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Prime riflessioni sul testo unico. Modello di dirigente

di Tommasina Cotroneo - 29 maggio 2017

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In qualsiasi contesto istituzionale la definizione dei criteri con cui sono nominati i dirigenti che svolgono funzioni di carattere direttivo costituisce una dimensione particolarmente significativa, ancorché difficilmente scevra da elementi di dissenso quando non di conflitto, di governance, di politica istituzionale.


Il Testo Unico sul conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi nella magistratura italiana costituisce il tassello mancante di un mosaico che si è andato componendo faticosamente dal momento in cui il legislatore è intervenuto sull’ordinamento giudiziario dopo decenni di congelamento dell’assetto delle norme primarie.


Esso era, pertanto, quanto mai necessario perché completa e suggella l’indispensabilità delle modifiche, già avviate, dovute a una diversa interpretazione del ruolo della magistratura in un assetto democratico.


Pur plaudendo alla nuova creazione normativa e condividendo la filosofia che la anima tesa a una maggiore predeterminazione dei criteri selettivi, la “novità” stimola l’avvio di riflessioni e richiama a una necessaria osservazione degli effetti di medio termine derivati dall’attuazione di essa.


Dall’entrata in vigore della riforma dell’ordinamento giudiziario – cosiddetta Castelli-Mastella – gli incarichi direttivi e semidirettivi divengono temporanei e soprattutto sotto il profilo dei criteri di nomina non più direttamente collegati allo scorrere dell’anzianità di servizio.


È questo passaggio che fa della valutazione un processo decisionale di fondamentale importanza sia per il buon funzionamento del sistema giustizia sia per la legittimazione esterna e interna dell’operato dell’organo di autogoverno e della magistratura in senso lato.


In estrema sintesi, si potrebbe affermare che la messa in opera del Testo Unico è oggi uno dei contesti maggiormente impegnativi, delicati e allo stesso tempo potenzialmente innovativi del governo della magistratura in Italia e la finalità ultima e l’ideale da perseguire si identificano nella necessità ineludibile che gli incarichi semidirettivi e direttivi vengano ricoperti da magistrati che vantino al loro attivo un percorso lungo, credibile ed effettivo di formazione della professionalità, che abbiano preparazione tecnica e siano muniti di cultura generale e di spiccate capacità organizzative e che i candidati nominati siano, tra i candidati, i più adatti a queste o quelle specificità distrettuali.


Il percorso per il raggiungimento di questi obiettivi è, tuttavia, ancora lungo e difficile. Ha portata sistemica lo snodo che raccoglie in sé l’individuazione di quale o quali tipi o ideal-tipi debbano essere premiati, quali siano le ragioni che l’organo di autogoverno può addurre, non per limitare la sua discrezionalità ex ante, ma per renderne leggibile l’esercizio ex post, quali siano i criteri rispetto a cui le diverse componenti della professionalità giudiziaria vanno commisurate e, infine, di quali componenti si voglia tenere conto.


Assolutamente decisivo è che i magistrati possano interfacciarsi con un Testo Unico stabile nel tempo che crei un alto grado di prevedibilità e, dunque, anche di pianificazione dello sviluppo della professionalità.


Ed il punto fondamentale qui, si badi bene, non è la costruzione e la pianificazione della carriera, attraverso la precostituzione di titoli spendibili in funzione di una deriva carrieristica, ma, appunto, l’affermazione e la costruzione nel tempo e con il tempo della professionalità vera, che deve in prima battuta trasparire lealmente e fedelmente nonché rigorosamente, dai rapporti dei capi degli Uffici e, quindi, dai pareri dei Consigli Giudiziari, che avranno, viepiù, in questo tempo un ruolo fondamentale.


Attraverso, poi, l’analisi delle candidature, l’istruzione dei dossier individuali, la comparazione e la decisione il CSM è chiamato a svolgere il compito più oneroso, ma anche quello più significativo. Ed è in ragione dell’importanza e onerosità di questo compito che si fa strada la necessità che gli indicatori siano opportunamente governati e che attenta sia la riflessione sulla concreta individuazione degli indicatori attitudinali generici e specifici e sulla determinazione del rapporto che deve sussistere fra gli stessi.


Si coglie, pertanto, l’assoluta necessità, in ambito di discrezionalità consiliare, di stabilire quale o quali siano i nuclei essenziali degli indicatori e quali le attività che possono essere considerate esemplificative in modo paradigmatico di quell’indicatore specifico.


Starà al CSM, assumendosene la responsabilità istituzionale, ma avendo la possibilità di rendere a posteriori intelligibile la scelta, decidere i nuclei elaborativi degli indicatori e il peso relativo di ciascuno rispetto agli altri e procedere a valutazioni comparate di avvicinamento o allontanamento del candidato rispetto all’essenza dei singoli indicatori.


Passaggio preliminare indispensabile al corretto e ottimale esercizio della valutazione è la piena, effettiva, completa e significativa raccolta di informazioni, è la conoscenza empirica formata secondo criteri che siano funzionali all’utilizzo di tali conoscenze per decidere in materia di nomina. Sarà proprio una leggibile e ragionata gestione della conoscenza che segnerà il raccordo fra il momento della valutazione e quello della nomina. Qui interviene la politica di attuazione del Testo Unico e, quindi, la capacità di governarne la messa in opera.


Vi è, infatti, necessità di dati e di informazioni attinenti alla professionalità dei candidati ai posti direttivi e semidirettivi così come di informazioni attinenti allo stato funzionale degli Uffici giudiziari, essendo il Testo Unico posto ad aprire un legame fra nomina e tipo di ufficio.


A tale riguardo fondamentale è la formazione sia dei capi ufficio, sia dei magistrati ordinari, sia dei componenti del Consiglio giudiziario, sia dei consiglieri del CSM, tutti coinvolti nella redazione dei documenti che sono portatori di conoscenza ai fini delle nomine, i quali tutti devono arrivare a condividere una cultura della valutazione, la consapevolezza che valutare significa scegliere quali dati e quali informazioni trasmettere, scegliere come analizzarli, scegliere a quali dare ordine di priorità, sapere che non esiste automatismo nella valutazione perché valutare significa assegnare “valore”.


È proprio per questo che esiste nel momento in cui il Testo Unico è stato adottato una necessaria agenda che si apre per l’attività di formazione, che si deve esplicare sia in una chiave centrale – quindi nello snodo di collaborazione istituzionale fra CSM e SSM – sia in una chiave decentrata – nelle sedi della formazione distrettuale, vicine alla realtà degli uffici.


Massimizzazione della significatività della conoscenza empirica portata all’attenzione del CSM ed effettivo utilizzo da parte del capo ufficio dei dati di contesto che possono essere valorizzati nei pareri sono condizioni quanto mai necessarie.


Perché la norma si trasformi in una prassi istituzionale virtuosa, sostenibile e durevole è, pertanto, passaggio dirimente una valutazione comparata degli indicatori che a sua volta presuppone una lettura corretta delle informazioni e una significativa messa in relazione di queste con i punti dettagliati e articolati del T.U. In questo senso l’utilizzo di indicatori in chiave dinamica rappresenta forse il terreno di maggiore significatività dell’azione dell’organo di autogoverno nella sua funzione di nomina dei direttivi e dei semidirettivi.


Gli indicatori infatti – se presi uno ad uno – non dettano né legittimano alcun automatismo e nessun indicatore in sé permette di decidere. Ciascun indicatore indica un aspetto che si ritiene cruciale, ma è nell’interdipendenza dei diversi aspetti attraverso i quali si determina la professionalità, nella lettura dinamica, comparata di essi che si esercita quell’azione di interpretazione, cognizione, valorizzazione, visione che è propria dell’organo di autogoverno.


In altri termini, siamo qui dinnanzi a un momento culturale nel quale oltre della capacità di gestire indicatori in cluster e in chiave comparata, dunque, dinamica abbiamo anche necessità di un’individuazione di quali sono gli aspetti della professionalità che incidono sugli altri, quali gli effetti di interdipendenza, quali i modelli e quali le condizioni necessarie di ciascuno di essi.


A tanto si affianca l’importanza dell’informazione. I cittadini devono potere comprendere che nell’arco di qualche anno la magistratura potrebbe avere vissuto una trasformazione radicale e devono potere leggere la politica di valutazione e l’orientamento empirico dell’organo di autogoverno.


Importante, peraltro, potrebbe essere l’istituzione di Gruppi di lavoro con professionalità esterne esperte di valutazione e metodologie quantitative e qualitative, che facciano da supporto al CSM e ai Consigli giudiziari per quanto riguarda l’utilizzo a sistema degli indicatori per permetterne il consolidamento, la standardizzazione e l’istituzionalizzazione.


Solo attraverso una formata, informata, corretta, prevedibile e leggibile ex post azione di attuazione del Testo Unico si legittimerà ab extra e ab intra l’operato del CSM e si giungerà all’accettazione delle decisioni dell’istituzione, alla rispondenza con la realtà empirica, al reale funzionamento del sistema giustizia, al riconoscimento generalizzato da parte del cittadino e della società del CSM come un’istituzione che ascolta e riflette gli accadimenti del mondo della giustizia, all’allontanamento progressivo delle idee diffuse delle nomine quali espressioni di logiche correntizie e di gruppi di potere, alla visione generale e diffusa di queste come valorizzazione del migliore tra noi per quell’incarico.


E il “valore” si dovrebbe assegnare in via prioritaria e prevalente alla professionalità effettiva manifestata sul campo dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali nel tempo e col tempo.


Il percorso deve essere per questo proteso al vaglio rigoroso, obiettivo delle qualità professionali dell’aspirante, dando il giusto risalto alla proficua esperienza giudiziaria che comporta un’idoneità specifica e, con essa, una maggiore legittimazione tra gli aspiranti in uno con l’avvio di una seria riflessione sugli incarichi fuori ruolo, la cui valenza non dovrebbe mai essere pari alla valenza che deriva dall’effettivo e continuo esercizio della funzione giurisdizionale.


Seguendo, infine, le direttrici segnalate, si ritiene che possa essere massima espressione e garanzia di rispetto dei principi costituzionali dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, portato ultimo del processo vero di autoriforma di quest’ultima, della trasparenza delle scelte e delle decisioni, della democraticità e formazione partecipata di queste, della professionalità e dell’Etica che dalla prima non può andar disgiunta, esempio paradigmatico di quel che serve per il funzionamento del servizio Giustizia e per l’amministrazione di questa, espressione alta della dignità della funzione giudiziaria un modello di Dirigente che:


»nell’esercizio indipendente e imparziale della funzione e in un processo di maturazione da sempre avviato e destinato a concludersi mai abbia legittimato se stesso e nell’applicazione delle regole secondo criteri di ragione e con il coraggio nell’affrontare i mutamenti del diritto in una società in continua evoluzione e la capacità di avvicinare il diritto alla giustizia abbia contribuito a restituire credibilità e legittimazione democratica all’esercizio della funzione giudiziaria;


»dall’esercizio onorevole delle funzioni si sia aspettato, per quanto riguarda il lavoro e la propria vita pubblica, ogni motivo di gratificazione;


»vanti patrimonio valoriale umano e sappia sempre coltivare (insieme alla responsabilità, alla saggezza, al coraggio e naturalmente alla giustizia) l’umiltà che implica il vero spirito di servizio e sola può evitare il pericolo di trasferire l’attiva generosità di impegno del singolo in una sorta di identificazione della propria persona e della propria affermazione con il bene comune;


»abbia il coraggio delle proprie decisioni e sia esercitato all’assunzione delle responsabilità e non tragga forza trincerandosi in soluzioni condivise e gestioni partecipate non sempre e in ogni momento praticabili;


»abbia compiuta formazione in ambito di ordinamento giudiziario e conoscenza puntuale della normazione anche secondaria e garantisca trasparenza nelle scelte ed effettività di contraddittorio, anche attraverso la tempestività e l’effettività vera delle comunicazioni, e motivazione adeguata di tutti i provvedimenti organizzativi;


»monitori senza soluzione di continuità la situazione concreta dell’Ufficio al fine di cogliere tempestivamente segnali di sofferenza del singolo magistrato e intervenire per evitare che questi segnali si trasformino in sofferenza conclamata stimolando e favorendo il dialogo e il confronto leali e costanti con i singoli, che con scrupolo si impegnano nell’esercizio delle funzioni, e ricorrendo ad atteggiamenti intransigenti solo nei confronti di coloro che dimostrino abulia, indifferenza, superficialità, sciatteria e trascuranza;


»eserciti controllo e garantisca equilibrio sostanziale nella distribuzione dei carichi;


»valuti in maniera rigorosa ed effettiva la professionalità dei magistrati, sulla quale esclusivamente si fonda la loro legittimazione, e avverta forte il peso della responsabilità nel rendere valutazioni trasparenti in grado di tener conto sia della quantità sia della qualità del lavoro giudiziario e perfettamente aderenti alla capacità del singolo valutando e veramente espressive di questa; 


»nello svolgimento dell’incarico manifesti imparzialità e distanza nell’essere e nell’apparire da ogni appartenenza correntizia e allontani ogni possibile interferenza, che non sia squisitamente ideale e culturale, tra quest’ultima e il primo;


»assicuri massima trasparenza, assoluta equidistanza e piena aderenza ai criteri e ai principi in materia nell’attribuzione ai colleghi delle deleghe organizzative, nella scelta dei coordinatori di fatto di settori o sezioni, nella scelta dei partecipi ai progetti affinché queste prerogative officiose non sottendano oblique manovre strumentali alla formazione di carriere dei singoli, magari favorite da motivazioni di appartenenza correntizia;


»abbia l’autorevolezza, che solo può derivargli dalla riconosciuta capacità professionale e organizzativa, e in forza di questa sappia stimolare ed entusiasmare i singoli magistrati, allontanando da loro il pericolo della prigione culturale dell’impiegatismo e rinvigorendo in loro la passione e la spinta ideale, vere direttrici di marcia del percorso che conduce ai magistrati illuminati, con la forza dell’esempio, con la forza dell’imparzialità e della equanimità ed esaltando e valorizzando le specifiche attitudini;


»per l’eventuale conferma nell’incarico o per la nomina ad altro incarico egli tragga legittimazione dall’effettività dei risultati ottenuti, intesi prima singolarmente e, quindi, nella loro totalità e valutati con estremo rigore dall’Organo di autogoverno, e tragga validazione il suo operato anche dalla manifestata capacità di avere indotto nei singoli la volontà appassionata di permanenza in quell’Ufficio e al converso che l’esodo non fisiologico da questo, al netto delle difficoltà e dei particolari carichi lavorativi del contesto, rappresenti il sintomo leggibile e valutabile della sua cattiva Dirigenza;


»sappia gestire e risolvere i conflitti con determinazione, autorevolezza, pacatezza non disgiunte da rigore e fermezza;


»presti massima attenzione al rispetto dell’Etica e monitori con accanimento ogni condotta che ne opacizzi o pare ne opacizzi i principi, intervenendo con immediatezza e rigore e che prima ancora abbia fatto lui stesso dell’Etica connotato intrinseco della sua professionalità.

Autore
Tommasina Cotroneo
Componente del CDC dell’ANM

In qualsiasi contesto istituzionale la definizione dei criteri con cui sono nominati i dirigenti che svolgono funzioni di carattere direttivo costituisce una dimensione particolarmente significativa, ancorché difficilmente scevra da elementi di dissenso quando non di conflitto, di governance, di politica istituzionale. Tommasina Cotroneo