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AREA GENERALE | Notizie
20 settembre 2012

L'Anm ricorda Rosario Livatino

Il «giudice ragazzino» RosarioLivatino viene ucciso dalla mafia a soli 37 anni, il 21 settembre1990 alle porte della Città dei templi. Sono le 8.30 e RosarioLivatino, con la sua Ford Fiesta amaranto viaggia verso Agrigentoper raggiungere il tribunale dove lavora. A quattro chilometri daAgrigento, nel territorio comunale di Favara, una macchina accelerae sperona la Fiesta di Livatino; giunge anche una moto. Da entrambii mezzi vengono esplosi colpi di pistola. Il giudice tenta la fuga,esce dall'auto, corre verso la scarpata tra le contrade Gasena eSan Benedetto. I killers lo inseguono e continuano a sparare.Rosario cade a terra, ma i sicari - per essere certi di averportato a termine "il compito" - lo colpiscono ancora a distanzaravvicinata con quattro colpi alla nuca. (Tratto dallapubblicazione del Consiglio Superiore della Magistratura "Nel lorosegno").


Tratto dalla
pubblicazione "Nel loro segno"
del

Consiglio Superiore della Magistratura



ROSARIO ANGELO
LIVATINO

(Canicattì, 3 ottobre 1952 - Agrigento, 21 settembre
1990),

Giudice del Tribunale di Agrigento,

assassinato dalla mafia.



Il «giudice ragazzino» Rosario
Livatino viene ucciso dalla mafia a soli 37 anni, il 21 settembre
1990 alle porte della Città dei templi. Sono le 8.30 e Rosario
Livatino, con la sua Ford Fiesta amaranto viaggia verso Agrigento
per raggiungere il tribunale dove lavora. A quattro chilometri da
Agrigento, nel territorio comunale di Favara, una macchina accelera
e sperona la Fiesta di Livatino; giunge anche una moto. Da entrambi
i mezzi vengono esplosi colpi di pistola. Il giudice tenta la fuga,
esce dall'auto, corre verso la scarpata tra le contrade Gasena e
San Benedetto. I killers lo inseguono e continuano a sparare.
Rosario cade a terra, ma i sicari - per essere certi di aver
portato a termine "il compito" - lo colpiscono ancora a distanza
ravvicinata con quattro colpi alla nuca. Grazie a un testimone
saranno individuati i componenti del commando omicida e i mandanti.
Essi saranno poi condannati pur se resta ancora oscuro il contesto
in cui è maturata la decisione di uccidere.



Rosario Livatino nasce a Canicattì
il 3 ottobre del 1952. Figlio dell'avvocato Vincenzo e della
signora Rosalia Corbo, dopo gli studi al liceo classico Ugo
Foscolo, s'iscrive nel 1971 alla facoltà di Giurisprudenza di
Palermo. Qui consegue la laurea nel 1975 con il massimo dei voti.
Giovanissimo, entra nel mondo del lavoro vincendo il concorso per
vicedirettore presso la sede dell'ufficio del registro di
Agrigento. Nel frattempo partecipa con successo al concorso in
magistratura e, dopo averlo superato, lavora prima a Caltanissetta,
poi al tribunale di Agrigento. Qui, dal 1979 e per quasi dieci anni
si occupa, come sostituto procuratore della Repubblica, delle più
delicate indagini antimafia e di criminalità comune. Dal 21 agosto
del 1989 al 21 settembre del 1990 è componente della speciale
sezione misure di prevenzione al Tribunale di Agrigento.



Rosario Livatino è instancabile e
deciso. Tra le sue inchieste, quella sulle cooperative di Porto
Empedocle dove scopre un giro di fatture false che procurano fondi
neri ai grandi gruppi imprenditoriali catanesi in contatto con i
clan mafiosi. Per un anno viene sottoposto a protezione. Indaga
anche sulla cosca Ribisi di Palma di Montechiaro. Perviene alla
conclusione che la cosca rappresenta un pericolo per la città e
propone pertanto che ai suoi esponenti sia applicato il divieto di
soggiorno in Sicilia, nelle regioni meridionali con criminalità
organizzata, ma anche in Toscana dove vivono molti palmesi dediti
ad attività illegali.



Su Rosario Livatino sono stati
scritti libri e realizzati film; a lui sono intitolate scuole e, da
tempo, la Curia di Agrigento sta lavorando all'apertura di un
processo diocesano che potrebbe portare alla canonizzazione. Il 10
maggio 1993, papa Giovanni Paolo II giunge nella Sicilia
occidentale. Di fronte a centomila fedeli lancia dal palco sia il
celebre appello ai boss mafiosi "Pentitevi" sia l'invito ai
siciliani a impegnarsi collettivamente nel rifiutare qualsiasi
compromesso con la criminalità. Dopo la manifestazione, il
pontefice incontra in forma privata gli anziani genitori del
magistrato ucciso. Quel giorno nasce a Canicattì l'associazione
"Amici del Giudice Rosario Livatino", promossa da una ex insegnante
del magistrato che decide di far proprio l'impegno profuso dal
vescovo di Agrigento nel raccogliere testimonianze per un possibile
avvio di un processo di canonizzazione.



La religiosità contraddistingue il
percorso di vita di Rosario, cattolico praticante e dotato di una
fede robusta. A quindici anni scrive del suo trasporto verso Dio;
tra le sue abitudini, quella di entrare ogni mattina in chiesa a
pregare prima di andare in tribunale; nel cassetto della scrivania
un rosario e, sopra, il vangelo che leggeva ogni sera a conclusione
della giornata per rasserenarsi e trovare riposo.



Livatino viene ricordato come un
magistrato atipico nei comportamenti segnati da un rigore misto,
tra lo spartano e l'ascetico. Mai una parola fuori posto; inutile
rintracciare uno sfogo a voce alta. Evita anche la pausa pranzo con
i colleghi. Per lui basta un bicchiere di latte bianco consumato
nel suo ufficio. Il collega Stefano Manduzio quando si accorge che
Rosario aggiunge anche del caffè al suo latte, ironizza con gli
altri magistrati: "Allora si può corrompere". Anche nella battuta
si nasconde l'ammirazione compiaciuta verso un magistrato di cui i
colleghi apprezzano anche la competenza professionale e la
preparazione giuridica.



In una conferenza del 7 aprile 1984
sul "Il ruolo del giudice in una società che cambia", Livatino
sostiene che il giudice: altro non è che un dipendente dello Stato"
al quale è affidato lo specialissimo compito di applicare le leggi,
che quella società si dà attraverso le proprie istituzioni, in un
momento di squisita delicatezza del loro operare: il momento
contenzioso. Per ciò stesso, il magistrato non dovrebbe essere una
realtà sul cui mutamento ci si debba interrogare: egli è un
semplice riflesso della legge che è chiamato ad applicare. Se
questa cambia, anch'egli dovrebbe cambiare; se questa rimane
immutata, anch'egli dovrebbe mantenersi uguale a se stesso, quali
che siano le metamorfosi della società che lo avvolge...". E
ancora: "... Sarebbe quindi sommamente opportuno che i giudici
rinunciassero a partecipare alle competizioni elettorali in veste
di candidato o, qualora ritengano che il seggio in Parlamento
superi di molto in prestigio, potere ed importanza l'ufficio del
giudice, effettuassero una irrevocabile scelta, bruciandosi tutti i
vascelli alle spalle, con le dimissioni definitive dall'ordine
giudiziario". E infine: "... L'indipendenza del giudice, infatti,
non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà
morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di
sacrificio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza,
nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua
moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle
mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle
sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue
amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari,
tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio
di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o
per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della
contaminazione ed il pericolo della interferenza; l'indipendenza
del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a
conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento
della sua attività...."