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24 gennaio 2018

Albamonte, un'Agenzia contro le fake news

Il passo della polizia non basta per risolvere il problema


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“Sulle fake news il passo della polizia di certo non basta per risolvere il problema”. Dice così Eugenio Albamonte, presidente dell'Anm, pm a Roma da anni impegnato nelle inchieste sulla criminalità informatica e sulle dinamiche del web. Un contributo importante e autorevole il suo mentre il caso delle fake news - per lo più irrisolvibile - continua a tenere banco.


Cosa non la convince nell'iniziativa di Minniti e Gabrielli?


“Innanzitutto ci dobbiamo intendere su che cosa le fake news, che possono essere molto pericolose durante una campagna elettorale com'è già accaduto negli Usa, ma in realtà producono danni non meno gravi quando si riferiscono a temi come quelli della salute, piuttosto che dell'economia e della stessa cultura. Rispetto a questi ambiti le competenze della polizia certamente non bastano”.


Lei dice così perché rivendica un ruolo della magistratura per diradare il terreno delle false notizie?

“Prim'ancora dei giudici e della polizia è necessario un impegno delle istituzioni culturali e scientifiche e del mondo dell'informazione. La magistratura può intervenire solo se e quando si scoprono i primi responsabili della diffusione della notizia falsa, sempre che questa configuri un reato. Ma molto spesso non si trovano e non sempre ogni notizia falsa contiene una diffamazione o è punibile come procurato allarme”.


Per capirci facciamo un caso concreto. Come si può individuare e contrastare una notizia falsa?

“C'è una sola strada, contrapporre una notizia vera a una evidentemente non vera. Per farlo è necessario in primo luogo un monitoraggio del web, e qui ben vengano anche le segnalazioni dei cittadini fatte alla polizia, ma è necessario che sulla rete vigilino anche i giornalisti, gli scienziati e tutti i portatori di saperi specialistici. Poi bisogna mettere a disposizione di tutti, in modo comprensibile, la verità. E per ultimo diffonderla in modo capillare su internet nello stesso modo in cui si diffondono le notizie false. E qui è indispensabile l'aiuto di chi gestisce i social network come Facebook e Google”.


Verità è una parola grossa. Chi stabilisce dove sta questa verità?

“Mi spiego con un esempio: se la falsa notizia riguarda la pericolosità di un vaccino sarà il mondo della sanità a doverla verificare e diffondere l'informazione corretta. Se invece attiene a un fenomeno come Blue Whale – la fake news sui suicidi dei minorenni provocati da un presunto gioco online – allora la competenza sarà degli organi di polizia e dei giornalisti, come poi è accaduto. In quel caso i magistrati non sono intervenuti perché la storia dei suicidi era falsa”.


Ma chi l'ha messa sul web non ha commesso un reato?

“La diffusione in rete avviene sempre ad opera di persone che in buona fede ricevono la notizia e la diffondono credendola vera. Più difficile è individuare chi l'ha generata perché nella maggior parte dei casi l'autore riesce a dissimulare la sua identità e le sue tracce su internet. Se individuato certo risponderebbe di un reato, ma il procurato allarme è punito con l'ammenda fino a 516 euro o con l'arresto fino a sei mesi messo nel nulla dalla condizionale”.


Siamo nel pieno di una campagna elettorale, e di certo la polizia ha paura delle fake news. Lei dice che non può essere la sola polizia a ristabilire la verità ed evidenzia la “debolezza” dei reati commessi. Ma allora la lotta alle bugie sul web chi dovrebbe farla?

“Quello che immagino come soluzione, e che si sta realizzando per esempio negli Usa, è la creazione di una vera e propria rete di soggetti pubblici e privati che tenga insieme il mondo universitario, l'informazione, le istituzioni e ovviamente i colossi del web. Una rete che operi in modo coordinato, in relazione alle varie competenze e che abbia una regia unitaria in un'Agenzia o in un'Autorità garante e che, in Italia, potrebbe anche essere una di quelle già esistenti”.



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