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La protezione internazionale e il sistema giudiziario italiano

di Gaetano Amato - 29 maggio 2017

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Premessa


C’è uno spettro che si aggira per l’Europa, ma, a differenza di quello di ottocentesca memoria, non determina bizzarre alleanze piuttosto crea divisioni politiche, separazioni tra frontiere ormai abbattute e muri divisori tra stati.


Questo spettro ha un nome, migranti, ed evoca timori e paure nei governi europei non certo inferiori a quelli creati dallo spettro del Manifesto. Non è questa la sede per occuparsi del fenomeno dei flussi migratori che negli ultimi decenni hanno interessato dapprima il solo Mediterraneo (con le coste siciliane e calabresi quali principali punti di approdo) e, più recentemente, anche altre rotte, sia italiane che europee, in particolare la Grecia, ma c’è una ragione per cui questo fenomeno socio-politico ha assunto sempre più rilievo e importanza per la giurisdizione italiana.


La ragione è che il fenomeno anzidetto ha creato un’enorme mole di contenzioso giudiziario avente ad oggetto il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero delle misure di protezione sussidiaria previste dalle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia e dalla stessa recepite con apposita normativa.


Fin qui nulla nuovo sotto il sole, potrebbe dirsi, giacché sempre più spesso nell’ultimo secolo il fenomeno della giurisdizionalizzazione del diritto internazionale ha comportato uno spostamento delle problematiche relative all’attuazione delle norme e convenzioni internazionali, sia tra stati che tra stati e altri soggetti fisici e giuridici, dai tavoli della diplomazia alle aule dei Tribunali nazionali o internazionali.


La novità, negativa, in questo caso, però, risiede nelle dimensioni del fenomeno e nelle prospettive di una sua soluzione politica, finora seriamente non ipotizzabile (a meno di ricorrere alla fantapolitica) che hanno creato un impatto a dir poco disastroso sul già precario funzionamento in termini di efficienza della macchina giudiziaria civile, tanto da far temere un possibile annullamento dei sia pur timidi progressi in termini di ragionevole durata dei giudizi civili registrati negli ultimissimi anni.


Aspetti giurisdizionali


2.1 Il problema nasce dal numero sempre maggiore di migranti che giungono in Italia. In pratica, lo straniero migrante, una volta sbarcato, per evitare l’espulsione dopo l’espletamento della procedura di identificazione non ha altro strumento che chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato e/o di invocare le altre forme di protezione riconosciute dal nostro Ordinamento dal decreto legislativo 19 novembre 2007 n. 251 (attuativa della Direttiva 2004/83/CE), anche in considerazione dell’effetto autorizzativo della permanenza nel territorio italiano attribuito alla presentazione della domanda dall’art. 7 decreto legislativo n. 25/2008.


Avverso, poi, il diniego da parte della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di concessione della tutela invocata, lo straniero può ricorrere al Tribunale competente (individuato ex art. 19 decreto legislativo n. 150/2011) e la proposizione del ricorso comporta la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato. In caso di ulteriore rigetto del ricorso da parte del Tribunale, poi, è previsto l’appello innanzi alla competente Corte d’appello, con la possibilità di invocare la sospensione dell’efficacia dell’ordinanza impugnata secondo le forme ordinarie.


Come si vede, si tratta di una doverosa tutela che, però, finisce con l’incentivare il ricorso a tutti i costi al fine di evitare l’immediata espulsione dello straniero.


Ma il colpo di grazia al sistema è dato dalla previsione, anch’essa doverosa, del diritto del richiedente al patrocinio a spese dello Stato, che rende economicamente conveniente l’assistenza legale da parte di avvocati specialisti della materia specie se numericamente estesa al maggior numero di migranti: in pratica, il ricorso generalizzato alla tutela giudiziaria, prescindendo dalla effettiva fondatezza della richiesta, con tutto ciò che comporta sul piano delle sopravvenienze.


Il superiore contesto, appena accennato, ha comportato che negli ultimi anni, all’aumento del numero di stranieri migranti giunti in Italia o soccorsi in mare è corrisposto un aumento delle domande amministrative di protezione e, nelle ipotesi di rigetto (mediamente, intorno al 50% delle domande presentate alle Commissioni), un generalizzato ricorso all’impugnazione giurisdizionale del diniego.


Poiché si parla di numeri nell’ordine delle decine migliaia in tutta Italia, ecco che negli ultimi anni i Tribunali territorialmente competenti (circa 20 in tutta Italia) hanno subito un'impennata nella sopravvenienza dei ricorsi in questione, sopravvenienza che ha quasi paralizzato (certamente rallentato in maniera abnorme) l’attività delle sezioni tabellarmente competenti a conoscere dei suddetti ricorsi (solitamente, le sezioni civili tabellarmente competenti per le questioni di stato e delle persone, già spesso nei grandi Tribunali alle prese con un notevole contenzioso in materia di famiglia).


La difficoltà gestionale della suddetta sopravvenienza, infatti, risiede nella peculiarità della materia, la cui istruttoria se adeguata alla tipologia dei fatti rappresentati comporta un impegno decisamente incompatibile con la trattazione di altre materie e, in ultima analisi, anche con il rito sommario che il Legislatore ha previsto per la materia, quasi che la previsione del rito di cognizione sommaria possa di per sé semplificare la trattazione del giudizio indipendentemente dal contenuto dello stesso.


Aspetti sostanziali e processuali


Le difficoltà che quasi sempre presenta il giudizio sul diniego di protezione discende dall’oggetto della domanda. Com’è noto, infatti, la tutela può riguardare o il riconoscimento dello status di rifugiato (inteso quale perseguitato per motivi di razza, religione o nazionalità), ovvero le forme sussidiarie di protezione in mancanza di detti requisiti, qualora, cioè, sussistano fondati motivi di ritenere che se lo straniero ritornasse nel paese di origine correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e non possa o non voglia (a causa di tale rischio) avvalersi della protezione di detto paese.


Grave danno tipizzato dall’art. 14 del decreto legislativo 19 novembre 2007 n. 251 nelle seguenti ipotesi:


a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte;


b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine;


c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.


Non vi è chi non veda come l’accertamento di simili situazioni in relazione a soggetti di norma privi di tutto (documenti di identità, documenti utili a provare le circostanze richiamate in domanda), sovente privi di istruzione o del tutto analfabeti, comporta di regola una notevole difficoltà, e ciò nonostante l’orientamento sul punto della giurisprudenza, anche di legittimità (ad esempio: Cassazione civile, sez. VI, 12/09/2016, n. 17929), che riconoscendo la peculiarità dell’accertamento nel suddetto giudizio ha parlato di un “onere probatorio attenuato” e di poteri officiosi riconosciuti al giudice (anche se nella massima in questione si faceva riferimento al procedimento camerale, oggi sostituito dal giudizio di cognizione sommario).


Senza tralasciare la circostanza che ove sia necessaria (e spesso lo è) l’audizione del richiedente, la stessa comporta la nomina di un interprete.


In questo contesto il sopravvenire di centinaia o di migliaia di ricorsi comporta difficoltà nei tempi di trattazione (quasi sempre finora nel rispetto della ragionevole durata, come anche attestato dalla CEDU), dovendosi dilatare i termini di comparizione e non sempre potendosi concludere in una sola udienza la trattazione del ricorso e la sua decisione, senza che la sommarietà prevista per il rito possa aiutare in alcun modo la celerità della decisione.


L’esame dei fatti presupposti a fondamento del ricorso, infatti, presuppone un approfondimento da effettuare, oltre che con l’esame del richiedente, per lo più con l’esame dei dati raccolti dalle organizzazioni internazionali (UNHCR, le agenzie governative occidentali e non, le varie organizzazioni dell’ONU o le organizzazioni non governative come Amnesty international), esame non sempre facile e, comunque, da effettuare in via informatica mediante la consultazione dei siti ufficiali dei suddetti organismi.


Non può sfuggire agli occhi di qualunque osservatore l’evidente laboriosità di una simile trattazione, dovendosi anche tenere presente che ciascun ricorso è un unicum, sicché è indubitabile che il numero rilevante degli stessi non può che rappresentare un serio problema per l’efficiente gestione della sezione investita della loro trattazione.


Anche l’appello, naturalmente, risente (seppure con numeri sensibilmente inferiori rispetto al primo grado) dell’impatto di questo contenzioso, con l’aggravante, però, della trattazione collegiale (essendo l’appello disciplinato dall’art. 702 quater cpc) e, in ogni caso, della generalizzata situazione di appesantimento dei ruoli civili delle Corti d’appello, cui certamente non giovava quest’ulteriore adluvio di impugnazioni.


Anche per l’appello, infatti, va tenuta presente la possibilità di fruire del patrocinio a spese dello Stato, la cui ammissione è quasi del tutto scontata, potendo il Consiglio dell’Ordine soltanto negare il beneficio in quei casi in cui ilfumus dell’appello è oggettivamente inesistente, essendo in re ipsa la ricorrenza del requisito reddituale.


Il problema dei minori non accompagnati


Un particolare aspetto del fenomeno riguarda il problema dei minori non accompagnati, il cui numero è in continua ascesa. I minori giungono non accompagnati dai genitori o da altri loro parenti per vari motivi (perdita degli accompagnatori durante il tragitto, oppure orfani in fuga da situazioni di guerra etc.) e la loro presenza tra i migranti crea ulteriori problemi gestionali e aggrava in maniera rilevante l’attività dei Tribunali per i Minorenni.


L’esperienza nel distretto di appartenenza è significativa e, purtroppo, simile a quelle di molti altri distretti.


Nel solo 2016, infatti, ne sono già stati segnalati 1.200 (nel solo periodo 1 gennaio-30 settembre) e nello stesso numero sono stati iscritti i relativi fascicoli, numero appena inferiore al complessivo, pari a 1.487, del periodo dal 2011 al 2015, con un progressivo incremento: si è passati, infatti, da 189 iscrizioni nel 2011 a 672 nel 2015.


In adesione alla richiesta del Pubblico Ministero minorile, il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria dispone l’apertura della procedura per l’eventuale dichiarazione dello stato di adottabilità del minore straniero non accompagnato.


Ciò in virtù della disposizione dettata dall’art. 37 bis della legge 4-5-1983 n. 184, per la quale «al minore straniero che si trova nello Stato in situazione di abbandono si applica la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza», compresi i provvedimenti contingibili e urgenti di cui agli artt. 10 e ss. della predetta legge.


In ossequio a tale normativa e attesa la circostanza che il minore si trova nello stato italiano appunto non accompagnato né dai genitori né da altri parenti entro il quarto grado, allo stesso viene nominato un tutore per la rappresentanza in giudizio, nonché per l’esercizio dei diritti e delle facoltà riconosciutigli dalla normativa vigente, in particolare ai sensi dell’art. 6 d.p.c.m. n. 535/1999 e delle altre disposizioni in materia (in ordine al soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie, all’avviamento scolastico, al diritto di essere ascoltato e alle altre provvidenze disposte dalla legislazione vigente, tra cui la possibilità di usufruire del rimpatrio assistito, di ottenere un permesso di soggiorno temporaneo e di presentare – tramite il rappresentante legale – richiesta di asilo ove ne ricorrano i presupposti di legge, nonché, in particolare, di prestare, previa consultazione con il minore, il consenso informato per ogni necessario intervento di natura sanitaria).


Anche per tali motivi il tutore viene scelto tra gli avvocati del circondario che hanno manifestato disponibilità. Contestualmente il minore viene affidato all’Ufficio di Servizio Sociale territorialmente competente e al Servizio socio-sanitario dell’A.S.P. di Reggio Calabria rispettivamente per le necessarie e opportune attività di vigilanza e di sostegno, compreso l’inserimento in idonea autorizzata struttura, per la verifica delle sue condizioni di salute, tramite apposito esame fisico e psicologico, e della sua effettiva età, anche, ove residuassero dubbi e a discrezione del sanitario operante, anche attraverso esame radiologico del polso.


Tale ultimo accertamento è necessario per il fatto che spesso i giovani all’atto dello sbarco sono sprovvisti di documenti di identità e, peraltro, nella maggior parte dei casi dichiarano di essere nati l’1 gennaio dell’anno x (tale da non aver compiuto i 18 anni), data facilmente memorizzabile e che assicura il trattamento di favore previsto per i minorenni.


Non è infrequente il caso in cui dopo tali esami si verifichi come il minore in realtà sia già ultradiciottenne, con la conseguenza che viene meno la competenza del Tribunale per i Minorenni e il relativo fascicolo viene archiviato.


Nell’ipotesi di minori infraquattordicenni si cerca di provvedere anche all’affidamento a una coppia di coniugi idonea e disponibile anche a una futura eventuale adozione.


Viene, quindi, richiesto al Questore di svolgere un’indagine conoscitiva in ordine alla situazione personale e familiare del minore, nonché sull’ambiente in cui ha vissuto e sulla sua condizione giuridica, previa identificazione dei genitori o, in mancanza, di altri parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il medesimo, nonché di monitorare le operazioni demandate per l’accertamento dell’età/identità del presunto minore, ricercando, ove possibile, momenti di collaborazione con le rappresentanze diplomatiche-consolari del Paese di origine (per acquisire informazioni o copie di documenti identificativi), con invito a predisporre i rilievi fotodattiloscopici e segnaletici necessari al rilascio del permesso di soggiorno (ai sensi dell’art. 5 D.P.C.M. n. 535/1999).


L’istruttoria viene completata con l’audizione del minore e, se presenti nel territorio nazionale, dei parenti entro il quarto grado, cui viene, comunque, nominato un difensore d’ufficio in ossequio alla normativa in materia di adozione. All’udienza di audizione il minore viene accompagnato dal responsabile della comunità di accoglienza, che nell’occasione viene pure ascoltato ma separatamente, e da un mediatore culturale del progetto di assistenza, che funge anche da interprete.


Deve evidenziarsi, comunque, per un verso, che i minori in questione sono nella grandissima parte ultra sedicenni, per cui solo in pochissimi casi si ha l’affidamento a coppie di coniugi, per l’altro che, generalmente, le notizie dei genitori non arrivano prima del compimento della maggiore età, con la conseguenza che non può decidersi in ordine allo stato di abbandono, presupposto della dichiarazione dello stato di adottabilità. In altri termini, una mole di lavoro che sopravviene a ritmi incalzanti e, spesso, senza prospettive di utile definizione in un contesto, quello della magistratura minorile, di forte criticità e con prospettive incerte in ordine ai futuri assetti ordinamentali.


Prospettive e proposte Quello sopra delineato è un quadro, appena accennato, dei problemi che il fenomeno dei migranti negli ultimi anni sta apportando aggravando la già difficile situazione della giustizia civile in Italia. È palese a tutti che parlare di soluzioni anche a medio o lungo periodo esula dalle nostre competenze, né è facile individuare soluzioni che permettano di affrontare giudizialmente il fenomeno in termini di efficienza ai sensi dell’art. 111 Costituzione; tuttavia, qualche ufficio ha provato a cercare di organizzarsi.


Ci si riferisce all’esperienza del Tribunale di Catania, il cui circondario è uno dei più interessati al fenomeno, in quanto le sue coste sono meta di sbarchi e per la presenza del noto centro di accoglienza di Mineo, assurto recentemente all’attenzione della cronaca. Dell’esperienza catanese si è parlato anche al recente incontro organizzato dal CSM lo scorso 26 settembre, dove si sono scambiate le esperienze degli uffici di tutta Italia ed è emerso il quadro negativo che è stato prima accennato, ma anche proposte per cercare di rendere più efficiente la risposta giurisdizionale alla richiesta di protezione internazionale.


Le proposte organizzative, sfociate nella sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra il Tribunale e la Commissione Nazionale per il diritto di asilo e le Commissioni Territoriali, la Scuola Superiore della Magistratura e la Direzione Generale SIA (il c.d. progetto E-Migrantes), hanno inteso supplire alle criticità emerse nella trattazione dei ricorsi, vale a dire:


1) la carenza di informazioni sul migrante richiedente (a cui può supplirsi con l’accesso alle banche dati degli organismi internazionali);


2) la mancata costituzione in giudizio delle Commissioni Territoriali (la cui assenza priva di un apporto concreto di informazioni sul caso da decidere);


3) la scarsa circolazione delle esperienze giurisprudenziali nazionali e internazionali sul punto e la mancata conoscenza (e applicazione) da parte delle Commissioni Territoriali e degli stessi Tribunali;


4) scarsa incidenza del ruolo del PM, anche a causa della mancata comunicazione telematica dei dati e delle informazioni tra i diversi organi.


Questo protocollo d’intesa ha segnato un primo esempio di risposta dell’Ordinamento al fenomeno sul piano giurisdizionale e, certamente, potrà portare i suoi frutti se generalizzata (come pare sia nelle intenzioni del Ministero della Giustizia e del CSM) a tutto il territorio nazionale, in quanto consentirà di avere a portata di conoscenza del decidente (a partire dalle Commissioni Territoriali sino alle Corti d'appello) e degli altri organismi interessati tutti i dati utili in un circuito interattivo telematico.


Certamente, resta il dato di fatto dell’insufficienza delle forze della magistratura in relazione all’entità dei ricorsi pendenti, e non si potrà certo ridurre alla normalità con i suddetti strumenti l’enorme carico di ricorsi pendenti nei Tribunali e nelle Corti d'appello, tuttavia, è certamente questa la strada corretta in attesa di soluzioni di carattere politico.


Con la speranza che, nelle more, a naufragare non sia anche la giustizia civile.

Autore
Gaetano Amato
Consigliere della Corte d’appello di Reggio Calabria

C’è uno spettro che si aggira per l’Europa, ma, a differenza di quello di ottocentesca memoria, non determina bizzarre alleanze piuttosto crea divisioni politiche, separazioni tra frontiere ormai abbattute e muri divisori tra stati. Questo spettro ha un nome, migranti, ed evoca timori e paure nei governi europei non certo inferiori a quelle create dallo spettro del Manifesto. Gaetano Amato