Intervento del
Cardinale Carlo Maria Martini al XXII Congresso dell'Associazione
Nazionale Magistrati, Milano 10 giugno 1993.
Un saluto cordiale a voi
magistrati, alle autorità e a tutti i convenuti. Grazie per aver
scelto Milano per iniziare questo vostro XXII Congresso nazionale.
Ho aderito volentieri all'invito del comitato organizzatore di dire
qualche parola in relazione al vostro tema, tema di grande
attualità in questo momento di crisi e di profonda trasformazione
degli assetti sociali e politici nazionali e internazionali.
Questo tema suscita a mio avviso
due domande: in primo luogo, quali sono le cause della crisi delle
nostre istituzioni e in secondo luogo che cosa deve fare questa
società per guarire. Oggi le democrazie per crescere,
affermarsi e irrobustirsi nelle proprie determinazio
ni esigono una partecipazione più
cosciente alla vita pubblica, al di fuori di poteri chiusi e di
correnti dominanti e di parte. Ma quali regole deve imporsi un
popolo per giungere a quella maturità democratica da molti
auspicabile? E con quali organismi potrà esercitare le sue funzioni
sociali? Le attuali istituzioni devono essere solo purificate e
rinnovate o addirittura sostituite e radicalmente cambiate? Da dove
nasce l'odierna crisi delle nostre istituzioni politiche,
giudiziarie, sociali e religiose?
Il lavoro di questo vostro convegno darà sicuramente risposte ad
alcuni di questi interrogativi che anch'io sento quotidianamente
porre dalla gente che incontro e che ascolto.
Mi pare manifesto che la crisi
delle istituzioni, causa determinante anche di tanto malcontento
popolare, sia nata anzitutto da comportamenti scorretti di persone
che hanno operato nelle diverse strutture dello stato e della
società a tutti i livelli. Simili comportamenti scorretti, motivati
da interessi individuali o di parte, sono stati poi addotti da
alcuni cittadini (forse anche da molti cittadini) per giustificare
la propria indifferenza e pigrizia, le irregolarità e le
ingiustizie nei confronti della comunità. Ne è nata come una gara
collettiva di furbizia, una inclinazione perversa all'illegalità,
diretta o indiretta, che ha prodotto nella comunità diffidenza,
sfiducia, pregiudizi, diseguaglianze, partitocrazie, rivalità,
diffamazioni e anche contrasti e lacerazioni tra persone, gruppi
sociali e istituzioni.
Il problema è quindi diventato
quello di mentalità deformate rispetto alla realtà e al bene
personale e comune, di strutture inadeguate e insufficienti, è
problema di valori e di comportamenti, problema culturale e morale.
E quando questi problemi non si affrontano con chiarezza e
determinazione si intorbidano, deformano le realtà e le
istituzioni, corrompono le relazioni, generano squilibri e
patologie sociali. Come curarsi, come guarire? Per curare una
società colpita da simili mali, per fermare il suo sgretolarsi e
stimolarne la vitalità ancora certamente presente in essa ci vuole
un forte intervento educativo e rieducativo, non bastano le nuove
leggi, le riforme strutturali, i rinnovati programmi politici, gli
interventi giudiziari, anche se importanti e necessari. Bisogna
agire anzitutto sulle persone dall'interno delle persone,
contrastando quel processo di massificazione che spersonalizza e
aliena. Si deve fare appello all'individualità e alla libera
volontà di ciascuno; ognuno deve essere trattato e spinto ad agire
come persona umana responsabile, membro vivo e utile dell'intera
comunità.
Mi sembra necessario, per uscire
dal nostro malessere, scoprire assieme il senso del nostro essere
popolo, società, comunità umana, fraternità. La società è un corpo
che per vivere e rigenerarsi deve restare unito nonostante la
diversità delle sue membra, nonostante la molteplicità dei suoi
naturali organismi, le sue crisi e patologie, se non si vuole
arrivare a quegli scontri che producono tanto dolore e morte nelle
nazioni a noi vicine.
Prendiamo coscienza e insegniamo ai giovani soprattutto che
ogni persona cerca la società, ha bisogno degli altri e soffre e
denuncia la propria emarginazione quando la comunità la esclude.
Riassume bene tutto questo il primo articolo della Dichiarazione
dei diritti dell'uomo: "Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in
dignità. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono
comportarsi gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza."
Non varrebbe la pena (e qui pongo
alcune domande di carattere generale) che le diverse agenzie
educative e le televisioni mettessero in programma una metodica e
seria scuola di educazione civica, usando linguaggi, tecniche e
maestri moderni, efficaci e convincenti? Non è possibile far
maturare un popolo senza indurlo a un quotidiano esercizio della
mente e della volontà, senza educarlo alla socialità.
Oltre all'educazione civica e
sociale della gente è urgente promuovere una maggiore efficienza
degli organismi istituzionali, alcuni dei quali oggi risultano
impoveriti e svuotati, avendo perso il loro profondo significato e
la propria autorevolezza. Le istituzioni devono rimettersi a
funzionare e a lavorare a pieno ritmo, svolgendo ciascuna il
proprio ruolo senza ingerenze indebite e ricatti, prepotenze o
surrogazioni, soprattutto senza interessi di parte, ma ognuna
soltanto in vista del bene comune. Chi si preoccupa veramente della
vita pubblica deve impegnarsi personalmente a fare pulizia e a
rinnovarsi. Il Vangelo parla di pulizia del cuore, pulizia dalla
cupidigia, dall'arroganza e dalla stoltezza.
Bisogna sollecitare una più viva e
intelligente vigilanza attraverso organismi di persone affidabili e
motivate dal bene comune senza superare i limiti della legalità,
senza violare con superficialità o per ambizioni personali i
diritti dei cittadini con il fine di fare giustizia, senza spirito
di rivalsa o peggio ancora di vendetta, senza trasformarsi in
prepotenza. Ogni istituzione del corpo sociale deve essere un
servizio autentico a tutto il corpo sociale: soltanto allora
diventerà autorevole e sarà pienamente autorità.
Oggi c'è chi pensa che la
magistratura, istituzione addetta ad amministrare la giustizia,
voglia prendersi anche il potere legislativo ed esecutivo. Non lo
credo: ciò è frutto di quel clima di sospetto che si è creato in
questo nostro difficile momento. Ma vorrei ricordare anche che
nella storia del popolo ebraico si legge che i giudici, nel libro
che porta questo titolo, quei giudici che oltre ad amministrare la
giustizia vollero governare e fare i politici deviarono, non
camminarono più sulla via della giustizia e pronunziarono sentenze
ingiuste. Questo non può succedere e non succederà nella nostra
società, se il nostro corpo sociale rispetterà le competenze di
ciascuno e di tutti. Sentiremo allora tutti sempre più l'ansia per
il bene comune del Paese.
Concludo con una parola di
speranza: si uscirà da questa crisi ma con l'impegno di tutti. La
nostra società può migliorare, ma è necessario accettare una regola
morale superiore, è necessario stimolare l'invenzione di soluzioni
praticabili secondo un progetto di società in cui tutti possano
trovarsi a casa propria.
Ho fiducia che le aspirazioni umane
vadano già nella direzione giusta. La speranza implica fiducia
negli uomini che desiderano un'armonia interiore, un'armonia tra
ciascuno e il suo prossimo, un'armonia tra i popoli. La speranza
implica fiducia nel Signore che è con tutti noi.