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3 giugno 2010

Audizione Commissione Giustizia Camera su Antimafia

L'Associazione Nazionale Magistrati esprime una valutazionepositiva con riferimento all'idea di riordinare il corpus dellenorme antimafia, cresciuto in manieradisordinato.                                                                                     La complessità del testo induce, in questa fase, a svolgere alcuneconsiderazioni di carattere generale focalizzando conseguentementee fatalmente l'attenzione solo su alcune disposizioni e riservandouna più compiuta analisi dell'intero testo  al prosieguo deilavori parlamentari.In particolare alcune considerazioni debbono essere svolte conriferimento al regime differenziato per i reati di criminalitàorganizzata.


AUDIZIONE IN COMMISSIONE
GIUSTIZIA DELLA CAMERA

DEL 5 MAGGIO 2010 SUL DISEGNO DI LEGGE C 3290 GOVERNO RECANTE
IL

"PIANO STRAORDINARIO CONTRO LE MAFIE, NONCHE' LA DELEGA AL GOVERNO
IN MATERIA DI NORMATIVA ANTIMAFIA"





L'Associazione Nazionale Magistrati esprime una valutazione
positiva con riferimento all'idea di riordinare il corpus delle
norme antimafia, cresciuto in maniera disordinato.



La complessità del testo induce, in questa fase, a svolgere
alcune considerazioni di carattere generale focalizzando
conseguentemente e fatalmente l'attenzione solo su alcune
disposizioni e riservando una più compiuta analisi dell'intero
testo  al prosieguo dei lavori parlamentari.

In particolare alcune considerazioni debbono essere svolte
con riferimento al regime differenziato per i reati di criminalità
organizzata.



Sul punto l'art. 1 fa riferimento alla intenzione di "riordino"
e "innovazione" della normativa antimafia, ivi compresa quella già
contenuta all'interno del codice penale e del codice di procedura
penale.

Tale operazione costituirebbe una sorta di completamento di quanto
iniziato nell'estate del 1992, nella costruzione di un
"sottosistema" per la criminalità di stampo mafioso. In quel
frangente la risposta legislativa si articolò su tre distinti
livelli e venne dotata di una certa organicità. A livello
strutturale-organizzativo, sul versante delle procure, vennero
istituite le direzioni distrettuale antimafia operanti presso ogni
corte d'appello e la procura nazionale antimafia; mentre sul
versante della magistratura giudicante si optò per i giudici delle
indagini preliminari distrettuali. A livello di mezzi di ricerca e
tutela delle fonti di prova, si stabilirono  deroghe al regime
ordinario in materia di intercettazioni ambientali e telefoniche, e
di misure cautelari (275 comma 3). A livello di diritto probatorio,
si inserirono norme speciali in tema di circolazione
extraprocessuale degli atti (artt. 190 bis e 238 c.p.p.).



La stessa logica del regime processuale differenziato sembra
ispirare il disegno di legge in esame con riferimento agli artt. 8
e 9.

Ciò accade, innanzitutto, con riguardo alle modalità di assunzione
della prova dichiarativa (art. 8), con una rimodulazione della
disciplina del ricorso alla videoconferenza per l'esame delle
persone ammesse al piano provvisorio di protezione, prevedendone
l'obbligatorietà (fatto salvo il diverso apprezzamento del
giudice), in una prospettiva tendente a rafforzare i meccanismi
pensati per evitare l'inquinamento delle fonti di prova e di tutela
della persona chiamata a riferire su fatti di una certa gravità
anche in epoca successiva alla deposizione.

Ed anche sul piano strutturale-organizzativo è da condividere
l'indicazione dell'art. 9 tendente a favorire lo scambio
informativo e a razionalizzare l'azione investigativa per
l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale.



Naturalmente, sempre con riguardo ai propositi espressi
nell'art. 1, non può non rilevarsi come la creazione di
sotto-sistemi dotati di logiche autonome ed organiche secondo una
parte consistente della dottrina costituirebbe un ostacolo alla
coerenza logico-sistematica dell'ordinamento.

La previsione di uno "statuto processuale differenziato"
strettamente connesso  alla scelta (di una delle parti, ossia
il pubblico ministero) di un determinato modulo incriminatorio
viene considerata foriero di "schizofrenie processuali", idonee a
mettere in discussione il valore irrinunciabile della 
"certezza del diritto".

Non sono mancati, per altro verso, punti di vista più meditati. In
essi viene condivisa la differenziazione a livello strutturale
(hardware della macchina giudiziaria, risorse finanziarie, mezzi,
attrezzature), in vista della particolare complessità e della
specificità del fenomeno criminale. E si ritengono possibili le
deroghe alla materia della ricerca della prova, entro rigorosi
limiti, in un ottica di bilanciamento tra diritti di rilevanza
costituzionale non sempre in sintonia tra loro (es. abbassamento
della soglia dei presupposti che legittimano intercettazioni
ambientali e telefoniche per agevolare la cattura di pericolosi
latitanti).



Tuttavia, si è, da più parti, ribadita la preclusione alle
deroghe in materia di formazione della prova dichiarativa rispetto
alla regola del contraddittorio, che valorizzino contributi
conoscitivi maturati in sede di indagine. E ciò non ostante forse
sarebbe opportuna una riflessione sul tema della "contestazione
acquisitiva" anche alla luce delle pronunce della Corte europea dei
diritti dell'uomo.



In effetti, proprio sulla base del dettato della Convenzione
Europea dei diritti dell'uomo, negli anni novanta, la Corte europea
ha valorizzato le c.d. clausole di compensazione dei diritti
dell'imputato (compreso il contraddittorio), dettate da situazioni
di "emergenza criminale" (art. 15). Il garantismo processuale è
stato rivisto alla luce non solo delle possibili deviazioni
dell'apparato pubblico a danno dell'individuo ma anche del
possibile abuso del diritto che impedisce il buon funzionamento del
processo e la vanificazione dei diritti di altri soggetti
interessati al suo esito (art 17), come accade con la tante
"ritrattazioni immotivate" in giudizi per fatti di estorsione,
usura, traffico di stupefacenti riconducibili a clan mafiosi,
camorristici e 'ndranghetisti. In altri termini, si è affermato che
pure il sistema accusatorio ammette punti di differenziazione nel
perseguimento di reati di particolare natura per difficoltà e
complessità delle indagini, rischi di inquinamento o soppressione
delle fonti di prova (cfr. Corte eur. 26 marzo 1996, Doorson/Paesi
Bassi; Corte eur. 7 agosto 1996, Ferrantelli e Santangelo).



Sempre con riferimento all'art. 1 deve sottolinearsi come la
disposizione in questione presenti forti profili di criticità con
riferimento alla previsioni contenute nei commi 3.2. che
stabiliscono  che il sequestro perda
efficacia se non viene disposta la confisca entro
un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da
parte dell'amministratore giudiziario e, in caso di impugnazione
del provvedimento di confisca, se la corte d'appello non si
pronuncia entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso; e che
la confisca possa essere eseguita anche nei confronti di beni
localizzati nel territorio di Paesi appartenenti all'Unione
europea, nei limiti e con le procedure previste dalla legislazione
degli Stati membri ove i beni si trovano;

La prima previsione impedirebbe di confiscare i beni in tutti i
casi di procedimenti di particolare complessità, con bisogno di
complesse indagini bancarie; la seconda segue una logica opposta a
quella del reciproco riconoscimento, rendendo necessaria la
presenza di un istituto similare alle misure di prevenzione negli
altri ordinamenti per consentire l'esecuzione della confisca
all'estero.



Sulle operazioni sotto copertura di cui all'art.
6,
non si può che condividere la novità. Le modifiche
proposte estendono l'istituto e le relative cautele a reati che
costituiscono le nuove forme di manifestazione della criminalità
organizzata (oltre usura ed estorsione, anche favoreggiamento alla
immigrazione clandestina e traffico illecito organizzato di
rifiuti).

In tale prospettiva, si "tipizzano" le attività scriminate e i
requisiti soggettivi di operatività, mantenendo specifiche
competenze delle singole Forze dell'ordine in materia, sotto il
controllo della autorità giudiziaria.



Anche il profilo processuale della specifica novità appare
opportuno. In questo senso si segnala l'estensione della tutela
processuale dell'agente sotto copertura attraverso: la previsione
dell'utilizzo della sua identità fittizia; il ricorso alla
testimonianza in videoconferenza e la previsione della adozione di
idonee cautele per nascondere il volto.

Semmai in sede di elaborazione del testo potrebbe inserirsi una
locuzione che chiarisca un profilo del vigente art. 97 DPR
309/1990, relativo alle finalità delle operazioni sotto copertura,
che attualmente è oggetto di diversi approcci interpretativi.



In effetti una interpretazione costituzionalmente orientata
dell'attuale art. 97 DPR 309/1990 impone alcune precisazioni sul
piano strettamente processuale in ordine alle finalità delle
operazioni "sotto copertura". Sul punto, in realtà, si
contrappongono due opposte concezioni, sviluppatesi sin dall'epoca
della legislazione di contrasto al terrorismo internazionale,
approvata in seguito all'attentato alle "torri gemelle" (2001). La
prima tesi ritiene che dette operazioni possano svolgersi solo
nell'ambito di un procedimento penale già instaurato. L'altra
amplia il campo di applicazione delle operazioni in questione,
consentendole pure nella fase anteriore all'intervento e al
controllo del pubblico ministero, ossia nelle cosiddette indagini
preventive. 

Letteralmente l'art. 97 finalizza le operazioni "sotto copertura"
alle "indagini", rivolgendosi agli ufficiali di polizia
giudiziaria. In senso codicistico, il termine "indagini", anche in
virtù degli artt. 55, 326, 347 e ss. c.p.p., si riferisce alla
raccolta degli elementi necessari per le determinazioni
sull'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero.
Ciò non dovrebbe consentire alla polizia di porre in essere
iniziative autonome. E, d'altro canto, a sostegno di quella
delimitazione del campo di applicazione delle citate attività alle
indagini preliminari propriamente intese si pongono le disposizioni
contenute negli artt. 109 e 112 della costituzione. I principi
generali dell'ordinamento processuale inducono ad escludere una
estensione delle operazioni speciali in oggetto alle indagini
preventive, ossia a quelle attività ad iniziativa della polizia
giudiziaria prodromica alla iscrizione della notizia di reato e,
quindi, all'intervento del pubblico ministero. Sarebbe, in altri
termini, vietata la commissione di reati in funzione della
prevenzione di altri reati.



Va ricordato che una circolare della Direzione centrale per i
servizi antidroga del 5 settembre 1995 sembra adottare un
orientamento ancor più rigoroso a livello applicativo. Non solo
richiede un procedimento penale già instaurato, ma condiziona
l'esperibilità della speciale attività soltanto quando tutte le
altre investigazioni si siano rivelate inefficaci o insufficienti.
Insomma sembra richiedersi la indispensabilità dell'utilizzo
dell'attività di provocazione in base alle circostanze del caso
concreto.

Forse su questo tema sarebbe opportuno un intervento chiarificatore
del legislatore.



Con riferimento, infine, al sistema delle misure di prevenzione
occorre procedere ad una modernizzazione secondo le seguenti linee
guida:




  • aggiornamento del contenuto delle prescrizioni insite nelle
    misure di prevenzione personali, in considerazione dell'evoluzione
    tecnologica dei sistemi di comunicazione e della attuale vocazione
    economico-imprenditoriale della mafia;


  • introduzione di nuove misure (controllo giudiziario e
    amministrazione giudiziaria) applicabili direttamente alle
    società;


  • consentire il ricorso alle intercettazioni nel procedimento di
    prevenzione patrimoniale che si "innesta" su un processo penale per
    reati di mafia.




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