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dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.
    

22 ottobre 2017

La mozione finale del 33º Congresso dell'Associazione Nazionale Magistrati

33º Congresso nazionale ANM


Mozione finale 33° Congresso nazionale dell'ANM

 


XXXIII CONGRESSO NAZIONALE – DOCUMENTO FINALE


A dieci anni dalla riforma dell'ordinamento giudiziario l'associazione ha voluto interrogarsi sul modello di magistrato e di giurisdizione che è stato creato e su cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato nel nuovo assetto.


In via preliminare occorre un radicale ripensamento degli attuali canali di accessi in magistratura attraverso il ritorno al concorso di primo grado e il potenziamento della formazione iniziale.


Non appare condivisibile la proposta - di compromesso - di un canale diretto di accesso al concorso destinato solo ai laureati “cosiddetti” più brillanti, ovvero che abbiano riportato una media particolarmente alta agli esami e un voto complessivo finale di laurea non inferiore a 108/110.


Il rischio è di iniquità, privilegiando coloro che hanno conseguito il titolo in facoltà meno qualificate e favorendo al contempo un negativo meccanismo di incentivo alle iscrizioni in università non intransigenti, con un effetto emulativo al ribasso e un'ulteriore perdita di qualità dei laureati, ivi compresi quelli che poi accederanno al concorso in magistratura.


La successiva formazione di cui al tirocinio di legge deve essere poi improntata non solo all'apprendimento di nozioni tecnico giuridiche, ma deve essere aperta ai diversi “saperi” extragiuridici, avere un respiro più ampio dal punto di vista culturale, ed essere capace di cogliere i mutamenti della società civile per interpretarli.


Nell'affermare la necessità che il tirocinio preveda un congruo periodo presso la Scuola Superiore della Magistratura, l'A.N.M. individua tra le nuove frontiere della formazione quella della comunicazione, interna ed esterna al processo, e la preparazione dei magistrati onorari. Ritiene che l'associazionismo giudiziario rafforzi il percorso di formazione del magistrato, sempre più coinvolto nell'autogoverno diffuso, sempre più consapevole del proprio ruolo e sempre più attento alle istanze provenienti dalla società civile.


La nuova disciplina ordinamentale inaugurata dieci anni addietro ha avuto certamente il pregio di superare l'anacronistico sistema interno di promozioni automatiche introducendo, in sostituzione, una vera e propria cultura della valutazione del merito. Questa valutazione, per essere effettiva, richiede una maggiore centralità e una maggiore efficacia di intervento dei consigli giudiziari, ma la necessità di miglioramento non può passare attraverso il coinvolgimento formale e sistematico degli avvocati, ai quali chiediamo anche di accantonare temi particolari e corporativi come la separazione delle carriere e la discrezionalità dell'azione penale, rendendosi piuttosto disponibili a un confronto dal quale scaturiscano proposte di riforme condivise.


Avvocatura e magistratura, se unite nel proporre interventi di modifica legislativa, possono esercitare una forza di convincimento adeguata all'avvio di un serio percorso riformista.


Una giustizia più efficiente restituisce fiducia, legittimazione e prestigio a entrambe le categorie, e a questo fine vanno rivolte le migliori energie.


Riporre fiducia nella giurisdizione esige tuttavia che essa sia adeguata nei tempi e che sia di qualità, ma questo risultato è condizionato dalle risorse di bilancio destinate al sistema.


Secondo il rapporto CEPEJ la giustizia nel nostro Paese conta su risorse finanziarie ed umane incongrue a fronte di una crescente domanda di giustizia.


E' necessario che la apprezzabile recente linea intrapresa dal Governo sugli investimenti prosegua e si rafforzi, poiché una giustizia efficiente alimenta l'affidamento del cittadino nello Stato, attira gli investimenti e genera benessere.


Le riforme a costo zero devono essere definitivamente abbandonate.

La A.N.M. in ordine alla legge di riforma della magistratura onoraria consapevole dei rischi di ricadute sulla giurisdizione e la sua efficienza, conferma la propria disponibilità a proseguire il dialogo e il confronto affinché alcune modalità di attuazione della legge delega vengano rimeditate e corrette nello spazio che la stessa legge consente.


E' necessario dunque un impegno condiviso non solo dalla magistratura e dall'avvocatura ma anche dalla politica, affinché ciascuno, nell'ambito delle rispettive competenze, si faccia promotore di proposte sui grandi temi ancora aperti nel settore civile, penale e delle impugnazioni, al comune scopo di restituire dignità al sistema giustizia.


Il magistrato per proprio conto deve rivolgere sempre più attenzione all'autorganizzazione e all'organizzazione, nella consapevolezza che, in tempi di scarse potenzialità, occorre impiegare nel modo più razionale e funzionale possibile le risorse disponibili.


Il culto dell'efficienza non deve però portare alla burocratizzazione dell'attività giurisdizionale, che richiede riflessione e ponderazione, al fine di garantire una adeguata qualità della giurisdizione.


Ciò riveste particolare importanza con riferimento alla Corte di Cassazione, che rischia di attenuare il suo fondamentale ruolo di indirizzo giurisprudenziale sotto un carico di lavoro esorbitante.


La fiducia nella giustizia è minata anche dalla perenne conflittualità tra magistratura e politica, che genera una dannosa delegittimazione. Soltanto l'interruzione del precipitarsi di accuse e strumentalizzazioni potrà restituire alla opinione pubblica due fondamentali riferimenti democratici di ogni Stato di diritto, soprattutto nell'attuale processo sociale di emersione e riconoscimento dei c.d. nuovi diritti, in cui occorre un intervento legislativo che possa orientare i cittadini e la giurisdizione. Da troppo tempo il giudice svolge un ruolo di supplenza per il vuoto legislativo su temi che toccano la vita del cittadino, ruolo che non gli compete e che lo sovraespone.


In tale contesto l'impegno della magistratura associata è solo quello di saper proporre momenti di confronto e di riflessione aperti all'accademia, alla scienza ed alla società civile.


Il contenzioso collegato alle nomine dei vertici degli uffici giudiziari e la crescente percezione di insofferenza dei magistrati nei confronti dell'esercizio concreto delle funzioni discrezionali di autogoverno determinano la necessità di partecipare ad un costruttivo dibattito pubblico con proposte di cambiamento, senza mai tuttavia cedere alla seduzione di semplificazioni che possano mettere in dubbio l'ineliminabile ruolo del CSM di garanzia delle indipendenza e della autonomia dei magistrati.


Il tema della dirigenza è poi fortemente connesso con la questione di genere. La componente femminile è ormai preponderante, ma i dati relativi all'accesso delle donne alla dirigenza degli uffici, sebbene in crescita, non appare ancora proporzionata.


Occorre dunque lavorare - tutti insieme - nella comune volontà di indirizzare la discrezionalità di cui il Consiglio è titolare in termini di maggiore prevedibilità, trasparenza e comprensibilità delle scelte, recuperando appieno l'indispensabile rapporto di fiducia con la base dei colleghi.


Poco più di dieci fa è stato anche modificato l'art. 2, comma 2, del R.D.Lgs. n. 511/46 (Dlgs n.109/2006). Il procedimento, di tipo amministrativo, per incompatibilità ambientale e/o funzionale rappresenta una delle problematiche più delicate, in quanto esso deroga al principio costituzionale dell'inamovibilità dei magistrato, il cui trasferimento di ufficio non solo incide sulla sua vita personale, ma descrive la reale effettività dei principi di autonomia e indipendenza.


Ancora oggi esistono carenze di tutela. Appare quindi necessario definire attentamente tale prerogativa del CSM, evitando il rischio di superamento dei suddetti principi costituzionali e garantendo al magistrato i fondamentali diritti di difesa.


Il nuovo assetto degli uffici requirenti disegnato dal D.l.vo 106/2006 ha accentuato il carattere gerarchico del ruolo del Procuratore della Repubblica attribuendogli la titolarità esclusiva dell'azione penale”. La legge n. 269/2006 ha opportunamente soppresso l'inciso per cui il Procuratore doveva esercitare tale prerogativa costituzionale, oltre che “nei modi e nei termini fissati dalla Legge”, “sotto la propria (esclusiva) responsabilità”, con ciò potendosi affermare che la responsabilità nell'esercizio dell'azione penale ha riacquistato la sua valenza di “potere diffuso” mediante l' “assegnazione” del procedimento al sostituto. Il passaggio dalla nozione di “delega” a quella di “assegnazione” ha ricondotto la riforma dell' ordinamento giudiziario nell' alveo della Costituzione.


L'A.N.M. ha però da sempre auspicato il pieno inserimento degli uffici di Procura nel circuito dell'auto governo e ciò nonostante l'intervenuta abrogazione dell'art. 7 ter del R.D. N.12/1941, che rimetteva al Consiglio Superiore della magistratura la determinazione dei criteri generali per l'organizzazione degli Uffici del Pubblico Ministero e per l'eventuale ripartizione di essi in gruppi di lavoro.


La tutela dell'autonomia di ciascun sostituto e la necessità di assicurare il buon andamento dell'ufficio secondo la formula dell'articolo 97 della Costituzione richiedono che il C.S.M. svolga un ruolo di indirizzo quale organo di vertice dell'organizzazione di tutti gli uffici giudiziari.


Alla luce delle delibere del CSM del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009, e secondo la interpretazione costituzionalmente orientata del ruolo del Procuratore di cui le suddette delibere sono chiara espressione, deve ritenersi che il fulcro dei poteri gerarchici del Capo dell' Ufficio si incentri nell'esercizio di “poteri organizzativi”, ovvero si caratterizzi in termini di “gerarchia organizzativa”. Il Procuratore potrà-dovrà cioè esprimere un pregnante potere di indirizzo unitario che valga ad assicurare l' esercizio dell'azione penale in modo puntuale e uniforme. Tali poteri di indirizzo si traducono in un correlativo e leale dovere di informativa da parte dei sostituti, funzionale a consentire al Procuratore la verifica circa la puntuale attuazione dei criteri organizzativi dettati.


La c.d. gerarchizzazione delle Procure deve peraltro essere analizzata in stretta connessione con il Testo Unico sulla Dirigenza, poiché nella misura in cui il Consiglio Superiore della Magistratura saprà selezionare una classe dirigente all'altezza del delicato compito che l'aspetta, tale conformazione degli Uffici Inquirenti potrà essere pienamente riassorbita nel quadro costituzionale, divenendone una risorsa.


Da questo punto di vista acquisiscono una importanza fondamentale i pareri di idoneità alle funzioni direttive e le valutazioni sul quadriennio svolto dal dirigente. Più incisive, attente, concrete sapranno essere le suddette valutazioni, più l'autoriforma della magistratura saprà produrre una classe dirigente all'altezza delle aspettative.


La revoca dell' assegnazione in tale ottica deve porsi come la “extrema ratio” determinata dalla violazione da parte del magistrato assegnatario del fascicolo dei “criteri generali” pre-individuati per la trattazione di affari omogenei nell' ambito del progetto organizzativo, ed eventualmente specificati in relazione ad un determinato procedimento, quale indicazione di dettaglio di una direttiva a carattere generale.


L'adozione di sequenze procedimentali nella formazione dei progetti organizzativi e nella stessa adozione delle opzioni giurisdizionali più pregnanti, mediante il preventivo coinvolgimento di tutti i magistrati dell'Ufficio, potrà prevenire i conflitti, stemperare le tensioni, al tempo stesso isolando i protagonismi e le distonie personalistiche, assicurando l'uniformità dell'esercizio dell'azione penale, unico contenuto costituzionalmente legittimo della nuova e specifica disciplina degli uffici del Pubblico Ministero.


Particolare attualità e urgenza riveste la necessità di dotare le sedi degli uffici giudiziari delle misure necessarie a prevenire il rischio di accessi incontrollati con conseguenti aggressioni agli operatori in servizio. Il deficit di sorveglianza è legato a carenze strutturali e la protezione interna agli edifici è in molti casi insufficiente. I tribunali non sono luoghi pubblici come altri, perché in essi l'animosità, la litigiosità, i motivi di rancore e di scontro possono raggiungere livelli altissimi.


I recenti, gravissimi, fatti di Perugia costituiscono solo l'ultimo caso di cronaca che si aggiunge a tanti altri, e tutto ciò si innesta, purtroppo, in una irresponsabile campagna anti - magistrati, condotta da tempo e che deve cessare.


L'associazione Nazionale Magistrati rivendica il proprio ruolo quale custode dei valori professionali dell'autonomia e dell'indipendenza, luogo culturale dove si costruisce l'identità del magistrato oltre la stretta dimensione del tecnicismo professionale, dove si praticano il dialogo e il confronto, quali antidoti alla solitudine autoreferenziale che caratterizza la maggior parte delle funzioni. Il luogo, infine, dove si apprende nel modo più corretto l'esatto ambito del ruolo sociale del magistrato, aperto al dialogo esterno in modo sempre composto e ponderato, rispettoso dell'immagine di terzietà che è sempre chiamato ad esprimere.


Invitiamo le giovani generazioni di magistrati ad assumere un compito attivo e partecipe nelle articolazioni dell'ANM al fine di contribuire, anche per il futuro, alla conservazione di una magistratura consapevole della propria funzione.


Siena, 22 ottobre 2017



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