di Conchita Sannino
Parola d’ordine: «I fatti». Che vanno pazientemente spiegati affinché la destra «non continui a gettare discredito» sulle toghe in vista del referendum» sulla separazione delle carriere. Alessandra Maddalena non è una pasionaria, ma la numero 2 dell’Associazione nazionale magistrati, giudice, della corrente moderata di Unicost.
Vicepresidente Maddalena, l’Anm è ormai in scadenza, si vota in queste ore: eppure sul caso Almasri avete firmato una nota dura contro Meloni. Perché?
«Perché si è detto che la liberazione del generale Almasri indagato per atroci crimini era stata disposta dalla magistratura, omettendo di dire che i giudici erano stati costretti a farlo per l’inerzia del ministro della Giustizia, che è l’unico titolato, come è evidenziato nel provvedimento della Corte di Appello di Roma, ad attivare la procedura per l’applicazione di una misura coercitiva».
Scaricano su di voi le colpe?
«Sono state addebitate ai magistrati scelte e responsabilità, sul caso Almasri, che non possono in alcun modo essere attribuite agli uffici della Corte d’Appello. Quindi, ci siamo limitati a spiegare come realmente stessero i fatti».
Una volta per tutte: chi mente?
«Noi ristabiliamo ciò che detta la legge. Ad altri le valutazioni politiche. Com’è spiegato nel provvedimento dei giudici, il ministro Nordio era informato: solo lui poteva, e doveva, in quel caso agire per dare seguito alla richiesta della Corte Penale internazionale. Non essendo stato fatto, i magistrati non potevano fare altro che disporre la liberazione».
La premier vi ha contestato la chiusura al dialogo: “apocalittici”.
«Rispettosamente, vorrei osservare che questa mi sembra solo un’altra provocazione».
In che senso?
«A quale dialogo saremmo chiusi? A noi non è mai stato chiesto di sederci ad un tavolo. Da mesi il governo dichiarava di voler portare a casa la riforma in tempi record, tanto che ha blindato il testo alla Camera. A me pare il solito modo di distogliere l’attenzione dei cittadini dai contenuti, per gettare discredito sui magistrati in vista del referendum».
Il governo sarebbe già sceso nella campagna referendaria?
«A noi piacerebbe registrare un’apertura autentica al dialogo. Ma i fatti, che si possono osservare e mettere in fila, testimoniano di attacchi e prove di delegittimazione, per orientare l’opinione pubblica. Vi aggiunga anche la comunicazione, diciamo pure incompleta, sul caso Almasri. Chiedo: dove sarebbero i presupposti del dialogo?».
Cosa rispondete a chi giudica eversive le vostre azioni?
«Chi pensa questo tradisce la propria idea dell’uso strumentale delle istituzioni. Mentre lo straordinario bilancio della manifestazione di dissenso, sabato nelle Corti, dice che tutta la magistratura è compatta. Che l’allarme lanciato ci vede tutti uniti dietro lo scudo della Costituzione».
Lei era a Napoli. Non ha lasciato l’aula solo perché sedeva con tutta la Corte, in toga rossa, alle spalle di Nordio?
«Sì, era mio dovere istituzionale rimanere in aula. Ma, insieme a tutti i colleghi della Corte e della Procura generale, abbiamo mostrato la Costituzione durante l’intervento del ministro, segnalando con il nostro silenzio dissenziente la contrarietà alle sue parole. All’inizio, poi, abbiamo mostrato la coccarda tricolore e cantato l’inno nazionale. La simbologia delle parole e del silenzio è stata fortissima e diffusa. Resterà. Ed è patrimonio di tutti».