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24 gennaio 2015

Inaugurazione Anno Giudiziario 2015, intervento del Presidente Sabelli a Milano

A nome dell’ANM rivolgo un saluto cordiale al Presidente Canzio e a tutti i presenti.
Nel gennaio 2013, in quest’aula, mi auguravo che fosse in breve restituita piena efficienza alla nostra giustizia. Dopo due anni, alcune riforme sono state realizzate: messa alla prova, processo in assenza, non punibilità per tenuità del fatto. Va migliorando la situazione delle carceri ed è in fase avanzata l’informatizzazione del processo civile.
Tuttavia, l’innovazione richiede maggiore impegno e l’informatizzazione del settore penale è ancora allo stato embrionale. Quanto ai nuovi istituti di composizione stragiudiziale delle liti, suscitano dubbi non il principio in sé, ma la disciplina e la concreta efficacia. La scopertura dei ruoli amministrativi, che ha superato le 8.000 unità, insieme col mancato riordino delle piante organiche e delle qualifiche, sta provocando effetti gravissimi. Nel settore penale, il fallimento dei riti alternativi, la durata dei procedimenti, l’eccesso di formalismo, il regime della prescrizione, la disciplina delle impugnazioni, fanno del processo del nostro Paese un unicum nel panorama dei sistemi di rito accusatorio e ne soffocano l’efficienza. A fronte di questa situazione, il disegno di legge governativo di riforma del processo penale è insufficiente e la riforma della prescrizione è timida e conservatrice. Quanto alla corruzione, l’aumento delle sanzioni, peraltro per il solo reato di cui all'art. 319 cp, è la soluzione più facile ma non la più efficace. Accrescere le pene, imporre condizioni al patteggiamento, può scoraggiare i propositi di collaborazione, se quelle misure non saranno accompagnate da strumenti più efficaci di indagine e da incentivi che rompano il patto che lega corrotto e corruttore nel comune interesse al silenzio. Ancora, destano preoccupazione i recenti propositi di riforma dei reati tributari.
E sono solo alcuni esempi.
In altri casi, le riforme sono state realizzate senza considerare gli effetti che avrebbero provocato – penso ai tempi troppo veloci della riduzione dell’età pensionabile dei magistrati, intervento pure in sé condivisibile – o hanno ceduto alla propaganda: la riforma della sospensione feriale, presentata come panacea dei ritardi della giustizia, non produrrà benefici ed anzi sta rivelando i suoi limiti e sarà fonte di difficoltà organizzative.
La strada è ancora lunga e la sfida delle riforme non la si vince con l’enfasi delle parole.
Oggi, il dibattito sulla giustizia, anche se depurato dagli eccessi e da quegli insulti alla magistratura che hanno caratterizzato gli anni passati, è ancora troppo spesso intriso di luoghi comuni e di pregiudizi. Penso al tema della responsabilità civile dei magistrati, trattato, nella discussione pubblica, con superficialità e in una confusione fra errore, interpretazione, libera valutazione dei fatti e delle prove, che non solo ignora la sostanza della nostra funzione ma anche mortifica una seria riflessione sulla responsabilità.
I temi delle riforme, dell’organizzazione e della responsabilità sono coessenziali rispetto a quello della qualità della giustizia. E in questo dibattito, troppo condizionato da occasioni contingenti e affollato di proposte e di dichiarazioni spesso incoerenti fra loro, è mancata, sulla via delle riforme, una riflessione più attenta sul ruolo della giurisdizione, che non si esaurisce nel lavoro individuale dei singoli giudici, soli nella loro indipendenza ma lasciati soli anche nella loro responsabilità. L’impegno sul piano internazionale, la varietà dei piani costituzionali e delle fonti sovranazionali, la crisi economica, il mutare delle realtà sociali, la pericolosità crescente dei fenomeni criminali, il grave deficit nell’etica pubblica, sono tutti fattori che devono richiamarci al valore collettivo e alla responsabilità corale della giurisdizione; alla rilevanza della funzione di garanzia del giudice nella sua portata politico-costituzionale. Una funzione che è il frutto di una cultura di progresso sociale, accolta dalla nostra Costituzione. Non voglio attribuire alla magistratura improprie missioni salvifiche ma neanche possiamo accettare letture riduttive del ruolo della giurisdizione, ad esempio nei suoi rapporti col settore dell'economia, o rassegnarci all'immagine di un sistema inefficiente. L'impegno dei magistrati è nei fatti, è nei risultati raggiunti nel contrasto alle mafie e a una corruzione endemica, nella tutela dell'ambiente e nella difesa dei diritti, da quelli dei lavoratori a quelli dei soggetti deboli.
Penso al ruolo che riveste l’interpretazione, che in passato ha contributo in misura determinante a realizzare i principi della Costituzione repubblicana, innestandoli su una legislazione in larga parte fascista, e che tuttora rende vivo il diritto e si arricchisce nel confronto e nella varietà delle idee.
Penso al ruolo della giurisdizione in un sistema, che regge gli assetti del Paese, fatto di poteri, pubblici e privati, che da un lato ne contestano le presunte ingerenze e il presunto ruolo di supplenza ma che dall’altro la invocano come rimedio alla persistente carenza di anticorpi contro un’illegalità tuttora pervasiva.
Alla luce di questa funzione sociale della giurisdizione, e ciò anche quando le decisioni possono sembrare impopolari, ciascuno – legislatore, governo, magistrati, avvocatura, personale amministrativo – deve assumersi la responsabilità del proprio ruolo, nell’interesse comune. Noi magistrati non cerchiamo e non vogliamo privilegi, ma l’indipendenza della giurisdizione, la libertà dell’interpretazione, il governo autonomo della magistratura, il prestigio della nostra categoria, non sono privilegi ma sono valori e strumenti di garanzia, che appartengono all’intera collettività. Noi dobbiamo farne buon uso ma tutti hanno il dovere di rispettarli.
Vi ringrazio.