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AREA GENERALE | In memoria
12 novembre 2013

In ricordo di Antonino Saetta

Presidente di Corte di Assise di Appello di Palermo, assassinato dalla mafia insieme con il figlio Stefano.

(Tratto dalla pubblicazione del Consiglio Superiore della Magistratura "Nel loro segno")

Antonino Saetta
(Canicattì, 25 ottobre 1922 - Caltanissetta, 25 settembre 1988)
Presidente di Corte di Assise di Appello di Palermo, assassinato dalla mafia insieme con il figlio Stefano.

Il 25 settembre 1988 la mafia uccide a Canicattì il giudice Antonino Saetta e il figlio Stefano mentre di notte stanno facendo ritorno a Palermo dopo aver trascorso un felice week-end nella casa estiva dove è stato battezzato il nipotino del giudice. Quando torna a Canicattì, Saetta non ha la scorta, né la vettura blindata. Guida invece l'auto di famiglia quando viene affiancato da una Bmw dalla quale partono i primi colpi di arma da fuoco. Perforano il vetro dello sportello posteriore sinistro. Mentre la Bmw sorpassa l'auto del magistrato, gli assassini esplodono diversi altri colpi di arma da fuoco che colpiscono padre e figlio. Altri colpi vengono esplosi una volta completata la manovra di sorpasso e dopo che l'auto è finita sul lato opposto della strada. Nel primo sopralluogo gli investigatori rinvengono, su cento metri di strada 47 bossoli di cartucce calibro 9; all'interno dell'auto diversi proiettili.

Antonino Saetta nasce a Canicattì nel 1922 terzo di cinque figli. Conseguita la maturità classica presso il liceo statale di Caltanissetta, si iscrive nel 1940 alla facoltà di Giurisprudenza presso l'università di Palermo. Dopo aver conseguito la laurea, col massimo dei voti e la lode, vince il concorso in magistratura nel 1948. Viene assegnato, quale prima sede di servizio, ad Acqui Terme, in Piemonte, dapprima con funzioni di Pretore e poi di Giudice Istruttore. Nel 1952, sposa Luigia Pantano, farmacista, anch'essa di Canicattì. Ad Acqui Terme nascono i primi due figli. Nel 1955, si trasferisce a Caltanissetta, ove diviene Giudice di Tribunale. Lì nasce il terzo figlio, Roberto. Si trasferisce quindi a Palermo, nel 1960, dove svolge - salve brevi parentesi - la maggior parte della carriera. Dal 1969 al 1971, è Procuratore della Repubblica di Sciacca.

Torna quindi a Palermo e a Genova, dove, come Consigliere della Corte d'Appello, affronta, nel difficile biennio tra il 1976 e il 1978, il processo alle Brigate Rosse e anche un altro processo che fa epoca. La nave "Seagull" è una sorta di carretta del mare battente bandiera ombra che affonda il 17 febbraio 1974 provocando la morte di trenta marittimi. La sentenza di condanna dei responsabili diverrà determinante per l'approvazione di nuove regole di sicurezza per la gente di mare.

Saetta torna poi in Sicilia. A Palermo si occupa dapprima di cause civili. A Caltanissetta è Presidente della Corte d'Assise d'Appello che celebra il processo per l'omicidio del Giudice Istruttore di Palermo, Rocco Chinnici. A Palermo è Presidente della prima sezione della Corte d'Assise d'Appello. Qui, come racconta il figlio Roberto: "si occupò di altri importanti processi di mafia, ed in particolare presiedette il processo relativo alla uccisione del Capitano Basile, che vedeva imputati i pericolosi capi emergenti Giuseppe Puccio, Armando Bonanno, e Giuseppe Madonia. Il processo, che in primo grado si era concluso con una sorprendente, e molto discussa, assoluzione, decretò, invece, in appello, la condanna degli imputati alla massima pena, nonostante le intimidazioni effettuate, a quanto risulta dagli atti istruttori, sulla giuria popolare, e, forse, sui medesimi giudici togati". Pochi mesi dopo la conclusione del processo, e pochi giorni dopo il deposito della motivazione della sentenza, il Presidente Saetta viene assassinato.

È il primo magistrato giudicante ucciso, in Sicilia e in Italia. Accade sulla stessa strada provinciale dove due anni dopo sarà ucciso Rosario Livatino. Saetta è giudice "in primissima linea". Ha inflitto l'ergastolo a Michele e Salvatore Greco. Ha di nuovo pronunciato la parola "ergastolo" per il terzetto guidato da "Piddu" Madonia per l'omicidio del Capitano dei carabinieri di Monreale, Emanuele Basile. Infine è il giudice che dovrà forse presiedere il Collegio di appello nel maxi processo di Palermo.

Nino Saetta non parlava mai del suo lavoro in famiglia. Nel suo studio leggeva carte e apriva faldoni in maniera riservata. Il figlio Roberto, in una delle rare commemorazioni, ha ricordato: «Noi non sappiamo se negli ultimi giorni della sua vita avesse percepito di essere in grave pericolo. In famiglia non ce ne parlò. Notammo però che era dimagrito e che aveva una espressione più pensierosa del solito». "Era un magistrato schivo e riservato, per indole e per scelta di vita. Non amava i centri di potere e, pur tenendo molto alla sua professione, nella quale si sentiva realizzato, non nutriva forti ambizioni di carriera, ritenendo intrinsecamente "piena" e soddisfacente, comunque, in qualsiasi postazione, la attività propria del Magistrato. La sua poca notorietà da vivo, dovuta da un lato alle funzioni giudicanti esercitate, dall'altro alla sua riservatezza, qualità che, come si dice, dovrebbe essere propria di ciascun magistrato, hanno contribuito purtroppo a rendere il suo sacrificio poco noto, o poco ricordato, quantunque la sua uccisione abbia invece avuto una peculiare rilevanza nella storia giudiziaria del nostro Paese...".

Un eroe semplice, Antonino Saetta. Un eroe "vestito di normalità" lo ha definito il suo amico Carmelo Sciascia Cannizzaro che, in occasione del ventennale dell'omicidio, ha pubblicato un libro che illustra finalmente questo spesso dimenticato delitto. Saetta, dice Cannizzaro: "È stato definito un eroe, un martire della giustizia. Anche Papa Giovanni Paolo II, quando si recò ad Agrigento vari anni dopo, pronunciò quella indimenticabile condanna degli uomini della mafia invitandoli a convertirsi ed evocando il giudizio di Dio, ed esaltò le vittime e il loro sacrificio di innocenti. Questa consapevole accettazione del pericolo da parte del giudice Antonino Saetta, compiendo il suo dovere senza chiedere scorta né altre forme di protezione... forse fu davvero eroismo".

In un articolo di "Avvocati senza frontiere" si sottolinea lucidamente: "... La conoscenza della vicenda di Antonino e Stefano Saetta è indispensabile per chiunque voglia realmente comprendere cosa sia stata la lotta alla mafia negli ultimi venti anni, e quale sia stato il livello dello scontro. Ritengo che, prima o poi, a differenza di quel che sinora è avvenuto, gli operatori culturali, gli studiosi, il mondo accademico, si soffermeranno più ampiamente su questa vicenda, che ha caratteristiche di gravità unica: unica perché, per la prima e sinora unica volta, è stato ucciso un magistrato giudicante; e unica perché, per la prima e unica volta, insieme con il magistrato da uccidere, è stato ucciso anche suo figlio": ed è su questi due aspetti che si è più volte soffermato, altrettanto lucidamente e dolorosamente, anche Roberto, il figlio del giudice ucciso.