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LA MAGISTRATURA | Articolo Rivista
16 ottobre 2017

Problematiche concernenti le modifiche all’ordinamento penitenziario ed al codice di procedura penale previste dalla legge 23 giugno 2017 n. 103

Considerazioni introduttive

L’art. 1 comma 85 della legge in oggetto prevede un ampio intervento sull’ordinamento penitenziario ed anche sul codice di procedura penale, che non consente in questa sede l’esame analitico di tutti i suoi aspetti; ci si limiterà, pertanto, ad analizzare quelli più problematici e controversi, quali: 1) la semplificazione delle procedure dinanzi al Magistrato ed al Tribunale di Sorveglianza; 2) la revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative, dalla detenzione e dalla libertà; 3) la revisione della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo.

La semplificazione delle procedure dinanzi al Magistrato ed al Tribunale di Sorveglianza 

L’art. 1 comma 85 lett. a) della legge 23 giugno 2017 n. 103 prevede testualmente che i decreti legislativi recanti modifiche dell’ordinamento penitenziario dovranno provvedere alla “semplificazione delle procedure, anche con la previsione del contraddittorio differito ed eventuale, per le decisioni di competenza del Magistrato e del Tribunale di sorveglianza, fatta eccezione per quelle relative alla revoca delle misure alternative alla detenzione”.

Orbene, è, preliminarmente, da rilevare che nelle materie in cui, effettivamente, un contraddittorio immediato può reputarsi non necessario (come, ad esempio, nella rateizzazione o conversione della pena pecuniaria) o, comunque, è realmente preminente sul contraddittorio immediato la necessità di una spedita decisione del giudice (come nella liberazione anticipata, la cui concessione può comportare la scarcerazione del condannato) lo stesso è già stato reso eventuale, prevedendo una decisione inaudita altera parte del giudice (Magistrato o Tribunale di sorveglianza a seconda delle materie) e la possibilità di introdurre la fase in contraddittorio tramite reclamo o opposizione da parte dell’istante.

Pertanto, vista la legislazione già vigente ed appena illustrata e la formulazione della delega, la postergazione del contraddittorio riguarderà la delicatissima materia della concessione delle misure alternative alla detenzione ed in tale materia un contraddittorio immediato si appalesa, non solo per il condannato (detenuto o libero), ma anche per il giudice, indispensabile; invero, in un procedimento teso alla valutazione dell’evoluzione della personalità di un individuo nonché a conoscere quale sia il suo contesto socio-familiare di riferimento al fine di stabilire se, nonostante i reati commessi, egli è pronto ad affrontare un’esecuzione della pena fuori dalle mura carcerarie, il momento dell’incontro in udienza tra il giudice, l’individuo da valutare ed il suo difensore è irrinunciabile, in quanto strumento esso stesso di conoscenza ed approfondimento.

È vero che la delega non prevede la soppressione del contraddittorio, ma solo una sua eventualità, ma tale soluzione appare estremamente farraginosa e defaticante, costringendo il Magistrato o il Tribunale di sorveglianza a una duplice pronuncia sulla medesima questione, così sovraccaricando il lavoro non solo dei giudici, ma anche delle cancellerie.

Peraltro, l’esigenza, indubbiamente meritevole di attenzione, di accelerare le decisioni della magistratura di sorveglianza sulle misure alternative ben può essere tutelata con degli interventi su un istituto già esistente, quale l’applicazione provvisoria ed inaudita altera parte delle misure stesse da parte del Magistrato di sorveglianza, con decisione finale definitiva attribuita al Tribunale di sorveglianza. Infatti, basta estendere il potere di concessione provvisoria del Magistrato di sorveglianza a tutte le misure alternative e prevedere quale unico parametro decisorio la valutazione prognostica della concessione da parte del Tribunale di Sorveglianza della misura richiesta (eliminando la necessità di valutare anche l’esistenza del pericolo derivante dalla protrazione dello stato di detenzione) per ottenere una fase senza contraddittorio ed immediata, che provveda celermente sull’istanza del detenuto e che, incidendo su istituti già esistenti, avrà un impatto di gran lunga minore sul lavoro del giudici e delle cancellerie.

La revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative, dalla detenzione e dalla libertà

L’art. 1 comma 85 lett. b) e c) della legge in esame, dispone testualmente che i decreti legislativi si occupino della “revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse, salvo che per i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale” nonché della “revisione della disciplina concernente le procedure di accesso alle misure alternative, prevedendo che il limite di pena che impone la sospensione dell’ordine di esecuzione sia fissato in ogni caso a quattro anni”.

L’intento del legislatore è chiaro, nella parte in cui prevede che il limite di pena residua per accedere dalla libertà alle misure alternative ex art. 656 comma 5 c.p.p. deve essere innalzato a quattro anni.

Il resto della norma è estremamente generico e lascia un ampio spazio ai decreti legislativi per stabilire, in particolare, cosa si intenda per casi di eccezionale gravità e pericolosità e condanne per delitti di mafia e terrorismo anche internazionale: tale genericità pare profilare l’illegittimità costituzionale della legge delega per violazione dell’articolo 76 della Costituzione.

La genericità della norma non esclude, comunque, che possano prevedersi come altamente probabili alcuni interventi. Un contributo, a tal fine, forniscono gli esiti dei lavori di varie commissioni succedutesi nel tempo ed istituite proprio, tra l’altro, per proporre modifiche nell’accesso alle misure alternative: ci si riferisce, in particolare, alla Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza presso il CSM, istituita con delibera dell’Assemblea plenaria del 4 maggio 2011, alla Commissione Giostra in tema di riforme dell’ordinamento penitenziario e delle misure alternative alla detenzione, istituita con decreto del Ministro della giustizia il 2 luglio 2013 (le cui relazioni conclusive sono consultabili sul sito www.penalecontemporaneo.it), nonché ai lavori degli Stati generali dell’esecuzione penale 2015/2016 (il cui esito è consultabile sul sito www.giustizia.it).

Tanto premesso, un presupposto soggettivo di ostacolo all’accesso alle misure alternative che sicuramente verrà eliminato è la recidiva ex art. 99 u.c. c.p. L’ostatività di tale aggravante nell’accesso ai benefici penitenziari è già stato in gran parte eliminato, sicché si tratta solo di intervenire su singoli istituti, probabilmente sfuggiti all’attenzione del legislatore. L’intervento appare, poi, pienamente condivisibile, in quanto la recidiva reiterata non è di per sé espressione di pericolosità sociale, ben potendo la reiterazione riguardare reati di scarsissimo allarme sociale, rispetto ai quali la rieducazione tramite le misure alternative appare più che appropriata.

L’intervento riformatore dovrà, poi, necessariamente riguardare l’art. 4 bis L.P., in quanto norma cardine in ordine alle preclusioni per l’accesso ai benefici penitenziari.

Visto il tenore della delega e gli esiti dei lavori citati, è da presumere che verranno totalmente abrogati i commi 1 ter e 1 quater L.P. Tali commi, infatti, prevedono, che non possono accedere alle misure alternative dalla libertà, non possono godere di determinate misure alternative, possono essere ammessi ad alcuni benefici penitenziari solo dopo aver espiato quote di pena maggiori rispetto agli altri condannati e purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, i responsabili di una serie di reati, tra i quali spiccano l’omicidio, la rapina aggravata, l’estorsione aggravata, lo spaccio di stupefacenti aggravato dall’ingente quantità, varie forme di violenza sessuale, reati in materia di prostituzione e pedopornografia, associazioni a delinquere finalizzate alla commissione di determinati reati, come quelli in materia di immigrazione. Invero, per quanto gravi, tali reati non appaiono poter rientrare nel novero delle situazioni origine di casi di eccezionale gravità e pericolosità, che la delega pone come limite all’eliminazione degli ostacoli nell’accesso a misure alternative e ne è proposta l’abrogazione nei lavori cui si è fatto cenno.

E’, tuttavia da evidenziare che l’eliminazione delle norme esaminate consentirà agli autori di reati di sicura gravità l’accesso alle misure alternative dalla libertà, peraltro per effetto della delega possibile per residui pena inferiori non più a tre ma a quattro anni, con la conseguenza che autori di gravi reati con pene anche elevate non verranno immediatamente arrestati al passaggio in giudicato della sentenza, ma dovranno essere valutati, con tempi necessariamente non brevissimi per i carichi di lavoro e la penuria di risorse umane e materiali, dal competente Tribunale di Sorveglianza.

L’interrogativo da porsi è se tale apertura nell’accesso dalla libertà alle misure alternative sia effettivamente il risultato di una ponderato bilanciamento tra l’esigenza di non porre troppi automatismi nell’accesso ai benefici penitenziari e quello, comunque altrettanto importante, di sicurezza pubblica, peraltro in un momento in cui si registra un incremento della criminalità violenta, come ad esempio quella dei furti o delle rapine in private abitazioni o in esercizi commerciali, con conseguente aumento nella popolazione del senso di insicurezza.

Delicatissima è, poi, la questione relativa all’eliminazione delle preclusioni previste dall’art. 4 bis comma 1 L.P. Tale norma riguarda i detenuti e internati per delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli 416-bis e 416-ter c.p., delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione minorile, tratta di persone, acquisto ed alienazione di schiavi, violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri Ad essi l’accesso alla maggior parte dei benefici penitenziari è precluso, tranne il caso in cui collaborino con la giustizia ai sensi dell’art. 58 ter L.P. o la collaborazione sia inesigibile per l’avvenuto accertamento integrale dei fatti o per la minima partecipazione ai fatti ai sensi dell’art. 4 bis comma 1 bis L.P., purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.

Orbene, la norma in esame è una norma chiave dell’ordinamento penitenziario, in quanto volta a colpire il dilagante fenomeno della criminalità organizzata: è certo che, con i ripetuti rimaneggiamenti che l’hanno riguardata, un attento riesame della stessa può essere opportuno, ma solo per espungere reati che non sono o non sono più espressione del crimine organizzato (si pensi ad esempio alla violenza sessuale di gruppo o al sequestro di persona a scopo di estorsione, abbandonato dalle organizzazioni criminali, attratte da altri tipi di attività illecite più redditizie e meno complicate da gestire).

Infatti, non bisogna dimenticare che il fenomeno della criminalità organizzata è sempre più dilagante, ha assunto portata internazionale, inquina interi settori della vita pubblica, fa vivere nel terrore intere famiglie, commette un numero inimmaginabile di omicidi, non ha esitato ad uccidere uomini delle istituzioni e a colpire importanti monumenti simbolo dell’identità nazionale, sicché appare sacrosanto da parte dello Stato chiedere a chi di tali organizzazioni ha fatto parte, al fine di accedere ai benefici penitenziari, un percorso trattamentale che lo porti a fare una scelta precisa, pubblica e definitiva tra l’organizzazione e lo Stato, che si manifesti anzitutto attraverso la collaborazione con la giustizia.

Gli esiti dei lavori delle commissioni citate propongono, invece, un forte ridimensionano della portata dell’art. 4 bis comma 1 L.P., escludendo da esso reati come, ad esempio, la tratta di persone, l’acquisto ed alienazione di schiavi, l’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, l’associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, che le più recenti indagini ed operazioni hanno dimostrato essere sostanzialmente in mano ad organizzazioni criminali aventi tutti i caratteri descritti dall’art. 416 bis c.p.

La già sottolineata genericità della delega sul punto non aiuta certo a fare chiarezza sugli interventi che verranno operati.

La revisione della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo

È, preliminarmente, da rilevare che, in concreto, le preclusioni, che hanno portato ad una ingente mobilitazione politica e sociale, sono quelle relative all’ergastolo ostativo, tale intendendosi l’ergastolo inflitto per reati di cui all’art. 4 bis comma 1 L.P.

Orbene, è in primo luogo da evidenziare che l’ergastolo inflitto per reati di cui all’art. 4 bis comma 1 L.P. non è ostativo: la concessione dei benefici penitenziari è possibile ed è condizionata alla collaborazione con la giustizia o all’accertamento della collaborazione cosiddetta inesigibile.

La norma, poi, è stata ritenuta conforme sia alla Costituzione che alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Invero, la Corte di Cassazione, ha di recente statuito che “È manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, all’art. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e all’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 bis, comma primo, e 58 ter della legge 25 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui subordinano la concessione dei benefici penitenziari (nella specie, permessi premio) ai condannati alla pena dell’ergastolo per uno dei delitti previsti dall’art. 4 bis, comma primo, cit. alla collaborazione con la giustizia, poiché tale disposizione consente al detenuto di scegliere se collaborare o meno, nonché di modificare la propria scelta, in ogni caso fruendo delle garanzie previste dagli art. 210 e 197 bis c.p.p. e trova, inoltre, un limite quando la collaborazione è impossibile perché inesigibile o irrilevante” (Cass, Sez. 1, Sentenza n. 15982 del 17/09/2013).

Ne consegue che la presenza di tale tipologia di ergastolo nel nostro ordinamento è pienamente legittima e che la sua modifica sarà il frutto non della necessità di modificare il quadro normativo per renderlo conforme a norme di rango superiore, ma di una ben precisa scelta di politica giudiziaria. Fatta questa premessa, le considerazioni da fare sul punto sono le stesse di quelle formulate con riferimento all’ipotesi di modifica dell’art. 4 bis comma 1 L.P.