L'ANM è l'associazione cui aderisce il 96% circa
dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.
    

10 giugno 2011

La posizione dell'Anm sulla riforma

L'Associazione nazionalemagistrati, nel pieno rispetto del ruolo e delle prerogative del Parlamento, ritiene doveroso esprimere le proprie valutazioni econsiderazioni su una riforma che verrebbe ad incidereprofondamente sull'assetto e sul ruolo della magistratura inItalia. E per questo esprime un ringraziamento  alleCommissioni riunite per l'invito rivolto all'Associazione a fornireil proprio contributo di riflessione e di proposta sulla riforma,confermando una linea di apertura al confronto con gli operatoridel settore che ha sempre caratterizzato l'attività delParlamento.


L'Associazione nazionale
magistrati, nel pieno rispetto del ruolo e delle prerogative 
del Parlamento, ritiene doveroso esprimere le proprie valutazioni e
considerazioni su una riforma che verrebbe ad incidere
profondamente sull'assetto e sul ruolo della magistratura in
Italia. E per questo esprime un ringraziamento  alle
Commissioni riunite per l'invito rivolto all'Associazione a fornire
il proprio contributo di riflessione e di proposta sulla riforma,
confermando una linea di apertura al confronto con gli operatori
del settore che ha sempre caratterizzato l'attività del
Parlamento.



I contenuti della
riforma

L'Associazione nazionale magistrati è contraria alla
riforma proposta dal Governo. Si tratta di una contrarietà non
apodittica né pregiudiziale, ma meditata e motivata da una attenta
lettura delle norme.



Alcune premesse
sull'impianto complessivo della riforma

Una riforma della Magistratura. Ciò di cui si discute in
questa sede non è l'auspicata riforma della giustizia, quella cioè
finalizzata a risolvere i gravissimi problemi di funzionalità ed
efficienza del sistema giudiziario, sulle cui conseguenze anche sul
piano economico ci ha richiamati ancora di recente il Governatore
della Banca d'Italia nelle sue considerazioni finali, e garantire
ai cittadini italiani e agli investitori stranieri un sistema
giudiziario in grado di dare risposte di giustizia in tempi
ragionevoli, ma è una riforma della magistratura, finalizzata cioè
a riscrivere i rapporti e gli equilibri tra il potere politico e la
magistratura, in una direzione, noi riteniamo, che riduce
l'autonomia e l'indipendenza della magistratura.

Tutti sappiamo che le insufficienze e le disfunzioni del sistema
giudiziario italiano non dipendono dal suo assetto costituzionale,
il quale anzi ha sostanzialmente assolto alla sua funzione di
definizione dei principi fondamentali e di garanzia
dell'indipendenza della giurisdizione. Esse dipendono piuttosto
dalla disordinata crescita di una legislazione sovente occasionale,
non rispondente a un disegno unitario e sufficientemente costante
nel tempo, che ha considerato la giustizia come una risorsa
inesauribile, anziché limitata e costosa, trascurando gli aspetti
strutturali, la necessità di risorse adeguate agli obiettivi, i
tempi di maturazione e diffusione di nuovi indirizzi e l'esigenza
che, soprattutto nel campo penale, il contrasto dei fenomeni
sociali devianti non resti affidato soltanto all'intervento
giudiziario, per sua natura limitato, specifico, inevitabilmente
occasionale e, in definitiva, residuale.

 

La "decostituzionalizzazione" dell'assetto della
magistratura

Uno degli elementi più preoccupanti del disegno in
discussione è rappresentato dal mero rinvio alla legge ordinaria
della regolazione di aspetti fondamentali attinenti all'assetto
della magistratura, senza nemmeno l'indicazione in Costituzione dei
principi e criteri direttivi cui la legge dovrebbe
uniformarsi.

In materia di indipendenza del pubblico ministero, inamovibilità
dei magistrati, obbligatorietà dell'azione penale, rapporti tra
magistratura e polizia giudiziaria, la Costituzione vigente detta
una disciplina chiara e vincolante per il legislatore ordinario.
Ebbene con la riforma queste materie non verrebbero diversamente
disciplinate dalla nuova Costituzione, ma semplicemente trasferite
alla piena disponibilità del legislatore ordinario, senza nemmeno,
si ribadisce, la indicazione di principi e criteri direttivi.

In questo modo questioni fondamentali attinenti direttamente
all'indipendenza della magistratura verrebbero sottratte alla
regolazione forte della Costituzione e affidate alla legge
ordinaria e, dunque, alle contingenti maggioranze
parlamentari.

 

Più peso della politica nella giustizia

La riforma in discussione prevede un evidente spostamento
dell'asse di equilibrio nel rapporto tra magistratura e politica,
con un  rafforzamento del peso della politica nel governo
della magistratura e nella giurisdizione.

La riforma prevede, infatti, una maggiore presenza dei componenti
nominati dal Parlamento all'interno dei due Consigli Superiori
della Magistratura e della Corte di Disciplina ,  organismi
che passerebbero da una composizione a prevalenza di componenti
eletti dai magistrati (nella misura dei due terzi prevista dalla
Costituzione vigente) ad una composizione paritaria, venendo in tal
modo meno la caratteristica peculiare del Consiglio Superiore della
Magistratura previsto dalla Costituzione del 1948 quale organo di
autogoverno o di governo autonomo della magistratura.

Con la riforma, inoltre, sarà la politica a indirizzare le indagini
della polizia giudiziaria, sottratta alla direzione della
magistratura e sarà la politica a scegliere i reati da perseguire.
Al riguardo appare doveroso sottolineare che i principi di
indipendenza del pubblico ministero e di obbligatorietà dell'azione
penale, in uno con la direzione delle indagini della polizia
giudiziaria da parte del pubblico ministero, sono tutti insieme
funzionali a garantire l'imparzialità e la legalità nell'azione di
repressione dei reati e l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti
alla legge.

L'attribuzione di maggiori poteri alla politica in questo campo,
oltre che nel governo dei magistrati, produrrà soltanto meno
imparzialità e meno eguaglianza.

 

La separazione delle carriere

In ordine al ruolo del pubblico ministero si confrontano
due diverse tendenze, cui fanno capo due diversi modelli di assetto
istituzionale di questo organo.

Secondo la prima tendenza, la funzione di accusa è parte della
politica criminale, esercitata sotto la direzione del governo o di
soggetti politicamente responsabili, secondo valutazioni
discrezionali o indirizzi generali, che presuppongono controllo e
legittimazione di natura politica. In questa ottica è solo il
giudice a godere di forti garanzie di indipendenza, non anche chi
esercita l'accusa. Nel nostro sistema, di magistratura
funzionariale, il modello comporta la separazione delle carriere,
la gerarchizzazione del pubblico ministero, la responsabilità
politica dei suoi vertici.

Secondo l'altra tendenza, la politica criminale ispira le leggi,
orienta le risorse, indirizza le forze di polizia; ma quando si
giunge all'individuazione dei reati, alla ricerca delle fonti di
prova, alle ipotesi di accusa, subentra un'esigenza di garanzia di
legalità e di rispetto del principio di uguaglianza, che esclude
ogni valutazione di opportunità, comporta l'obbligo di perseguire
l'autore del reato, la regolamentazione del procedimento e, dunque,
l'intervento di un magistrato che ha le stesse garanzie di
indipendenza (perché analoghe ne sono le ragioni) del giudice. È il
modello dell'unicità dell'ordine giudiziario e della carriera dei
magistrati, che esclude la soggezione a esigenze diverse da quelle
dell'applicazione della legge: è compatibile con forme di
coordinamento funzionale fra soggetti equiordinati, ma non con
forme di gerarchia.

Ognuna delle due diverse soluzioni presenta dei limiti.
Nell'attuale situazione storica del nostro Paese, in cui la
pericolosità e la diffusione, anche a livelli rilevanti di potere,
della criminalità organizzata soprattutto di stampo mafioso, della
corruzione e dell'illegalità sono tuttora significative, i limiti e
i costi, della prima soluzione sembrano insostenibili.

Nell'affrontare il tema della separazione delle carriere occorre
muovere da una prospettiva che non mira a difendere l'unicità delle
carriere come una esigenza corporativa o addirittura un privilegio
di casta, ma sotto un profilo che intenda esaminare se avere
giudici e pubblici ministeri separati sia effettivamente il sistema
che maggiormente garantisce i cittadini rispetto a quello
attuale.

E' vero che in molti paesi il regime è di diversificazione netta
delle carriere; tuttavia è altrettanto vero che da un lato
l'unicità delle carriere è patrimonio storico di una parte non
piccola dell'Europa e dall'altro la tendenza in tutti i paesi
europei e nell'Unione europea è verso una sempre maggiore
equiparazione delle garanzie di indipendenza e autonomia di giudici
e pubblici ministeri. Inoltre, occorre ricordare che in molti dei
paesi europei nei quali vi è la separazione delle carriere, e anche
la dipendenza del pubblico ministero dall'esecutivo (ad es. la
Spagna e la Francia), il sistema processuale attribuisce al giudice
istruttore la direzione delle indagini, mentre in Italia il
pubblico ministero è il dominus esclusivo delle indagini. E quando
di recente il governo francese ha proposto la introduzione di un
sistema processuale simile a quello italiano, la comunità giuridica
francese  è stata  unanime nell'indicare come
assolutamente prioritaria rispetto a una tale riforma processuale
una riforma dell'assetto del pubblico ministero con l'attribuzione
a questo organo delle medesime garanzie di indipendenza e di
autonomia del giudice.

La riforma sembra, dunque, muoversi in una direzione opposta a
quella nella quale si muovono tutti gli altri paesi europei.

In Italia il dibattito sulla separazione delle carriere sembrava
essersi sopito grazie alla riforma dell'ordinamento giudiziario
introdotta dal d.lgs. n.106 del 2006, in virtù della quale è stata
introdotta nel nostro ordinamento una netta distinzione delle
funzioni tra PM e giudice pur nella unicità delle carriere. Benché
sia ancora possibile il passaggio tra le diverse funzioni di
giudice e PM nella sostanza si è già realizzata una netta
separazione delle funzioni.

Allo stesso tempo, però, l'unicità di carriera e la comune
formazione professionale hanno fatto sì che il pubblico ministero,
lungi dall'essere proiettato verso la sola possibilità di accusa
già nella fase investigativa, è strutturato come soggetto che non
agisce per fini di parte, ma ha come scopo la ricostruzione dei
fatti e l'applicazione ad essi della regola di diritto. Sotto
questo profilo, l'atteggiamento mentale del pubblico ministero non
è diverso da quello del giudice come dimostrano le numerose
richieste di archiviazioni ed ancora più le richieste di
assoluzione formulate quotidianamente in udienza. Ed è questa la
principale ragione per cui giudici e pubblici ministeri hanno fatto
parte della stessa categoria dall'unità di Italia ed ancora dalla
nascita della Repubblica.

Dunque la separazione delle carriere produrrà, ad avviso della
Associazione nazionale magistrati, effetti fortemente negativi per
le garanzie dei cittadini. Con la separazione  il pubblico
ministero tenderà inevitabilmente ad accentuare il suo ruolo di
"parte", che avrà il solo scopo di vincere il processo con la
condanna dell'imputato e non quello di applicare in modo imparziale
la legge; un pubblico ministero separato accentuerà il carattere
repressivo della funzione e il suo ruolo si avvicinerà a quello
della polizia. A pagare, anche in questo caso, saranno i cittadini
più deboli.

 

Strettamente collegato al tema della separazione delle carriere è
poi quello della indipendenza del pubblico ministero
dall'esecutivo. L'attuale sistema delinea la figura di un pubblico
ministero autonomo ed indipendente, consentendogli di investigare
liberamente e di esercitare il controllo di legalità senza
condizionamenti esterni. Senza questa autonomia del pubblico
ministero dal potere politico non avremmo avuto "mani pilite",
tanti e rilevanti processi sulla sanità, sul G8, inchieste di mafia
e terrorismo e sulle stragi.

La riforma, invece, propone un modello di pubblico ministero
radicalmente diverso e che inevitabilmente finirebbe per essere
assoggettato al potere politico. Nel testo della riforma dovrebbero
essere le norme dell'ordinamento giudiziario ad assicurare
autonomia ed indipendenza all'ufficio del PM al quale non sarebbe
più riconosciuta e costituzionalmente garantita la stessa autonomia
del giudice, perché la legge potrebbe decidere diversamente.

 

La responsabilità dei magistrati

Quanto alla responsabilità del magistrato, deve essere
ricordato che oggi esistono ben cinque forme di responsabilità:
penale, civile, disciplinare, contabile e anche professionale. In
Italia, come in tutti gli ordinamenti democratici, è già prevista
una responsabilità civile indiretta per i casi di dolo o colpa
grave e diretta nei confronti dello Stato che può poi rivalersi sui
magistrati.

I dati della Commissione europea per l'efficienza della giustizia
(Cepej) dicono che l'Italia è uno dei paesi con il più alto indice
di funzionamento del sistema disciplinare.

Inoltre, tratto comune alle principali democrazie europee è quello
di disciplinare la responsabilità civile del magistrato
assoggettandola a regole particolari al fine di contemperare
l'esigenza di garantire l'indipendenza del magistrato e la tutela
del danneggiato nello svolgimento dell'attività giudiziaria.




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