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AREA GENERALE | Notizie
15 marzo 2013

Giacumbi assassinato dalle Brigate Rosse

Nicola Giacumbi è l'ottava vittimadel terrorismo. Viene ucciso dalla colonna salernitana delleBrigate Rosse la sera di domenica 16 marzo 1980, mentre  starientrando a casa in compagnia della moglie dopo una tranquilladomenica trascorsa dai suoceri e al cinema. Il Corriere della Seraattribuirà all'omicidio 'un forte valore simbolico teso adaccreditare un blocco di violenza terroristica che univa il Nord alSud". Otto brigatisti saranno individuati e condannati come autoridell'attentato. Magistrato per vocazione e tradizione ( è figlio diGiuseppe, Procuratore della Repubblica in S. Maria Capua Vetere ),Nicola Giacumbi - in precedenza tra l'altro pm a Cosenza , dovepersegue con serrate indagini una nascente "'ndrina" -- personastimatissima e rispettata da tutti a Palazzo di Giustizia, èvittima innocente di un'azione terroristica che lo colpisce soloperché simbolo dello Stato. Ad ennesima riprova della folliadell'ideologia brigatista, dal processo si apprenderà che lacellula terroristica salernitana aveva quasi "tirato a sorte lavittima innocente da immolare per la causa" (tratto dallapubblicazione del Csm "Nel loro segno").


Nicola
Giacumbi



(Santa Maria Capua Vetere (CE) 18
agosto 1928 - Salerno, 16 marzo 1980), Procuratore f.f. della
Repubblica di Salerno

assassinato dalle Brigate Rosse



Nicola Giacumbi è l'ottava vittima
del terrorismo. Viene ucciso - a due anni esatti dal rapimento di
Aldo Moro - dalla colonna salernitana delle Brigate Rosse la sera
di domenica 16 marzo 1980. Due giorni dopo a Roma viene ucciso un
altro magistrato Girolamo Minervini. Il giorno successivo ancora,
Guido Galli.



L'agguato avviene in corso
Garibaldi a Salerno: Giacumbi sta rientrando a casa in compagnia
della moglie dopo una tranquilla domenica trascorsa dai suoceri e
al cinema. Gli assassini si sono piazzati in posizione simmetrica.
Uno a destra del portone all'angolo di una strada, l'altro a
sinistra a dieci metri dall'ingresso dell'edificio ove abita il
magistrato. Sono quasi le venti e Giacumbi sta per infilare la
chiave nella serratura del portone d'ingresso quando due giovani
travisati sbucano alle spalle e gli sparano con due pistole 7,65
silenziate. Uno dei colpi sfiora alla nuca la moglie del
procuratore.



La folla non riesce a entrare a San
Pietro in Camerellis, ove si svolgono i funerali. Gonfaloni, corone
di Stato, autorità.



Le Brigate Rosse rivendicheranno il
delitto con una telefonata a una Tv locale e con un volantino
ritrovato sotto il lavandino del bagno di un frequentato Caffè del
centro di Salerno. Il Corriere della Sera attribuirà all'omicidio
'un forte valore simbolico teso ad accreditare un blocco di
violenza terroristica che univa il Nord al Sud". Otto brigatisti
saranno individuati e condannati come autori dell'attentato.



Nicola Giacumbi è figlio di
Giuseppe, Procuratore della Repubblica in S. Maria Capua Vetere
dove nasce il 18 agosto del 1928. Studia nel locale liceo Principe
Tommaso di Savoia. Da universitario, un incidente lo costringe a
letto per due



anni e lo rende perennemente
claudicante. Ma la sua volontà non viene menomata. Diventa presto
uditore giudiziario. Il suo primo incarico importante è alla
Procura di Cosenza dove persegue con serrate indagini una nascente
"ndrina" e fa condannare il capo della mala locale. L'affetto per
la mamma, rimasta vedova, gli fa chiedere il trasferimento a
Salerno. Qui si occupa dei principali casi di corruzione
salernitana - all'università, alla scuola di ostetricia e
all'azienda dei trasporti pubblici. Quattordici anni di servizio
fino a quel maledetto 16 marzo 1980.



Magistrato per vocazione e per
tradizione, non è un volto noto di Salerno, ma è conosciuto e
rispettato da tutti a Palazzo di Giustizia. Nicola Giacumbi è
vittima innocente di un'azione terroristica che lo colpisce solo
perché simbolo dello Stato; dal processo si apprenderà che la
cellula terroristica salernitana aveva quasi "tirato a sorte la
vittima innocente da immolare per la causa". Ventitrè anni dopo, in
un'intervista concessa a Il Mattino, la vedova di Giacumbi,
ricorderà: "Qualche giorno prima dell'agguato, stavamo facendo
colazione e mio marito assunse un atteggiamento pensoso e mi disse:
"Non penso a me ma a quel che può accadere a te e a Giuseppe".
Giacumbi quindi, sapeva di poter essere nel mirino dei terroristi e
proprio per questo aveva rifiutato la scorta "per non mettere a
repentaglio altre vite umane come era avvenuto due anni prima con
il sequestro Moro".



Domenico Romano, già Procuratore
della Repubblica in Nocera, nel trentesimo anniversario della
scomparsa di Giacumbi racconta: "La sua casa era a due passi da
questo tribunale dove ogni giorno si recava per lavorare. Spesso il
suo sguardo si posava sul suo appartamento, che era proprio di
fronte al Palazzo di giustizia. Giacumbi guardava attraverso le
finestre per scorgere i movimenti delle persone che amava, la sua
cara moglie ed il suo adorato bambino".



Il Presidente dell'Associazione
nazionale magistrati del Distretto di Salerno, Vincenzo Pellegrino,
così ha aperto nell'aula della Corte d'Appello di Salerno la
cerimonia di commemorazione, anche qui in occasione del trentesimo
anniversario dell'uccisione del magistrato: "Dovevamo al collega
Nicola Giacumbi e ai suoi congiunti, questo tributo, ma lo dovevamo
anche alla cittadinanza tutta di Salerno. A questa città dovevamo
ricordare che un uomo fu strappato alla sua famiglia perché portava
una toga, questa toga. Come già era successo ad altri prima di lui
e come purtroppo sarebbe successo a tanti dopo di lui, fu ucciso
perché con quella toga rappresentava Io Stato e perché, allora come
oggi, chi porta questa toga costituisce la spina dorsale di questo
Stato..."



È toccante il ricordo che del padre
ha Giuseppe Giacumbi che, all'epoca del fatto, aveva solo sei anni
e che è oggi ingegnere chimico: "Il ricordo personale è ben vivido
ma lo serbo per me. Le testimonianze degli amici e colleghi di mio
padre, per non parlare delle persone che io neanche conoscevo, mi
hanno sempre trasmesso un grande orgoglio perché ho potuto
constatare, anche dopo più di trent'anni, che belle impronte mio
padre abbia lasciato nel suo percorso, purtroppo così bruscamente
interrotto". Nel ricordo dei colleghi "mio padre era una persona
molto seria, precisa e dedita al lavoro, con un grande senso
dell'impegno e della responsabilità. Paradossalmente, a quanto ho
appreso, il suo omicidio non ebbe un movente legato alle attività
professionali. Mio padre fu "semplicemente" ucciso da un gruppetto
di disperati salernitani che aspiravano, mediante il gesto, ad
accreditarsi presso i vertici delle BR...". E ha aggiunto: "Quando,
qualche giorno fa, ho visto i manifesti che portavano la scritta
"Via le BR dalle Procure" non ho provato nessun sentimento estremo.
In un Paese dove le prime pagine dei quotidiani nazionali sono
perennemente dedicate ad argomenti da "tabloid", diventa difficile
stupirsi davvero di qualcosa. Anche il disgusto diventa
un'abitudine... Personalmente sono contro qualsiasi forma di
estremismo, sia esso politico, sociale o religioso. Tuttavia, il
fatto che mio padre ed altri innocenti siano stati uccisi dalle
"vere" BR non deve costituire un ombrello per giustificare
atteggiamenti eccessivi anche da parte della stessa magistratura di
cui egli faceva parte".



(Tratto dalla pubblicazione del Csm
"Nel loro segno").