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ORGANI ANM | Documenti ufficiali
12 febbraio 2013

Non c'è futuro senza giustizia

Da tempo ormai il sistema giudiziario italiano versa in una grave crisi di efficienza e di funzionalità, che si traduce in crisi di credibilità della giustizia, con una ricaduta sul principio di uguaglianza davanti alla legge. L’Associazione Nazionale Magistrati guarda al futuro e offre il proprio contributo tecnico in un insieme di proposte indifferibili per restituire dignità ed efficacia alla giustizia. 

Premessa


Da tempo ormai il sistema giudiziario italiano versa in una grave crisi di efficienza e di funzionalità, che si traduce in crisi di credibilità della giustizia, con una ricaduta sul principio di uguaglianza davanti alla legge.


L’Associazione Nazionale Magistrati guarda al futuro e offre il proprio contributo tecnico in un insieme di proposte indifferibili per restituire dignità ed efficacia alla giustizia.


La “Seconda Repubblica”, nata per riavvicinare i cittadini alla Politica e rendere trasparente l’amministrazione della Cosa Pubblica, si è anch’essa conclusa nello scandalo di una corruzione dilagante e nella diffusa e rafforzata sfiducia nelle Istituzioni.


Ancora una volta, è stato mancato l’obiettivo di realizzare una giustizia efficiente, adeguata alle necessità del nostro Paese e coerente con un sistema che vede una sempre più ampia prevalenza degli standard e delle regole sovranazionali. Purtroppo, a fronte di alcune rilevanti riforme già avviate, soprattutto nel settore dell’organizzazione (revisione delle circoscrizioni giudiziarie, sviluppo del processo civile telematico), molto altro resta da fare. L’attenzione del dibattito politico si è spesso concentrata sull’obiettivo di alterare gli assetti della Magistratura, piuttosto che su temi che attengono ai profili dell’efficienza.


L’Associazione Nazionale Magistrati ha formulato un “Progetto per la giustizia”, che accoglie le migliori elaborazioni giuridiche degli ultimi anni e si propone l’efficace tutela dei diritti dei cittadini, attuata, secondo la promessa costituzionale, in tempi ragionevoli. A tal fine è necessario avviare un processo riformatore che restituisca efficacia, funzionalità e credibilità alla giustizia nel nostro Paese, obiettivo che dovrebbe essere comune a tutti gli schieramenti politici.


 L'Anm reputa che i principali interventi debbano riguardare:


1. L'organizzazione e l'ordinamento


2. L'efficienza del processo civile


3. L'efficienza del processo penale


4. Il carcere e la pena


5. La giustizia del lavoro


6. Gli investimenti e il risparmio di spesa


7. La giustizia e l'ordinamento sovranazionale


 


1. L'organizzazione


Per realizzare un sistema efficiente occorre unire alle buone leggi la buona organizzazione. Dunque, alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, di recente approvata, devono seguire una corretta distribuzione delle risorse sul territorio, schemi organizzativi efficaci, l’innovazione tecnologica, l’adeguamento degli organici e la riqualificazione del personale ausiliario, la riorganizzazione della magistratura onoraria, la creazione di strutture di supporto ai giudici: sono tutte condizioni irrinunciabili per la realizzazione di un sistema giudiziario moderno e adeguato alle esigenze del Paese. 


Tutto questo, naturalmente, richiede investimenti idonei; a tal fine si potrà attingere alle risorse generate dai provvedimenti di confisca e a quanto recuperato dall’Ufficio del campione penale. Il Ministero della Giustizia dovrà assicurare massima trasparenza e forte controllo nella gestione dei fondi e nel contenimento dei costi, nella scelta dei progetti e nell’individuazione delle priorità, senza dimenticare che i buoni investimenti producono risparmio di spesa.


In sintesi, si formulano le seguenti proposte:


1) Occorre procedere alla completa e celere attuazione del progetto di revisione delle circoscrizioni giudiziarie e a una corretta redistribuzione delle piante organiche degli uffici giudiziari, al fine di conseguire la massima ottimizzazione delle risorse sul territorio, secondo una necessità da tempo sostenuta dall’Associazione Nazionale Magistrati, anche attingendo alla mobilità del personale da altre Amministrazioni.


2) Il Processo Civile Telematico, la cui piena operatività è prevista per il 2014, richiede, perché sia data piena attuazione del dettato legislativo, urgenti investimenti, per realizzare il completamento degli applicativi, dotare gli uffici di strumenti informatici maneggevoli e di facile uso, formare e riqualificare il personale e assicurare un’assistenza adeguata e costante, creare una stretta sinergia con gli Ordini degli Avvocati e rafforzare i CISIA.


3) L’informatizzazione va estesa al settore penale, con un progetto organico di Processo Penale Telematico. Il nuovo registro penale SICP, da diffondere a livello nazionale, dovrebbe costituire la dorsale del sistema penale digitale e dovrebbero estendersi in maniera omogenea in tutti gli uffici giudiziari il nuovo sistema di notifiche penali via PEC e un sistema unico di gestione documentale, che consenta la formazione di fascicoli processuali interamente digitalizzati, con conseguente recupero di risorse, in termini di energie lavorative e materiali.


4) Occorre realizzare un sistema informatico che consenta l’accesso diffuso in rete da parte dei cittadini ai sistemi di giustizia, per avere informazioni e certificazioni, rendendo i servizi correnti del sistema Giustizia celeri e vicini ai cittadini, con enormi risparmi diretti e indiretti.


5) Dev’essere finalmente realizzato l’Ufficio per il processo. L’apporto di praticanti e stagisti all’ufficio del giudice consente di realizzare, come già sperimentato in alcuni uffici, un aumento di produttività e di qualità, così contribuendo allo smaltimento dell’arretrato. In particolare, il giudice civile italiano, quale unicum nel contesto europeo, non è dotato di un Ufficio che lo affianchi nella propria attività: è indispensabile l’attuazione dell’Ufficio del giudice mediante il ricorso, nella contingenza economica, oltre che a specializzandi e praticanti legali come già sperimentato in alcune sedi (in particolare a Milano e a Firenze), anche a magistrati onorari stabilmente incardinati nell’Ufficio, come già in parte previsto nelle recenti circolari del CSM, mantenendo comunque il momento di decisione nella competenza esclusiva del magistrato professionale.


6) Il servizio del campione penale richiede una migliore organizzazione, allo scopo di potenziare il recupero delle risorse da destinare al funzionamento del servizio Giustizia, senza aggravi per il bilancio dello Stato.


7) Occorre procedere al riordino della magistratura onoraria, in modo conforme al quadro costituzionale, con un più rigoroso sistema di selezione, l’approfondita valutazione delle piante organiche, l’individuazione tassativa delle competenze e delle modalità di supplenza, l’introduzione di opportune forme di previdenza, la regolamentazione della temporaneità degli incarichi, con proroghe collegate a valutazioni di professionalità e rendimento, che assicurino un’adeguata programmazione.


8) Va riconsiderato il sistema delle incompatibilità dei magistrati sul territorio, attenuando le irragionevoli rigidità nel mutamento di funzioni, specie ove quelle giudicanti siano state svolte nel civile e presentino un’elevata specificità.


9) Quanto al rapporto fra Magistratura e Politica, occorre prevedere un sistema di regolamentazione dell’accesso alle cariche elettive e amministrative di governo nazionali e locali e del rientro in ruolo alla cessazione del mandato, diretto a evitare rischi di appannamento dell’immagine di imparzialità del magistrato.


 


2. L'efficienza del processo civile


L’inefficienza della giustizia civile compromette la corretta tutela e l’attuazione dei diritti, impedisce lo sviluppo dei mercati finanziari, distorce il mercato del credito e dei prodotti, inibisce la nascita d’imprese o ne compromette la crescita, rende poco attrattivi gli investimenti. Inoltre, la lentezza del processo civile, indebolendo la minaccia dell’applicazione di sanzioni tempestive, costituisce un incentivo a disattendere gli impegni contrattuali e a porre in essere comportamenti opportunistici da parte dei debitori e finisce per influenzare la qualità del credito, aumentando i costi d’intermediazione e determinando la richiesta di maggiori garanzie ai debitori. L’Associazione Nazionale Magistrati ha ripetutamente espresso il proprio parere favorevole per riforme del processo civile che, senza modificare radicalmente l’impianto attuale, ne superino i difetti e le lacune, consentendo di eliminare l’arretrato e di giungere a processi civili di durata ragionevole.


Alcune delle scelte fatte in questo ultimo scorcio di legislatura possono essere una base per una positiva riorganizzazione complessiva. In particolare, l’Anm ritiene opportuna l’adozione dei seguenti interventi:


1) Semplificazione dei riti. Ai provvedimenti già adottati di riduzione dei riti deve seguire un ulteriore intervento di maggior coraggio, che sostituisca i riti speciali residui non strettamente necessari in ragione della peculiarità della materia, in favore del procedimento sommario che, seppur perfettibile, non solo appare caratterizzato da una apprezzabile duttilità procedimentale, ma realizza anche un modello decisorio deformalizzato, che si dimostra efficace per la maggior parte dei procedimenti e che, però, consente opportunamente l’impugnazione per il giudice del gravame di carattere distrettuale.


2) Disincentivi contro l’abuso del processo. Il processo deve realizzare pienamente ed esclusivamente la funzione di accertamento e di tutela di diritti realmente controversi in un quadro di leale cooperazione tra le parti e non può essere utilizzato quale strumento di ritardo nella soddisfazione dei crediti o, all’opposto, come strumento di sleale aggravamento della condizione del debitore: in breve, non deve ridursi a strategia economica della parte che è in torto. Lo strumento dell’art. 96 c.p.c., la previsione delle astreintes per l’inadempimento dei soli obblighi di fare, l’aggravio di spese di contributo unificato per le impugnazioni inammissibili o improcedibili risolvono in misura parziale e non sistematica l’abuso del processo.


Possono essere introdotte le seguenti ulteriori misure:



3) Smaltimento dell’arretrato. Ciascun Tribunale deve dotarsi del programma di smaltimento dell’arretrato, da coordinarsi necessariamente con la riorganizzazione degli uffici giudiziari e la scomparsa delle sezioni distaccate. Occorrono:



4) Mediazione di qualità. Dopo la caducazione del decreto legislativo sulla mediazione da parte della Corte Costituzionale per eccesso di delega, non può essere perduta l’opportunità di una nuova introduzione più meditata delle forme di mediazione e di conciliazione, con costi minori per il cittadino e premialità nell’adesione alla proposta di mediazione o conciliazione. Occorrono regole deontologiche e di incompatibilità più rigorose, il rispetto di un principio di competenza e corrispondenza tra organismi di mediazione ed uffici giudiziari, una adeguata professionalità per i mediatori.


5) Disciplina delle impugnazioni. Appare necessario intervenire sulla disciplina del giudizio di appello con la riduzione dei motivi proponibili e l’abrogazione del cd. “filtro in appello” introdotto dal decreto legge 22 giugno 2012 n. 83, che rischia di determinare un lavoro aggiuntivo nel caso di declaratoria di ammissibilità dell’appello e, nel caso contrario, una deroga alla regola generale secondo cui il giudizio di cassazione ha per oggetto la sentenza di appello. Rispetto all’applicazione del “filtro” si ritiene preferibile la decisione degli appelli manifestamente infondati secondo la procedura dell’art. 281 sexies c.p.c., disposizione recentemente estesa all’appello.


6) Fase esecutiva. Il processo di esecuzione risente ancora della duplicazione di valutazioni e di gravose scissioni di fase cognitive e decisorie. Ad esempio, i giudizi di opposizione, almeno contro titoli esecutivi di carattere giudiziario, devono essere necessariamente e unitariamente svolti con le forme del rito sommario, prevedendo anche che la decisione sulla sospensiva non impugnata o sul reclamo possa essere modificata con la decisione finale solo in caso di integrazione del materiale istruttorio. 
Inoltre, il creditore che vanta un titolo esecutivo nei confronti del debitore incontra ingiustificate e spesso insuperabili difficoltà nell’accertamento dei beni posseduti dal debitore. Ciò comporta frequentemente una difesa ingiustificata nel processo e una rinuncia alla tutela dei diritti, con incremento del volume generale del contenzioso. Appare necessario che lo Stato, anche in vista di un’effettiva utilità dei titoli esecutivi di formazione europea, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria agevoli il creditore nella ricerca dei beni da sottoporre a esecuzione rendendo inutile il tentativo di occultare gli stessi da parte del soccombente inadempiente. Ciò potrebbe avvenire mediante un apposito Ufficio Centralizzato di Esecuzione che, sotto il controllo del giudice dell’esecuzione, dia notizia dei beni e dei crediti dell’esecutato e proceda al pignoramento informatico delle somme giacenti presso le banche.


 


3. L'efficienza del processo penale


Il diritto penale, sostanziale e processuale, nel dibattito pubblico, è stato oggetto di accese polemiche più spesso che di efficaci progetti di riforma. Il dilagare di gravi fatti di corruzione (il recente rapporto di Transparency, relativo alla misura della corruzione percepita nel settore pubblico, colloca l’Italia nella triste posizione del 72^ posto) e fenomeni diffusi di infiltrazione della criminalità organizzata nelle Istituzioni e nel tessuto economico del Paese rendono urgente la necessità di una riforma, che deve puntare all’obiettivo dell’efficienza complessiva del sistema. Non va dimenticato che i ritardi e le carenze dell’amministrazione della giustizia penale producono gravi effetti non soltanto sul rapporto di fiducia che lega i cittadini alle Istituzioni, ma anche sulle realtà produttive, economiche e finanziarie e dunque sulle prospettive di investimento e di sviluppo dell’Italia.


Purtroppo, a fronte di pochi interventi di rilievo (come il codice antimafia, che peraltro richiede interventi correttivi), le riforme approvate si sono rivelate in alcuni casi insufficienti o inadeguate, in altri hanno addirittura accresciuto l’inefficienza del sistema. Si pensi, ad esempio, alla modifica della prescrizione e all’aggravamento degli effetti della recidiva, con limitazione, fra l’altro, della sospensione dell’esecuzione e dell’accesso alle misure alternative alla detenzione. Quanto al diritto processuale, sono fortunatamente falliti progetti di riforma diretti ad alterare l’equilibrio dei rapporti fra pubblico ministero e polizia giudiziaria e a introdurre il “processo breve”, che avrebbero addirittura depotenziato l’attività investigativa e processuale.


In breve, per il rilancio dell’efficienza del processo penale, si propongono le riforme seguenti.


CODICE PENALE E LEGGI SPECIALI:


1) Procedere a una generale revisione delle fattispecie di reato, adeguando, ove necessario, la condotta e la sanzione e procedendo a una robusta depenalizzazione; in tale prospettiva, fra l’altro occorre:



2) Rivedere il sistema della sanzione penale, con la previsione di una diversa tipologia degli interventi sanzionatori (estensione delle sanzioni interdittive e patrimoniali, anche in sostituzione della pena detentiva) e la garanzia dell’efficacia e certezza della pena.


3) Rivisitare la disciplina della prescrizione, eliminando le incongruenze e le iniquità della legge n. 251/2005 (c.d. ex Cirielli), adeguando l’istituto alle linee di tendenza presenti a livello europeo, che disincentivano gli eventuali comportamenti delle parti, strumentali al prolungamento del processo al di là della sua ragionevole durata.


4) Introdurre la “irrilevanza penale” e la “particolare tenuità” del fatto, prevedendo in conseguenza ipotesi di non punibilità, con individuazione di opportuni limiti (ad esempio in relazione all’entità del danno e/o alla pena edittale) e presupposti oggettivi che assicurino il rispetto del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, onde porre rimedio all’ipertrofia del processo.


5) Ampliare i casi di estinzione del reato per effetto del risarcimento del danno.


6) Ampliare l’ambito di applicazione dell’oblazione discrezionale, di cui all’art. 162 bis c.p., condizionandola all’eliminazione delle conseguenze del reato, ai delitti puniti con la multa in via esclusiva o alternativa e ai casi in cui il giudice ritiene concretamente applicabile una pena pecuniaria quale sanzione sostitutiva.


7) Rafforzare l’idea della c.d. giustizia riparativa, che punta a legare la finalità deflativa a quella del recupero della centralità della vittima, soprattutto per i reati contro il patrimonio, privi del contenuto della violenza.


PROCESSO PENALE


1) Razionalizzare il sistema delle impugnazioni, eliminandone gli aspetti meramente dilatori e introducendo l’ipotesi di inammissibilità per manifesta infondatezza.


2) Snellire il sistema delle notifiche, eliminando gli inutili formalismi e introducendo criteri di semplificazione delle loro modalità.


3) Temperare il principio dell’immutabilità del giudice, a fronte della frequente necessità di rinnovazione integrale di dibattimenti anche assai complessi.


4) Prevedere – salve le ipotesi di maggiore gravità – casi di sospensione dei processi agli irreperibili e riformare il processo contumaciale.


5) Introdurre forme anticipate, fin dalle prime fasi processuali, di definizione delle questioni di competenza, onde prevenire l’inutile ripetizione dei giudizi.


6) Correggere la disciplina delle misure di prevenzione patrimoniali contenuta nel codice antimafia, anzitutto rafforzando gli organi deputati alla gestione dei beni sequestrati e confiscati, adeguando i termini processuali e introducendo correttivi diretti a favorire la conservazione delle aziende, il loro recupero al circuito dell’economia legale e l’accesso al credito per i nuovi soggetti gestori.


7) Adeguare la disciplina delle intercettazioni, a tutela della riservatezza, prevedendo un’udienza filtro con rigorosi termini di fase, senza intaccarne per il resto condizioni e procedura, e contemperando privacy e diritto all’informazione.


 


4. Il carcere e la pena


Le condizioni carcerarie ed il sovraffollamento sono da anni un’emergenza nazionale e democratica, un vero e proprio problema strutturale del sistema, causa principale delle insostenibili condizioni dei detenuti. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, al 31 gennaio 2013 erano presenti nei 206 istituti carcerari italiani n. 65.905 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 47.040 unità. Di questi, n. 25.520 sono indagati o imputati in custodia cautelare, n. 39.090 condannati e n. 1.233 internati. Circa il 40% della popolazione carceraria è ristretta per reati in materia di stupefacenti.


La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in data 8 gennaio 2013 ha pronunciato sentenza di condanna dell’Italia, accertando nel caso concreto la violazione dell’art. 3 CEDU e, contestualmente, ha posto in luce 1) l’esistenza di problemi strutturali, 2) il carattere sistemico delle violazioni dell’art. 3 CEDU 3) l’obbligo di porre in essere misure e azioni indispensabili per porvi rimedio (nel termine di un anno), invitando lo Stato a ricorrere il più ampiamente possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la politica penale verso un minor ricorso alla detenzione.


Le autorità italiane, così messe in mora dalla Corte europea, non possono più ritardare la soluzione di un problema indilazionabile, anche sotto il profilo morale.


Il problema deve essere affrontato alla radice, con un significativo mutamento culturale che veda nella pena detentiva e nella custodia cautelare in carcere soltanto l’extrema ratio ove ogni altra sanzione o misura nel caso concreto sia impossibile, con definitivo abbandono, nel caso delle misure cautelari, di ogni ancora residuale ipotesi di obbligatorietà. E quindi una sostanziale decarcerizzazione, in parallelo rispetto all’ampliamento della capienza e al miglioramento della qualità del sistema penitenziario italiano, allo scopo di rendere effettivo il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena.


In breve:


1) Occorre una maggiore diversificazione delle pene rispetto a quanto previsto dal codice vigente. La reclusione va limitata ai soli reati più gravi e vanno ampliate e arricchite le pene restrittive della libertà personale con introduzione, come sanzioni autonome, in particolare della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità. Tali sanzioni, da espiare in ambiente non detentivo, andrebbero tipizzate come sanzioni penali autonome, graduabili dallo stesso giudice della cognizione, e non più come alternative alla detenzione ed orientate non già in termini di limiti e divieti ma in senso attivo come obblighi di fare a favore della comunità, da incentivare eventualmente introducendo sistemi deflativi del processo. Tale maggior ventaglio di pene consentirebbe, oltre a una riduzione dei casi di detenzione in carcere, anche una più razionale soddisfazione del principio di proporzionalità della pena alla gravità dei reati.


2) Occorre introdurre l’istituto della messa alla prova, ispirato alla probation di origine anglosassone, che offre a quanti sono imputati per reati di minore allarme sociale un percorso di reinserimento alternativo, mediante lavori di pubblica utilità e, al contempo, svolge una funzione deflativa dei procedimenti penali, grazie all’estinzione del reato come effetto dell’esito positivo della messa alla prova.


3) E’ opinione generalmente condivisa, che le misure alternative, più di quella detentiva, siano occasione per ridurre la recidiva e accrescere la sicurezza dei cittadini nel territorio, perché consentono di acquisire consapevolezza delle conseguenze del reato e della necessità di porvi rimedio, mediante un percorso di responsabilizzazione che si realizza anche mediante l’assunzione di impegni in favore della collettività. Occorre pertanto favorire il ricorso a tali misure, invertendo la tendenza inversa, promossa dalla legge n. 251/2005 (c.d. ex Cirielli).


4) Va riformata la disciplina delle misure cautelari, estendendo il ricorso, anche cumulativo, alle misure interdittive e alle cautele di natura patrimoniale (sequestro per equivalente, anticipazione del ricorso al sequestro conservativo).


5) I dati statistici confermano che attualmente il 40% circa della popolazione carceraria è costituita da soggetti ristretti per reati in materia di stupefacenti. Pertanto, è necessario attenuare la severità delle pene previste per i fatti di piccolo spaccio dalla legge Fini Giovanardi. Un equilibrato trattamento sanzionatorio in materia di stupefacenti, oltre che allineare il nostro Paese alle convenzioni internazionali e alle direttive europee, favorisce l’accesso all’affidamento terapeutico.


6) Al fine di ridurre la popolazione carceraria, si propone di ampliare i limiti di pena per l’espulsione aumentando da due a tre anni la pena detentiva, anche residua, inflitta allo straniero per reati non gravi, in presenza della quale il giudice di sorveglianza, con le garanzie di legge, può sostituire il carcere con l’espulsione.


7) Occorre migliorare le strutture logistiche, realizzando nuove carceri e migliorando quelle esistenti, ripensando anche sotto il profilo materiale l’attuale modello unico di istituto penitenziario. Bisogna garantire il lavoro nelle carceri, diffondere modelli organizzativi e prassi virtuose su tutto il territorio nazionale, assicurando piante organiche numericamente e professionalmente adeguate, sia con riferimento al personale della polizia penitenziaria che a quello civile.


 


5. La giustizia del lavoro


Le diverse specifiche opzioni in merito alla disciplina sostanziale dei contratti e del mercato del lavoro, dei licenziamenti, delle prestazioni assistenziali e previdenziali, in generale del nuovo Welfare da fondare in attuazione della Costituzione e della normativa dell’Unione Europea sono di competenza esclusiva del Parlamento e della sua capacità di sintetizzare il confronto tra le forze politiche e sociali.


Al riguardo, è compito però dell’ANM sottolineare che ogni specifica soluzione data dal legislatore ai singoli problemi debba necessariamente tenere conto dei principi costituzionali, che pongono i diritti fondamentali del lavoratore come diritti non derogabili dai contratti di lavoro e i diritti sociali come vincoli ad ogni politica di distribuzione delle risorse. Allo stesso modo, le scelte legislative in tema di mercato del lavoro debbano tendere ad un aumento della “mobilità”, non imposta, ma che sia l’effetto di un aumento delle opportunità di lavoro.


Va aggiunto che quella del giudice del lavoro è spesso la sola via utile che si offre al lavoratore per ottenere una verifica di legalità sull’esercizio di poteri contrassegnati in genere da unilateralità e dispiegati nell’ambito di un contratto connotato da disparità che non hanno eguali in nessun altro rapporto giuridico.


Nel sistema costituzionale, dunque, una Giustizia del lavoro efficiente è imprescindibile e fondamentale strumento di attuazione del “compito” che l’art. 3 comma 2 della Costituzione assegna alle Istituzioni della Repubblica: ridurre le diseguaglianze, sulla via di una sempre maggiore partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


In tale prospettiva, soprattutto nell’attuale fase di crisi economica che ha visto profondi cambiamenti del mercato del lavoro e della legislazione relativa ai diritti dei lavoratori, si coglie la necessità politicoistituzionale, nella prossima legislatura, di una nuova centralità della Giustizia del lavoro, di un suo rilancio in termini di efficienza, di tempestività, di qualità nella risposta giurisdizionale alle sempre più nuove domande che è prevedibile le verranno presentate.


Come per la Giustizia civile, le attuali inefficienze trovano la loro prima e fondamentale causa nell’enorme divario tra il contenzioso da affrontare e le insufficienti forze in campo, che, soprattutto nelle Corti di Appello, e nonostante gli sforzi dei magistrati (che rendono la loro produttività statisticamente tra le più elevate d’Europa), non consentono di definire i procedimenti in tempi accettabili.


1) Come per la Giustizia civile, il primo intervento da operare è la realizzazione di un piano di investimenti in risorse materiali e personali che discenda dalla convinzione che una giustizia civile e del lavoro efficiente è anche un fattore essenziale di sviluppo economico e di allargamento della democrazia sostanziale, e che se vi sono settori della vita pubblica dove le spese devono essere tagliate o ristrutturate ve ne sono altri in cui è necessario investire, e tra questi vi è la Giustizia del Lavoro.


I processi di innovazione in corso – con la previsione tra l’altro dell’obbligatorietà del Processo Civile Telematico a partire dal giugno 2014 – e la fase di attuazione della revisione delle circoscrizioni giudiziarie e delle relative piante organiche (che nel settore lavoro andranno potenziate, a partire da quelle delle Corti d’Appello) offrono l’occasione per far sì che tale necessario Piano di investimenti e di messa in opera
di nuove risorse non vada a cadere su un apparato fermo (con gli scarsi frutti già visti in passato) ma vada a inserirsi, ottimizzandone gli effetti, in un processo di complessiva riorganizzazione dell’apparato giudiziario che anche nel settore del Lavoro tenga conto dei flussi e della natura del contenzioso e delle diverse esigenze dei Distretti, per consentire ai giudici del lavoro di affrontare il contenzioso potendo
rispettare gli attuali termini del rito di cui agli artt. 415 e ss cpc.


2) I necessari interventi sulle procedure dovranno partire dalla considerazione che il processo del lavoro del 1973 è rito che ha dato buona prova di sé, per tecnica normativa, chiarezza, concisione e che non appare opportuno diminuirne la centralità prevedendo “riti speciali” per singole tipologie di cause.


Si propongono quindi i seguenti interventi:



3) Rafforzare la tutela del lavoratore nella prospettiva dell’inderogabilità, da parte dei contratti, della normativa sostanziale fondamentale e di una tendenziale riduzione del precariato, dando infine nuovo vigore alla tutela della sicurezza e della salute sul posto di lavoro.


 


6. Investimenti e risparmio di spesa


Il recupero delle spese di giustizia e delle pene pecuniarie e la razionale gestione dei beni sequestrati e confiscati può rivelarsi un’attività strategica per il finanziamento dei piani di investimento nell’innovazione e per la copertura dei costi di risorse umane e materiali, necessarie a garantire una giurisdizione efficiente.


A fronte di ingenti “entrate potenziali” dell’Amministrazione giudiziaria (fra spese processuali liquidate e sanzioni pecuniarie), la percentuale di recupero è particolarmente bassa, intorno al 3-5%. Le cause sono molteplici: la destinazione delle somme al Ministero dell’Economia e non al Ministero della Giustizia non ha mai stimolato investimenti e progetti organizzativi nel settore; il sistema di liquidazione è complesso e determina ritardi nella quantificazione; la distribuzione delle competenze tra l’ufficio esecuzione della Procura della Repubblica e l’ufficio del Campione Penale presso il Tribunale stacola la corretta quantificazione delle pene pecuniarie e le procedure di recupero. Occorre pertanto:



  1. incrementare e snellire l’attività di recupero dei crediti;

  2. destinare le risorse così recuperate direttamente al Ministero della Giustizia.


Quanto ai beni in sequestro e oggetto di confisca, è necessario rendere fruttuosa la loro gestione, specialmente con riguardo ai beni devoluti all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.


Già esistono un disegno di legge (n. 1316 del 17.6.2008 alla Camera) e i progetti elaborati dalla Commissione ministeriale presieduta dal dott. Francesco Greco, che offrono soluzione ai problemi evidenziati, proponendo:



 


7. La giustizia e l'ordinamento sovranazionale


La dimensione sovranazionale che la affermazione dei diritti ha da tempo assunto ed il ruolo della giurisdizione necessitano per una azione efficace, che trovino almeno attuazione ed efficacia i numerosi provvedimenti varati dall’Unione Europea concernenti in primo luogo la cooperazione giudiziaria europea.


L’Italia infatti ne ha dato attuazione a pochissimi. 


Fra di essi si ricordano in particolare la decisione quadro sul mandato d’arresto europeo. A questo proposito peraltro la legge di attuazione, una delle misure di cooperazione giudiziaria più importanti, spicca nel panorama europeo per essere una delle leggi più intricate e confuse, che solo una prassi giurisprudenziale attenta è riuscita a correggere nelle più evidenti storture. Appare quindi essenziale rivedere la decisione sul mandato d’arresto europeo, aggiornarla alla decisione quadro concernente le decisioni emesse in absentia.


E’ stata ancora data attuazione alla decisione quadro sul reciproco riconoscimento delle sentenze definitive di condanna privative della libertà personale (decisione quadro 2008/909 del 27 novembre 2008).


L’Italia in realtà risulta essere uno dei paesi meno diligenti nell’attuazione delle decisioni quadro finalizzate ad assicurare una più efficace cooperazione giudiziaria (mentre è migliore il bilancio dell’attuazione delle misure dell’Unione in tema di armonizzazione del diritto penale sostanziale).


Si rende pertanto urgente e necessaria un’azione legislativa che sappia riportare l’Italia in linea con gli altri paesi europei, permettendole di essere un partner affidabile nella cooperazione giudiziaria in materia penale, tanto sul versante attivo quanto su quello passivo.


Essenziale è a tal fine provvedere all’attuazione dei numerosi provvedimenti varati dall’Unione in questi anni a partire dalla Convenzione Europea di Bruxelles del 2000 sulla mutua assistenza giudiziaria (e dal suo protocollo aggiuntivo del 2001).


Fra le previsioni della Convenzione che più urgentemente esigono attuazione vi è quella relativa alla possibilità di costituire squadre investigative comuni con autorità di altri Stati membri. L’obbligo di consentire la possibilità di attivazione di squadre investigative comuni è peraltro contenuto anche in un una autonoma decisione quadro, il cui termine di attuazione è scaduto il 31 dicembre 2012.


Ed ancora, vi è la necessità di attuare le tre decisioni quadro in materia di sequestro e confisca, misure essenziali nel quadro di una lotta alla criminalità che si va sempre di più concentrando sui capitali illeciti:



In tempi di crisi sarebbe poi auspicabile che venisse attuata anche la decisione quadro 2005/214/GAI sul mutuo riconoscimento delle sanzioni pecuniarie, che potrebbe consentire allo Stato italiano di reperire risorse.


Sempre nella medesima direzione di rafforzare il coordinamento investigativo si rende essenziale provvedere all’attuazione della decisione del 2009 che ha rafforzato i poteri di Eurojust che consentirebbe un significativo avanzamento nella lotta comune degli Stati europei contro le forme di criminalità transnazionale.


Nell’ottica di favorire la rieducazione dei condannati, l’Italia ha già attuato la decisione quadro concernente il mutuo riconoscimento delle condanne penali a pena privativa della libertà personale. Sarebbe tuttavia auspicabile anche l’attuazione della decisione quadro 2008/947/GAI in materia di reciproco riconoscimento delle decisioni di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive.


Ancora più necessaria poi l’attuazione della Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che introduce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI, mai attuata. A fronte di ciò, la condizione delle vittime di reato, nel processo e fuori dal processo, è ancora per troppi versi deficitaria. Il ritardo dell’Italia nell’attuare le numerose misure europee in tema di cooperazione giudiziaria può tuttavia costituire anche un’opportunità e portare ad una rifondazione organica della materia all’interno di un unico corpus normativo.