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9 luglio 2013

Vittorio Occorsio vittima del terrorismo nero

Pm a Roma dal 1965 dopo esserestato Pretore a Frosinone e Terni, nel maggio del 1971 VittorioOccorsio chiede ed ottiene dal Tribunale di Roma l'applicazionedella c.d. "legge Scelba" e il conseguente scioglimento delmovimento "Ordine Nuovo" per "ricostituzione del disciolto partitofascista". Anche perché titolare di alcune delle più delicateinchieste sul terrorismo e la grande criminalità, Occorsio entranel mirino dei gruppi eversivi, ed "Ordine Nuovo" rivendicherà lasua barbara uccisione, avvenuta mentre si recava in ufficio, senzascorta, con la sua "Fiat 125". A pochi mesi dall'assassinio, ilfiglio Eugenio dirà di lui: "guardava alla vita sempre con tantagioia, nonostante la perenne atmosfera di tensione in cui eracostretto a lavorare….non riesco a vedere neanche lontanamente cosaodiavano in un uomo come lui colpevole solo di fare il propriolavoro con serietà e fiducia…." (tratto dal volume "Nel lorosegno" edito dal Csm) 


Vittorio Occorsio

(Roma, 9 aprile 1929 - Roma, 10 luglio1976)

Sostituto Procuratore della Repubblica a Roma,

vittima del terrorismo di estrema destra negli anni di piombo.



Il 10 luglio del 1976 Vittorio
Occorsio Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di Roma esce di casa alla guida della sua Fiat 125 per andare al
lavoro. Non vi giungerà mai; viene colpito da una raffica di mitra
esplosa da una o più persone a bordo di una motocicletta. I
terroristi fuggono portandogli via la borsa; sul posto lasciano
alcuni volantini con i quali il movimento politico "Ordine Nuovo"
rivendica l'uccisione.



Vittorio Occorsio nasce a Roma
nell'aprile del 1929 da una famiglia napoletana, frequenta il liceo
classico Giulio Cesare, si laurea in Giurisprudenza e, vinto il
concorso in magistratura, inizia la sua carriera come Pretore,
prima a Frosinone, poi a Terni. Nel 1965 viene destinato alla
Procura di Roma.



Nel maggio del 1971 chiede
l'applicazione della Legge Scelba e il conseguente scioglimento del
movimento "Ordine Nuovo" per "ricostituzione del disciolto partito
fascista; il 23 novembre il Tribunale di Roma accoglie la sua
richiesta. Da quel giorno, anche perché titolare di alcune delle
più delicate inchieste sul terrorismo e la grande criminalità,
Vittorio Occorsio entra nel mirino dei gruppi eversivi.



A pochi mesi dall'assassinio del
padre, Eugenio Occorsio cercò di ricordare e ricostruire i giorni
che lo precedettero. "Cerco disperatamente nella memoria un segno,
un indizio, una traccia di qualche discorso pronunciato da mio
padre negli ultimi mesi della sua vita che potesse riferirsi a
minacce ricevute. Niente, non trovo niente. Paura forse sì, ma
accettata come una sorta di fatalismo, e non poteva essere
diversamente nelle sue condizioni, sempre al centro delle più
travagliate e spinose vicende giudiziarie di questi ultimi anni. Se
non voleva lasciarsi sopraffare dall'angoscia, dall'ansia e dalla
paura, un uomo con così tanti nemici doveva farsi forza e andare
avanti, incredibilmente come se niente fosse per fare coraggio a sé
ed a noi. Ma la verità è che non ho neanche la forza di pensare al
passato, ricostruire gli ultimi giorni della sua vita, quella vita
a cui guardava sempre con tanta gioia, nonostante la perenne
atmosfera di tensione in cui era costretto a lavorare. Ho vissuto
questi anni come perseguitato dalla domanda "ma tu sei figlio di
Occorsio?", e quando glielo raccontavo lui ci rideva, come rideva
di tutte le altre cose, di mia nonna, sua madre, che gli telefonava
ad ogni notizia di cronaca nera. Si faceva forza per sé ma
soprattutto per noi. Parlava volentieri del suo lavoro, ma senza
ossessionarci. Sembra ovvio, scontato, ma in questo momento non
riesco a vedere lati negativi della sua personalità. Non riesco a
vedere neanche lontanamente cosa odiavano in un uomo come lui
colpevole solo di fare il proprio lavoro con serietà e fiducia. Ma
forse non è retorico né scontato per il semplice motivo che neanche
quando era ancora vivo provavo per lui sentimenti diversi
dall'amore, dalla stima e forse più che ogni altra cosa,
dall'amicizia".



Per l'omicidio di Vittorio Occorsio
saranno condannati due terroristi: uno morirà in carcere nel 1989;
l'altro, Pierluigi Concutelli, ha ottenuto il 19 aprile 2011 la
sospensione della pena per le gravi condizioni di salute in cui
versa. La decisione ha destato polemiche e reazioni e, tra queste,
quella resa a caldo dal nipote del magistrato, Vittorio anche lui.
Della decisione ha parlato in una lettera a "La Repubblica" ancora
il figlio di Occorsio, Eugenio che ha scritto: "Quando arrivano
notizie come quella della liberazione di Concutelli, nella mente si
scatena un turbine di emozioni spesso difficilmente controllabili e
che solo l'esperienza degli anni per-- mette di affrontare. Una su
tutte: il dolore, che si ripropone lancinante e intollerabile. E
può sfociare nella rabbia. In una reazione altrettanto irrazionale
come il comportamento che l'ha generata. Così succede che mio
figlio, Vittorio come il nonno, 23 anni, si abbandoni sulla scia
dello sconcerto ad espressioni improvvide e insensate ... come
addirittura l'invocazione della pena di morte per Concutelli. E
invece proprio qui deve emergere la differenza fra chi è membro di
una società civile, ed è orgoglioso di esserlo, e chi invece ha
scelto di starne ai margini come i terroristi. E siccome Vittorio
junior è un ragazzo sensato e che riflette sulle cose ho
ricominciato subito a spiegarglielo, perché nella nostra famiglia
non devono esistere animosità e spirito di violenza. Occhio per
occhio non è una regola, è l'opposto delle regole. Bisogna sempre
impostare la risposta ai crimini anche più odiose e assurdi entro i
limiti della Costituzione, delle leggi, delle norme, che se fatte
rispettare sono più che sufficienti a comminare punizioni giuste e
mai eccessive, nulla che sappia di vendetta. Il tutto in un cammino
di civiltà che non deve conoscere deviazioni.



Nel nostro caso, non siamo stati
abbandonati dallo Stato, non gli si poteva chiedere di più. Dal
primo momento, da quella sciagurata mattina in cui ho sentito gli
spari e sono sceso precipitosamente dalle scale per vedere mio
padre morirmi sotto gli occhi, la magistratura e le forze di
polizia hanno preso in mano la situazione con decisione, e con
puntiglio e coraggio sono arrivati al colpevole. Anche l'epilogo,
con la liberazione dell'omicida, non è inaccettabile: siamo di
fronte ad un uomo, a quanto pare plurinfartuato o qualcosa del
genere, che si è fatto più di trent'anni di carcere. Cos'altro
doveva accadere? La grandezza dello Stato, la tenuta delle
istituzioni democratiche, si misura anche dalla capacità di non
infierire inutilmente sui colpevoli.

Detto questo, un pentimento più convinto e articolato sarebbe stato
dovuto. Non basta esprimere un generico rimorso se a questo non si
accompagna una revisione vera della propria attività "politica",
come la chiama lui. Tanti detenuti escono anzitempo dal carcere ma
ciascuno ha elaborato un suo percorso di pentimento, di redenzione,
di volontà di reinserirsi nella società. Proprio perché gli anni
sono stati tanti, infiniti saranno stati i momenti in cui anche a
Concutelli sarà venuta in mente la follia dei suoi gesti,
l'aberrazione del suo progetto guerrigliero. Nulla è trapelato, né
tantomeno è emersa la collaborazione nel ricostruire più in
profondità il contesto diabolico in cui il delitto di mio padre è
maturato, i sordidi legami intrecciati su cui stava indagando e che
gli sono costati la vita. E questo acuisce il dolore, e giustifica
anche qualche volta la rabbia come quella di Vittorio" (tratto
dal volume "Nel loro segno" edito dal Csm).