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LA MAGISTRATURA | Articolo Rivista
27 dicembre 2016

Le Sezioni Unite sulla compensazione legale dei crediti sub iudice Commento a Cass. S.S.U.U. 15 novembre 2016, n. 23225

Principale modalità di estinzione di un’obbligazione, si sa, è l’adempimento. Oltre all’adempimento, però, il nostro Codice Civile contempla diverse e ulteriori modalità di estinzione del rapporto debito-credito. Tra queste c’è la compensazione. Ai sensi dell’art. 1241 c.c. nel particolare caso in cui due persone siano obbligate l’una verso l’altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti. La compensazione, tuttavia, è un meccanismo che non opera sempre e comunque. La stessa, oltre ad essere di diverse tipologie, può intervenire solo in presenza di alcuni precisi requisiti, indicati accuratamente dal legislatore. Essa assolve a un’evidente funzione di semplificazione dei rapporti giuridici, oltre che di garanzia della realizzazione del credito.

Le Sezioni Unite si sono di recente addentrate in una questione relativa alla compensazione dei crediti che da qualche tempo aveva suscitato l’interesse delle Corti di merito e di legittimità. La pronuncia in commento ha, infatti, risolto il contrasto sorto in merito alla possibilità di compensare il credito c.d. “litigioso”. Con tale terminologia si vuole indicare quel credito fondato su una sentenza provvisoriamente esecutiva, ma non ancora divenuta definitiva.

Da tempo ci si domandava se il credito sub iudice integrasse tutti i presupposti richiesti dalla legge per la compensazione. Tali presupposti variano a seconda che si discorra di compensazione legale o giudiziale. La compensazione legale viene descritta dal primo comma dell’art. 1243 c.c. Essa impone la contestuale esistenza di tre condizioni: l’omogeneità, l’esigibilità e la liquidità. Segnatamente, il credito è omogeneo quando ha ad oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili. È esigibile quando è immediatamente azionabile, ossia può essere fatto valere in giudizio. Infine, l’obbligazione è liquida quando essa è determinata nel suo preciso ammontare. La liquidità è il requisito che contraddistingue la compensazione legale, che opera di diritto, da quella giudiziale, descritta al secondo comma dell’art. 1243 c.c. Se infatti l’obbligazione non è liquida, bensì solo liquidabile, ossia di pronta e facile liquidazione, non ci sono i presupposti necessari per la compensazione legale, ma sussistono quelli per la compensazione giudiziale.

Il credito sub iudice è senz’altro un credito che presenta il carattere dell’omogeneità, laddove abbia ad oggetto denaro o comunque una certa quantità di cose fungibili. Esso può essere esigibile, posto che è un credito azionabile a seguito della pronuncia di primo grado provvisoriamente esecutiva. Infine, il credito litigioso può essere parimenti liquido o anche liquidabile. La pronuncia giudiziale, infatti, quantifica direttamente la somma dovuta al creditore, oppure individua i criteri stringenti per quantificarla. Il credito sub iudice, conseguentemente, sulla base di tali premesse, sarebbe opponibile in compensazione, sia essa legale o giudiziale, a seconda dei casi.

L’art. 1243 c.c. nulla precisa in merito alla certezza del diritto di credito. Stando alla lettera della norma, quindi, è possibile dichiarare l’estinzione di ogni ragione fino a reciproca concorrenza, anche se si tratta di crediti la cui esistenza potrebbe essere solo provvisoria. È proprio questa circostanza, che a prima vista ha destato non poche perplessità, che ha aperto il dibattito circa la compensabilità del credito litigioso. Lo stesso peccherebbe, infatti, di certezza, essendo possibile che l’esito della sentenza pronunciata in primo grado venga successivamente rimesso in discussione. Posto però che il requisito della certezza non è previsto espressamente dal testo della norma, lo stesso non sarebbe un elemento richiesto come necessario ai fini della compensazione. Questo è quanto sostenuto da un primo orientamento, mentre, secondo un’altra consistente parte della giurisprudenza di legittimità, la compensazione, proprio in quanto mezzo di estinzione delle obbligazioni, necessiterebbe un definitivo e incontestabile accertamento sull’esistenza dei rapporti obbligatori da estinguere. Il contrasto, in particolare, era stato originato dalla sentenza n. 23573/2013 della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione. In tale pronuncia la Corte ammetteva la possibilità di compensare un credito reciproco anche laddove sub iudice, discostandosi dal pregresso e pressoché consolidato orientamento.

Per dirimere tali dubbi, la Terza Sezione l’11 settembre 2015 demandava la questione alle Sezioni Unite con ordinanza n. 18001. In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite, tuttavia, la Terza Sezione della Cassazione il 28 giugno 2016 con sentenza n. 13279 già sosteneva che la litigiosità del controcredito è condizione che ostacola l’operare sia della compensazione legale, che di quella giudiziale. Il reciproco effetto estintivo proprio della compensazione, infatti, presuppone che entrambi i crediti siano effettivamente esistenti. Di conseguenza, la compensazione richiede che il controcredito sia stato accertato in modo definitivo, mediante accertamento contenuto in sentenza passata in giudicato o in altro provvedimento divenuto definitivo per mancata impugnazione nel termine di decadenza, o per rinuncia volontaria alla contestazione del controcredito. Secondo la Corte, non sarebbe possibile la compensazione ogni qual volta il credito opposto in compensazione sia stato ritualmente contestato in un separato giudizio. In tali casi il suddetto credito potrà essere liquidato soltanto in quel giudizio, dovendo ancora precisarsi che l’eventuale sentenza di merito o provvedimento di condanna, anche se immediatamente esecutivi, emessi in quel giudizio ancora pendente, non consentono di ravvisare il necessario requisito della definitività, e dunque della certezza del controcredito richiesta per operare la compensazione. Tali provvedimenti, infatti, sono meri titoli accertativi del credito pur sempre connotati dalla provvisorietà, in quanto suscettibili di riforma o revoca nel corso dei successivi gradi del giudizio. Con tali affermazioni della Terza Sezione si è preparata la via poi intrapresa con passo deciso dalle Sezioni Unite.

Il 15 novembre 2016, infatti, il dibattito ha trovato finalmente una definitiva soluzione, poiché le Sezioni Unite hanno dissipato ogni dubbio residuo. Secondo quanto in definitiva affermato dalla Corte, è vero che la certezza non è prevista dall’art. 1243 c.c. quale requisito del credito per la compensazione, così come è anche vero che il significato di certezza è diverso da quello di liquidità. La liquidità è un concetto che attiene all’oggetto della prestazione, al suo quantum. La certezza, invece, concerne l’esistenza dell’obbligazione stessa; essa attiene all’an della pretesa. Nonostante l’evidente lontananza tra le due definizioni, l’idea di liquidità, a ben vedere, postula però quella di certezza. A livello ontologico, prima che giuridico, il concetto che attiene al quantum della pretesa postula quello che concerne l’an debeatur. Nell’art. 1243 c.c., di conseguenza, il requisito di liquidità espresso dal legislatore sottende quello di certezza: l’obbligazione non è liquida o liquidabile se non è certa.

Nel dispositivo della sentenza le Sezioni Unite così si esprimono: “Le norme del codice civile sulla compensazione stabiliscono i presupposti sostanziali, oggettivi, del credito opposto in compensazione: liquidità − che include il requisito della certezza − ed esigibilità. Verificata la ricorrenza dei predetti requisiti, il giudice dichiara l’estinzione del credito principale per compensazione −  legale −  a decorrere dalla coesistenza con il controcredito e, accogliendo la relativa eccezione, rigetta la domanda. Se il credito opposto in compensazione è certo, ma non liquido, nel senso di non determinato, in tutto o in parte, nel suo ammontare, il giudice può provvedere alla relativa liquidazione se è facile e pronta; quindi, o può dichiarare estinto il credito principale per compensazione giudiziale fino alla concorrenza con la parte di controcredito liquido, o può sospendere cautelativamente la condanna del debitore fino alla liquidazione del controcredito eccepito in compensazione. Se è controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale, o in altro giudizio già pendente, l’esistenza del controcredito opposto in compensazione (art. 35 cod. proc. civ.) il giudice non può pronunciare la compensazione, né legale né giudiziale. La compensazione giudiziale, di cui all’art. 1243 secondo comma cod. civ., presuppone l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la medesima compensazione è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo.”.

La certezza del credito si pone quale prius logico implicitamente richiesto dalla norma ai fini della compensazione. Conseguentemente, il credito sub iudice, non potendosi ancora dire certo, definitivo, non è opponibile in compensazione. Con riferimento a tale tipologia di credito non opera né la compensazione legale, né quella giudiziale. La ratio sottesa alla scelta delle Sezioni Unite è chiara: solo con un credito certo, infatti, è possibile raggiungere la finalità estintiva e satisfattoria propria della compensazione.