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ORGANI ANM | Documenti ufficiali
20 marzo 2012

Anm sulle proposte di modifica della disciplina della responsabilità civile dei magistrati

L'emendamento alla legge comunitariaapprovato dalla Camera dei Deputati, che prevede modifiche relativealla responsabilità civile dei magistrati (con possibilità dicitazione diretta in giudizio dei magistrati da parte delle personedanneggiate), mina la terzietà, l'indipendenza e l'autonomia deimagistrati e, quindi, il principio di uguaglianza dei cittadini difronte alla legge.   


L'emendamento alla legge comunitaria
approvato dalla Camera dei Deputati, che prevede modifiche relative
alla responsabilità civile dei magistrati (con possibilità di
citazione diretta in giudizio dei magistrati da parte delle persone
danneggiate), mina la terzietà, l'indipendenza e l'autonomia dei
magistrati e, quindi, il principio di uguaglianza dei cittadini di
fronte alla legge.   



Il vero significato dell'attuale
dibattito sulla responsabilità civile dei magistrati non può essere
ridotto allo slogan, suggestivo ma fuorviante, "chi sbaglia paga",
che certamente fa effetto sull'opinione pubblica ma in realtà fa
dimenticare che la normativa in materia è posta a protezione di
valori fondamentali dei cittadini medesimi e non a tutela dei
magistrati.



Decenni di dibattito democratico e
scientifico hanno posto in evidenza la necessità di contemperare
due opposte esigenze: da un lato, garantire i beni e i diritti dei
cittadini vittime di errori giudiziari; dall'altro, evitare
condizionamenti al magistrato nell'esercizio delle sue funzioni a
tutela dei cittadini medesimi.



Il punto di equilibrio tra le
diverse esigenze da tutelare è stato, come è noto, trovato, in
esecuzione dell'esito del referendum popolare del 1987, nella legge
18 aprile 1988 n. 117 («Risarcimento dei danni cagionati
nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile
dei magistrati»).



La legge attuale - al pari di quanto
previsto per altre categorie di dipendenti pubblici - prevede così
la responsabilità civile del magistrato per tutti i fatti
costituenti reato o comunque dolosi, nonché per gli errori
derivanti da colpa grave. Ma l'azione civile va esperita contro lo
Stato e non contro il magistrato personalmente, ferma poi l'azione
in rivalsa dell'amministrazione nei confronti del magistrato
responsabile. Non è vero, quindi, che il magistrato responsabile
per la legislazione attuale non paga; in realtà non è esposto
all'attacco diretto della parte soccombente o dell'imputato
condannato.  In generale,  non si tiene conto del fatto
che in Italia per i magistrati esistono già ben cinque forme di
responsabilità: penale, civile, disciplinare, contabile e anche
professionale.



La disciplina vigente è stata
ritenuta dalla Consulta conforme ai principi della Carta
costituzionale, poiché - nel porre alcune limitazioni alla pretesa
risarcitoria, a salvaguardia dell'indipendenza dei magistrati e
dell'autonomia e della pienezza dell'esercizio della funzione
giudiziaria - assicura un ragionevole punto di equilibrio fra i
contrastanti interessi, di rilievo costituzionale, della
responsabilità dei pubblici dipendenti (art. 28 Cost.) e
dell'indipendenza ed autonomia della magistratura (artt. 101, 104 e
108 Cost.).



In particolare, la Corte
Costituzionale con la sentenza n. 18/1989 ha spiegato che l'art. 28
Cost. fissa la regola generale, valida per tutti i funzionari e i
dipendenti pubblici (e, quindi, anche per i magistrati), della loro
responsabilità per «gli atti compiuti in violazione di diritti»,
secondo «le leggi penali, civili ed amministrative», ma al contempo
demanda al legislatore di prevedere una disciplina speciale che
tenga contestualmente in conto i principi costituzionali
dell'indipendenza e dell'imparzialità del giudice. Ciò per
l'assoluta peculiarità delle funzioni giurisdizionali rispetto a
ogni altra attività dello Stato-Pubblica Amministrazione.



Principi che - qualora fosse
introdotta un'azione diretta di responsabilità nei confronti del
magistrato - sarebbero invece irrimediabilmente compromessi.



In questo modo, infatti, il giudice
non sarebbe più autonomo e indipendente e, quindi, equidistante
dalle parti, nell'esprimere il proprio giudizio, ma sarebbe esposto
e condizionato soprattutto da chi ha i mezzi, anche economici, per
intraprendere contenziosi contro i magistrati.



Il giudice necessariamente, con la
sua attività, deve distribuire torti e ragioni, scontentando una
parte o, se necessario, entrambe, a tutela della collettività.
Anzi, può dirsi che il giudice è funzionalmente chiamato a questo
compito. Un giudice esposto alle azioni dirette delle parti
scontentate non sarà più libero di giudicare senza condizionamenti
esterni rappresentati da un utilizzo strumentale delle azioni
risarcitorie. A farne le spese saranno i cittadini, soprattutto
quelli che non hanno risorse economiche tali da permettere loro di
"intimidire" i giudici.



Né sarà un'assicurazione
professionale a risolvere il problema. Nessun contratto di
assicurazione può restituire al giudice la serenità necessaria per
essere realmente libero e indipendente.



Nulla hanno a che fare con questo
tema le decisioni della Corte di giustizia, anche recentissime,
strumentalmente richiamate a supporto di proposte normative in
commento.



La Corte di Giustizia (sent. 13
giugno 2006 in causa n. 173/03, Traghetti del mediterraneo; e sent.
30 settembre 2003, in causa n. 224/01, Köbler; fino alla
recentissima 24 novembre 2011, Commissione c. Italia, in causa
379/10) ha affermato un principio ben diverso, ossia che, qualora
lo Stato - con leggi o con sentenze, attraverso suoi organi come il
Parlamento o l'apparato giudiziario - violi il diritto comunitario,
deve risarcire i danni che ne siano derivati ai soggetti lesi, a
tutela della prevalenza del diritto dell'Unione.



Anche la più recente decisione della
Corte di giustizia specifica che la legge n. 117 del 1988 contrasta
soltanto con il diritto dell'Unione nella misura in cui impedisce
che lo Stato risponda della violazione del diritto comunitario che
derivi «da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di
fatti e prove effettuate dall'organo giurisdizionale di ultimo
grado», «limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa
grave».



Dunque, ciò che la Corte di
giustizia dice è che anche in questi casi -e non solo in
quelli regolati dalla legge n.117 del 1988- deve esserci
responsabilità dello Stato a tutela della preminenza del diritto
dell'Unione, ma in ogni caso non ipotizza mai una responsabilità
diretta dei magistrati.



Del resto il Consiglio d'Europa, con
la raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati membri sui
giudici n. 12 del 2010, adottata dal Comitato dei Ministri il 17
novembre 2010, ha escluso l'ammissibilità di qualsiasi forma di
responsabilità civile diretta dei magistrati.



In questa raccomandazione si dice,
testualmente, che «l'interpretazione della legge, l'apprezzamento
dei fatti o la valutazione delle prove effettuate dai giudici per
deliberare su affari giudiziari non deve fondare responsabilità
disciplinare o civile, tranne che nei casi di dolo e colpa
grave».



Si aggiunge che «soltanto lo Stato,
ove abbia dovuto concedere una riparazione, può richiedere
l'accertamento di una responsabilità civile del giudice attraverso
un'azione innanzi ad un tribunale».



Si sottolinea, infine, che «i
giudici non devono essere personalmente responsabili se una
decisione è riformata in tutto o in parte a seguito di
impugnazione».



In definitiva:



a) l'Europa non chiede di introdurre
una responsabilità diretta, anzi la esclude.



Il principio della
responsabilità dello Stato nei confronti
del singolo danneggiato per le violazioni del diritto comunitario
da parte dei propri organi giurisdizionali di ultima
istanza
non comporta l'affermazione di una
responsabilità risarcitoria del

singolo giudice
per l'errore commesso;



b) lo Stato italiano non può
arretrare sui principi costituzionali che garantiscono
l'indipendenza del giudice;  non può arretrare su principi
elementari di civiltà giuridica in tema di indipendenza ed
autonomia della Magistratura affermati da ultimo anche dalla MAGNA
CARTA DEI GIUDICI approvata il 17 dicembre 2010 dal Consiglio
consultivo dei giudici  del Consiglio d'Europa;



c) le decisioni dei magistrati
 non possono essere condizionate da timori o pressioni che
possono venire dalle parti, soprattutto quelle più forti. Non
stiamo dunque parlando di un privilegio ma di uno strumento che
consente di garantire l'autonomia e l'indipendenza dell'esercizio
della giurisdizione nell'interesse di tutti.



Non a caso, la legge sulla
responsabilità civile dei magistrati è stata strutturata in maniera
tale da salvaguardare la libertà di giudizio e trova ragione nel
carattere accentuatamente valutativo dell'attività giurisdizionale,
la quale, per essere correttamente svolta, deve essere "libera" e
non essere condizionata da "atteggiamenti difensivi" di
categoria;



d) l'emendamento, inoltre, sopprime
la clausola di salvaguardia dalla responsabilità per l'attività di
interpretazione delle norme e introduce l'ipotesi della "manifesta
violazione del diritto", espressione generica e, dunque, di
difficile prova che può condurre ad una dilatazione 
dell'applicazione concreta (e quindi della responsabilità),
 con il rischio di comprendere anche condotte connotate da
colpa lieve, interpretazioni non conformi ai precedenti, ovvero
casi di mera responsabilità oggettiva.



Deve pertanto rimanere fermo il
principio secondo cui, in ogni caso, nell'esercizio delle funzioni
giudiziarie l'attività di interpretazione di norme di diritto e
quella di valutazione del fatto e delle prove non possono dar luogo
a responsabilità civile;



e) la possibilità, poi, di potere
agire direttamente nei confronti del soggetto  riconosciuto
colpevole (il magistrato) chiamato ad adottare qualsiasi
provvedimento potenzialmente lesivo del destinatario, nel mancato
coordinamento della novella con la previsione dell'art.4 co. 2 L.
117/88, potrebbe consentire alla parte di esercitare immediatamente
l'azione risarcitoria personalmente contro il  magistrato,
senza dover necessariamente attendere la conclusione del giudizio
principale, come attualmente è invece previsto per poter iniziare
il giudizio ai sensi della legge n. 117/88 avverso lo Stato, così
determinando anche l'estromissione dal giudizio del magistrato
sgradito, che avrebbe l'obbligo di astenersi.



In conclusione, ribadiamo che
l'intervento legislativo andrebbe correttamente collocato
nell'ambito della responsabilità dello Stato per violazione del
diritto dell'Unione (così come nel caso di responsabilità per
mancato recepimento delle direttive). Nell'ambito di questa
normativa dovrebbe poi essere regolata la rivalsa, che attiene ai
rapporti tra Stato e giudice e che rimarrebbe disciplinata dalla
legge n. 117 del 1988.



I rappresentanti eletti nel
Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale
magistrati