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ORGANI ANM | Notizie
26 giugno 2013

Bruno Caccia, vittima della 'ndrangheta

Bruno Caccia, Procuratore dellaRepubblica di Torino, viene assassinato la sera del 26 giugno 1983mentre porta a passeggio il cane, abitudine cui non aveva volutorinunciare nonostante i rischi e la scorta. Si accerterà chemandante dell'omicidio è la 'ndrangheta, nel mirino dei pm torinesida quando Caccia era arrivato al vertice dell'ufficio. Dirà di luiMarcello Maddalena, attuale Procuratore Generale presso la Corted'Appello di Torino che nella sua persona "il famoso senso delloStato…traeva origine dalla profonda convinzione…che la vita degliesseri umani è per sua essenza vita sociale" e "convivenza secondoregole che vanno rispettate". E che era "libero, indipendente,imparziale; in una parola, giusto...i suoi unici 'padroni' erano lalegge e la verità: il resto non esisteva…. schietto e sincero finoai limiti della convenienza, non praticava 'corridoi' e non avevané avversari né scopi né pensieri occulti…". Lo stesso concettocosì reso da un collaboratore di giustizia, a spiegare le ragionidel suo premeditato assassinio: era uno "che non ci si potevaparlare" (tratto dal volume "Nel loro segno" edito dalCsm). 


Bruno Caccia

(Cuneo, 16 novembre 1917 - Torino, 26 giugno 1983)

Procuratore della Repubblica di Torino, vittima della
'ndrangheta



A Torino, in via Sommacampagna, fra
il Po e la collina torinese, resta una targa sotto la fronda di un
glicine: «Il 26 giugno 1983 qui è caduto, stroncato da mano
assassina, nel pieno della sua lotta contro il crimine, Bruno
Caccia. Procuratore della Repubblica, medaglia d'oro al valor
civile, strenuo difensore del diritto, luminoso esempio di coraggio
e fedeltà al dovere».



Quel 26 giugno, Bruno Caccia aveva
trascorso la domenica fuori città ed era rientrato in serata a
Torino. Verso le 23,30, mentre passeggia con il cane, viene
affiancato da una Fiat 128 blu con a bordo due sicari che, senza
scendere dall'auto, prima sparano quattordici colpi e poi, per
essere certi della morte del magistrato, lo finiscono con tre colpi
alla nuca. La notizia viene data dalla televisione nell'ultimo TG.
Si racconta che nelle Carceri Nuove di Torino molti detenuti
abbiano festeggiato.



Inizialmente, le indagini imboccano
le piste del brigatismo e del terrorismo nero. La svolta si ha con
la scelta di collaborare di un boss della cosca catanese insediata
a Torino. Si accerta così che ad uccidere Bruno Caccia è stata la
`ndrangheta perché con lui "non ci si poteva parlare". Nel 1993 il
mandante dell'omicidio sarà condannato all'ergastolo; i sicari non
saranno mai identificati. Nella sentenza c'è il racconto di un
omicidio deciso a freddo, studiato nei minimi particolari, eseguito
con brutale ferocia, per "eliminare un ostacolo all' attività della
banda". Il clan dei calabresi era infatti nel mirino della Procura
della Repubblica da quando Bruno Caccia era arrivato al vertice
dell'ufficio: la sua sola presenza costituiva una grave
minaccia.



Bruno Caccia nasce a Cuneo il 16
novembre del 1917. La sua carriera in magistratura inizia nel 1941
a Torino, ove svolge funzioni di Sostituto Procuratore. Nel 1964,
si trasferisce ad Aosta. Nel 1967 fa ritorno nella Procura del
capoluogo piemontese. Si occupa di eversione, piccola e grande
criminalità e reati contro la pubblica amministrazione. Con Gian
Carlo Caselli istruisce il primo Processo al nucleo storico delle
Brigate Rosse. Nel 1980 diviene Procuratore della Repubblica. A
Palazzo di Giustizia è un lavoratore infaticabile. Entra in ufficio
alle otto di mattina e esce alle otto di sera concedendosi una
pausa all'ora di pranzo quando torna a rasa. È un uomo semplice. Si
concede qualche cena con i colleghi, il teatro e la passione
per l'orto. Quando può va a Ceresole d'Alba, dove si trova la casa
di famiglia. In quel luogo pensa di ritirarsi dopo la pensione.



Con determinazione avvia indagini
su un fenomeno allora poco noto, quello che investe la 'ndrangheta
e i suoi affari illeciti. A Torino vivono appartenenti a famiglie
malavitose che cercano dì "espandere" i loro «codici e rituali
antichi. Caccia non concede spazio e con fermezza mette sotto
controllo i pusliet siciliani che controllano le piazze, incarica
la polizia di effettuare controlli nelle bischeed esattorie dei
calabresi e, fatto ancor più pericoloso per la sua incolumità,
comincia a effettuare controlli bancari. Per i clan calabresi,
Caccia diventa una presenza sempre più ingombrante, un forte
ostacolo alla realizzazione delle attività criminose. Il
Procuratore vive sotto scorta e ha a disposizione un'auto blindata.
Ma in casa evita di parlare di lavoro e dispensa tranquillità alla
famiglia. Non lascia trapelare preoccupazioni. Vive la casa come
ambiente protetto, un porto di quiete.



I suoi avversari lo pedinano da
tempo e hanno compreso come e dove intervenire. Individuano tra le
abitudini del Magistrato un punto debole. Sebbene abbia la scorta,
Caccia non rinuncia a una piccola libertà che si concede ogni sera
quando scende di casa con il suo cane per portarlo ai giardinetti.
E così fa anche la sera del suo omicidio.



Marcello Maddalena, attuale
Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Torino e già
collega di Bruno Caccia - con il quale condivise l'impegno nel pool
antiterrorismo - cosi ricorda l'amico in un articolo apparso su La
Stampa del 27 giugno 1993, dieci anni dopo dall'omicidio. "Bruno
Caccia ha lasciato "eredità di affetti": non solo nei familiari e
negli amici, ma anche in chi, nelle aule e negli uffici giudiziari,
lo ha avuto al fianco o lo ha fronteggiato, criticato o
contrastato. Perché era libero, indipendente, imparziale; in una
parola, "giusto".. Quel che aveva da dire, lo ha sempre detto in
vita, faccia a faccia: non ha avuto bisogno di lasciare diari. Non
conosceva né viltà né paura: I suoi unici "padroni" erano la legge
e la verità: il resto non esisteva. Pubblico Ministero da sempre,
aveva del suo ruolo la più semplice delle concezioni: per lui il
Pubblico Ministero era colui, che imparzialmente promuoveva la
repressione dei reati e ristabiliva l'ordine violato .... Una
società civile non è tale se ci sono settori, apparati, istituzioni
che non funzionano o funzionano male; ed il progresso è ordinata
convivenza, in cui ciascuno deve avere il suo posto e il suo ruolo.
Ma quel posto deve essere occupato per davvero e quel ruolo deve
essere esercitato sul serio. Posti e ruoli non sono attribuiti per
soddisfare ambizioni personali ma perché servano alla società.
Questa, e non altra, era la "filosofia" applicata, di Bruno
Caccia".



Il 26 giugno del 2001, in occasione
del diciottesimo anniversario dell'uccisione del magistrato,
Maddalena integra le sue considerazioni di allora: "... Bruno
Caccia è stato e continua ad essere un simbolo. E come tale vive e
continuerà a vivere in questo Palazzo, nella mente e nell'animo di
tutti coloro che hanno la giustizia nel cuore..., di calore, di
intelligenza e di rispetto umani era permeato il famoso senso dello
Stato di Bruno Caccia che traeva origine in lui da un sentimento e
da una convinzione più profondi: che la vita degli esseri umani è,
per sua essenza, vita sociale; che ... solo nella civile e pacifica
convivenza possono trovar sviluppo altri valori quali libertà,
solidarietà, eguaglianza, fratellanza, giustizia. E però la
pacifica convivenza necessita di regole; di regole che debbono
essere osservate... E quindi il "rigore", il famoso rigore, la
famosa severità, la talora asserita "durezza" di Bruno Caccia...
altro non era se non il semplice ed umile richiamo al rispetto
delle regole..., schietto e sincero fino ai limiti della
convenienza, non praticava "corridoi" e non aveva né avversari né
scopi né pensieri occulti: quel che pensava e aveva da dire lo
diceva apertamente, senza arroganza e senza iattanza, ma senza
infingimenti, chiaramente e fino in fondo".



A Bruno Caccia sono intitolati il
Palazzo di Giustizia di Torino e un cascinale a San Sebastiano da
Po, quest'ultimo sequestrato proprio alla famiglia del mandante del
suo omicidio. Cascina Caccia viene tuttora gestita
dall'associazione Libera, che si occupa del riutilizzo sociale dei
beni confiscati alle mafie.