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dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

8 febbraio 2019

L'intervento del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede

Evento per i 110 anni dell'ANM


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Centodieci anni dell’Associazione Nazionale Magistrati, Aula Magna – Università La Sapienza di Roma, 8 febbraio 2019, Roma.


Buon pomeriggio a Voi tutti.
Saluto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il Vicepresidente del Consiglio   Superiore della Magistratura, David Ermini, il Magnifico Rettore dell’Università La Sapienza di Roma, Eugenio Gaudio, il Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Francesco Minisci e tutte le autorità civili e militari presenti. Saluto tutti i magistrati presenti oggi e lasciatemi dire che sono davvero onorato di poter prendere parte a questa significativa ricorrenza dei 110 anni di vita dell’Associazione Nazionale Magistrati.


Ci tengo a rivolgere un ringraziamento particolare al Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Francesco Minisci, per la disponibilità, non scontata, da sempre manifestata a dialogare con il Ministero che ho l’onore di rappresentare.
Considero il franco confronto e la sincera volontà di collaborare, pur nella legittima diversità di pensiero e nel rispetto delle diverse funzioni e competenze, il presupposto irrinunciabile per il conseguimento degli obiettivi di efficienza, semplificazione e trasparenza del sistema giustizia inteso come servizio al cittadino.
Se il dialogo inter-istituzionale rappresenta una componente essenziale della vita delle istituzioni, in generale, questo è ancor più vero se parliamo dell’imprescindibile confronto tra i poteri dello Stato.
In questa cornice e con queste premesse, il ruolo dell’ANM è di fondamentale importanza, in quanto espressione delle istanze e dei contributi che i magistrati apportano, una “organizzazione” - come recitava la prima storica Circolare del 1909, dell’allora Associazione generale tra i magistrati d’Italia – che, sin dalle sue origini, è stata intesa come- cito testualmente - “unione di forze”, nel “bisogno di (far) convergere le intensificate energie a mantenere al livello altissimo della sua missione la funzione del giudice”.
Ebbene mi sento di poter dire che, a distanza di 110 anni, queste alte idealità non sono affatto scemate, ma, anzi, si sono radicate ed evolute.
Oggi l’ANM si pone come interlocutore istituzionale autorevole nel panorama ordinamentale e ciò merita particolare rilievo. A tal proposito- voglio citare le sue parole Signor Presidente della Repubblica- rivolte di recente ai giovani magistrati in tirocinio, con quel monito lei ha sottolineato come “fondamentali le dimensioni “dell’ascolto”, del “dialogo” e del “confronto culturale” all’interno dell’ufficio giudiziario e, ancora di più, in tutte le occasioni di elaborazione e approfondimento che la magistratura ha, da tempo, promosso – costantemente - sia in ambito professionale sia in ambito associativo”.
E’ evidente che l’ANM nella sua dimensione storica, rappresenta, non soltanto una sorta di “diario” della magistratura ma anche la memoria dei momenti più importanti del nostro Paese, visti e vissuti attraverso lo sguardo privilegiato di coloro che, tutti i giorni, svolgono la funzione essenziale di calare il diritto nella realtà sociale.
Se io stesso guardo alla mia storia personale, non posso non constatare quanto siano stati fondamentali, già nella mia adolescenza, gli incontri nelle scuole siciliane con magistrati antimafia e con il modello di servitori dello Stato che rappresentavano. Parliamo di un periodo tragico, quello delle stragi, in cui quegli incontri costituivano una prospettiva concreta di legalità e, conseguentemente, di libertà.


Durante questi primi mesi di lavoro ho avuto diversi proficui incontri con le delegazioni dell’ANM aventi ad oggetto, sempre nel rispetto della diversità delle opinioni, le varie problematiche della giustizia italiana.
Un dialogo che è stato esteso, in genere, a tutti gli addetti ai lavori: faccio riferimento alle associazioni che rappresentano l’avvocatura, a tutti i magistrati che, singolarmente o come vertici degli uffici giudiziari che rappresentavano, sono venuti al Ministero a portare il loro contributo di esperienza e di competenza.
Mi fa piacere sottolineare il dialogo istituzionale instaurato sia con il Consiglio Superiore della Magistratura, sia con il Procuratore Cafiero De Raho per quanto riguarda la lotta alle mafie, sia con il Presidente dell’ANAC Raffaele Cantone, con cui c’è stata una proficua collaborazione.


Confermo che questo confronto sarà ancora più assiduo nel corso dei prossimi mesi, in occasione della complessiva revisione del sistema processuale, civile e penale, che ha l’obiettivo di semplificare la giustizia italiana rendendola, non soltanto più efficiente, ma anche più comprensibile, accessibile e credibile agli occhi dei cittadini.
Ed è proprio questo il punto da cui, insieme, dobbiamo partire: la consapevolezza di un allarmante senso di sfiducia dei cittadini nella giustizia italiana e, dunque, nella capacità dello Stato di tutelare i diritti dei consociati.


Come ho già detto in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, c’è un dato che mi preoccupa ma, al contempo, mi spinge a lavorare con sempre maggiore determinazione: 15,6 milioni sono gli italiani (il 30,7% della popolazione adulta) che, secondo il rapporto CENSIS 2018, negli ultimi due anni, hanno rinunciato ad intraprendere un’azione giudiziaria, volta a far valere un diritto, perché sfiduciati e convinti che una giustizia lenta, farraginosa, inutilmente complessa e costosa sia incapace di assicurare una risposta certa e in tempi ragionevoli. E questo, come ho già detto, è addirittura paradossale se si considera che la magistratura e l’avvocatura italiane sono eccellenze a livello internazionale.
Il dato è molto più preoccupante di quello che si può pensare e non può essere liquidato con un generale senso di sfiducia nelle istituzioni: questo dato ci dice che, senza un importante intervento riformatore, la giustizia italiana è destinata inevitabilmente al collasso; e quando parlo di collasso, parlo di un sistema in cui, all’interno di un tribunale o di un palazzo di giustizia, si trovano giudici, avvocati e cancellieri con altissima professionalità ma, ahimè, sono assenti i cittadini perché completamente sfiduciati.
Inutile sottolineare quali siano le gravi conseguenze anche sotto il profilo economico, in termini disincentivanti rispetto agli investimenti, soprattutto degli operatori internazionali.
La domanda è immediata ed è molto semplice: di chi è la colpa?  La risposta, probabilmente, è altrettanto semplice, e cioè: ciascuno ha le proprie responsabilità. Ma ci tengo a dirlo, oggi, in questa sede, che la responsabilità principale è certamente dello Stato, nella misura in cui, nel corso degli ultimi decenni, ha deciso di non investire più nella giustizia. Ciò ha portato a costi inaccettabili affidati a risorse sempre più limitate e all’interno di strutture che versano in condizioni a dir poco fatiscenti come è stato già sottolineato.


RISORSE
L’eccessiva durata dei processi che, a tutt’oggi, costituisce una delle maggiori criticità della giustizia, malgrado l’affermazione di modelli di gestione virtuosi e l’aumento di efficienza registratosi in gran parte degli uffici giudiziari italiani, è chiaramente addebitabile a carenze strutturali che vanno necessariamente colmate e, alle quali non può farsi ragionevolmente fronte, senza un consistente incremento di risorse. Ed è proprio quello che abbiamo iniziato a fare.


Superandosi l’epoca delle riforme a costo zero, nella legge di bilancio, come sapete, è stato predisposto un piano assunzionale straordinario che prevede, dal 2019, il reclutamento di 3000 unità di personale amministrativo giudiziario, l’assunzione dei 360 magistrati vincitori di concorso e sono contento di dire qui, che ho sottoscritto proprio in data odierna, l’approvazione della graduatoria e della conseguente nomina, nonché di ulteriori 600 nuovi magistrati che, per la prima volta dopo quasi vent’anni, andranno ad incrementare nel prossimo triennio, con le relative risorse, la pianta organica, con una previsione in aumento dei fondi nell’area giustizia di oltre 324 milioni di euro rispetto al 2018.
Dopo questa iniezione di risorse, sarà necessaria – come è stato precisato dal Presidente Minisci- un’articolazione della pianta organica che risponda, il più possibile, alle esigenze dei singoli uffici giudiziari territoriali.


EDILIZIA GIUDIZIARIA
Quanto all’edilizia giudiziaria, passata nella competenza del Ministero soltanto nel 2015, il problema non è tanto nei fondi, quanto nell’impossibilità attuale di dare tempestiva risposta rispetto alle richieste di intervento che arrivano dai vertici degli uffici giudiziari i quali, giustamente, rivendicano il loro dovere e il loro diritto di occuparsi della giustizia senza doversi cimentare, costantemente e quotidianamente, in valutazioni tecniche e strutturali che competerebbero ad un ingegnere. E’ nelle mie intenzioni, ed è già allo studio degli uffici del Ministero, la costituzione di un gruppo di tecnici che, sia a livello centrale, sia nei punti strategici di tutto il territorio nazionale, possa prendersi cura, nel breve e nel lungo termine, dell’edilizia giudiziaria.
Sia chiaro. Quello che garantisco qui è un impegno serio ed instancabile per affrontare un problema che non posso pretendere di risolvere in poche settimane. Non lo pretendo io ma chiedo sinceramente, che non lo pretendano nemmeno gli addetti ai lavori: lo dico perché, francamente, ho trovato incomprensibili le critiche rivolte al Ministero in occasione della vicenda di Bari, dove la giustizia era finita nelle tende. Una situazione che il Ministero ha risolto, provvisoriamente ma comunque stabilmente, nell’arco di 5 mesi senza ricorrere ad alcun commissariamento.


Chiaramente, nel rilancio del settore giustizia, l’immagine della magistratura ha un ruolo fondamentale, anche perché, come è evidente, qualsiasi malfunzionamento del sistema giudiziario rischia di essere imputato, nella percezione dei cittadini, ai magistrati.


Secondo un’approfondita indagine, promossa dalla Scuola Superiore della Magistratura nel 2016, il 71,3% dei cittadini intervistati fa risalire la lentezza della giustizia italiana anche all’operato dei magistrati.
Non sono qui- ci tengo a dirlo- per parlare della magistratura ma per rivolgermi alla magistratura.
E devo specificare che come Ministro della Giustizia, organo di “cerniera” – per usare le parole del moderno costituzionalismo - tra la sfera dell’indirizzo politico e la sfera della giurisdizione, nella cifra della sua autonomia ed indipendenza, non posso e non voglio rimanere indifferente a questi dati.
E’ indubbio che, al di là delle già citate criticità strutturali, il canale ordinamentale di dialogo e di reciproco riconoscimento tra magistratura e la società si è alterato: e ci tengo a rivendicare il mio impegno, fin dall’insediamento, a tirare fuori la giustizia dal pantano della ultraventennale polemica politica per darle nuovo respiro.
Sotto questo aspetto, confermo che la mia personale linea ministeriale è stata e continuerà ad essere improntata sulla totale assenza di ingerenza nel lavoro della magistratura. La prima forma di difesa della magistratura, da parte del Ministro della Giustizia, consiste proprio in questo: nel non interferire mai con la funzione giurisdizionale.
Chiaramente, altrettanto importante è l’autonomia della politica nell’adozione delle proprie scelte e, dunque, la necessità che il rispetto sia reciproco.

Per quanto concerne il rapporto tra magistrato e cittadino, ma mi permetto di estendere tra cittadino e uomo dello Stato, mi piace richiamare il pensiero di Calamandrei, il quale riteneva che «il pericolo maggiore che in una democrazia minaccia i giudici e in generale tutti i pubblici funzionari [fosse] il pericolo dell’assuefazione, dell’indifferenza burocratica, dell’irresponsabilità anonima.
Per il burocrate – chiariva – gli uomini cessano di essere persone vive e diventano numeri, cartellini, fascicoli: una “pratica”, come si dice nel linguaggio degli uffici, cioè un incartamento sotto copertina, che racchiude molti fogli protocollati, e in mezzo ad essi un uomo disseccato. Per il burocrate – concludeva Calamandrei – gli affanni dell’uomo vivo che sta in attesa non contano più».


Detto questo, l’errore in cui non possiamo cadere, mi permetto di usare il NOI, è quello di concentrarci esclusivamente sugli aspetti procedurali che, ovviamente, rappresentano soltanto la struttura portante di un edificio all’interno del quale, però, la giustizia, quella sostanziale, deve tornare a riprendere vigore.


Verso questo fondamentale obiettivo si è già indirizzata l’azione del Ministero e cito due leggi in particolare: una, la legge sulla crisi d’impresa e dell’insolvenza e l’altra, la recentissima legge n. 3 del 2019, in tema di anticorruzione.  


Una riforma, quest’ultima, di cui - come sapete- sono molto orgoglioso e con cui lo Stato rivendica il suo ruolo essenziale di garante della legalità; una legge che, ci tengo a specificarlo, si fonda anche sulla fiducia nella magistratura, tanto da ampliarne, nell’ambito di paletti ben definiti, i poteri di indagine e di accertamento dei reati contro la Pubblica Amministrazione.
Non mi dilungo sul contenuto di tale legge, ormai noto anche ai non addetti ai lavori, ma mi preme soffermarmi sul punto della prescrizione.
Non mi sfugge l’elevatissimo numero di critiche che sono state rivolte rispetto a questo intervento, tutte argomentate con un rischio di allungamento dei tempi del processo, in assenza di una organica riforma processuale.
Rispetto tutte queste critiche che però non prendono in considerazione il fatto che il rinvio dell’entrata in vigore di tale norma a gennaio 2020 (con effetti processuali ulteriormente differiti), consente di avere i margini di tempo necessari per quella riforma organica che è già allo studio dei miei uffici.
E collocando la prescrizione nella legge anticorruzione e non nella riforma processuale, c’è la precisa scelta del legislatore di confermare l’autentico aspetto sostanziale della prescrizione stessa, percepita purtroppo dai cittadini come una rinuncia da parte dello Stato al suo dovere di dare una risposta di giustizia.


La lotta per la legalità, la lotta contro le mafie, la lotta contro la corruzione richiede un fronte istituzionale compatto e compatti io vi chiedo di proseguire nella battaglia per la legalità in questo Paese e permettetemi di dire, che questo, servirà per rilanciare ulterirmente l’immagine del nostro Paese all’estero. A tal proposito, trovo che sia incomprensibile la scelta di escludere i canditati magistrati italiani dalla terna che a livello europeo ambirà alla nomina di Procuratore europeo.
Permettetemi poi di porgere un commosso omaggio, anche quale segno di sconfinata riconoscenza, a quei magistrati che nella battaglia per la legalità e la verità hanno perso la vita: le 28 rose spezzate; i 28 magistrati uccisi nell’espletamento dei loro doveri rappresentano per l’intera comunità nazionale un esempio costante di coraggio e integrità. E’ anche al sacrificio di questi leali servitori dello Stato caduti nella lotta al crimine organizzato, alle mafie, al terrorismo e all’illegalità, che tutti noi oggi dobbiamo la nostra libertà e sicurezza.
Abbiamo, pertanto, l’imperativo morale della memoria e della testimonianza, a beneficio soprattutto dei cittadini più giovani, protagonisti del nostro futuro.  Coltiviamo insieme il dovere di non disperdere, anzi di custodire e valorizzare, il sacrificio di tutti coloro che in nome degli ideali di giustizia non ci sono più.
A voi che testimoniate ogni giorno la fedeltà ai valori della Costituzione, va l’apprezzamento e il sostegno per quanto avete fatto e continuerete a fare al servizio dei cittadini.


A voi va anche la rassicurazione che, lavorando insieme, come è mio fermo intendimento, con sinergia e unità d’intenti, potremo vincere la sfida che l’evoluzione storica continuamente pone.
D’altronde, il ruolo di ciascun operatore del diritto è quello di saper leggere nei fatti sociali una moltitudine di domande e di verificare, ciascuno nel proprio ruolo, la capacità del diritto di dare le risposte adeguate.


Grazie e auguri all’Associazione Nazionale Magistrati.



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