1. Il Codice etico dell’ANM e gli standard internazionali ed europei in materia di etica giudiziaria
La magistratura italiana, prima tra tutte le magistrature europee, è stata capace di esprimere e codificare quei valori universali di integrità, imparzialità, indipendenza, professionalità, correttezza istituzionale cui ogni magistrato deve attenersi nell’esercizio delle funzioni e nella vita sociale.
Il Codice etico, adottato nel 1994, modificato ed aggiornato nel 2010 dall’Associazione Nazionale Magistrati, delinea il modello di magistrato. Ne sottolinea il ruolo di servizio (art. 1); la responsabilità nel buon andamento della giurisdizione (artt. 3 e 4); indica le condotte del magistrato nei suoi rapporti con le istituzioni e con gli altri protagonisti del processo (artt. 2, 10, 12 e 14); ricorda che il magistrato opera senza indebite interferenze, sia nei rapporti esterni che nei rapporti all’interno della magistratura, e che deve preservare la propria immagine di imparzialità, evitando qualsiasi coinvolgimento in centri di potere partitici o affaristici che possano condizionare l’esercizio delle sue funzioni o comunque appannarne l’immagine (artt. 8 e 9); delinea la condotta del magistrato nel delicato rapporto con i mezzi di informazione (art. 6) e con l’autogoverno (art. 10).
Il nostro Codice etico è stato precursore anche rispetto a strumenti di soft law elaborati a livello internazionale ed europeo in materia di etica e deontologia giudiziaria. Il testo fondamentale è costituito dai Principi di Condotta Giudiziaria di Bangalore (The Bangalore Principles of Judicial Conduct) adottato dalle Nazioni Unite nel 2002 all’esito del lavoro di un gruppo composto da alti rappresentanti delle magistrature di Paesi dei diversi continenti, con l’apporto dei componenti del Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE).
Come si legge nel Preambolo, i principi fissano i valori fondamentali (core values) cui deve ispirarsi il giudice, ossia l’indipendenza, l’imparzialità, l’integrità, il decoro (property, intesa quale rispetto da parte del giudice di quanto reputato conveniente nell’ambiente sociale), l’uguaglianza, la competenza e diligenza. Tra le indicazioni contenute nei Principi di Bangalore, vi è anche l’invito ad istituire organismi di controllo, anch’essi indipendenti ed imparziali, con la funzione di vigilare sul rispetto da parte dei giudici delle regole deontologiche.
A livello europeo, fondamentali indicazioni in materia di etica giudiziaria e regole deontologiche sono contenute nei pareri del Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE), l’organismo costituito nel 2000 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con il compito di elaborare pareri su questioni di carattere generale concernenti l’indipendenza, l’imparzialità e la professionalità dei giudici.
In particolare, nel parere n. 3 del 2002 si afferma che “il rispetto da parte del giudice di principi deontologici rigorosi costituisce la contropartita naturale dei poteri di cui dispone il giudice nella società di oggi; anche se sovrapposizioni e interazioni sono incontestabili, le norme deontologiche e disciplinari devono rimanere distinte; le prime norme, quelle deontologiche, esprimono la capacità della professione di riflettere sulla sua funzione; sono norme di autocontrollo che implicano il riconoscimento che l’applicazione della legge non ha niente di meccanico e che necessita di un reale potere di apprezzamento, che però pone i giudici in un rapporto di responsabilità nei confronti di loro stessi”.
Tale parere incoraggia le magistrature nazionali a dotarsi di propri codici etici, indicando a modello quello adottato dall’Associazione Nazionale
Magistrati italiana nel 1994, quale primo codice europeo proveniente dallo stesso potere giudiziario. I principi e le indicazioni contenute nel parere n. 3 e in altri pareri del CCJE sono stati ripresi nella raccomandazione n. 12 del 2010 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che dedica il capitolo VIII all’etica dei giudici: “Nella loro attività i giudici devono essere guidati da principi deontologici di condotta professionale. Tali principi non solo ricomprendono doveri suscettibili di sanzione disciplinare, ma forniscono anche indicazioni sulle regole di condotta.
Tali principi devono essere sanciti in codici di etica giudiziaria volti ad ispirare pubblica fiducia nei giudici e nella magistratura. I giudici devono poter richiedere pareri su questioni deontologiche ad un organo nell’ambito della magistratura. Si sottolinea, nella raccomandazione, che la magistratura deve godere della fiducia dell’opinione pubblica (public confidence): i giudici, che sono parte della società al cui servizio operano, non possono efficacemente amministrare la giustizia senza la fiducia dei cittadini.
Ciò richiede il rispetto dei principi di indipendenza, esterna ed interna, di imparzialità, la qualità e l’efficienza della giurisdizione. Non solo. La credibilità dei giudici si fonda anche sulla qualità dei loro comportamenti individuali, che devono essere improntati a senso di responsabilità istituzionale, diligenza, rispetto della dignità, ascolto costruttivo delle parti (active listening), integrità e trasparenza delle condotte, chiarezza e linearità della motivazione (clear reasoning of the judgments).
Nell’ottica di garantire l’indipendenza della giurisdizione e dei singoli giudici da influenze improprie, la raccomandazione incoraggia l’adozione di codici deontologici, che guidino i giudici nella loro condotta, anche quando tali regole non si traducano in doveri sanzionati disciplinarmente. Se accavallamenti ed interazioni sono incontestabili, le norme deontologiche e disciplinari devono rimanere nettamente distinte.
Le regole etiche costituiscono l’assunzione di un impegno nei confronti della collettività a fronte del bene supremo dell’indipendenza e della discrezionalità nell’esercizio della funzione giudiziaria. Esse non mirano a colpire la patologia, ma incentivano la crescita generale della magistratura: in sostanza, influiscono sulla responsabilità-azione, mentre quelle disciplinari incidono sulla responsabilità-sanzione.
2. La raccomandazione del gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) in materia di etica giudiziaria
Se queste sono le indicazioni che provengono dalle fonti internazionali, si può affermare che la magistratura italiana sia all’avanguardia quanto a regolamentazione dell’etica e della deontologia. Eppure, occorre chiedersi se non occorra a riguardo un approccio più incisivo, nel clima di generale sfiducia dell’opinione pubblica nelle istituzioni che non risparmia neanche la magistratura.
Importanti indicazioni in questo senso provengono dall’ultimo rapporto del gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO), l’organismo anti-corruzione del Consiglio d’Europa, istituito nel 1999 nel quadro di un Accordo Parziale Allargato con l’obiettivo di monitorare il rispetto da parte degli Stati membri delle norme e degli strumenti anti-corruzione elaborati a livello internazionale.
L’Italia è stata da poco destinataria del rapporto redatto nell’ambito del IV Ciclo di Valutazione, sul tema della prevenzione della corruzione dei parlamentari, giudici e pubblici ministeri (la traduzione del rapporto adottato dall’Assemblea Plenaria del GRECO ad ottobre 2016 è consultabile sul sito del Ministero della Giustizia). La premessa da cui muove il rapporto GRECO è che in Italia, come in altri Paesi in cui la percezione della corruzione è particolarmente alta, con conseguenze sulla fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, combattere la corruzione deve diventare una questione culturale, non solo di regole.
In quest’ottica, l’educazione e la formazione rivestono un ruolo fondamentale perché istillano i valori di integrità ed incrementano una cultura di legalità, fondamentali per la prevenzione della corruzione. Ciò vale anche per la magistratura. Il rapporto GRECO dedica al tema dell’etica giudiziaria i paragrafi da 131 a 136. Esso riconosce l’importanza e l’alto valore del Codice etico dell’ANM, primo codice deontologico a livello europeo ma, al contempo, raccomanda agli organi e alle istituzioni competenti di realizzare “a more proactive, systematic and concrete approach” nella prevenzione di condotte scorrette.
Il limitato numero di procedimenti avviati dopo l’introduzione del Codice etico (appena tredici) e la circostanza che il Collegio dei Probiviri non abbia mai imposto alcuna sanzione evidenziano che la conoscenza del Codice e la vigilanza sulla sua applicazione debbano essere promosse in maniera più attiva ed efficace. Il GRECO sottolinea, in particolare, l’importanza che il Codice etico dell’ANM sia concepito come un documento vivo (a living document), integrato da spiegazioni ed esempi concreti, e non come una semplice declamazione formale di principi (a mere document).
Nella raccomandazione indirizzata all’Italia, il GRECO invita l’ANM, il CSM e la Scuola della Magistratura a rafforzare il loro rispettivo ruolo nella formazione dei magistrati, togati ed onorari, in materia di “ethics”. La formazione deve essere focalizzata “on real-life scenarios”, ossia su situazioni concrete che ogni magistrato può trovarsi ad affrontare nella quotidianità del suo agire e deve mirare a fornire suggerimenti pratici ai dubbi e alle domande su questioni di deontologia, anche con la partecipazione degli avvocati e di altri professionisti del settore.
A tal fine, il GRECO raccomanda che il Codice etico dei magistrati italiani sia ulteriormente sviluppato ed integrato con commenti esplicativi e/o esempi pratici riguardanti, ad esempio, i conflitti di interessi, le offerte di doni, il modo di reagire ad un tentativo di indebita influenza. Inoltre, sollecita un più incisivo meccanismo di applicazione delle regole di condotta attraverso un effettivo meccanismo di supervisione, rafforzando le prerogative del Collegio dei Probiviri. Sollecita chiaramente la Scuola a svolgere un ruolo più attivo nel diffondere “standars of professional conduct and ethical rules” e ad assicurare che i corsi di formazione includano una permanente componente di deontologia.
Dunque, uno stimolo a garantire una più incisiva e sistematica attenzione al tema dell’etica e della deontologia, anche con il coinvolgimento delle altre categorie di operatori del settore giustizia. La raccomandazione coinvolge l’ANM, alla quale è chiesto di completare il codice etico con esempi concreti e commenti esplicativi e di rendere più incisiva ed efficace l’azione di vigilanza sul rispetto dei principi in esso contenuti; il CSM che, in quanto organo di autogoverno, deve dare il massimo esempio di trasparenza ed integrità ed avere un ruolo attivo nella promozione dell’etica; la Scuola della Magistratura, quale istituzione deputata alla formazione.
3. Quale contributo dalla magistratura italiana per rivitalizzare il Codice etico?
La magistratura italiana è chiamata a rispondere ad una sfida culturale che non deriva solo dalla raccomandazione del prestigioso organismo internazionale, ma dalla sempre più avvertita esigenza di rilanciare la questione etica al proprio interno. Cosa fare, allora, per rivitalizzare il codice etico e renderlo a living document?
Sul piano della diffusione della sua conoscenza, sarebbe utile organizzare attività di formazione a livello centrale e decentrato e, come suggerisce il GRECO, affrontare questioni e situazioni concrete anche con il coinvolgimento dell’Avvocatura, stimolando una discussione aperta e analogo dibattito sulla deontologia forense. Occorrerebbe, inoltre, divulgare maggiormente il Codice, non solo tra gli addetti ai lavori, anche affiggendolo nelle aule di giustizia, in modo da renderlo direttamente accessibile e consentire all’opinione pubblica di valutare la professionalità e la correttezza dei magistrati.
Sarebbe poi utile, come suggeriscono le raccomandazioni ed i pareri del Consiglio d’Europa, istituire “comitati etici” in seno al corpo giudiziario, con un ruolo consultivo, ai quali, cioè, i magistrati possano rivolgersi in caso di dubbio sulla compatibilità di un comportamento con la propria funzione e il proprio ruolo. Non solo.
Ai comitati potrebbe essere riconosciuta anche una funzione di stimolo nei confronti del Collegio dei Probiviri dell’ANM, ad esempio segnalando condotte non trasparenti o non in linea con la deontologia, così distinguendo in modo concreto il ruolo del codice rispetto all’azione disciplinare. Inoltre dovrebbero essere resi più efficaci i poteri del Collegio dei Probiviri dell’ANM, l’organismo deputato ad esercitare l’azione disciplinare per condotte contrarie ai fini generali dell’associazione o dalle quali derivi discredito per l’ordine giudiziario, a prescindere dalle sanzioni disciplinari in senso stretto.
In tal senso si sta orientando il Comitato Direttivo Centrale dell’ANM che, in più occasioni, ha ribadito l’importanza di garantire “un’effettiva vigilanza sull’etica dei nostri comportamenti al fine di evitare che la condotta censurabile di pochi abbia gravi ricadute in termini di credibilità sull’operato dei magistrati che quotidianamente danno prova di serietà professionale, spirito di sacrificio ed imparzialità” (così nel documento approvato all’unanimità il 13 febbraio 2016).
Muovendo da tali premesse, il CDC ha deliberato di promuovere le procedure volte a modificare lo statuto dell’ANM per regolamentare l’attivazione dei poteri di iniziativa del Collegio dei Probiviri e attribuire a tale organo, in casi particolari, il potere di sospensione cautelare dall’esercizio dei diritti sociali.
Ma, soprattutto, l’attenzione al tema dell’etica richiede, da parte di ciascun magistrato, l’onestà intellettuale ed il coraggio di riflettere sulle condotte individuali, facendo seguire ad una seria autocritica una coerenza dei comportamenti, sul piano della professionalità, dei rapporti con il potere, con l’organo di autogoverno, con la politica, della trasparenza e sobrietà dei comportamenti extraprocessuali.
Nella consapevolezza che solo la correttezza ed integrità del nostro agire ci legittima nella giurisdizione e costituisce il fondamentale presidio della indipendenza di cui gode la magistratura italiana.