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ORGANI ANM | Documenti ufficiali
25 gennaio 2018

Esame dello schema di decreto legislativo recante “riforma dell’ordinamento penitenziario in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83, 85, lettere a), b), c), d), e), f), h), i), l), m), o), r), s), t) e u), della legge 23 giugno 2017, n. 103”

Nella seduta del 22 dicembre, il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo in materia di riforma dell’Ordinamento penitenziario in attuazione della delega conferita con legge 23 giugno 2017, n. 103. Il testo è ora all’esame delle Camere che, dopo l’eventuale interlocuzione con i referenti istituzionali, esprimeranno, entro quarantacinque giorni, il proprio parere.
La Commissione permanente di studio “Esecuzione Penale e Carcere” dell’ANM ha seguito con grande attenzione l’evolversi del disegno riformatore innescato con i c.d. Stati Generali sin dall’anno 2015 e non può che salutare con favore (sia pure con le note critiche che più avanti si andranno ad evidenziare) l’epilogo, sia pure parziale, cui il medesimo percorso è giunto.
Lo schema dell’articolato predisposto dal legislatore delegato, fedele all’idea di fondo che ha animato la riforma (sostanzialmente rintracciabile nell’attuazione del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena), riprende in larga misura la proposta elaborata dalla Commissione incaricata di elaborare una bozza di schema di decreto legislativo in tema di modifica dell’Ordinamento penitenziario nel suo complesso (presieduta dal prof. Giostra), ma tiene conto di alcune indicazioni emerse in seno alla Commissione per la riforma delle misure di sicurezza e della medicina penitenziaria (presieduta dal prof. Pelissero).
La bozza di testo normativo, suddivisa in sei Capi, affronta alcuni profili cruciali dell’attuale sistema dell’esecuzione penitenziaria muovendosi, per un verso, nella prospettiva di un miglioramento delle attuali condizioni detentive sotto il profilo della fruizione di alcuni diritti fondamentali della persona detenuta (quali il diritto a ricevere cure mediche e trattamenti sanitari adeguati, a sviluppare il proprio percorso scolastico e di istruzione, a comunicare meglio e con maggiore frequenza con i propri familiari) e introducendo, al contempo, semplificazioni delle procedure giurisdizionali e amministrative relative ad alcuni profili della vita detentiva e dei procedimenti per la concessione dei benefici penitenziari nell’ottica di una maggiore e più rapida applicazione delle misure di comunità alternative alla detenzione.
Si tratta, come detto, nel complesso, di interventi volti ad attuare il disposto costituzionale per cui, qualunque sia il reato commesso, il condannato deve essere considerato, nella sua dignità di essere umano, una persona da recuperare al consorzio civile e non un soggetto da neutralizzare.
In tale prospettiva, l’aumentata efficacia degli strumenti affidati alla magistratura di sorveglianza e la maggior giurisdizionalizzazione del procedimento di sorveglianza nel suo complesso (con il venir meno di automatismi e preclusioni), che la riforma intende introdurre, restituiscono al giudice il ruolo centrale proprio, il che costituisce per la magistratura tutta motivo di soddisfazione.
L’ampio ricorso alle misure alternative al carcere, perseguito con evidenza dal legislatore delegato, si ripromette di conseguire, accanto all’effetto risocializzante per colui che vi è ammesso, altresì un più generale risultato positivo sulla sicurezza dei cittadini, atteso che – sulla base di noti dati statistici (richiamati anche nella relazione illustrativa del decreto) - il detenuto ammesso a benefici esterni al carcere torna a delinquere in percentuale esigua, al contrario di chi, invece, non abbia avuto accesso alle misure di comunità, che molto più facilmente sarà portato (o destinato) alla recidiva.
Se queste sono le finalità perseguite dal legislatore, si intende da parte dell’ANM contribuire al dibattito ponendo, però, alcune osservazioni (si vedrà, sostanzialmente legate al tema delle “risorse”) riferite alle concrete possibilità del raggiungimento degli obiettivi dichiarati dell’intervento, quali quello di uscire dagli interventi emergenziali dettati di volta in volta per adeguare le condizioni della detenzione nel nostro Paese alle prescrizioni della Corte EDU (in particolare dopo la sentenza “Torreggiani contro Italia”) e quello di consentire un adeguato trattamento di recupero del condannato, sia in conformità ai dettami costituzionali in punto di funzione della pena, sia coerentemente al rilievo della osservazione degli inferiori tassi di recidiva per i condannati avviati a percorsi alternativi di pena rispetto a condannati che avevano seguito un programma di rieducazione solo presso penitenziario.
La scelta del legislatore, al fine di realizzare gli obiettivi prefissi, è stata quella di ritenere che l’accesso a forme di esecuzione alternativa della pena non potesse ancora prevedere la esclusione, “per tipologia di autore” di tutta una serie di condannati, così come anche di tutta una serie di reati, in definitiva costruendo il trattamento sanzionatorio alternativo sulle specificità del recupero del condannato, avulso dalle considerazioni della tipologia di reato (se non per talune categorie particolarmente gravi -quelle di cui al nuovo co. 1 dell’art. 4 bis O.P.- e nei casi di particolare pericolosità) e dal pregresso percorso di vita e criminale del condannato (da qui la eliminazione delle preclusioni connesse alla recidiva).
Si è individuato così sostanzialmente un percorso alternativo di pena nella più parte dei casi per pene contenute entro i 4 anni di reclusione (con le eccezioni, più ampie, nel caso di tossicodipendenti, ovvero per l’istituto della semilibertà) con iter di recupero del condannato e di risocializzazione affidate a forme alternative di esecuzione.
Apprezzabile appare, in quest’ottica, anche il superamento della disparità di trattamento ad oggi esistente tra le pene inferiori a tre anni (per le quali è prevista la sospensione automatica dell’ordine di esecuzione da parte dello stesso P.M. che emette l’ordine di carcerazione) e quelle inferiori a quattro anni ma superiori a tre (per le quali, invece, salva la concedibilità, analogamente alle pene fino a tre anni, della misura alternativa dell’affidamento in prova, non è invece prevista la possibilità della sospensione dell’ordine di carcerazione), che tanto ha affannato Procure, magistratura di sorveglianza e giudici dell’esecuzione negli ultimi mesi.

È evidente, quindi che, perno della corretta funzionalità del sistema disegnato nella riforma sono gli interventi e le competenze rimesse agli Uffici Esecuzione Penale Esterna (UEPE), sia per quanto riguarda la osservazione scientifica della personalità del condannato, da eseguirsi al di fuori del penitenziario per chi accede alle misure alternative direttamente “dalla libertà”, sia per quanto concerne la valutazione ed i supporti a tale percorso di rieducazione in corso di esecuzione della misura alternativa.
Astrattamente, quindi, il sistema dovrebbe garantire sia per pene di considerevole durata (dato il più ampio accesso alla semilibertà ed il nuovo assetto in materia di liberazione condizionale), che per pene di durata contenuta nei limiti di quattro anni, o sei per i tossicodipendenti (ad eccezione di talune limitate tipologie di reati), un lungo e supportato percorso di rieducazione del condannato con presidi rieducativi somministrati fuori dal penitenziario, a cura degli U.E.P.E. e, in taluni, casi con il supporto della Polizia Penitenziaria.
Lo schema di Decreto Legislativo di attuazione della Legge delega, però, prevede al suo art. 26 la c.d. clausola di “invarianza finanziaria”. Tale vincolo di “costo zero” costituisce un allarme che la magistratura associata non può che rilanciare, anche in questa sede, in maniera chiara e netta.
A fronte dei nuovi e rilevantissimi oneri cui è chiamata l’Esecuzione esterna al carcere e, per essa gli U.E.P.E., non possono non esprimersi, infatti, forti perplessità in ordine alla resa ed alla tenuta del nuovo sistema, qualora questo non venga accompagnato da un forte investimento di risorse finanziarie, umane ed anche di mezzi in favore degli UEPE, uffici che già oggi soffrono di una ipertrofia di funzioni (si considerino quelle piovute su uffici non strutturati e pensati per rispondere a tali nuove esigenze e conseguenti alle recenti riforme in materia di lavori socialmente utili e della messa alla prova) e di una cronica insufficienza di personale e mezzi.
Gli UEPE nel sistema delineato si troveranno ad essere ancor più il cardine del sistema di esecuzione penale, per le aumentate competenze qualitative e quantitative delle quali risultano investiti, quali, sinteticamente, la osservazione della personalità e la formulazione di un percorso rieducativo per i detenuti che accedono alla misura alternativa dalla libertà in termini numericamente assai più rilevanti che in passato, atteso il limite di pena innalzato a quattro anni non soltanto per l’affidamento in prova al servizio sociale, ma anche per la detenzione domiciliare; il monitoraggio delle varie forme alternative di pena (tra queste anche la semilibertà) per i singoli condannati dopo la deliberazione da parte dei Tribunali di Sorveglianza; i supporti ai condannati durante tutto il percorso rieducativo.
Le conseguenze ipotizzabili (assolutamente concrete e non frutto di una visione pessimistica) in caso di mancata implementazione degli organici degli UEPE sono quelle o della sostanziale vanificazione della riforma, per i prevedibili lunghissimi tempi di attesa per le varie “istruttorie” delle pratiche, stallo cui non potrebbe porre rimedio la Magistratura di Sorveglianza se non attraverso una inammissibile forzatura delle condizioni, attraverso decisioni magari emesse senza il supporto di tutti gli elementi conoscitivi, e ciò al fine di evitare il fallimento del sistema di riforma. Tale ultima evenienza, che di certo non è auspicabile né auspicata – immaginiamo, neppure dal legislatore -, ove dovesse per assurdo concretizzarsi esporrebbe, infatti, ad una inammissibile sovraesposizione la stessa Magistratura di Sorveglianza, che sarebbe chiamata a rispondere - anche davanti all’opinione pubblica – nel caso di problemi connessi alla fruizione di una forma alternativa di esecuzione della pena in favore di soggetto che magari non avrebbe potuto beneficiarne per difetto di alcuno dei requisiti previsti dalla legge (circostanza che, per inadeguatezza dell’UEPE, magari non fosse stata portata tempestivamente all’attenzione dell’Organo decidente).

Ulteriori perplessità si esprimono sui reali effetti pratici della riforma, qualora questa non venga accompagnata da una adeguata implementazione delle piante organiche dei Tribunali e degli Uffici di Sorveglianza e quanto meno dalla copertura prioritaria dei posti scoperti negli organici della magistratura di sorveglianza.
Ed invero, se è apprezzabile sotto il profilo della semplificazione delle procedure la individuazione di una forma di contraddittorio differito ed eventuale per l’accesso a forme alternative di esecuzione della pena nel caso di pene contenute entro i mesi 18 di reclusione – salva la necessità di un monitoraggio delle effettive conseguenze in termini organizzativi della riforme, anche e soprattutto sul lavoro delle cancellerie degli UDS -, l’ampia composizione numerica di detenuti che si troveranno, per effetto del venir meno degli automatismi preclusivi previsti nel precedente sistema, a poter improvvisamente beneficiare di forme alternative di pena, rende già da oggi prevedibile una situazione di seria difficoltà per i Tribunali e per gli Uffici di Sorveglianza nel far fronte alla improvvisa domanda giudiziaria.

Deve segnalarsi, poi, come la citata clausola di “invarianza finanziaria” e la conseguente verosimile inesistenza di un bagaglio di adeguate risorse economiche messe al servizio dell’attuazione della riforma penitenziaria, rischi di vanificare la concreta operatività di quelle previsioni normative preposte a rendere effettiva la possibilità di accesso all’affidamento in prova al servizio sociale ed alla detenzione domiciliare per tutti i condannati, con riferimento alla possibilità indicata nella riforma di reperimento di “alloggi o dimore sociali” destinati alla esecuzione extracarceraria nella disponibilità di enti pubblici o di enti convenzionati. Sarebbe intollerabile, infatti, se proprio la finalità dichiarata dal legislatore di rendere accessibile a tutti (inclusi gli stranieri ed i senza fissa dimora) il sistema di risocializzazione ruotante intorno alle misure alternative venisse tradita con riferimento ai più “deboli” ed “esposti” tra i sottoposti al regime penale, che finirebbero per essere discriminati due volte, “condannati” a subire la misura più estrema e meno consona alla finalità rieducativa solo per ragioni di censo e di emarginazione sociale. Le risorse per la creazione ed il decoroso ed efficiente funzionamento degli alloggi e delle dimore sociali si pongono, pertanto, come irrinunciabili nell’ottica, ancora una volta, della coerenza del sistema e della concreta riuscita della riforma.

Pare necessario in questa sede evidenziare come, a parte le finalità rieducative e risocializzanti perseguite con la riforma attraverso la implementazione dell’accesso dei condannati a forme alternative di esecuzione della pena, in ogni caso la riforma resta attuativa di un sistema comunque incentrato sulla pena detentiva, cui conseguono ancora certamente momenti di grave sofferenza - talora aggiuntivi e intollerabili rispetto alla porzione retributiva della pena - connessi alle caratteristiche delle strutture penitenziarie nelle quali si svolge la esecuzione della pena. E’ il tema della edilizia penitenziaria, auspicabilmente da perseguire, attesi gli effetti del sovraffollamento, negativi, in punto di sofferenza non giustificata della pena carceraria. Effetti che, invece, potrebbero divenire “positivi”, anche in punto di rieducazione e recupero dei detenuti, qualora la pena si svolgesse in contesti di spazio e ambientali adeguati.
Un intervento riformatore sulla fase di esecuzione penitenziaria cui non corrisponda, a monte, una revisione complessiva del sistema sanzionatorio sconta, infatti, una “penalizzazione” iniziale che si riflette necessariamente sulla coerenza del progetto riformatore e sulle sue capacità di imprimere al sistema penale nel suo complesso l’auspicata “rivoluzione copernicana”: una rivoluzione in grado, da un lato, di fare cessare effettivamente, a livello edittale, il primato della pena detentiva grazie ad un articolato sistema di sanzioni extracarcerarie e, dall’altro, di emancipare l’ordinamento penitenziario dal compito di rimediare, in executivis, alla sua ipervalorizzazione, nel tentativo di attenuarne le ricadute nocive.
È evidente che la riforma avrebbe potuto avere ben altro respiro in tal senso se solo fosse stata attuata anche la delega della l. 67/14 sulla riforma del sistema sanzionatorio.

Nell’esprimere, pertanto, pur con le perplessità e con i timori sopra evidenziati, apprezzamento per i tempi rapidi con i quali è stato compiuto un complesso e delicato lavoro di elaborazione dei contenuti della riforma penitenziaria e per l’ampiezza dell’intervento (che si prefigura come la riforma più rilevante della materia dell’esecuzione penale dall’introduzione della legge sull’Ordinamento penitenziario del 1975), l’ANM manifesta il rammarico che le scelte e le tempistiche dei lavori governativi non abbiano consentito - nell’attuale fase di fine legislatura - di predisporre ed approvare analoghi schemi di decreti legislativi in materia di giustizia riparativa, di ordinamento penitenziario minorile e di riforma delle misure di sicurezza e delle pene accessorie, le cui proposte, elaborate dalle rispettive Commissioni di studio, sono state comunque depositate e che avrebbero completato il disegno riformatore del sistema di esecuzione penale e penitenziaria prefigurato dalla legge-delega n. 103/2017. Soprattutto la riforma del sistema delle misure di sicurezza sarebbe stata assolutamente urgente, tenuto conto delle recenti innovazioni in materia di soppressione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e di istituzione di REMS e CRAP, quali strutture destinate ad accogliere le persone in stato di infermità mentale e connotate da pericolosità sociale, senza che però il legislatore sia intervenuto a porre in atto il riordino e la totale risistemazione (anche nominalistica) delle misure di sicurezza ancora imperniate formalmente su di uno schema ancorato ad istituti obsoleti e risalenti alla legislazione prebellica e pre-costituzionale.

Desta, del pari, rammarico che nell’attuale schema di decreto legislativo non abbiano per ora trovato spazio – in attesa della necessaria copertura economica – le modifiche della disciplina del lavoro penitenziario e dell’affettività in carcere, trattandosi di due profili essenziali a integrare il complesso disegno riformatore.

Nell’augurare alla riforma il rapido completamento dei pur necessari passaggi tecnici, si rinnova l’auspicio, infine, che una speciale attenzione sia prestata alla previsione di adeguate risorse materiali e, soprattutto, di personale non solo con riferimento alle già evidenziate necessità degli UEPE e del personale amministrativo e di magistratura degli UDS, ma anche con riferimento al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria, al quale la riforma assegna anche delicati compiti di controllo “esterno”, cui non si potrà far fronte (soprattutto a causa anche dei molteplici gravosi impegni “inframurari”, anche conseguenti alle profonde modifiche introdotte dalla riforma) se non adeguatamente supportandone gli organici.
Un segnale incoraggiante, ma non sufficiente, sotto l’aspetto dell’investimento di risorse, viene dalla notizia dello stanziamento, nella legge di stabilità 2018, della previsione di spesa per l’assunzione di quasi 300 assistenti sociali da destinare agli Uffici di esecuzione penale esterna e ci si augura che un’analoga attenzione sia posta alle attuali vacanze che affliggono gli organici dell’area giuridico-pedagogica e degli Uffici di sorveglianza, già oggi inadeguati a fronteggiare l’aumentato carico di lavoro.
Senza un adeguato investimento di risorse – si ribadisce, in conclusione - ogni prospettiva riformatrice sarebbe, infatti, consegnata ad un infelice destino.

Il Presidente della Commissione, Alcide Maritati   
Il Coordinatore della Commissione, Mariolina Panasiti