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Informatica e organizzazione degli uffici giudiziari nel settore penale

di Gaetano Brusa - 29 maggio 2017

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L’introduzione delle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni nel processo penale è un fatto inevitabile, che ha già avuto avvio con le notifiche telematiche e con la diffusione in tutti gli Uffici giudiziari del Paese del nuovo sistema informativo della cognizione penale (SICP) e dei suoi applicativi Atti e Documenti e Consolle, che hanno purtroppo rivelato grandi inadeguatezze, nonché del gestore documentale denominato TIAP.


Parlare tuttavia di Processo Penale Telematico è altra cosa, poiché significa in primo luogo passare dal documento analogico a quello nativo digitale e quindi alla firma digitale, quale standard nella gestione dei documenti del processo penale, nonché alla trasmissione telematica degli atti per tutte le notificazioni e comunicazioni, senza duplicazioni delle attività dell’ufficio.


Al di là di interventi normativi isolati, quali quello sulle notifiche telematiche, l’avvio del Processo Penale Telematico presuppone una disciplina normativa organica e dettagliata, che in ragione della specificità della materia risponda a criteri di chiarezza e si presti al contempo a disciplinare situazioni che siano espressione degli sviluppi della tecnologia, senza che siano necessari continui interventi di aggiornamento normativo.


Che sia necessaria una disciplina organica, lo si ricava dagli sforzi che ha fatto la giurisprudenza per adeguare le normativa vigente agli sviluppi della tecnologia.


Sono così dovute intervenire le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza del 27.3.14 n. 40186, per risolvere il contrasto giurisprudenziale insorto in merito all’utilizzo del telefax per la trasmissione alla cancelleria della dichiarazione del difensore di adesione all’astensione proclamata dagli organismi rappresentativi della categoria, affermando che la soluzione positiva si fonda, oltre che sull’interpretazione letterale dell’art. 3 del codice di autoregolamentazione, anche su di un’interpretazione adeguatrice e sistematica, più rispondente all’evoluzione del sistema delle comunicazioni e notifiche, oltre che alle esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole durata del processo.


Ed oggi si pone analoga questione in ordine alla possibilità di utilizzo della Posta Elettronica Certificata (PEC) per la trasmissione di atti e istanze alla cancelleria da parte della difesa.


Questione in merito alla quale è insorto conflitto di giurisprudenza la cui soluzione è stata rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza della Corte di Cassazione del 27.10.16, che ha prospettato l’utilizzabilità di tale strumento alla luce di un’interpretazione fondata sulle disposizioni contenute nel Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) e successive disposizioni in materia di notifiche telematiche, che tenga conto delle esigenze di svincolarsi da schemi formalistici e sia più rispondente all’evoluzione del sistema delle comunicazioni e notifiche.


Viceversa, la sentenza della Suprema Corte n. 18235 del 28.1.15 rappresenta l’orientamento negativo dominante e che sintetizza lo stato dell’arte della disciplina per quanto attiene la trasmissione dell’istanza del difensore a mezzo PEC.


Orientamento secondo il quale alla parte privata, nel processo penale, non è consentito l’uso di tale mezzo informatico di trasmissione, quale forma di comunicazione e/o notificazione, nel senso che l’utilizzo della PEC è stato consentito, ma a partire dal 15/12/2014, solo per le notificazioni per via telematica da parte delle cancellerie nei procedimenti penali a persona diversa dall’imputato - a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 2 bis, artt. 149 e 150 c.p.p., e art. 151 c.p.p., comma 2 (l. n. 228 del 2012 (art. 1 comma 19); d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, commi 9 e 10).


Allo stato, la forma della notifica via PEC è deputata a sostituire forme derogatorie dell’ordinario regime delle notifiche, ponendosi come alternativa privilegiata rispetto alle comunicazioni telefoniche, telematiche e via telefax attualmente consentite in casi determinati e nei confronti di specifiche categorie di destinatari. Si tratta:


- delle comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art.151c.p.p.;


- delle notificazioni e degli avvisi ai difensori disposti dall’Autorità giudiziaria (giudice o pubblico ministero), «con mezzi tecnici idonei», secondo il dettato dell’art. 148 c.p.p., comma 2 bis;


- degli avvisi e delle convocazioni urgenti disposte dal giudice nei confronti di persona diversa dall’imputato, per le quali è stata finora consentita la notifica a mezzo del telefono confermata da telegramma (ovvero, in caso di impossibilità, mediante mera comunicazione telegrafica dell’estratto), da eseguirsi ai recapiti corrispondenti ai luoghi di cui all’art. 157, commi primo e secondo e nei confronti del destinatario o di suo convivente (art. 149 c.p.p.);


- le notificazioni di altri atti disposte dal giudice sempre nei confronti di persona diversa dall’imputato, mediante l’impiego di mezzi tecnici che garantiscano la conoscenza dell’atto (art. 150 c.p.p.).


È questo un tentativo della Corte di mettere ordine in una materia che non trova agevole soluzione nel tessuto delle leggi vigenti e risente del vuoto normativo.


Come detto, gli interventi del Legislatore penale nella materia informatica sono isolati.


Oltre e prima ancora della disciplina delle notifiche telematiche, il Legislatore è intervenuto in materia di documento digitale, che è stato fatto oggetto di analisi da parte della giurisprudenza penale, in una sentenza della Suprema Corte di Cassazione (n. 8442 del 4.12.13) che, pur affrontando la questione in materia di intercettazioni, ha operato una ricostruzione storica ragionata della definizione di documento informatico, evidenziando la formazione progressiva del concetto, a partire dalla legge 23 dicembre 1993 n. 547 in tema di criminalità informatica, che forniva una prima definizione di documento informatico all’art. 491 bis, chiarendo che come tale si deve intendere «...qualunque supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria...etc.».


Da questa definizione, in cui il documento aveva – all’epoca – ancora una consistenza corporale e si identificava comunque con una res extensa, in quanto il Legislatore, evidentemente, riteneva di non poter tutelare il contenuto, senza tutelare il contenitore, vale a dire, appunto, il supporto materiale che incorpora il documento, si è passati dapprima con il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) e poi con la l. 18 marzo 2008, n. 48, esecutiva della convenzione di Budapest (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, sottoscritta a Budapest il 23 novembre 2001) a identificare il documento informatico non più – come una volta – con il suo supporto, ma col dato in esso contenuto e quindi a una definizione di documento immateriale, che non si identifica in un oggetto fisico, non in una copia, una riproduzione, una trasposizione virtuale di un documento materiale, ma costituisce un documento in sé, con lo scopo di assicurare la certezza e l’affidabilità dei dati informatici relativi ai rapporti giuridici.


In sostanza, si è evidenziato come il processo di smaterializzazione del documento sia ormai in atto e progredisca rapidamente e che il Legislatore ha ormai delineato compiutamente il concetto di “documento informatico”, non solo presupponendone l’esistenza, ma anche la sua “cittadinanza” nell’intero universo giuridico.


È dunque evidente quanto l’informatica entri nel processo penale spiegando effetti di grande rilevanza sul piano sostanziale e processuale e, con riferimento a questo secondo profilo, anche organizzativo.


Non solo, ma viene a incidere anche sulle modalità di svolgimento dell’attività del giudice, avvicinandosi al delicatissimo confine della funzione giurisdizionale, non tanto nei suoi primari contenuti, ma con riferimento alle altrettanto rilevanti modalità gestionali.


Una prima conclusione che si può trarre è pertanto che per evitare alcuni errori di strategia complessiva verificatisi in sede di attuazione del Processo Civile Telematico sia necessario, non solo un intervento del Legislatore, ma anche che gli interventi del Ministero siano preceduti da una profonda riflessione sulla funzione dell’informatizzazione nel processo penale e sulle finalità dell’intervento, rifuggendo da semplificazioni efficientiste, poiché l’obiettivo di migliorare in maniera sostanziale l’efficienza del servizio giustizia significa confrontarsi con i molteplici diritti fondamentali che sono coinvolti nel processo penale.


L’obiettivo di ogni intervento, normativo, di organizzazione e tecnico, deve pertanto tenere conto, quale inevitabile riferimento, del modello del giusto processo delineato dal sistema costituzionale e in particolare dagli artt. 111 e 112 della Costituzione.


L’informatizzazione deve dunque inserirsi in questo contesto, in cui è la tecnica a dover seguire il modello normativo del processo e non viceversa. Ruolo chiave è pertanto quello del Ministero, che, chiamato a sincronizzare gli applicativi, ad assicurare la qualità del dato e a generare sistemi capaci di elaborare informazioni per gestire le attività processuali e assicurare un servizio migliore, viene ad assumere una responsabilità che muta radicalmente il suo ruolo, facendolo diventare determinante e dandogli un’interessenza con l’attività giudiziaria senza precedenti.


In questa ottica si inserisce anche l’esigenza di avere un unico sistema operativo nazionale con possibilità di dialogo e di interscambio dei dati. Obiettivo che non può ad oggi dirsi raggiunto con il registro della cognizione penale (SICP), che ha presentato per tutti gli Uffici, dapprima, plurime difficoltà ricollegabili alla migrazione, poi la lentezza e macchinosità nell’esecuzione di alcune funzioni, oltre alla mancata integrazione con gli altri applicativi e con un unico archivio documentale e l’inadeguatezza di Consolle e di Atti e Documenti.


Accanto a queste difficoltà, si registra poi la carenza nella formazione e nell’assistenza. Va sottolineato che l’informatizzazione dei processi giudiziari, poiché impone una nuova riflessione in ordine al complessivo esercizio della giurisdizione che può risultare profondamente condizionato dalle scelte e dagli obiettivi programmati dal Ministero, rende necessario ricercare un nuovo equilibrio attraverso la garanzia di una massima trasparenza, che consenta di conoscere tempestivamente il progetto strategico complessivo del Ministero, per un’effettiva partecipazione della magistratura alle scelte che in questo settore incidono profondamente sul ruolo del giudice, sul concreto esercizio della giurisdizione e sulla complessiva risposta di giustizia per i cittadini, con effetti, quantomeno mediati, sui profili di autonomia della funzione giurisdizionale.


L’informatizzazione deve inserirsi pertanto in un progetto che deve avere quale stella polare il miglioramento della qualità della giurisdizione penale, cioè aiutare gli Uffici giudiziari a gestire e programmare le attività processuali e dunque assicurare un servizio migliore e in grado di creare le migliori condizioni per la concretizzazione del giusto processo.


L’obiettivo è dunque la qualità e la quantità della giurisdizione e la riduzione dei tempi del processo ne saranno conseguenza. L’inversione di questi termini, per contro, rivelerebbe tutta la miopia di un progetto pensato esclusivamente nell’ottica efficientista.


Sul fronte degli Uffici giudiziari, poiché le scelte relative alla gestione dei servizi informatizzati, armonizzate con le esigenze appena delineate, hanno dunque un grande impatto sull’organizzazione degli uffici, questo comporta che i capi degli Uffici giudiziari non possono non confrontarsi con le strutture che il CSM mette loro a disposizione per acquisire conoscenze dei sistemi in uso per la gestione del flusso di dati relativi al processo e le capacità degli applicativi informatizzati.


Assume inoltre rilievo l’attività di raccordo della magistratura con gli Uffici di Polizia giudiziaria per gestire i flussi informativi che provengono da tale autorità tramite gli applicativi messi a disposizione delle Procure, quali il portale delle notizie di reato, sino all’interoperabilità tra i sistemi per consentire lo scambio informativo tra Uffici giudiziari.


In definitiva, il Processo Penale Telematico potrà dunque rappresentare uno strumento utile per rendere maggiormente efficiente il servizio giustizia, non solo se i nodi evidenziati troveranno la miglior soluzione, mediante l’adozione di applicativi amichevoli, ma anche se verranno potenziate le strutture deputate alla gestione tecnica dell’informatizzazione, ovvero i CISIA, fornendo un servizio di assistenza adeguato e tempestivo, in grado di dare risposte esaurienti e solerti alle esigenze della giustizia e quindi al lavoro del giudice e delle cancellerie.


Dovrà inoltre essere strutturata una seria formazione sia per il personale amministrativo che di magistratura, avviandoli all’uso dei sistemi informativi senza lacune. Si tratta di operare un ulteriore sforzo, rispetto a quanto fatto sin’ora, per realizzare delle attività, formative e informative, indispensabili per divulgare la conoscenza delle potenzialità dei nuovi sistemi e facilitarne il pieno utilizzo.

Autore
Gaetano Brusa
Magistrato Referente Informatico – Milano

L’informatizzazione deve inserirsi in un progetto che deve avere quale stella polare il miglioramento della qualità della giurisdizione penale, cioè aiutare gli Uffici giudiziari a gestire e programmare le attività processuali e dunque assicurare un servizio migliore e in grado di creare le migliori condizioni per la concretizzazione del giusto processo. Gaetano Brusa