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https://www.associazionemagistrati.it/2004/carichi-esigibili-standard-di-rendimento-e-autorganizzazione-del-magistrato-per-una-giustizia-moderna.htm
LA MAGISTRATURA | Articolo Rivista
24 luglio 2015

Carichi esigibili, standard di rendimento e autorganizzazione del magistrato per una giustizia moderna

Premessa: riferimenti normativi e schema dell’articolo

Per esigenza di chiarezza è bene dire subito quali sono i riferimenti normativi di quanto in questa sede esaminato e tracciare lo schema del presente articolo.
I carichi esigibili sono previsti dall’art. 37, d.l. n. 98/2011: ai fini della norma i carichi esigibili sono funzionali all’individuazione dei programmi di gestione a cui sono tenuti i dirigenti degli uffici. Essi, quindi, nella concezione normativa, non incidono sulla valutazione di professionalità del singolo magistrato.
Gli standard di rendimento: sono previsti dall’art. 11, comma 2, lett. b, e comma 3, lett. e), del d.lgs. 5 aprile 2006 n. 160. Gli standard di produttività sono uno degli elementi per effettuare la valutazione di professionalità del magistrato.

Il presente lavoro, quindi:

1. Significato e premesse culturali dei carichi esigibili: la fiducia nel singolo e la sburocratizzazione delle tabelle organizzative
La problematica dei carichi di lavoro della magistratura e del singolo magistrato è oramai di tale gravità e di tale interesse che non si può più
continuare a ignorare.
Essa, infatti, è il punto di snodo per realizzare una buona giustizia nell’interesse soprattutto dei cittadini. 
È, cioè, evidente che solo stabilendo chiare soglie di produttività del singolo magistrato e investendo fiducia in quest’ultimo si possono ottenere i seguenti risultati:

Il significato da attribuire alla locuzione “carico esigibile” è, quindi, di un’evidenza e banalità disarmante, ancorché nel corso degli anni si siano alzate cortine fumogene sempre più spesse proprio per nascondere tale evidenza: nell’ambito dei rispettivi settori, il carico esigibile deve rappresentare la soglia di produttività in concreto esigibile dal magistrato e sulla cui base il dirigente dell’ufficio deve programmare realisticamente i risultati raggiungibili.

2. I pregiudizi ostativi all’approvazione dei carichi esigibili: autoritarismo e diffidenza verso il singolo.
La critica (disarmante) del c.d. “numeretto” A fronte dell’evidenza innanzi esposta, ci si deve chiedere perché, ad oggi, il CSM ancora non abbia provveduto a prevedere dei chiari carichi esigibili e soglie di produttività, avendo, invece, preferito adottare complicatissime e arzigogolate circolari in materia (ci si riferisce in particolare alle circolari in materia di standard di rendimento ex art. 11, comma 2, lett. b, e comma 3, lett. e), del d.lgs. 5 aprile 2006 n. 160, come riformulato dall’art. 2 l. n. 111/2007, e alla circolare in materia di carichi esigibili ex art. 37, d.l. n. 98/20011). La sensazione è che i reali motivi, oltre che contingenti e dettati da ragioni di tattica associativa, affondino in convinzioni non accettabili in ordine al ruolo del magistrato e alla sua autonomia anche organizzativa rispetto ai dirigenti e al CSM. È, infatti, chiaro che l’approvazione di soglie di produttività inciderebbe moltissimo sul ruolo organizzativo del giudice, in specie del giudice civile. È, cioè, evidente che, una volta fissati dei chiari obiettivi di produttività (sia per l’ufficio che per il singolo magistrato), fatalmente verrebbe meno la concezione burocratica e surrettiziamente gerarchica affermatasi negli ultimi anni.

In particolare, è palese che:

In definitiva, è evidente che l’approvazione di chiare soglie di produttività ridimensionerebbe incisivamente il potere dei dirigenti degli uffici e dello stesso CSM; ridimensionamento a cui per evidenti ragioni, tenacemente si oppongono le forze più conservatrici della magistratura e più legate a modelli organizzativi burocraticoformalisti volutamente destinati a far prevalere l’apparato sul singolo.
In questo contesto si spiega la critica spesso formulata ai carichi esigibili e che potremmo definire la critica del “numeretto magico”. Non di rado, infatti, si afferma che sarebbe del tutto irragionevole fissare un numero, raggiunto il quale il magistrato potrebbe incrociare le braccia e smettere di lavorare.
Tale osservazione critica – peraltro dal forte sapore moralistico – è chiaramente frutto di alcuni presupposti non detti e, in particolare:

3. Un esempio concreto 
Presidente di sezione civile ordinario con 5 giudici e un ruolo complessivo di 5.000 cause. Standard di rendimento annuo previsto dal CSM per quel settore secondo un range che va da un minimo a un massimo:
100 sent. (soglia minima da raggiungere obbligatoriamente e rappresentativa anche del LEAG e cioè del livello minimo di risposta giurisdizionale da assicurare a livello nazionale);
115 (soglia media);
130 (soglia massima di produttività).
(N.B.: si escludono le altre definizioni solo per comodità di esempio)

I singoli giudici dovranno essere valutati positivamente ex art. 11 sub specie del rispetto dello standard di rendimento ex art. 11, comma 3, lett. e) se ciascuno di loro depositerà 100 sentenze (si intende escluse le cause seriali). 
Chi ne depositerà di più, rispettando anche il necessario profilo qualitativo, ovviamente, dovrà essere valutato ulteriormente in modo positivo sotto il profilo della laboriosità ex art. 11 comma 2, lett b). Il dirigente − in base alle condizioni dell’ufficio, all’esperienza dei giudici etc. – potrà fare un programma di gestione prevedendo che la sezione produrrà ad esempio 500 sentenze all’anno (il dirigente ipotizza quindi che ciascun giudice depositerà 100 sentenze), 575 sentenze (ipotizzando che ciascun giudice depositerà 115 sentenze oppure che alcuni depositeranno 100 mentre altri normalmente più produttivi depositeranno 120 sentenze), 650 sentenze (ipotizzando che tutti i magistrati producano il massimo di sentenze). 
Il buon dirigente, quindi, sarà quello che riuscirà a convincere e a motivare i giudici a produrre di più del LEAG senza pregiudicare la qualità delle decisioni e senza basarsi su meccanismi autoritari, latamente gerarchici, ma appunto facendo leva su altre motivazioni.
Oltre il numero di 650 sentenze, la responsabilità per l’arretrato non può e non deve essere imputata alla magistratura, né giuridicamente né moralmente: i 4.350 fascicoli di arretrato, cioè, vanno imputati solo ed esclusivamente alla responsabilità della politica.

 

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1 Sull’irrazionalità oggi del numero di udienze svolte, ci si permette di rinviare a Lepre, Analisi della giustizia civile. Un’idea di riforma, Rubbettino, 2013, p.16 e ss.  
2 Si vedano, in particolare, il par. 11.4 ed il par. 31 del progetto tabellare del 06.05.2013; par. 11.4: “Salvi eventuali esoneri, da disporsi con decreto motivato, ciascun consigliere partecipa di regola a quattro udienze al mese, e resta a disposizione, quale riserva, per una o, per motivate esigenze, per più udienze mensili, possibilmente nei giorni precedenti a quelli delle udienze effettivamente tenute. Ciascun consigliere non può tenere più di due udienze a settimana, distanziate, in caso di accorpamento in un’unica sequenza, di almeno una settimana da quelle successive. Nel numero mensile di udienze sono comprese quelle tenute presso la Sesta sezione civile e la Settima sezione penale, nonché il Tribunale superiore delle acque pubbliche. La partecipazione del consigliere a un numero di udienze superiore a quattro, oltre a quella di riserva, può essere disposta con decreto motivato dal presidente titolare della sezione, sentito l’interessato, salvo che occorra far fronte ad esigenze indifferibili”; cfr par. 31.5, dove, dopo aver individuato i criteri per “pesare” i vari procedimenti, si stabilisce quanto segue: “a ciascun componente del collegio vengono assegnati ricorsi per un valore ponderale complessivo indicativamente non superiore ad 8 per ogni udienza, comunque superabile nel caso di ricorsi inammissibili o seriali, tali da richiedere una motivazione standard, ovvero per ragioni eccezionali”.  
3 Il giudice unico esercita le funzioni monocratiche previste dall’articolo 5 della legge 21 luglio 2000, n. 205, fissa ogni semestre il proprio calendario di udienze e, con proprio decreto, fissa la trattazione dei relativi giudizi”. 

4 In via generale, relativamente al rigore con cui viene valutato il ritardo nel deposito dei provvedimenti, cfr. Cass. sez. un. n. 1768 del 25/01/2013.