Campania) e che su scala nazionale la mediazione si è conclusa con esito positivo nel 43,2% dei casi. In prevalenza si è riusciti ad addivenire a un accordo nellecause di valore compreso tra 1.001 e 10.000 euro ed essenzialmente in tema di diritti reali, comodato, divisione e locazione.


Sulla scorta di tali dati, quindi, può ritenersi che nel corso degli ultimi anni l’istituto della mediazione ha certamente inciso in termini positivi sullo scenario della giustizia civile, contribuendo a ridurre le pendenze. In proposito, giova sottolineare che alla data del 30 giugno 2015 si è tornati a un numero di pendenze (4.221.949 contenziosi civili) che, seppure ancora alto, non si registrava dal 2002, il che è stato valutato in termini positivi anche dalla World Bank nell’ultimo rapporto annuale Doing Business 2016, nell’ambito del quale l’Italia ha guadagnato 36 posizioni nel ranking mondiale quanto a efficienza.


Il 2016 ha fatto registrare un ulteriore calo delle pendenze degli affari civili che si sono attestate – alla data del 30 giugno 2016 (secondo l’analisi dei dati forniti dagli Uffici, raccolti ed elaborati dalla Direzione Generale di Statistica) – a 3.886.285 (al netto dell’attività del giudice tutelare e degli ATP), con una riduzione rispetto all’anno precedente del 9,5%.


Tale cambio di tendenza rende oggi la mediazione come uno strumento da cui non è possibile prescindere e spiega al contempo perché l’istituto sia stato costruito in funzione essenzialmente deflattiva.


Al momento, tuttavia, come si legge nella Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2015, non esistono sufficienti elementi per valutare gli effetti della c.d. degiurisdizionalizzazione sulla riduzione delle nuove iscrizioni di cause ordinarie, che è un fenomeno che pare comunque riconducibile a una pluralità di fattori, e in particolare, oltre che alla mediazione e agli altri strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, anche all’adozione da parte degli Uffici giudiziari di prassi virtuose e di programmi di riorganizzazione, secondo criteri di specializzazione e miglioramento dell’efficienza nell’impiego delle risorse.


LA NEGOZIAZIONE ASSISTITA


Al pari della mediazione, anche la negoziazione assistita è finalizzata alla composizione bonaria della lite al di fuori del processo. L’istituto è stato introdotto con il decreto legge n. 132 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2014, n. 162 (entrata in vigore il 13 settembre 2014, ma in concreto applicabile dal 9 febbraio 2015), normativa con cui il Legislatore ha contestualmente valorizzato lo strumento dell’arbitrato, inserendo la possibilità di trasferire, con istanza congiunta, in sede arbitrale le controversie civili pendenti in materia di diritti disponibili ad eccezione della materia del lavoro, della previdenza e assistenza sociale (art. 1 della legge n. 162 del 2014).


Mentre tale previsione, verosimilmente, è «incapace di incidere in un qualunque modo statisticamente rilevante sullo smaltimento delle cause pendenti», anzi rappresenta «un fallimento annunciato», una maggiore spinta deflattiva si presta ad avere la negoziazione assistita, che «è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati …» (art. 1 d.l. n. 132 del 2014).


La negoziazione assistita può svolgersi in tre forme: la negoziazione volontaria (art. 2, comma 1, d.l. n. 132 del 2014), ossia scelta liberamente dalle parti (purché si tratti di diritti indisponibili), la negoziazione obbligatoria (art. 3 d.l. n. 132 del 2014), nelle materie in cui costituisce condizione di procedibilità della domanda (rilevabile d’ufficio o eccepita dal convenuto non oltre la prima udienza), e la negoziazione «per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio» (art. 6 d.l. n. 132 del 2014).


L’esperimento della negoziazione assistita è obbligatorio in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, per chi intenda proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro (art. 3, comma 1, d.l. n. 132 del 2014), con esclusione dei casi in cui la legge prevede il ricorso all’istituto della mediazione obbligatoria, e più di recente in materia di contratti di trasporto o di sub-trasporto (art. 249 l. n. 190 del 2014, c.d. legge di stabilità 2015).


La negoziazione non è condizione di procedibilità della domanda:


a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione;


b) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 696-bis c.p.c.;


c) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;


d) nei procedimenti in camera di consiglio;


e) nell’azione civile esercitata nel processo penale (art. 3 comma 3 d.l. n. 132 del 2014).


Le ipotesi di negoziazione assistita obbligatoria, al pari dei casi di esclusione, ricalcano dunque le norme in tema di mediazione obbligatoria, cui sono accomunate, sotto il profilo processuale, dal fatto che rientrano tra i casi di giurisdizione c.d. condizionata, nel senso che, per l’appunto, il Legislatore richiede l’esperimento di un preliminare ricorso a un meccanismo alternativo di risoluzione delle controversie, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale.


I due istituti, inoltre, condividono anche l’idea di fondo della “degiurisdizionalizzazione” di tutta una serie di procedimenti giudiziari allo scopo di ridurre i casi in cui si deve necessariamente arrivare davanti a un giudice e contemporaneamente consentire una più rapida definizione delle liti.


Vi è allora «perfetta coincidenza funzionale fra negoziazione assistita e mediazione», atteso che entrambi i meccanismi mirano a facilitare il raggiungimento di un accordo tra le parti al di fuori delle aule dei Tribunali.


Se quindi è sottesa tanto all’uno che all’altro istituto la finalità di ridurre il contenzioso giudiziario, non pare però che detta finalità, nonostante la previsione di incentivi fiscali, sia stata sinora pienamente realizzata.


Dai dati resi noti dal Ministro della Giustizia, invero, si evince che la mediazione assistita ha svolto un ruolo deflattivo significativo solo in materia di famiglia.


Il Consiglio Nazionale Forense, che ha il compito istituzionale di fornire al Ministero – entro il 31 dicembre di ogni anno – i dati riferiti agli accordi di negoziazione raggiunti, ha difatti potuto verificare che circa il 95% degli accordi raggiunti dalle parti con l’ausilio degli avvocati nella procedura di negoziazione assistita ha riguardato le separazioni coniugali e i divorzi (con 1.603 accordi in tema di separazione, 1.350 accordi in tema di divorzio e 56 accordi relativi a modifiche delle condizioni di separazione o divorzio), mentre ridotto è il numero di accordi conclusi nelle materie per cui la negoziazione assistita è prevista a pena di improcedibilità della domanda: solo 499, di cui 79 accordi relativi a controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti; 420 accordi inerenti a cause in tema di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro (al di fuori dei casi in cui è previsto obbligatoriamente il ricorso alla mediazione); 192 accordi (genericamente indicati come «altro contenzioso») riguardanti in parte pagamenti di somme di valore superiore a €50.000 (25 casi), in qualche caso materie per le quali è obbligatorio il ricorso alla mediazione (scioglimento della comunione, controversie rientranti nel novero delle azioni relative a diritti reali di cui all’art. 5, d.lgs. n. 28/2010), in altre ipotesi controversie relative all’esecuzione di contratti anche nell’ambito della crisi di impresa; nessun accordo è stato infine raggiunto relativamente alle controversie in materia di trasporto e subtrasporto.


Si tratta comunque di dati parziali e incompleti, che consentono in qualche modo di fotografare la situazione attuale, ma che non offrono elementi sufficienti per poter dire se la negoziazione assistita nel lungo periodo riuscirà a ridurre in maniera incisiva il numero dei processi pendenti, ovvero «ad attuare un’inversione di tendenza nella durata dei procedimenti», così come si afferma nella Relazione che accompagna il d.l. 12 settembre 2014, n. 132.


Conclusioni


Sebbene gli strumenti deflattivi del contenzioso attualmente previsti non rappresentino ancora una “scommessa vinta”, il trend legislativo non dà tuttavia adito a dubbi: la tendenza va certamente nella direzione dell’ampliamento e della promozione degli strumenti stragiudiziali di composizione delle liti (Alternative Dispute Resolution), sul presupposto che il ricorso a essi sia indispensabile ai fini dello smaltimento dell’arretrato e della deflazione e/o diminuzione dei tempi medi di durata dei giudizi.


La previsione di tali strumenti pare dunque certificare una situazione di crisi irreversibile della giustizia civile e la conseguente necessità di dislocare altrove la risoluzione delle controversie. È come se il Legislatore, dopo aver tentato vanamente per anni di dare efficienza al processo civile, si fosse arreso, optando per dei mezzi alternativi di definizione delle liti.


Una simile prospettiva è tuttavia, per un verso, riduttiva e per altro verso miope e, a lungo termine, fallace. Ed invero, pensare agli strumenti di ADR solo come a dei meccanismi deflattivi del contenzioso significa, da un lato, non coglierne la reale portata e dall’altro sminuire la centralità e la priorità della giurisdizione civile, rinunciando a investire sull’efficienza del processo.


L’ottica deve essere allora capovolta nel senso di creare un circolo virtuoso fra mezzi alternativi di composizione delle liti ed efficienza della giustizia civile, nella consapevolezza che la mediazione e gli altri strumenti di ADR possono produrre buoni risultati solo se operano in un sistema giurisdizionale efficiente, contribuendo altrimenti solo nel breve periodo allo smaltimento dell’arretrato e alla deflazione del contenzioso. L’introduzione di strumenti deflattivi, pertanto, non è sufficiente ai fini della riduzione del numero e della durata dei processi, così come del resto non basta neanche intervenire sulle “regole” del processo, come comprova la circostanza che, a parità di norme processuali, la produttività varia considerevolmente tra i diversi Uffici giudiziari.


Per cambiare lo scenario della giustizia civile occorre difatti investire “a monte” in «risorse processuali», ossia rivedere le piante organiche, incrementare le dotazioni a disposizione dei magistrati e migliorare l’organizzazione degli Uffici giudiziari, dando in particolare concreto impulso al c.d. Ufficio per il processo (istituito con l’art. 50 del d.l. n. 90 del 2014), quale tappa fondamentale di un percorso irrinunciabile nel segno dell’effettività e dell’efficienza della giurisdizione e in vista del perseguimento dell’obiettivo della piena tutela dei diritti, un obiettivo che non può essere raggiunto senza il dialogo e il confronto costruttivo con la Magistratura.

Autore
Antonella Stilo
Presidente della sezione civile del Tribunale Locri

Sebbene gli strumenti deflattivi del contenzioso attualmente previsti non rappresentino ancora una “scommessa vinta”, il trend legislativo non dà tuttavia adito a dubbi: la tendenza va certamente nella direzione dell’ampliamento e della promozione degli strumenti stragiudiziali di composizione delle liti. Antonella Stilo