Rivista La Magistratura - Gennaio-Giugno 2014 - Anno LXIII - Numero 1-2

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Gennaio-Giugno 2014 Anno LXIII - Numero 1 - 2

8 Le Primarie: una scelta responsabile 38 Una riforma “epocale“ a metà del guado

60 Il sovraffollamento carcerario e gli

obblighi europei: la scadenza del termine della sentenza Torreggiani. L’abolizione degli OPG

102

Il Tribunale per l’Impresa: le ragioni della scelta politica e la riflessione sull’adeguatezza di un sistema specializzato per il rilancio della competitività nel moderno diritto d’impresa


La Magistratura Periodico a cura dell’Associazione Nazionale Magistrati Le opinioni espresse in ciascun articolo sono proprie dell’autore e possono non coincidere con quelle della redazione o della direzione o con la linea dell’ANM

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Comitato di redazione Michele Ciambellini Luisa De Renzis Alessandra Galli Loredana Miccichè Francesca Picardi Andrea Reale In copertina La donna che regge la bilancia, Jan Vermeer Concept grafico dol www.dol.it


Editoriale

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La Magistratura 2.0 di Marcello Bortolato

Associazione/Attualità

CSM 2014

Chi può candidarsi

8 Le primarie: una scelta responsabile di Rodolfo Maria Sabelli 10 Nel solco delle primarie di Tiziana Coccoluto 14 Correntismo e sistema elettorale di Antonia Giammaria 18 La sorteChi incerta sistema elettorale del CSM di Angelo Piraino puòdel votare 28 Le ragioni un sorteggio di Giorgio Piziali Tutti i magistrati Tutti i di magistrati in titolari del diritto di elettorato passivo per il

servizio anche non iscritti all’ANM

Ordinamento

CSM 38

40 52

Modalità di voto

Una riforma “epocale” a metà del guado

La revisione della geografia giudiziaria: luci e ombre

di Pietro Indinnimeo

Il transitorio della modernità e la sua bellezza misteriosa

di Antonio Scarpa

Penale

A ciascun elettore saranno consegnate tre schede, una per ogni categoria di eleggibili

60

gialla, giudici di merito bianca, giudici di legittimità verde, pubblici ministeri

64 76

Il sovraffollamento carcerario e gli obblighi europei: la scadenza del termine ESCLUSI della sentenza Torreggiani. L’abolizione degli OPG di Marcello Bortolato i MOT D.M. 2 maggio 2013

Il carcere al tempo della crisi

L’elettore può votare anche per una soltanto delle categorie

Se alla votazione avrà partecipato almeno il

di Alessandra Galli

70% degli aventi diritto

90

di Antonietta Fiorillo

Fine del viaggio per la nave dei folli rei? Riflessioni sul superamento degli ospedali pscichiatrici giudiziari di Riccardo De Vito

le singole liste partecipanti saranno tenute a presentare alle successive elezioni

La struttura della motivazione nei provvedimenti giudiziari limitativi della libertà personale Giangiacomo

esclusivamente candidati che abbiano di Bruno partecipato alle “primarie” nell’ordine delle preferenze ricevute

Civile

102 106 122 132 146

Il Tribunale per l’Impresa: le ragioni della scelta politica e la riflessione sull’adeguatezza di un sistema specializzato per il rilancio della competitività nel moderno diritto d’impresa di Luisa De Renzis Il Tribunale delle Imprese

di Paolo Criscuoli

La competenza per territorio e per materia delle sezioni specializzate in materia di impresa: profili problematici di Guido Romano L’impresa davanti al Tribunale delle Imprese

di Elena Riva Crugnola

L’impresa innanzi al Tribunale delle Imprese

di Giuseppe Tarantola


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LA MAGISTRATURA 2.0

Anno LXIII

Numero 1 - 2

La Magistratura - Anno LXIII - Numero 1 - 2


5 Continua la lunga tradizione della Rivista “La Magistratura”, insostituibile patrimonio di conoscenza della magistratura italiana, oggi rinnovata nella forma e nei contenuti. La nuova rivista ritorna, dopo quattro anni di assenza, in versione digitale: troppo grave il danno alla memoria storica che avremmo arrecato interrompendo le pubblicazioni, ormai quasi centenarie, dell’organo di stampa dell’Associazione Nazionale Magistrati. La rivista sarà ancora – e ci auguriamo sempre di più – momento di riflessione sul nostro lavoro, sui principi e sui valori che lo sostengono, aperto – come prevede lo Statuto – al contributo di tutti i magistrati, ma raccoglierà, fuori dai confini della nostra categoria, anche il punto di vista dei molti operatori del settore giustizia e di chi di giustizia si occupa dall’esterno. Siamo convinti che solo con l’ascolto, il confronto delle opinioni e lo scambio delle informazioni si possano maturare idee nuove e progetti moderni per un sempre migliore servizio da rendere ai cittadini, scongiurando il rischio di quella autoreferenzialità che talvolta ci viene rimproverata. La veste grafica totalmente rinnovata, la collocazione all’interno del nuovo sito dell’Associazione, la facilità e rapidità della consultazione e, infine, l’accessibilità a chiunque, sono il veicolo per farci conoscere e per arrivare al cittadino, nell’ottica di quel “servizio” che è il fine ultimo del nostro lavoro. Un’importante coincidenza temporale fa sì che la rivista riprenda a pubblicare alla vigilia di appuntamenti cruciali: le elezioni del nuovo CSM, i cui candidati sono stati scelti per la prima volta attraverso le primarie indette dalla stessa ANM che si sono rivelate uno strumento di vitale democrazia e un successo in termini di partecipazione, la scadenza del termine concesso all’Italia dalla sentenza Torreggiani per risolvere la grave emergenza del sovraffollamento carcerario, tema che non può che toccarci da vicino come anche l’imminente chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, e infine l’annunciata riforma della giustizia i cui contorni sono ancora tutti da vedere. Su altri temi, invece, l’analisi degli effetti positivi e delle criticità è d’obbligo, dopo un primo periodo di rodaggio, come per la riforma delle circoscrizioni giudiziarie, da sempre sostenuta dall’ANM ma ancora incompiuta, e come per il Tribunale delle Imprese che negli intenti del legislatore dovrebbe migliorare le condizioni istituzionali per “fare impresa”, partendo dal presupposto che l’efficienza del sistema giudiziario contribuisce ad aumentare la competitività del sistema economico. Consultazioni primarie, geografia giudiziaria, carcere, ospedali psichiatrici giudiziari e Tribunale delle Imprese sono appunto gli argomenti trattati in questo numero, non certo con l’intenzione di esaurire il dibattito che potrà continuare sempre sulla Rivista anche successivamente, lasciandoci aperta la possibilità di dedicare numeri monografici a questioni che possano suscitare un domani particolare interesse. Ringraziando tutti coloro che scrivendo per la Rivista hanno voluto contribuire all’uscita del primo numero on line nonché la nostra addetta stampa, la giornalista Rosa Polito che, quale Direttore responsabile, ci accompagnerà in questo nuovo viaggio, l’auspicio mio e dell’intero Comitato di redazione è che “La Magistratura” sia sentita come la voce di tutti, costituisca per i giovani un punto di riferimento e rappresenti anche il volto con cui l’ANM dialoga con la società sui temi della legalità e della giustizia. Il Direttore editoriale

Marcello Bortolato

Editoriale


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La Magistratura - Anno LXIII - Numero 1 - 2


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ASSOCIAZIONE ATTUALITÀ

Associazione/Attualità


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LE PRIMARIE: UNA SCELTA RESPONSABILE

CSM 2014

Chi può candidarsi

Chi può votare Tutti i magistrati titolari del diritto di elettorato passivo per il

Tutti i magistrati in servizio anche non iscritti all’ANM

CSM

Modalità di voto A ciascun elettore saranno consegnate tre schede, una per ogni categoria di eleggibili gialla, giudici di merito bianca, giudici di legittimità verde, pubblici ministeri

ESCLUSI

i MOT D.M. 2 maggio 2013 L’elettore può votare anche per una soltanto delle categorie

Se alla votazione avrà partecipato almeno il

70%

degli aventi diritto La Magistratura - Anno LXIII - Numero 1 - 2

le singole liste partecipanti saranno tenute a presentare alle successive elezioni esclusivamente candidati che abbiano partecipato alle “primarie” nell’ordine delle preferenze ricevute


9 “La Magistratura”, storica rivista dell’ANM, accompagna la vita della magistratura associata fin dal settembre 1909. Il numero del 15 gennaio 1926 segnò anche l’autoscioglimento dell’associazione (allora “Associazione Generale fra i Magistrati d’Italia”) ma, con la fine della dittatura fascista, nell’aprile 1945 le pubblicazioni ripresero immediatamente, una volta ricostituita l’ANM. Il periodico, conservato gelosamente a Roma nella nostra sede di Piazza Cavour, costituisce un prezioso patrimonio storico e culturale. Oggi “La Magistratura” si veste di nuovi panni, trasformandosi in rivista on line, ma rimane un luogo libero di riflessione e di confronto, aperto ai contributi di tutti i soci, come prescritto dal nostro statuto. Abbiamo deciso di dedicare una sezione di questo numero alle recenti “primarie” svoltesi a marzo, in vista delle elezioni del CSM. La centralità del governo autonomo della magistratura impone infatti il più ampio coinvolgimento di tutti i magistrati nell’individuazione di coloro che saranno candidati nella consultazione di luglio. L’attuale legge elettorale, di tipo maggioritario, purtroppo mortifica, come l’esperienza passata ha dimostrato, il potere di scelta della base elettorale, rimettendo di fatto ai gruppi l’individuazione dei candidati. L’ANM, forte della sua rappresentatività quasi totalitaria dei magistrati ordinari italiani, ha quindi deciso, con delibera del suo Comitato Direttivo Centrale, di mettere a disposizione di tutti i colleghi uno strumento che consentisse di rimediare ai difetti della legge attuale, sottolineando al tempo stesso il valore della partecipazione democratica della “base” e della responsabilità della scelta, recuperando un’idea alla quale già la precedente Giunta aveva lavorato. L’iniziativa costituisce anche uno stimolo rivolto al legislatore, perché proceda a una riforma delle regole elettorali; regole, che, oltretutto, prevedono un’irragionevole differenza rispetto alla legge – di tipo proporzionale – che disciplina l’elezione dei consigli giudiziari. Da tempo invochiamo la riforma, perché si realizzi nel modo più completo il diritto elettorale attivo e passivo, consacrato nell’art. 104 della Costituzione. Non ignoriamo il dibattito che si è sviluppato, anche al nostro interno, circa l’adozione di sistemi elettorali alternativi basati sul sorteggio; l’Associazione, però, a larga maggioranza, esprime la propria contrarietà a simili soluzioni, incompatibili col quadro costituzionale, e, ancor prima, col principio della partecipazione democratica al governo autonomo e della rappresentanza di idee e di valori. Non si vuole difendere le degenerazioni del sistema e sostenere inammissibili confusioni fra attività consiliare e associazionismo giudiziario – i quali non escludono una relazione, anche critica, di stimolo e arricchimento culturale ma sono e devono restare distinti e autonomi – ma si intende, al contrario, stimolare la partecipazione dei colleghi, attiva e consapevole. Il risultato ottenuto con le primarie è assai confortante. La consultazione – aperta, si sottolinea, non alle correnti o ai gruppi organizzati comunque denominati, ma a tutti i colleghi, iscritti o no all’ANM – ha visto una partecipazione elevatissima, superiore all’80% dei magistrati. Il sistema, certo, è perfettibile ma proprio quella partecipazione ripaga ampiamente del notevole sforzo organizzativo, realizzato peraltro in un tempo assai breve. Ciò fa ben sperare, per il futuro, in un coinvolgimento sempre crescente dei colleghi nelle attività associative e nella funzione del governo autonomo, garanzia di una giurisdizione indipendente, la quale, al di là di ogni differenza fra correnti e gruppi, deve restare obiettivo fondamentale e condiviso di noi tutti. Rodolfo M. Sabelli Presidente dell’ANM

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NEL SOLCO DELLE PRIMARIE Tiziana Coccoluto Giudice del Tribunale di Roma

ELEZIONI CSM 2014 Primarie ANM per il rinnovo del CSM: una scelta coraggiosa

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Nel dicembre del 2009, al salone della Giustizia di Rimini, l’Associazione Nazionale Magistrati, in vista del rinnovo del CSM, aveva annunziato la volontà di ricorrere alle primarie per la scelta dei candidati alle successive elezioni. L’intento dichiarato era quello di superare i condizionamenti delle correnti della magistratura – o meglio la degenerazione delle correnti quale fenomeno di deviazione politica della rappresentanza consiliare – per poter favorire un’autentica partecipazione al sistema dell’autogoverno e una maggiore legittimazione democratica all’elezione del CSM. La proposta era il risultato di un lungo percorso cominciato nel luglio del 2009, quando di fronte all’annunciata intenzione della maggioranza di governo di procedere al sorteggio per il rinnovo del CSM, la giunta aveva avanzato per la prima volta l’ipotesi delle primarie, che sembrava costituire l’unico antidoto al difetto di rappresentanza in armonia con la previsione di un CSM elettivo, come disegnato dall’art. 104 della Costituzione. In quei giorni Unicost e Magistratura Indipendente decidevano di non aderire alla proposta dell’Associazione, e proseguire secondo tradizione, presentando una loro lista di candidati, al contrario Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia, oggi unite nella coalizione di AREA, optavano per primarie interne, produttive, per la prima volta, di un gruppo consiliare non più e


11 non solo di diretta derivazione dei singoli gruppi direttivi, ma con riferimenti di rappresentatività più ampi e marcati. La necessità di ricorrere alle primarie era stata sollecitata di fatto da quel sistema elettorale voluto dal Ministro Castelli che, abolito il sistema proporzionale di lista, lasciava spazio a collegi unici nazionali con ingresso dei più votati tra le singole categorie di magistrati in accesso al CSM. L’ampiezza dei collegi elettorali, che comprendono l’intero territorio nazionale, impedisce che l’elezione possa avvenire senza il sostegno di un’associazione o gruppo organizzato, sicché ancora una volta la critica, interna ed esterna alla magistratura, si esprimeva negativamente rispetto a un meccanismo che, in fatto, aveva lasciato ogni decisione agli apparati delle correnti così influenti sull’esito del voto da scoraggiare la presentazione di candidature indipendenti: un sistema elettorale che, per le modalità concrete di funzionamento, tende ad avvicinarsi a quello basato su liste bloccate. La strada verso le primarie si è palesata dunque come l’unica percorribile per ricomporre quel vuoto di rappresentatività denunziato senza rinunziare alla componente ideale, nel senso letterale di espressione di un’idea politica nel governo della giurisdizione. E veniamo ai nostri tempi. La decisione dell’ANM di “gestire” le primarie con una partecipazione contestuale di tutti i gruppi, costituiti o costituendi, con ampliamento dell’elettorato attivo addirittura ai non iscritti costituisce un dato storico e politico incontrovertibile sulla strada dell’autogoverno e dell’autoriforma di una magistratura che è consapevole del connotato politico del CSM, organo di garanzia e di rappresentanza dei magistrati ma, al tempo stesso, organo di governo dell’amministrazione interna dell’ordinamento giudiziario. Lo schema elettivo, contrapposto allo schema del sorteggio, risponde alla logica di una rappresentanza consiliare che sia anche rappresentanza culturale, nel rispetto di un pluralismo valoriale che costituisce un unicum nel panorama europeo.

Al pensiero di una magistratura che guarda ai sistemi organizzativi come strumenti di maggior efficienza di giurisdizione, e alla scelta dei parametri di valutazione professionale come opzione seria di bilanciamento tra merito ed etica della dirigenza, non può che corrispondere l’adesione al sistema elettorale per indicazione collettiva, organizzata intorno al tavolo dei valori. La coraggiosa scelta dell’ANM – anche per l’impegno organizzativo profuso in termini di mezzi e persone – deve essere guardata con evidente ottimismo, visto il dato dell’affluenza attestatosi sull’80% dei magistrati che hanno vissuto il voto – nel suo materiale esercizio – una possibilità di scelta e di espressione di quell’autogoverno dal basso di cui tanto e da molto è stato chiesto il ripristino.

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12 Ciò ha consentito una componente consiliare più rappresentativa, più efficace e meno lottizzata? Ha scardinato il correntismo e ampliato lo spettro degli eletti? Ha garantito il pluralismo culturale esistente nella magistratura? Ha risposto a un principio di parità di genere? La risposta è complessa e merita un’analisi spostata alla c.d. prova controfattuale dei risultati definitivi di quelle che saranno le elezioni vere. In prima battuta deve rilevarsi come il sistema elettivo scelto, per schede separate per ogni categoria, ha liberato un voto disgiunto che ha “scardinato” i gruppi dai propri candidati, mettendo in campo la possibilità – virtuale e reale – di una scelta che nulla ha a che vedere con le liste di appartenenza. I voti diventano dunque dati personali, mentre i candidati sono e rimangono candidati di lista: se da un lato ciò ha consentito forse un voto più libero e personale, dall’altro ha favorito l’innesto di variabili indipendenti (strategie di voto, collateralismi territoriali, scelte consapevolmente individuali) di cui allo stato è difficile valutare la portata e la direzione. Certo è che indietro non si torna non essendo in alcun modo teorizzabile, né in termini di ampia rappresentanza né in termini di bontà del risultato, il ripristino del meccanismo di designazione interna, che espropri il singolo magistrato, indipendente o aderente a un gruppo, della sua concreta partecipazione alla scelta dei suoi rappresentanti. I dati che le primarie ci hanno consegnato in termini di “tenuta” dei gruppi associati vanno pensati ed elaborati unitamente al senso e allo scopo che le “primarie”, quale metodo di selezione scelto, si propongono. Intanto si tratta di Selezione di candidati e non già di Elezione degli stessi, il che presuppone (o presupporrebbe) un preliminare patto di appartenenza e di minima coesione intorno a ciascuno dei nomi presentati.

Il sistema elettivo scelto ha liberato un voto disgiunto che ha “scardinato” i gruppi dai propri candidati

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13 Le stesse possono essere effettuate e regolamentate in vari modi (all’interno dei singoli gruppi, con iscrizioni, dichiarazioni di voto, aperture agli indipendenti ecc). Il tipo scelto dall’ANM è assimilabile a quello della “primaria aperta con scelta privata”: possono partecipare alla primaria diretta tutti gli elettori che si presentano al seggio in cui si tengono le primarie dei vari gruppi, ma l’elettore potrà scegliere nella segretezza del seggio a quale “primaria” partecipare (ergo quale candidato di quale gruppo votare). È possibile che si assista ad agglomerati territoriali piuttosto cha ad agglomerati ideali, così come è possibile che le sensibilità dell’elettorato passivo vadano diversificandosi, ponendosi in posizioni ambigue o trasversali, ma pur sempre da valutare e rispettare quale dato di effettiva partecipazione alla formazione del più alto organismo di Autogoverno della Magistratura. La più ampia partecipazione paga il costo di una dispersione o di una bipolarizzazione dei gruppi (come succede nelle primarie americane) e può lasciare sul campo identità e sensibilità importanti che hanno costituito la storia e l’ “in sé” dei gruppi che vi hanno partecipato. Ma è il rischio che i gruppi devono assumersi, e governare, se vogliono conservare e valorizzare la propria capacità di elaborazione culturale dentro e fuori la giurisdizione, perseguendo un modello “estroverso” come alternativa al sistema “introverso”, sostenendo quel mondo valoriale di riferimento con un ampliamento di democrazia interna oltre che solo esterna. È un rischio che risponde in modo netto alle rivendicazioni individualiste dei sostenitori del sorteggio e di un sistema di selezione che persegue la dissociazione del magistrato da qualsiasi gruppo, nell’ottica di un’anomala e insensata impermeabilità del magistrato rispetto alle storie del mondo.

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CORRENTISMO E SISTEMA ELETTORALE Antonia Giammaria Magistrato distrettuale - Procura Generale Roma

Emerge ormai in modo palese una diffusa esigenza dei magistrati italiani di riformare il sistema elettorale del proprio organo di autogoverno. Il proliferare quasi quotidiano di proposte in tal senso deve indurre a una riflessione, ma soprattutto, a un’azione non più procrastinabile. L’esigenza diffusamente condivisa è, da una parte, quella di svincolarsi dalla designazione dei candidati da parte delle correnti, dall’altra, di giungere alla maggiore rappresentatività possibile del Consiglio stesso. Se le due esigenze appena citate hanno rilevanza e dignità di tutela, come si deve senz’altro ritenere, allora bisogna analizzare gli strumenti con i quali realizzare tale tutela. In merito al primo elemento, cioè all’eccessivo ruolo dei potentati in seno alle varie correnti, si deve riconoscere che larga responsabilità in tal senso è proprio dell’attuale legge elettorale. Tanto ciò è vero che in vista delle prossime elezioni l’ANM ha ritenuto di istituire le primarie per la designazione dei candidati, così provando a lavare il peccato originale insito nel sistema vigente.

Il proliferare di proposte di riforma del sistema elettorale del CSM deve indurre a una riflessione

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15 Il paradosso dei paradossi è che questo sistema era stato adottato proprio per combattere gli apparati correntizi, mentre invece ha finito per accrescerne il potere. Allora di fronte al malcontento diffuso, alla disaffezione dalle questioni associative, al dilagare del convincimento che l’organo di autotutela non sia sufficientemente rappresentativo delle esigenze e degli interessi dei rappresentati, dei magistrati tout court, ma sempre più attento alle esigenze di pochi, si è pensato di restituire potere alla base nella scelta dei candidati. Si è così certificata l’inadeguatezza del sistema vigente. Se infatti c’è stato bisogno di apportare il correttivo delle primarie, ciò è stato dovuto al fatto che non si poteva più negare l’inadeguatezza di quella modalità di selezione dei rappresentanti al CSM. Ma allora non sarebbe più opportuno abbandonare le ipocrisie insite anche nelle stesse primarie e impegnarsi seriamente nel modificare il sistema elettorale? Per quale motivo imporre una campagna elettorale lunga mesi e mesi, defatigante sia per gli aspiranti candidati che per il corpo elettorale? C’è qualcuno che può onestamente affermare che sia stata così offerta agli elettori ampia scelta di candidati tale da far sentire l’elettorato stesso come vero autore della selezione? E ancora, come sono stati designati quei candidati all’interno delle varie correnti? Appare evidente che ogni gruppo ha ristretto la rosa dei candidati per evitare la dispersione del voto e la possibile debole investitura dei candidati definitivi. Si capisce quindi che il metodo oggi adottato è frutto solo di “un voler correre ai ripari”, ma non certo idoneo a intervenire in modo razionale e organico. Per giungere a individuare il migliore dei sistemi elettorali è opportuno analizzare il tipo di organo che si va a eleggere. Il CSM ha una natura quanto mai articolata. Esso è al contempo organo di rappresentanza, di tutela di interessi, organo di amministrazione e organo giudiziario-disciplinare. Discende da ciò l’estrema difficoltà di individuare un sistema elettorale che possa consentire di assolvere a tutte queste funzioni, tenendo nella debita considerazione i vari

approcci ideologici e sistematici presenti nel corpo elettorale. È evidente che ogni sistema elettorale ha propri punti deboli e sacche di inefficienza e di inadeguatezza. Non esiste il sistema perfetto. Bisogna perciò stabilire qual è il fine principale che si vuole raggiungere. A me pare che le esigenze principali siano quelle della libertà di scelta da parte degli elettori e della massima rappresentatività. È oramai sotto gli occhi di tutti che l’elettorato senta molto forte questo problema. Tanto è vero che vi è un continuo proliferare di aggregazioni spontanee di colleghi finalizzate a individuare diverse e nuove forme di selezione dei candidati. Mi viene in mente l’ultima nata in ordine di tempo, “Altra proposta”, che ha prospettato il sorteggio come metodo di individuazione dei candidati. A mio giudizio questa proposta va letta come un’estrema provocazione rispetto all’immobilismo vigente. Si possono immaginare i commenti dei nostri “estimatori”: “la categoria dei magistrati è talmente inaffidabile da non essere in grado neanche di darsi delle regole democratiche e trasparenti di selezione dei propri consiglieri se non affidandosi al Caso…” Aldilà di questa anche superabile criticità ve ne sarebbero molte altre non superabili. Ad esempio potrebbero essere sorteggiati troppi colleghi di una stessa area geografica, ideologica, anagrafica, colleghi non interessati a essere Consiglieri. Allora che cosa si farebbe? Un sorteggio a oltranza?

Le esigenze principali sono: libertà di scelta da parte degli elettori e massima rappresentatività Credo che non sia una strada affatto praticabile. In più vi potrebbe essere una non trascurabile carenza motivazionale rispetto a coloro che venissero coartati dal Fato ad andare ad assolvere un compito complesso e di responsabilità, visto che, volenti o nolenti, dal Consiglio Superiore dipendono i destini

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16 dei magistrati, quindi degli uffici giudiziari, quindi dell’intero sistema giustizia. Occorre allora analizzare le criticità dell’attuale sistema elettorale per poi cercare di individuare un’alternativa più virtuosa. Esso si basa sull’assoluta libertà di scelta del nominativo da apporre sulla scheda, uno per i giudici, uno per i pm, uno per la Cassazione. In teoria dunque riconosce il massimo della libertà all’elettore. È un sistema proporzionale a lista unica nazionale, il cui risultato dovrebbe essere altamente rappresentativo e con la massima libertà di scelta per l’elettore. Senonché nella realtà pratica accade un’altra cosa, che era proprio quella che si voleva scongiurare adottando tale sistema. Accade infatti che per evitare la dispersione dei voti, in nome del voto utile, ciascuna corrente indirizzi i voti su dei candidati prescelti. Quindi, con l’obiettivo di eliminare il correntismo, si è finito per esaltarlo. Il punto debole del sistema attuale, infatti, è proprio il ricatto non palese, ovviamente, di non disperdere voti, di esprimere appunto un voto utile, in definitiva di indirizzare i voti. La prima criticità è insita in una premessa logica che questo sistema ha colposamente o dolosamente voluto ignorare. Cioè la presenza delle correnti. Vero è, invece, che le correnti non solo esistono ma hanno anche una loro ragion d’essere. Esse hanno la nobile e rispettabilissima funzione aggregante dei consensi, dei diversi punti prospettici rispetto a questa o quella tematica. Tutto ciò a mio giudizio è non solo utile e necessario ma inevitabile. È necessario cioè anche all’interno della Magistratura organizzare le idee e le persone. Quello che non è positivo, e diventa perciò patologia, è che le correnti siano anteposte al singolo e alla libera scelta di quest’ultimo. Uscendo dall’ipocrisia di affermare che le correnti non devono esistere, si dovrebbe tendere al “servizio” della corrente rispetto ai singoli e alle idee e non viceversa. Allora tornando al sistema elettorale si è arrivati proprio per questa ipocrisia a pensare che l’elezione sarebbe stata priva di un’organizzazione

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di consensi e perciò totalmente libera. Ma così non poteva essere perché si sarebbe arrivati al “tutti contro tutti” e alla totale dispersione di voti. La conseguenza è stata che ogni corrente ha individuato i propri candidati da proporre agli elettori i quali, proprio per non esprimere un voto “inutile”, hanno scelto di indirizzare il voto verso i candidati proposti dalle correnti, accantonando candidati più graditi, ma i cui voti rischiavano di andare “dispersi”. Questa esperienza ormai collaudata da diverse elezioni ci dovrebbe insegnare delle cose. La prima è che l’esistenza delle correnti non è in sé per sé negativa. La seconda è che bisogna tutelare la libertà di scelta degli elettori.

Bisogna introdurre, senza più indugi, un altro sistema elettorale Se questi sono i valori da tutelare rispetto a quello di far prevalere le divisioni ideologiche, diffusamente superate, allora bisogna introdurre, senza più indugi, un altro sistema elettorale. Potremmo introdurre un sistema elettorale proporzionale a lista libera nazionale. In base a tale sistema ogni elettore può scrivere sulla sua scheda, o meglio, sulle sue tre schede (giudici, pm, Cassazione) un proprio ordine di preferenze. Può cioè esso stesso indicare a chi deve essere attribuito il proprio voto qualora la prima preferenza non serva all’elezione di quel collega poiché quest’ultimo ha già raggiunto


17 il quorum che gli era necessario o non è in grado di raggiungerlo. In tal caso il voto verrebbe assegnato al secondo, al terzo e così via. Si eviterebbe così il “ricatto” del voto utile poiché il proprio voto sarebbe comunque utile all’elezione del secondo o del terzo candidato. Sarebbe cioè un voto altamente flessibile e non condizionabile dalle correnti. Inoltre non sarebbe impedito che un nutrito gruppo di elettori, immaginiamo per esempio un Distretto grande o un insieme di Distretti, possano decidere di far convergere i voti su una persona in particolare ottenendo così l’effetto dell’uninominale. In tal caso però il risultato sarebbe frutto di una libera scelta degli elettori e non un’imposizione delle correnti. Ritengo che in questo modo si otterrebbe un’elevata rappresentatività, una massima libertà dell’elettore, l’abolizione della spada di Damocle del voto utile, in una parola il depotenziamento radicale dell’aspetto patologico del correntismo. Non va poi tralasciato l’effetto più che virtuoso che si potrebbe ottenere nelle dinamiche in seno alla nuova consiliatura così eletta. Avere dei Consiglieri scelti veramente dagli elettori comporterebbe una loro assoluta

autonomia di giudizio e di valutazione; essi non avrebbero più condizionamenti dalle correnti e dai loro oligarchi visto che l’investitura è giunta loro dalla libera scelta del corpo elettorale. Nascerebbe pertanto all’interno delle correnti un virtuosismo tale da far sperare in una selezione dei migliori e dei più meritevoli, visto che solo in questo modo ogni candidato potrebbe sperare di raccogliere i consensi necessari alla propria elezione. D’altra parte questo sistema elettorale, già in passato proposto, non fu accettato da una gran parte dell’ANM, anacronisticamente legata a quello proporzionale per liste contrapposte che costringe l’elettore a una scelta ideologica di schieramento. A distanza di anni, forse, sono maturi i tempi per lasciarsi alle spalle il primato delle ideologie rispetto alle persone. Forse, dico forse, è giunto il momento anche per la Magistratura italiana di dimostrare, prima a se stessa poi agli altri, che il proprio rinnovamento passa necessariamente attraverso l’autonomia di giudizio e la libertà di scelta di ogni singolo magistrato.

XXXI CONGRESSO ANM

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LA SORTE INCERTA DEL SISTEMA ELETTORALE DEL CSM

Angelo Piraino Giudice del Tribunale di Termini Imerese

Nel panorama del dibattito associativo sull’autogoverno della magistratura è diffuso un senso di insoddisfazione nei confronti del vigente sistema elettorale del CSM, da più parti indicato come inadeguato e meritevole di ripensamento. L’attuale sistema è il frutto di una riforma legislativa introdotta dalla l. 28 marzo 2002, n. 44, sulla scorta di intenzioni palesemente tradite dalla sua successiva attuazione. Le ottimistiche previsioni del Ministro della 1 Giustizia dell’epoca sono state smentite dall’esperienza pratica, e il sistema elettorale, pensato inizialmente per limitare l’influenza dei gruppi associativi agevolando le candidature individuali, ha consentito, al contrario, alle correnti di esercitare un’influenza anche maggiore sugli esiti elettorali, controllando in modo ancora più pregnante la designazione dei candidati.

È diffuso un senso di insoddisfazione nei confronti del vigente sistema elettorale del CSM

1 Il 13/2/2012 il Ministro della Giustizia Roberto Castelli, nel presentare la riforma del sistema elettorale dinanzi all’aula del Senato, ottimisticamente dichiarava: «Il sistema correntizio che si è instaurato nel Csm non funziona. Con la riforma avremo un Consiglio che funzionerà meglio» http://www.adnkronos.com/ Archivio/AdnAgenzia/2002/02/13/Politica/CSMCASTELLI-SISTEMA-CORRENTIZIO-HA-FALLITO-ORARIFORMA_142800.php

La Magistratura - Anno LXIII - Numero 1 - 2

La considerevole riduzione del numero dei seggi della componente elettiva (dagli originari 20 agli attuali 16 componenti togati eletti), la loro suddivisione per fasce e la previsione di un unico collegio nazionale hanno elevato in modo sensibile il quorum necessario per l’elezione, così imponendo, di fatto, a ogni candidato il supporto di un contesto organizzativo su scala nazionale, e rendendo pressoché indispensabile l’appoggio dei gruppi associativi. Il risultato paradossale cui si è giunti tradisce, purtroppo, una conoscenza da parte del legislatore non sufficientemente approfondita delle dinamiche interne alla magistratura, e ha ulteriormente aggravato il cortocircuito, già presente, tra autogoverno e associazionismo, ormai reso evidente dalla frequente sovrapponibilità delle intese consiliari a quelle associative, che si è riscontrata nell’ultimo decennio.


19 Tale stato di cose viene vissuto con crescente insofferenza da parte dei magistrati italiani ed è causa di un atteggiamento di indifferenza nei confronti delle iniziative promosse dall’Associazione Nazionale Magistrati, associazione che da taluni viene vista soltanto come uno strumento per i singoli che intendono perseguire intenti individualistici piuttosto che come casa comune dei magistrati e luogo dove ragionare insieme per la tutela dell’indipendenza.

Non è la prima volta che, nella storia del dibattito che verte sul CSM, si prospetta la possibilità di introdurre nel processo elettorale l’individuazione 2 a sorte tra gli eleggibili , e da più parti si afferma 2 Si veda Carlo Vulpio in un articolo del 2009 su Micromega http://temi.repubblica.it/micromega-online/ il-sinedrio-del-csm-e-il-sorteggio-della-serenissima/?h=0 , Bruno Tinti ne “il Fatto Quotidiano” del 15/7/2010 in http://togherotte.ilcannocchiale.it/?TAG=correnti

L’ANM HA ORGANIZZATO LE PRIMARIE NEL TENTATIVO DI RESTITUIRE ALLA BASE ELETTORALE IL POTERE DI DESIGNAZIONE DEI CANDIDATI

La constatazione della crescente disaffezione verso l’attività associativa ha indotto il Comitato Direttivo Centrale dell’ANM a organizzare quest’anno per la prima volta delle elezioni primarie, in vista delle consultazioni elettorali di luglio per il rinnovo della componente togata del CSM, nel tentativo di restituire alla base elettorale il potere di designazione dei candidati, finora esercitato esclusivamente dagli organi di vertice dei singoli gruppi associativi, e di dare agli elettori una sensazione di maggiore protagonismo nella determinazione degli esiti elettorali. Un “esperimento” ben più innovativo e di rottura è quello condotto dall’aggregazione denominata “Altra Proposta” che ha deciso di svolgere un sorteggio per individuare dei candidati da sottoporre, poi, a consultazioni primarie telematiche per designare infine i candidati per la competizione elettorale di luglio.

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20 che l’introduzione dell’elemento casuale nella designazione dei candidati sia l’unico rimedio veramente efficace per impedire condizionamenti da parte dei gruppi associativi nelle elezioni dell’organo di autogoverno. Sussistono, tuttavia, concreti dubbi sulla possibilità di introdurre l’elemento della sorte attraverso una modifica legislativa nella disciplina ordinaria, alla luce dell’attuale quadro normativo costituzionale. Come è noto la disciplina costituzionale dell’elezione dei componenti togati e laici del CSM è descritta dall’art. 104 Cost., che demanda al legislatore ordinario sia l’individuazione del numero dei componenti l’organo di autogoverno, che la disciplina elettorale con le eventuali cause di ineleggibilità o incompatibilità. La norma costituzionale prevede che del Consiglio Superiore della Magistratura facciano parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione e che gli altri componenti siano eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio. Con specifico riferimento ai limiti dell’elettorato passivo, tale norma va letta in combinato disposto con quanto stabilito in generale dall’art. 51 Cost., che statuisce che «tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici ed alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge». Anche l’art. 51 Cost. prevede che la legge ordinaria possa dettare dei limiti all’accesso alle cariche pubbliche elettive, che consistono nelle cause di ineleggibilità e di incompatibilità.

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Il confronto tra le disposizioni contenute nell’art. 104 Cost. e quelle dettate dall’art. 51 Cost. consente di evidenziare che nella prima norma sono già rinvenibili due limitazioni espresse dell’elettorato passivo, consistenti, rispettivamente, nell’obbligo che i componenti di nomina politica siano scelti tra soggetti con determinate qualifiche professionali (professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con esperienza quindicennale) e nel divieto per tutti i membri elettivi di essere immediatamente rieletti. La ratio delle previsioni in questione appare rinvenibile, rispettivamente, nell’alto rilievo tecnico delle funzioni svolte e nell’esigenza di impedire che chi esercita le funzioni di componente eletto presso il CSM possa utilizzare le medesime funzioni per consolidare un consenso elettorale per la successiva tornata. Tale preoccupazione non ricorre invece per le altre cariche pubbliche elettive di rilievo nazionale, laddove, invece, appare normale che l’amministratore eletto crei e consolidi il consenso all’interno del corpo elettorale che lo ha votato. Questi primi dati consentono già di svolgere una riflessione ulteriore, ossia che il CSM è sì un organo di rilevanza costituzionale con finalità di garanzia e con funzioni miste di alta amministrazione (gli atti del Consiglio sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo) e giurisdizionali (limitatamente ai provvedimenti disciplinari, impugnabili dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione), ma non costituisce un organo politico, cioè la cui azione è libera nel fine.


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Una distinzione non sempre chiara ad alcune componenti associative, che hanno affermato, anche nel recente passato, che dal rilievo costituzionale attribuito al CSM debba derivare addirittura l’insindacabilità dei suoi atti dinanzi all’autorità giudiziaria amministrativa. La natura delle alte funzioni attribuite al Consiglio Superiore ha certamente indotto il legislatore costituente a salvaguardare prioritariamente la miglior funzionalità dell’organo di autogoverno, la sua imparzialità e la sua funzione di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario dagli altri poteri dello Stato, ma arrivare ad affermare che tale organo sia per ciò stesso libero nel fine è una conclusione che rischia di porre in dubbio le fondamenta stesse del principio di separazione dei poteri sul quale è fondato il nostro ordinamento. Una valutazione sinottica delle ulteriori ipotesi di ineleggibilità

previste dalla legge 24 maggio 1958, n.195 offre la conferma del fatto che l’attuale disciplina elettorale per il CSM privilegia, per un verso, la garanzia del livello massimo di funzionalità all’organo di autogoverno, anche attraverso il ricorso a presunzioni (ad esempio escludendo i magistrati che hanno meno di tre anni di funzioni o quelli che hanno delle condanne disciplinari, perché ritenuti non in grado di fornire una professionalità adeguata) e, per altro verso, mira a garantire l’imparzialità dell’organo, impedendo la candidatura di soggetti che, attraverso il loro ruolo, possano essere facilitati nella creazione del consenso elettorale (come nel caso dei consiglieri uscenti e dei magistrati addetti alla Segreteria e Ufficio Studi del CSM). Su tali limitazioni non sono mai stati sollevati dubbi di costituzionalità. Ben diversa sarebbe, invece, l’ipotesi di richiedere per la candidatura e, dunque, per l’esercizio del diritto di elettorato

passivo, l’aver affrontato con esito positivo una procedura di estrazione a sorte. Un primo, importante, profilo di dubbio riguarda la compatibilità logica del concetto di sorteggio con il concetto di elezione. L’elezione, alla luce anche del principio di libero accesso sancito dall’articolo 51 della Costituzione, dovrebbe consistere in un procedimento decisionale attraverso il quale un gruppo di soggetti sceglie delle persone per un incarico politico o amministrativo. Tale procedimento decisionale si esprime attraverso un incontro tra le convergenti volontà dei candidati, i quali offrono la loro disponibilità a ricoprire l’incarico, e la volontà degli elettori, i quali li giudicano idonei con il loro consenso. L’introduzione del fattore casuale in tale procedimento decisionale potrebbe essere ritenuto logicamente incompatibile con la natura stessa del procedimento, impedendo o condizionando la

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libera formazione della volontà dei partecipi. Va, inoltre, attentamente valutato se, con la scelta del meccanismo elettivo per la designazione dei componenti del CSM, sia della componente togata che di quella politica, il legislatore costituente non abbia inteso altresì introdurre una funzione di rappresentatività dei medesimi componenti rispetto al corpo elettorale che li esprime. Tale funzione di rappresentatività, ove sussistente, verrebbe drasticamente limitata, fino quasi all’annullamento, attraverso l’inserimento del fattore casuale nel procedimento di nomina. A ben vedere le considerazioni precedentemente svolte in merito alla natura del Consiglio Superiore della Magistratura possono indurre a escludere che il quadro di riferimento costituzionale in cui si innesta la disciplina ordinaria, e in particolare l’articolo 104 della Costituzione, miri ad assicurare la rappresentatività dei vari gruppi associativi di magistrati

all’interno del Consiglio. Ciò nondimeno non può escludersi, con altrettanta certezza, che non vi debba essere un nesso di rappresentatività tra i singoli componenti e il corpo elettorale che li esprime, o, quantomeno, un particolare nesso fiduciario in merito alla loro idoneità a svolgere la delicata funzione di componente di detto organo di rilievo costituzionale. Va, altresì, valutata la possibilità che il sorteggio dei candidabili, limitando in maniera drastica e casuale il numero degli stessi, non assicuri in modo efficace la possibilità di scegliere i più capaci e quindi rischi in prospettiva di minare la miglior funzionalità dell’organo. Tale rischio, per un verso, appare tanto maggiore quanto più ristretto è il numero dei candidabili sorteggiati, mentre, per altro verso ben può essere fugato mediante un’elevazione dei requisiti di professionalità richiesti per l’elezione, anche alla luce del nuovo e più rigoroso

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sistema di valutazione della professionalità dei magistrati. Quanto invece alla previsione generale contenuta nell’art. 51 Cost. di assicurare a tutti i cittadini (nella specie a tutti i magistrati) l’accesso alla carica eleggibile, va rilevato, innanzitutto, che il sorteggio garantisce a tutti in astratto di poter accedere all’incarico, non operando un’esclusione astratta, basata per categorie generali. Ancor di più deve ritenersi che l’introduzione del sorteggio nella fase preliminare del meccanismo elettorale miri a realizzare in pieno l’eguaglianza sostanziale tra i candidati, assicurando loro pari chances di essere eletti, in attuazione del compito di rimuovere i limiti di fatto alla realizzazione dell’eguaglianza imposto al legislatore dall’articolo 3, comma secondo, della Costituzione. Costituisce, infatti, un dato di esperienza comune il fatto che tutti i meccanismi elettorali finora introdotti con riferimento


23 al Consiglio Superiore della Magistratura, pur eliminando il voto per liste, non hanno ridotto l’influenza che, sulle elezioni, hanno spiegato i gruppi associativi nei quali si articola una sostanziosa parte della magistratura. Tale circostanza ha condotto a una situazione di enorme difficoltà, per un candidato non inserito o non appoggiato da alcun gruppo associativo, a raccogliere il consenso sufficiente a essere eletto, ponendo, di fatto, tutti i soggetti candidabili in una situazione di radicale disparità di posizione. L’introduzione del sorteggio, precludendo meccanismi di designazione provenienti dai gruppi associativi, non elimina ogni possibilità di influenza dei medesimi sulle dinamiche elettorali, ma ne riduce sensibilmente la portata, consentendo a tutti i candidati di competere su di una base di sostanziale eguaglianza. Tuttavia non può negarsi che l’introduzione del sorteggio dei candidabili si risolva, di fatto, in un’oggettiva limitazione del diritto di elettorato passivo, il cui esercizio non è più rimesso soltanto alla volontà del singolo, ma è subordinato a un fattore casuale per definizione esterno e non dominabile. In merito alle possibili limitazioni all’elettorato passivo la Corte Costituzionale ha sempre manifestato massima prudenza, sostenendo che la limitazione al diritto costituzionale di essere eletto, che ha i caratteri dell’inviolabilità ai sensi dell’art. 2 Cost., ammette restrizioni solo nei limiti necessari alla tutela di altro interesse costituzionalmente protetto e secondo la regola della ragionevole proporzionalità, esprimendo tale orientamento con più pronunce ispirate all’esigenza della sussistenza di una «rigorosa 3 prova della indispensabilità del limite» . In tale ottica l’introduzione del sorteggio potrebbe ritenersi mirata primariamente a garantire

l’imparzialità del Consiglio Superiore della Magistratura, sia nell’espletamento delle sue funzioni giurisdizionali che nell’espletamento di quelle di alta amministrazione, e potrebbe, dunque, ritenersi rispondere ai fondamentali interessi riconosciuti come primari, rispettivamente, dagli articoli 97 e 111 della Costituzione. Al riguardo va evidenziato che l’utilizzo del sorteggio come strumento per garantire l’imparzialità della composizione di un organo, sia esso giurisdizionale che amministrativo, trova importanti precedenti nella legislazione sia costituzionale che ordinaria. Con riferimento agli organi che svolgono funzioni giurisdizionali vanno rammentati: a) l’articolo 135 della Costituzione, che prevede che la Corte Costituzionale, nei giudizi d’accusa contro il Presidente della Repubblica, venga integrata da sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari; b) la legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, che prevede l’estrazione a sorte dei componenti del collegio competente a giudicare sui reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dai Ministri;

3 Si vedano a titolo di esempio le sentenze della Corte Costituzionale n.141/1996, in tema di ineleggibilità di persone condannate per certi tipi di reato, con sentenze ancora non passate in giudicato e n.344/1993 in tema di ineleggibilità dei consiglieri regionali per le elezioni al Parlamento nazionale.

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c) la Legge 10 aprile 1951, n. 287, che prevede l’estrazione a sorte dei giudici popolari componenti la Corte d’Assise.

L’utilizzo del sorteggio come strumento per garantire l’imparzialità della composizione di un organo trova importanti precedenti nella legislazione Analogamente il sorteggio risulta essere stato già impiegato come strumento per garantire l’imparzialità della composizione di un organo che svolge funzioni amministrative, a titolo di esempio, nei seguenti casi: a) il decreto legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito con modificazioni dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca, che ha previsto che le commissioni giudicatrici per le procedure di valutazione comparativa per il reclutamento dei professori universitari di I e II fascia siano composte da membri sorteggiati in una lista di commissari eletti in numero triplo;

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b) il decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483, contenente il regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale, che prevede il sorteggio dei componenti delle commissioni per i concorsi per le posizioni funzionali del ruolo sanitario; c) il decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, recante il Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, che prevedeva il sorteggio dei componenti delle commissioni aggiudicatrici. Questi esempi costituiscono testimonianze eloquenti di ipotesi in cui il legislatore, sia ordinario che costituzionale, ha utilizzato il sorteggio come strumento di garanzia di imparzialità di organi collegiali, talvolta unendolo a un sistema elettivo, come nei casi dell’articolo 135 della Costituzione e del decreto legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito con modificazioni dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1. Potrebbe, dunque, ritenersi che l’introduzione del sorteggio nel procedimento di selezione dei componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura possa rispondere a finalità di interesse pubblico aventi una valenza di rilievo costituzionale. Non può affermarsi, viceversa, con altrettanta univocità che una simile limitazione dell’elettorato passivo sia assolutamente indispensabile allo


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scopo indicato in mancanza di valide alternative. Se, per un verso, l’esperienza storica delle modifiche del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura è costantemente segnata dall’insuccesso dei tentativi di riforma nell’arginare l’influenza dei gruppi associativi, per altro verso non si può del tutto ritenere che l’introduzione del sorteggio costituisca l’unica strada percorribile per raggiungere tale scopo. Nell’ambito del dibattito sul sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura sono in passato affiorate delle interessanti ipotesi di sistemi elettorali diversi rispetto a quelli sinora praticati, che potrebbero limitare sensibilmente l’influenza dei gruppi associativi. L’associazionismo costituisce certamente un forte collante, un fattore di aggregazione sociale che si traduce in uno strumento di organizzazione e di raccolta del voto in occasione delle competizioni elettorali. Per cercare di contrastare tale influenza vanno individuati e agevolati fattori di aggregazione alternativi. In tale ottica l’aumento del numero dei componenti togati, cui conseguirebbe una significativa riduzione del quorum necessario per la loro elezione, congiunto con il ricorso al sistema maggioritario con collegi elettorali uninominali di piccola dimensione, ben potrebbe garantire la possibilità a candidati conosciuti in ambito locale e apprezzati per il modo con cui esercitano quotidianamente le funzioni giudiziarie di prevalere rispetto ad altri candidati magari meno stimati ma appoggiati dai gruppi associativi.

L’esperienza storica delle modifiche del sistema elettorale del CSM è segnata dall’insuccesso dei tentativi di riforma nell’arginare l’influenza dei gruppi associativi Altri sistemi elettorali sono stati, inoltre, indicati in passato come valide alternative a quello proporzionale puro o al maggioritario attuale, e in particolar modo il sistema proporzionale temperato dal c.d. voto disgiunto o panachage e il sistema del 4 c.d. voto singolo trasferibile in quanto idonei a espandere al massimo livello la libertà dell’elettore, riducendo l’influenza dei gruppi associativi senza, tuttavia, giungere a comprimere in modo drastico il diritto di elettorato passivo. 4 Il sistema del voto disgiunto o panachage fu fortemente criticato in occasione della riforma del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura nel corso dei lavori parlamentari che portarono all’approvazione della l. 22 novembre 1985, n. 655 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/ repubblica/1985/07/18/csm-polemiche-contrasti-perla-riforma-elettorale.html. Per una chiara disamina delle differenze tra questo sistema elettorale e il sistema del c.d. voto singolo trasferibile si veda l’efficace scritto di Mario Cicala dal titolo «Assetto della magistratura e sistemi elettorali» in http://www.giustiziacarita.it/ archmag/elett.htm .

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27 La scelta di ricorrere al sorteggio per ridurre l’influenza dei gruppi associativi nell’elezione degli organi di autogoverno è certamente drastica, e come si è evidenziato in precedenza risponde a esigenze pur tuttavia condivisibili, che sarebbe miope omettere di considerare e valutare con la giusta attenzione. Ciò nondimeno si tratta di una via in parte oscura e inesplorata, che legittima dubbi non solo sulla tenuta costituzionale ma anche sul fatto se sia effettivamente indispensabile ricorrere a una soluzione così draconiana per porre rimedio alla situazione attuale. La magistratura associata non può continuare a ignorare i segnali di malessere che il corpo elettorale trasmette sempre più nitidamente, prima che questo malessere raggiunga un’intensità tale da compromettere definitivamente la fiducia negli organi istituzionali dell’autogoverno. Si avverte dunque la necessità di intraprendere un dialogo costruttivo che prenda le mosse da una riflessione analitica sulle cause profonde delle disfunzioni del sistema dell’autogoverno e che individui delle alternative, più valide rispetto alle elezioni primarie finora praticate, che rischiano di apparire ai più come una mera foglia di fico. Occorre correggere un sistema elettorale da tutti ormai percepito come inadeguato, e a tal fine è necessario che la magistratura si faccia parte attiva, formulando delle concrete e fattibili proposte di riforma della normativa vigente nell’ottica della ricerca di una soluzione condivisa con il potere legislativo dei problemi che sono sotto gli occhi di tutti. Se non saremo capaci come categoria professionale e come ordine dello Stato di fare ciò, allora forse veramente ci meritiamo che la nostra scheda elettorale venga sostituita, un domani, con una schedina del Superenalotto.

Occorre correggere un sistema elettorale da tutti ormai percepito come inadeguato e cercare una soluzione condivisa con il potere legislativo

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LE RAGIONI DI UN SORTEGGIO Giorgio Piziali Giudice del Tribunale di Verona

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L’AUTOGOVERNO MALATO L’autogoverno della magistratura è uno dei valori portanti dell’«Ordinamento giurisdizionale», di cui si occupa la Carta costituzionale nella prima sezione (così intitolata per l’appunto) del titolo IV, a sua volta rubricato sotto l’insegna, importante, «La Magistratura». Per questo un cattivo autogoverno non è deleterio solo per i magistrati che vi sono sottoposti, ma, molto più seriamente, mette a repentaglio un valore costituzionale posto a presidio della stessa struttura della nostra forma di Stato. Oggi, purtroppo, che l’autogoverno della magistratura sia aggredito da un virus, che può essergli letale, comincia a essere percepito distintamente sia all’interno della magistratura che all’esterno. Un virus che è indicato giornalisticamente, ma efficacemente, con il termine lottizzazione e che è costituito dal controllo assoluto sul governo di tutti i magistrati da parte di organismi privati che raccolgono l’adesione solo di alcuni magistrati e che si sono formati all’interno dell’Associazione Nazionale Magistrati, a sua volta un’associazione privata, che raccoglie alcuni ma non tutti i magistrati italiani. Organismi che si deve avere il coraggio di chiamare con il nome che hanno: correnti. Senza nascondersi dietro appellativi edulcorati, come gruppi o aree. Osservatori certamente attenti e non sospettabili di atteggiamenti preconcetti verso la magistratura e le sue prerogative hanno potuto affermare, senza essere smentiti, che «è in crisi la credibilità dei giudici» «quando ogni corrente fa correre i propri correntisti, lottizzando il CSM, distribuendo posti e prebende», come ha scritto in data recente, il 22 marzo 2014, sul “Corriere della Sera”, Michele Ainis, nell’articolo «La memoria della giustizia». Oppure, ancora più pesantemente, che «se il criterio di scelta del candidato da sostenere per l’assegnazione di un incarico direttivo è quello dell’appartenenza, allora la lottizzazione è la naturale conseguenza, indifferente o quasi al merito», come ha scritto il professor Vladimiro Zagrebelsky in un fondo de “La

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30 Stampa” del 7 febbraio 2013, dopo che il Presidente della Repubblica aveva pubblicamente richiamato il CSM, con quella che venne definita “La sferzata al CSM: le correnti ritardano le nomine”. Frasi dal far saltare sulla sedia ogni magistrato serio, tanto più di quelli che menano vanto di essere impegnati perché attivi militanti in qualche corrente e che, invece, vengono fatte passare sotto silenzio, producendo il nulla operativo. Ma il dramma è che quel dato che oggi diventa patrimonio comune è da molto tempo assodato anche in ambiti scientifici, se è vero che Romano Canosa, in «Storia della magistratura in Italia da piazza Fontana a Mani pulite», già nel 1996, scriveva: «È stato nel corso degli anni Ottanta che il Consiglio superiore della magistratura è diventato il vero “padrone” dei giudici Italiani». «Da un lato infatti esso, in molte occasioni, seppe difendere la sua autonomia e non esitò ad affermare principi, a fare proposte e ad adottare iniziative che meritavano soltanto approvazione da parte dei giudici e di tutti i cittadini desiderosi del buon funzionamento della cosa pubblica, dall’altro fu totalmente dominato dal demone del clientelismo, che ebbe a ispirare moltissime sue decisioni e che fu una delle non ultime ragioni dell’esistenza di “aree interne alla magistratura” che si posero “in posizione fortemente critica” nei suoi confronti» (frasi queste ultime che Canosa prende da V. Zagrebelski, Tendenze e problemi del Consiglio superiore della magistratura, in Quaderni costituzionali, 1983, n. 1, p. 138). Una situazione che non è per nulla migliorata nel corso degli anni ‘90 e poi in questo decennio del 2000, ma, anzi, è fortemente peggiorata, tanto che anche quelle «aree interne alla magistratura» che si posero «in

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posizione fortemente critica» nei confronti delle logiche clientelari del CSM, cui fanno cenno Canosa e Zagrebelski, sono diventate esse stesse strumento militante di quella lottizzazione: è ormai nota a tutti la cd “mail Vigorito”, dove anche il tenore delle parole ha un peso schiacciante, con il riferimento all’opportunità politica di “piazzare” una giovane collega di Area in un posto direttivo. Al più cercando di far passare l’idea che c’è una lottizzazione cattiva, fatta dalle correnti cattive e una lottizzazione buona, perché fatta dalle correnti buone.

L’AUTOGOVERNO SFIDUCIATO Ma la totale perdita di credibilità dell’autogoverno si misura soprattutto all’interno della magistratura, dove vi sono magistrati normali e seri, che, ad esempio, rispetto al concorso per coprire determinati incarichi la cui assegnazione compete al CSM, giungono a scrivere pubblicamente: «Io faccio parte di quella maggioranza silenziosa che nemmeno fa domanda per questi posti, pur avendo scritto, pubblicato e tenuto convegni forse almeno quanto alcuni di coloro che la domanda la fanno. Non facciamo nemmeno domanda perché, non godendo di particolari conoscenze o, pur godendone, non volendo coltivarle […] sappiamo che sarebbe una fatica inutile, e che, alla ennesima conferma del nostro ragionamento una volta effettuata la selezione, saremmo ancora una volta frustrati e delusi. […] Sappiamo tutti quali sono i requisiti per accedere a certe cariche (il che non esclude certamente che i colleghi che sono scelti siano bravissimi e meritevoli, ma esclude che altri, forse al pari bravi, siano scelti)». Un vero e proprio atto di sfiducia verso l’autogoverno, che non si fa neppure


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più grido di disperazione, ma solo mugugno rassegnato. Di nuovo, nel silenzio pressoché assoluto di quella magistratura che si descrive come impegnata e che non produce nulla di operativo per vincere quella sfiducia. E il dramma è che non si tratta solo delle scelte relative alla selezione di questo o quel magistrato, per questo o quell’incarico. Perché il meccanismo istituzionale che si è venuto in questo modo a realizzare, che lega i rappresentanti dei magistrati alle correnti interne all’ANM, va a inficiare ogni momento decisionale del CSM e dei suoi organi, anche quello, delicatissimo e vitale, dell’intervento disciplinare o delle valutazioni di professionalità. Due settori dove non solo non deve assolutamente essere, ma neppure deve lontanamente apparire che le decisioni possano essere inficiate da appartenenze e legami dei componenti del CSM a soggetti esterni al CSM, come sono le correnti. Cosa che,

invece, è spesso, quanto meno, apparsa negli ultimi anni. D’altra parte, è comune e corretta, all’interno della magistratura, la critica mossa alla degenerazione che si è realizzata nella selezione dei membri di nomina politica che compongono il CSM, rispetto alla quale si è di fatto stabilizzata una deleteria spartizione partitica dei nominati, che tradisce la Costituzione, la quale aveva immaginato un meccanismo di selezione volto a garantire la nomina di soggetti dotati di autonomia rispetto alle singole formazioni politiche. Per cui non si capisce per quale ragione analoga critica non venga mossa alla degenerazione che si è realizzata nella selezione dei membri togati che compongono il CSM, dove si è parimenti stabilizzata una loro spartizione correntizia.

La Costituzione aveva immaginato un meccanismo di selezione volto a garantire la nomina di soggetti dotati di autonomia rispetto alle singole formazioni politiche

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IL MECCANISMO DA ROMPERE Allora, chi davvero ha a cuore un serio recupero di credibilità della capacità della magistratura di autogovernarsi non può non cogliere come il meccanismo da rompere sia quello che ha consentito, anche in ragione di scellerate leggi elettorali, ma non solo, di realizzare un’indebita e innaturale presa di possesso del CSM da parte delle correnti. Realizzando un corto circuito tale per cui, non solo alla stampa o ai lettori superficiali, ma spesso anche all’interno della stessa magistratura, finisce col non essere neppure più chiara la distinzione tra il CSM e l’ANM. Infatti, se le correnti hanno un’indubbia e seria legittimazione nel momento in cui operano e agiscono dentro l’ANM e, soprattutto, nel concreto della vita quotidiana dei Tribunali (dove in realtà sono totalmente scomparse), invece, snaturano l’autogoverno nel momento in cui operano e agiscono al suo interno e se ne appropriano. Non ci vuole molto per capire, infatti (e per questo chi mostra di non capirlo è in evidente malafede), che se un magistrato componente del CSM si autoqualifica come rappresentante di una corrente già scredita il suo ruolo, la sua autorevolezza e la sua autonomia, e con questa scredita il ruolo, l’autorevolezza e l’autonomia del CSM di cui fa parte. Finendo per rendere il CSM, organo di presidio dell’indipendenza della magistratura, organo dipendente da soggetti esterni al CSM. Perché se quel magistrato componente del CSM si qualifica come rappresentante di una corrente è legittimo credere, come effettivamente accade, che operi in conformità alla volontà della sua corrente. È legittimo credere, come effettivamente accade, che in ogni scelta operi con un occhio di riguardo per chi appartiene alla sua corrente. È legittimo credere, come effettivamente accade, che in ogni decisione pensi al fatto che deve evitare che quella decisione

possa far perdere consensi alla sua corrente. Per questo è indispensabile una radicale riforma del modo attraverso cui sono scelti i magistrati che fanno parte del CSM, passando a un sistema di selezione che spezzi il cordone ombelicale deleterio tra correnti e componenti del CSM. In questa logica la scelta deliberata dall’ANM di indire una selezione dei candidati al CSM tramite elezioni primarie può essere positiva, perché può consentire a coloro che in questo modo sono

È indispensabile una radicale riforma del criterio di selezione dei magistrati che fanno parte del CSM

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indicati dal voto di poter rivendicare un’investitura, per così dire, popolare, della base dei magistrati e non già esclusivamente della corrente di appartenenza. Ma è molto poco se l’indicazione dei candidati che corrono per le primarie viene ancora e solo dalle correnti e se questi candidati rivendicano ancora quella loro appartenenza e, soprattutto, se la rivendicheranno nel momento in cui, eletti effettivamente al CSM, andranno a indossare, da consiglieri, la maglietta della loro squadra e non già solo la toga di tutti i magistrati. Per questo un gruppo di volenterosi, visionari pratici, che sul piano teorico della riflessione sta ragionando e operando per favorire riforme radicali del sistema di selezione dei componenti togati


33 del CSM, ha messo in campo, anche a normativa vigente, un meccanismo radicalmente innovativo per selezionare i candidati per il prossimo CSM. Un meccanismo imperniato sul sistema del sorteggio, ma, come è stato efficacemente detto, un sorteggio ben temperato. Come ha scritto tempo fa Giovanni Tamburino (non certo estraneo al mondo delle correnti) e in un articolo pur critico sul sorteggio (pubblicato nel sito www.movimentoperlagiustizia.it, col titolo «Ancora

indica un solo difetto del sorteggio che riguardi anche il sorteggio dei candidati.

IL SORTEGGIO NON È UN DEMONE CIECO Questo obiettivo, a normativa vigente, è stato realizzato in modo molto semplice. Prima estraendo a sorte, in un seduta pubblica davanti a un notaio, tra tutti i magistrati aventi diritto al

IL SORTEGGIO Un gruppo di volenterosi ha messo in campo un meccanismo imperniato sul sistema del sorteggio: un sorteggio ben temperato

sul sistema elettorale per il CSM»): «Non vi è dubbio che l’estrazione a sorte dei papabili e/o degli eletti colpirebbe alla radice la presa delle correnti sul CSM nel momento del rinnovo ed anche durante la sua vita. Sotto questo profilo il sorteggio dei componenti togati darebbe un colpo effettivo al correntismo». Questo è l’obiettivo, il sogno, la speranza che ha mosso il Comitato Altra proposta: realizzare un sistema in grado di colpire «alla radice la presa delle correnti sul CSM nel momento del rinnovo e anche durante la sua vita». E nella piena consapevolezza che se il sorteggio puro e semplice può presentare dei limiti, invece, il sorteggio temperato da un voto sui sorteggiati elimina ogni difetto, tanto che lo stesso Giovanni Tamburino nell’articolo citato non

voto una rosa di possibili canditati, escluse quelle situazioni di incompatibilità che avrebbero potuto inficiare l’autonomia degli eventuali eletti rispetto alle correnti. Poi invitando gli estratti a sorte ad accettare di candidarsi. Infine, sottoponendo gli estratti a sorte che hanno accettato la candidatura a un voto telematico e aperto a tutti i magistrati con diritto di voto per selezionare gli effettivi candidati da proporre per le prossime elezioni del CSM. Si è trattato, certamente, di una provocazione, ma anche di un esperimento. Una provocazione e un esperimento che hanno dimostrato sul campo che il sorteggio non è il demone cieco da molti (strumentalmente) paventato, che fa emergere chissà quali mostri a tre teste, ma semplicemente

Associazione/Attualità


34 un sistema che attiva forze nuove e normali. Infatti, il sorteggio effettuato ha chiamato moltissimi magistrati, uomini e donne, seri e stimati, del centro e delle periferie, all’onere di farsi carico del loro autogoverno. Magistrati la cui partecipazione, altrimenti, con i criteri correntizi di selezione, comprese le primarie, mai sarebbe stata attivata. Un sistema, quindi, che ha dimostrato, anche alla prova pratica, di poter tranquillamente assurgere a meccanismo normativo di selezione dei candidati al CSM, senza produrre chissà quali rischi: se non il rischio, temuto da molti, di liberare il CSM dal controllo correntizio. Ma quella attivata dal Comitato Altra proposta non è solo una provocazione o un esperimento, ma è anche un’operazione pratica. Perché grazie al voto nelle primarie telematiche ci sono ora quattro magistrati che concorrono realmente per l’elezione del CSM. Candidati che vengono dalla base vera, quella piegata quotidianamente sui fascicoli, che non ha fatto cursus honorum per giungere a una candidatura. Candidati che non sono tali per un’appartenenza. Candidati che, quanto meno, aumentano le possibilità di scelta per gli elettori. Ma, soprattutto, candidati che se saranno eletti non lo dovranno ad alcuna corrente e che, quindi, se diventeranno componenti del CSM, non indosseranno la maglietta di alcuna squadra, e, quindi, dei quali non si potrà mai dire che operano in conformità alla volontà di una corrente, oppure con un occhio di riguardo per chi appartiene alla loro corrente o per evitare che qualche decisione possa far perdere consensi alla loro corrente. E questo è esattamente ciò che serve all’autogoverno della Magistratura, per ritrovare credibilità. Avere consiglieri del CSM che non rispondano a soggetti o esigenze esterni, ma solo alla loro professionale abitudine ad applicare le regole.

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Quella attivata dal Comitato Altra proposta non è solo una provocazione o un esperimento, ma è anche un’operazione pratica. Perché grazie al voto nelle primarie telematiche ci sono ora quattro magistrati che concorrono realmente per l’elezione del CSM

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UNA RIFORMA “EPOCALE” A METÀ DEL GUADO

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39 Doveroso che nel numero che segna la ripresa della pubblicazione de “La Magistratura” vi sia una sezione dedicata alla riforma delle circoscrizioni giudiziarie, riforma da tutti definita, con termine inflazionato, epocale, ma che in effetti tale è. La magistratura tutta ha scommesso sulla razionalizzazione delle risorse, la ridistribuzione delle sedi giudiziarie sul territorio e la rideterminazione degli organici. L’ANM ha fortemente voluto questa riforma e l’ha sostenuta in ogni modo, così come si sono attivati i colleghi, nelle varie sedi, per superare i problemi di varia natura che, come era inevitabile, subito si sono presentati. Si tratta tuttavia di una riforma ancora incompiuta e che rischia, se non si provvederà in tempi rapidi alla revisione degli organici della magistratura, per Procure e primo grado, e alla copertura dei ruoli amministrativi sull’intero territorio, di non essere all’altezza delle aspettative. L’ANM, raccogliendo le puntuali osservazioni svolte dai colleghi nelle varie assemblee locali, ha in più occasioni, e da ultimo nell’incontro con il Capo del dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria del febbraio scorso, rappresentato i rischi che incombono su questa “rivoluzione”, raccogliendo la sfida anche per un nuovo modo di fornire il servizio ai cittadini in vista delle ormai prossime innovazioni tecnologiche, una per tutte il processo civile telematico. Tanti servizi ai cittadini infatti, prima disseminati sul territorio e ora accentrati, saranno comunque accessibili per via telematica.Proprio a tal fine è stato presentato al Ministero il dossier contenente le relazioni elaborate dalle varie sedi distrettuali dell’ANM sullo stato della riforma. L’avere ridisegnato le aree territoriali di competenza giudiziaria è stato il primo passo necessario, un passo difficile per le resistenze localistiche e per il timore di perdere incisività nella risposta giudiziaria, apparentemente meno “prossima” ai cittadini. Il problema, come sempre, è quello delle risorse, umane e materiali: il travaso del contenzioso non sta comportando l’automatico travaso dei magistrati e del personale amministrativo dagli uffici soppressi a quelli accorpanti, per cui vi è il rischio che i nuovi uffici non siano in grado di affrontare i carichi di lavoro. Indispensabile quindi una redistribuzione della pianta organica da effettuare attraverso studi chiari dei flussi in entrata e in uscita, misurando già in concreto gli incrementi o decrementi frutto della revisione. Fondamentale la trasparenza e la conoscibilità dei dati che il Ministero utilizzerà in questo delicatissimo passaggio. Si chiede anche al nuovo CSM la rapida copertura dei posti vacanti nelle sedi che maggiormente risultano coinvolte e che mostrano le maggiori sofferenze. Chiara, del resto, è stata sinora la voce dell’ANM che nel CDC del 23 novembre 2013 e nei vari comunicati che ne sono seguiti da parte della GEC ha invitato tutte le istituzioni competenti a fornire, senza incertezze e ripensamenti, piena ed efficiente operatività ai nuovi uffici nella convinzione che la riforma , allorché sarà a pieno regime, consentirà un migliore e più razionale impiego delle risorse destinate all’amministrazione della giustizia, peraltro sempre scarse. Non è possibile pur di fronte alle difficoltà, e non sono poche, un ripensamento della riforma che provocherebbe effetti gravi sul sistema, essendo già avvenuti i trasferimenti di magistrati e di personale amministrativo e avviate le procedure di incorporazione degli uffici: si produrrebbero confusione, ulteriori lungaggini processuali e sprechi di risorse anche finanziarie, incomprensibili agli occhi dei cittadini. L’ANM sta proseguendo nell’attività di monitoraggio delle diverse, più critiche, realtà territoriali anche per quanto riguarda l’edilizia giudiziaria, questione che attiene al decoro della funzione che ivi si svolge. Con particolare apprensione vengono seguite le vicende della nuova sede del Tribunale di Napoli Nord che, se adeguatamente e rapidamente fornita di mezzi e personale, rappresenterà un’ulteriore scommessa sulla capacità del nostro ordinamento di affrontare problemi complessi in realtà territoriali difficili. Alessandra Galli Comitato di redazione - Componente della GEC dell’ANM

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LA REVISIONE DELLA GEOGRAFIA GIUDIZIARIA: LUCI E OMBRE

Pietro Indinnimeo Giudice del Tribunale di Salerno

Con l’entrata in vigore del decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155 pubblicato sul supplemento ordinario n. 185 della Gazzetta Ufficiale n. 213 del 12.9.2012 il legislatore, in attuazione dell’art. 1 comma 2 della legge 14.9.2011 n. 148 (conversione con modificazioni del decreto legge 13.8.2011 n. 138 recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo) ha eseguito la delega al governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari prevedendo una

nuova organizzazione dei Tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero. Deve premettersi che la c.d. revisione delle circoscrizioni giudiziarie è una riforma da sempre auspicata dall’Associazione Nazionale Magistrati quale punto di partenza per consentire una migliore distribuzione di risorse umane e materiali sul territorio italiano e di conseguenza una più efficace risposta alla domanda di giustizia dei cittadini. Tuttavia la concretizzazione dell’indicato auspicio non ha impedito la formazione di punti critici all’interno del decreto legislativo sia dal punto di vista ermeneutico

La revisione delle circoscrizioni giudiziarie è una riforma da sempre auspicata dall’ANM quale punto di partenza per consentire una migliore distribuzione di risorse sul territorio e così una più efficace risposta alla domanda di giustizia dei cittadini in senso stretto sia con riguardo alle questioni esecutive relative alla concreta applicazione delle disposizioni contenute nel decreto legislativo. L’adempimento alla delega ha comportato la soppressione di ben 667 uffici del giudice di pace, di 220 sezioni distaccate di Tribunale e di 31 Tribunali,

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41 la creazione del nuovo Tribunale di Napoli Nord, la modifica territoriale dei circondari di alcuni Tribunali e delle corrispondenti Procure della Repubblica e, conseguentemente, ha determinato analoga modifica per gli Uffici di Sorveglianza, per i distretti di Corte d’Appello, per le Corti d’Assise di primo e secondo grado interessate dalla riforma mediante, quindi, la riduzione del numero degli uffici ordinari presenti sul territorio, la rideterminazione delle piante organiche degli uffici, la redistribuzione del personale di magistratura e amministrativo. Si è intervenuti, altresì, sulla destinazione dei dirigenti degli uffici soppressi e in tema di edilizia giudiziaria, interventi, questi ultimi, resi necessari proprio dalle disposizioni relative agli uffici giudiziari dianzi descritte. Con riguardo agli uffici del giudice di pace deve aggiungersi che, come è noto, la riforma in esame consentiva a quegli enti locali che si fossero impegnati ad accollarsi le spese di mantenimento del presidio giudiziario operante nel proprio territorio a “recuperare”, previa istanza, il relativo ufficio per il quale era stata prevista la soppressione. Al Ministero della Giustizia sono pervenute 297 istanze e ne sono state accolte 285. In data 12.3.2014 il Guardasigilli ha firmato il relativo decreto di mantenimento.

L’analisi della novella legislativa in esame non può arrestarsi alla sola voluntas legis emergente dal contenuto delle singole disposizioni di legge apparendo opportuno una sua disamina teleologica che tenga, quindi, conto, al di là dei propositi legislativi, dell’impatto che detto intervento ha avuto sugli uffici giudiziari. Proprio a seguito di interlocuzione richiesta dall’Associazione Nazionale Magistrati, detti uffici hanno, fin da subito, fatto emergere, come detto, degli aspetti di criticità nell’esecuzione del decreto legislativo che sono apparsi vieppiù fondati se analizzati nel loro complesso siccome molti di essi rappresentano, come si vedrà, degli evidenti tratti comuni.

PROPRIO A SEGUITO DI INTERLOCUZIONE RICHIESTA DALL’ANM, GLI UFFICI GIUDIZIARI HANNO FATTO EMERGERE DEGLI ASPETTI DI CRITICITÀ NELL’ESECUZIONE DEL DECRETO LEGISLATIVO

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LA SOPPRESSIONE E L’ACCORPAMENTO DELLE SEZIONI DISTACCATE DI TRIBUNALE Ed invero l’art. 1 del d.lgs. n. 155/2012 in estrema sintesi prevede, in primo luogo, la soppressione e l’accorpamento di tutte le 220 sezioni distaccate di Tribunale. Sul punto il legislatore, nonostante alcuni rilievi provenienti dagli uffici giudiziari e dai comuni nei quali erano allocate le sezioni distaccate, non ha effettuato, con l’indicato decreto, alcuna differenziazione ritenendo di guadagnare efficienza mediante l’eliminazione di uffici giudiziari che, in numerosi territori, non erano riusciti a garantire adeguata risposta alla massiccia domanda di giustizia.

Dette sezioni, nella maggior parte dei casi, sono state accorpate alla sede centrale, laddove, nei casi residui, si è proceduto a una ridefinizione del territorio dei singoli circondari o mediante la scorporazione dal Tribunale originario con accorpamento ad altro ufficio giudiziario (ad esempio la sezione distaccata di Mercato San Severino che era ufficio giudiziario del Tribunale di Salerno che è stata scorporata da detto ultimo Tribunale con accorpamento globale al Tribunale di Nocera Inferiore) oppure si è proceduto alla distinzione comune per comune del territorio con diversa distribuzione tra i differenti uffici giudiziari. Sul punto, in data 17.3.2014, l’ANM ha nuovamente sottolineato il pericolo collegato al ripristino anche solo di alcune sezioni distaccate in quanto in grado di determinare un «effetto domino a valanga». Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ha anche evidenziato, in sostanza, che il recupero anche di poche sezioni distaccate rischierebbe di creare un precedente pericoloso posto che uno dei cardini della riforma è stata proprio la generalizzata abolizione delle sezioni distaccate, uffici acefali, dipendenti dai Tribunali. L’esperienza passata ha evidenziato diversi problemi organizzativi proprio per questa dipendenza.

LA SOPPRESSIONE E L’ACCORPAMENTO DEI TRIBUNALI E DELLE PROCURE DELLA REPUBBLICA L’ANM ha sottolineato il rischio collegato al ripristino anche solo di alcune sezioni distaccate: si determinerebbe un effetto domino a valanga

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Si è disposta, poi, con la medesima ratio, la soppressione e l’accorpamento di 31 Tribunali e delle corrispondenti Procure della Repubblica. È stato, quindi, istituito il nuovo Tribunale di Napoli Nord (ex Giugliano) e la corrispondente Procura della Repubblica la cui creazione, non prevista nell’originario schema di decreto, è stata, con successo, sollecitata proprio dall’Associazione Nazionale Magistrati. Non può passare inosservato il dato che in alcuni casi il legislatore ha determinato - pur nel rispetto della c.d. “regola del tre” ovvero l’impossibilità di andare al di


43 sotto di tre circondari di Tribunale per singolo distretto di Corte d’Appello - il trasferimento di circondari di Tribunale da un distretto di Corte d’Appello ad altro distretto di Corte d’Appello limitrofo e finanche fuori Regione senza rispettare quindi la suddivisione amministrativa dei territori per circondari. È il caso del Tribunale di Sala Consilina che originariamente inserito nel distretto di Salerno è stato scorporato da detto distretto e accorpato al Tribunale di Lagonegro nel distretto di Potenza (e quindi in diversa Regione) o ancora il territorio del Tribunale di Pordenone che incorporata la sezione distaccata di Portogruaro ha una circoscrizione a cavallo tra Friuli Venezia Giulia e Veneto. L’art. 3, poi, ha compiuto la medesima operazione per gli Uffici di Sorveglianza e l’art. 4, nel ribadire la vigenza delle precedenti regole per la costituzione delle Corti d’Assise, ha previsto, anche per esse, le medesime misure. Ciascun Tribunale e ciascuna Procura della Repubblica soppresse sono state interamente accorpate ad altro analogo ufficio giudiziario. Dalla lettura della nuova Tabella A) (che riporta le circoscrizioni giudiziarie) si distinguono, quindi, diverse modalità esecutive utilizzate dal legislatore per i suoi interventi sul territorio quali, come detto, la soppressione delle sezioni distaccate che vengono accorpate alla sede centrale, senza modifica del territorio o delle competenze dell’ufficio giudiziario, l’accorpamento, nella sua globalità (sede centrale + sezioni distaccate), di un ufficio giudiziario a un altro ufficio giudiziario, l’estensione o riduzione dei circondari degli uffici coinvolti per l’inglobamento operato dal primo e lo scorporo da parte del secondo di un’unità territoriale omogenea e, da ultimo, l’estensione o riduzione dei circondari con ridefinizione autonoma della geografia degli uffici limitrofi. Discorso autonomo, invece, deve porsi con riferimento al Tribunale di Napoli Nord nato sulle ceneri del mai attivato Tribunale di Giugliano. Il territorio del Tribunale di Napoli Nord, infatti – oltre al territorio del Tribunale di Giugliano – assorbe in sé anche il territorio già facente parte della sezione distaccata di Aversa (già del circondario

del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere) di tal che rientra, sotto il profilo delle modalità esecutive di riordino delle circoscrizioni giudiziarie adottato dal legislatore, nella estensione o riduzione dei circondari degli uffici coinvolti per l’inglobamento operato dal primo e lo scorporo da parte del secondo di un’unità territoriale omogenea. Quanto agli Uffici dei Tribunali di Sorveglianza e dei Tribunali per i Minorenni e delle relative Procure la revisione delle circoscrizioni ha inciso sull’ampiezza del territorio sottoposto all’attività giurisdizionale.

GLI EFFETTI SUI MAGISTRATI L’art. 5 del d.lgs. n. 155 del 2012, poi, prevede che «i magistrati assegnati agli uffici giudiziari soppressi entrano di diritto a far parte dell’organico dei tribunali e delle procure della Repubblica a cui sono trasferite le funzioni anche in sovrannumero, riassorbibile con le successive vacanze». Con riguardo ai magistrati che esercitano le funzioni presso le sezioni distaccate il legislatore ha previsto che essi si intendano assegnati alla sede principale del Tribunale; detta disposizione, ovviamente, non ha creato difficoltà di natura interpretativa ed esecutiva laddove, come visto, la sezione distaccata è stata accorpata al Tribunale originario (sezione distaccata

IL TRIBUNALE DI NAPOLI NORD è nato sulle ceneri del mai attivato Tribunale di Giugliano

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44 di Montecorvino Rovella accorpata al Tribunale di Salerno) o anche nel caso in cui la sezione è stata accorpata previa scorporazione ad altro Tribunale nell’ambito, però, del medesimo distretto (il già citato caso della sezione distaccata di Mercato San Severino scorporata dal Tribunale di Salerno e accorpata al Tribunale di Nocera Inferiore). I problemi si sono posti con riguardo ai casi della soppressione della sezione distaccata con il relativo territorio incorporato in un circondario di un Tribunale diverso rispetto a quello originario che a sua volta non sia stato soppresso. Sul punto è stato ritenuto che, posta la natura esclusivamente tabellare della destinazione alla sezione distaccata priva di rilevanza esterna, a seguito di detta soppressione il magistrato consolidi semplicemente la sua posizione nell’ambito della sede principale dell’ufficio a cui apparteneva, originariamente, la sezione distaccata e, dunque, resti assegnato, ad ogni effetto, al Tribunale di originaria appartenenza seguendo, però, il destino di quest’ultimo in caso di soppressione. Il secondo comma dell’art. 5 fornisce, poi, una regola di chiusura del sistema affermando che tali assegnazioni non costituiscono «assegnazioni ad altro ufficio giudiziario o destinazione ad altra sede», lasciando salva solo la disciplina relativa alla fissazione della residenza e della sede di servizio. Il terzo comma, invece, si occupa dei magistrati che siano stati trasferiti d’ufficio alle sedi disagiate ex lege n. 133/1998 e succ. mod., riconoscendo a essi il diritto a essere ridestinati alla sede di provenienza con le precedenti funzioni, in deroga al termine previsto dalla legge. L’utilizzo dell’espressione «trasferiti» e il riferimento alla sede di provenienza escludono che siano ricompresi i magistrati destinati a dette sedi in prima assegnazione. Il quinto comma prevede per i magistrati onorari assegnati agli uffici giudiziari soppressi (o che svolgano le loro funzioni presso una sezione distaccata) una disciplina analoga a quella prevista per i magistrati ordinari in quanto è previsto che essi «entrano di diritto a far parte dell’organico» dell’ufficio accorpante. Con riguardo alla posizione di

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45 coloro che sono addetti alle sezioni distaccate, poi, la disposizione richiama esplicitamente il secondo periodo del secondo comma. Con riguardo ai magistrati titolari di funzioni dirigenziali il decreto legislativo in esame ha previsto che, entro centottanta giorni dalla data della sua entrata in vigore, i magistrati titolari dei posti di presidente di Tribunale, presidente di sezione, procuratore della Repubblica e procuratore aggiunto negli uffici destinati alla soppressione possono chiedere, in deroga al disposto dell’articolo 194 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, l’assegnazione a posti vacanti pubblicati e nel medesimo termine i magistrati titolari dei posti ivi indicati possono chiedere, eventualmente subordinando gli effetti della domanda al mancato conferimento di un posto richiesto, di essere destinati all’esercizio di una delle funzioni, anche in soprannumero riassorbibile con le successive vacanze di consigliere di Corte d’Appello nel distretto da essi scelto, di giudice di Tribunale o sostituto procuratore della Repubblica in una sede da essi scelta oppure ricoprire le funzioni svolte prima del conferimento dell’incarico nell’ufficio in cui si prestava precedentemente servizio. I magistrati già titolari dei posti dianzi indicati che, successivamente alla data di efficacia del decreto legislativo in esame (articolo 11, comma 2), nel termine descritto non hanno avanzato dette richieste e i magistrati che non hanno ottenuto l’assegnazione e che non hanno richiesto la destinazione sono collocati d’ufficio a esercitare le funzioni di giudice di Tribunale o di sostituto procuratore della Repubblica negli uffici cui sono state trasferite le funzioni degli uffici soppressi. Le nuove destinazioni sono considerate come trasferimenti a domanda. Invece i magistrati titolari dei posti di presidente di Tribunale, presidente di sezione, procuratore della Repubblica e procuratore aggiunto, in attesa di essere destinati ai nuovi incarichi o funzioni previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 6 del decreto legislativo in esame esercitano le funzioni di presidente di sezione o di procuratore aggiunto presso gli uffici cui sono state trasferite le funzioni degli uffici soppressi. I magistrati titolari dei posti soppressi di presidente di Tribunale e di

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46 procuratore della Repubblica collaborano con il presidente del Tribunale e con il procuratore della Repubblica per la risoluzione, in particolare, dei problemi di organizzazione degli uffici. Il Consiglio ha chiarito, con delibera del 22 maggio 2013, che ai posti semidirettivi di nuova istituzione nei Tribunali accorpanti non possono essere destinati d’ufficio, senza concorso, i magistrati titolari di funzioni dirigenziali negli uffici soppressi e che la deroga al disposto di cui all’art. 194 Ord. giud. – prevista a favore dei suddetti magistrati dal primo comma dell’art. 6, d.lgs. 155/2012 – non opera più dopo il decorso del termine di legge di 180 giorni decorrenti dal 13 settembre 2012, e neppure nel caso in cui nei Tribunali accorpanti siano istituiti nuovi posti semidirettivi in passato non previsti. Con riguardo all’edilizia giudiziaria l’art. 8 del decreto legislativo ha previsto, laddove sussistono specifiche ragioni organizzative o funzionali, in deroga all’articolo 2, primo comma, della legge 24 aprile 1941, n. 392, che il Ministro della Giustizia possa disporre l’utilizzo a servizio del Tribunale, per un periodo non superiore a cinque anni dalla data di efficacia di cui all’articolo 11, comma 2, degli immobili di proprietà dello Stato, ovvero di proprietà comunale interessati da interventi edilizi finanziati ai sensi dell’articolo 19 della legge 30 marzo 1981, n. 119, adibiti a servizio degli uffici giudiziari e delle sezioni distaccate soppressi. Detta situazione si è concretizzata in alcune sezioni distaccate accorpate al Tribunale nel cui circondario esse insistevano che, sia con riguardo all’estensione del territorio, sia con riferimento alla popolazione, sia con riguardo al contenzioso civile e penale pendente (con relative ricadute non soltanto sull’organizzazione del lavoro dei

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magistrati, ma anche del personale amministrativo) avrebbero, con ogni probabilità, meritato di essere trasformate, a condizioni esatte, in Tribunale autonomo avendone, in buona sostanza, le medesime caratteristiche. Per tali peculiari situazioni i dirigenti degli uffici hanno evitato una complessa e laboriosa operazione di trasferimento degli affari giudiziari e del personale amministrativo prevedendo in pratica la dislocazione in loco di unità operative aventi quale obiettivo gestionale quello di celebrare le udienze civili e penali e compiere i relativi adempimenti andando, nel periodo assegnato dal legislatore, a ridimensionare il volume dei processi in modo da consentire la contemporanea trattazione dei nuovi affari penali nella sede centrale e la trattazione e definizione di quelli già pendenti presso i locali delle sezioni distaccate. In tali casi, come prescritto dal decreto legislativo in esame, il provvedimento è adottato sentiti il presidente del Tribunale, il consiglio giudiziario, il consiglio dell’ordine degli avvocati e le amministrazioni locali interessate. Per il personale che presta servizio presso detti immobili si considera sede di servizio il comune nel quale l’immobile stesso è ubicato con spese di gestione e manutenzione a carico del comune ove i medesimi si trovano in base alle disposizioni della legge 24 aprile 1941, n. 392.

LA DISCIPLINA TRANSITORIA Particolare rilievo ha assunto la disciplina transitoria di cui all’art. 9 del decreto in esame. Il legislatore ha previsto che le udienze fissate dinanzi a uno degli uffici destinati alla soppressione per una data compresa tra l’entrata in vigore del presente decreto e la data di efficacia di cui all’articolo 11, comma 2, sono tenute presso i


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medesimi uffici. In pratica le udienze fissate dinanzi a una sezione distaccata sopprimenda nel periodo tra l’entrata in vigore del decreto e i dodici mesi successivi (e quindi fino al 12.9.2013) andavano ancora trattate presso detta sezione distaccata. Invece le udienze fissate per una data successiva sono tenute dinanzi all’ufficio accorpante. Fino alla data del 13.9.2013 il processo è stato considerato pendente davanti all’ufficio giudiziario destinato alla soppressione. Compatibilmente con l’organico del personale effettivamente in servizio e con la migliore organizzazione del lavoro, i capi degli uffici giudiziari di cui alla tabella A allegata al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, così come sostituita dall’articolo 2, assicurano che i procedimenti penali in relazione ai quali sia già stata dichiarata l’apertura del dibattimento proseguano dinanzi agli stessi giudici. L’obiettivo del legislatore,

sul punto, era chiaramente diretto a evitare defatiganti rinnovazioni del dibattimento (con i conseguenti rischi collegati all’usura della prova e alla prescrizione del reato) comportando la riforma unicamente un mutamento materiale di luogo di trattazione dell’affare penale comunque istruito dal medesimo giudice e da lui definito a seguito di chiusura del dibattimento. Detta disposizione è stata replicata anche per il processo civile per non disperdere il patrimonio di conoscenza acquisito dal magistrato durante l’istruzione dell’affare. È stato, poi, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 48 del 27 febbraio il d.lgs. 19 febbraio 2014, n. 14 recante «Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 , e 7 settembre 2012, n. 156 , tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari».

Obiettivo del legislatore evitare defatiganti rinnovazioni del dibattimento e, nel civile, non disperdere il patrimonio di conoscenza acquisito dal magistrato durante l’istruzione dell’affare

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Deve rammentarsi sul punto che era stata pure avanzata istanza di referendum abrogativo delle disposizioni testé descritte da alcuni consigli regionali ma, com’è noto, esso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale con sentenza del 15 gennaio 2014 sul rilievo che la loro eventuale abrogazione avrebbe privato totalmente l’ordinamento dell’assetto organizzativo indispensabile all’esercizio di una funzione fondamentale dello Stato, essendo inoltre il quesito referendario carente della necessaria omogeneità.

LE NORME CORRETTIVE DEL GENNAIO 2014 Il testo approvato tiene conto delle norme correttive approvate dal Consiglio dei Ministri lo scorso 24 gennaio 2014. Esso si è reso necessario in relazione ad alcune complessità ermeneutiche riguardo l’articolato approvato che, al fine di evitare ulteriori discrasie nel percorso della riforma, è parso opportuno al legislatore superare con espressa previsione normativa. In estrema sintesi, il provvedimento correttivo ha provveduto ad adeguare la disciplina in esame al decisum della Corte Costituzionale con il quale il Giudice delle Leggi ha dichiarato l’illegittimità della soppressione del Tribunale e della Procura della Repubblica di Urbino. Inoltre, con riferimento al Tribunale di Napoli Nord, ha individuato nel comune di Aversa la sua sede giudiziaria vieppiù stabilendo

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modalità per la tempestiva copertura degli organici dei relativi uffici giudiziari. Ha provveduto, altresì, alle modifiche tabellari conseguenti alla mancata soppressione del Tribunale di Urbino e all’istituzione di quello di Napoli Nord. Ha previsto disposizioni transitorie sui giudici popolari nelle Corti d’Assise, sulla competenza del Tribunale per i giudizi pendenti e sull’edilizia giudiziaria e modalità per il trasferimento dei magistrati onorari. Da ultimo ha disposto il ripristino delle sezioni distaccate di Tribunale nelle isole. L’impianto complessivo del decreto è stato confermato.

LA DISCIPLINA DELLA COMPETENZA Un cenno merita l’integrazione operata dal legislatore con riferimento all’art. 9 del decreto in esame con riguardo alla disciplina della competenza; sul punto l’art. 8 del decreto correttivo ha stabilito che la soppressione delle sezioni distaccate di Tribunale non determina effetti sulla competenza per i procedimenti civili e penali pendenti alla data del 13.9.2013 che quindi restano di competenza del Tribunale che costituisce sede principale. I procedimenti penali si considerano pendenti dal momento in cui la notizia di reato è acquisita o è pervenuta agli uffici del pubblico ministero. Particolarmente rilevante è l’ulteriore specificazione legislativa che impone l’applicazione di detta disciplina anche nei casi


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di nuova definizione, mediante attribuzione di porzioni di territorio, dell’assetto territoriale dei circondari dei Tribunali diversi da quelli di cui all’articolo 1, oltre che per i procedimenti relativi a misure di prevenzione per i quali, alla data di cui all’articolo 11, comma 2, è stata formulata la proposta al Tribunale. La nuova definizione, mediante attribuzione di porzioni di territorio, dell’assetto territoriale degli Uffici di Sorveglianza non determina effetti sulla competenza per i procedimenti pendenti innanzi ai medesimi uffici alla data di efficacia di cui all’articolo 11, comma 2 ovvero, si ripete, 13.9.2013. I procedimenti indicati si considerano pendenti dal momento della ricezione dell’istanza, della richiesta, della proposta o del reclamo ovvero dal momento in cui hanno avuto inizio d’ufficio. L’istituzione del Tribunale di Napoli Nord, allo stesso modo, non determina effetti sulla competenza dei Tribunali di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere; medesimo ragionamento anche per i relativi Uffici di Sorveglianza. La soluzione adottata dal legislatore è diretta a evitare modificazioni della competenza direttamente collegata alla riforma con conseguente aggravio procedurale e organizzativo del suo varo e della sua stabilizzazione. In buona sostanza, ad esempio, i procedimenti penali della sezione di Mercato San Severino, distaccata dal Tribunale di Salerno e ora accorpata al Tribunale di Nocera Inferiore, pendenti alla data del 13.9.2013, ovvero con avvenuta acquisizione della

notizia di reato operata dal pm presso il Tribunale di Salerno oppure pervenuta alla Procura presso detto Tribunale alla data indicata, non subiranno alcuno “spostamento” presso il Tribunale di Nocera Inferiore quanto al prosieguo e alla trattazione ma resteranno nella competenza del pm presso il Tribunale di Salerno e di conseguenza saranno definiti dal Tribunale di Salerno. Detta scelta certamente ha consentito di evitare che Tribunali, proprio come quello di Nocera Inferiore che, a organico di fatto invariato, ha visto aumentare le porzioni di territorio di sua competenza – con relativo aumento di popolazione – siano ulteriormente gravati dall’inevitabile, massiccia transumanza di affari giudiziari dal Tribunale a cui originariamente la sezione accorpata era distaccata. Medesima è la ratio che sostiene la disciplina prevista per le misure di prevenzione e gli affari pendenti dinanzi alla Magistratura di Sorveglianza. Ciò posto appare opportuno sottolineare, come già accennato nella genesi di questa necessariamente sintetica disamina, che l’esecuzione del disposto normativo descritto negli uffici giudiziari ha comportato un coacervo di problematiche che i singoli distretti si sono premurati di segnalare, a seguito di richiesta formulata dal Comitato Direttivo Centrale, all’Associazione Nazionale Magistrati.

Ordinamento


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LE CRITICITÀ SEGNALATE DALL’ANM E LE PROPOSTE Dalla lettura dei deliberati delle sezioni e delle sottosezioni dell’ANM nonché del parere che l’ANM diede al disegno di legge sulla revisione della geografia giudiziaria emerge la concretizzazione di disagi già preconizzati dall’Associazione e direttamente collegati allo stato di profondo degrado nel quale l’intero comparto è costretto a operare. In primo luogo, con riguardo all’organico del personale amministrativo, si è registrata la presenza di gravi carenze con conseguenti ulteriori difficoltà degli uffici giudiziari accorpanti a far fronte all’inevitabile incremento degli affari giudiziari provenienti dalle sezioni distaccate (a titolo esemplificativo basterà evidenziare la situazione del distretto giudiziario di Venezia, con particolare riferimento alle enormi difficoltà emerse nel circondario di Vicenza, dove a seguito dell’accorpamento del Tribunale di Bassano del Grappa, il personale amministrativo è risultato dimezzato, avendo in molti optato, a seguito di interpello, per altra destinazione). In secondo luogo, è emerso il tratto comune collegato allo stato dell’edilizia giudiziaria spesso già completamente insufficiente a gestire affari e personale prima dell’entrata in vigore della riforma della geografia giudiziaria e logicamente per molti uffici posta in ulteriore sofferenza dall’ulteriore carico rappresentato dai relativi accorpamenti. Su tale profilo basterà citare la situazione degli uffici catanesi, già complessa per l’esistenza di ben tredici plessi, che si è aggravata per effetto della riforma che ha comportato un aumento delle udienze e il necessario spostamento di molte di esse a orari pomeridiani, disfunzioni collegate alle risalenti gravi carenze strutturali del Palazzo di Giustizia, alla mancanza e scarsa funzionalità dei sistemi di fonoregistrazione, alla carenza di personale e al complessivo deficit di organico dei magistrati. La deficienza di organico dei magistrati ha comportato anche problemi relativi alle incompatibilità nella trattazione dei processi, la necessità di rinnovazione di atti nel dibattimento con riguardo a giudici trasferiti

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e l’inevitabile ingolfamento dei ruoli e rallentamento della macchina giudiziaria con concreti rischi di aumento dell’estinzione dei reati e dilatamento dei tempi nella definizione dei giudizi civili. Posti gli indicati allarmi, come del resto più volte sottolineato dall’Associazione, con riguardo alla situazione nella quale versano gli organici dei magistrati e del personale amministrativo appare ineludibile rimediare alle loro carenze e incongruenze anche considerati gli effetti prodotti sul personale amministrativo dagli interpelli, che hanno in genere determinato un travaso di risorse da alcuni degli uffici accorpati a sedi diverse da quella accorpante. Quanto agli organici dei magistrati è stato suggerito, in numerose occasioni, di prendere in considerazione, in concreto, le peculiarità dei diversi uffici confrontandosi con le singole realtà territoriali senza più ricorrere a freddi metodi matematici nella loro determinazione che potrebbero – come già del resto accaduto – fornire dati del tutto insufficienti rispetto alle necessità reali di detti uffici.

GRAVI CARENZE DI ORGANICO EDILIZIA GIUDIZIARIA INADEGUATA RALLENTAMENTO DELLA MACCHINA GIUDIZIARIA


51 Una soluzione possibile, con riguardo al personale amministrativo, è stata individuata nelle nuove assunzioni o, nell’immediato, nell’impiego della mobilità, dalle amministrazioni centrali o dagli enti locali, tenuto conto delle criticità sul punto segnalate dal Ministero. Necessitano ulteriori iniziative dirette a sensibilizzare gli organi istituzionali sulla gravità della situazione e sulla necessità di intervenire con ogni strumento, anche alla luce dello stretto collegamento funzionale fra comparto giustizia e comparto sicurezza, quest’ultimo, come è noto, escluso dal blocco del turnover. Agli interventi sugli organici è stata segnalata la necessità di aggiungere adeguamenti delle strutture dei palazzi di giustizia, in modo da renderli perfettamente idonei alle mutate esigenze con ulteriore valutazione dell’adeguatezza anche degli organici di uffici nevralgici quali le Corti d’Appello, i Tribunali di Sorveglianza, attualmente in grave sofferenza anche per effetto del recente decreto-carceri, e dei Tribunali per i Minorenni e relative Procure.

Ciò che è certo è che la Magistratura, con immutata abnegazione, già sta facendo fronte alle segnalate difficoltà come sempre con “clausola di invarianza” e unicamente con spirito di servizio impedendo di fatto il blocco del c.d. servizio giustizia. Del resto nonostante dette criticità è emerso, in modo unanime, il parere favorevole per detta riforma, ripetutamente espresso sia nelle sedi istituzionali sia in occasione di comunicati stampa e di interviste rilasciate ai media sottolineando l’impegno efficacemente profuso dagli uffici interessati, che hanno dato tempestiva esecuzione ai provvedimenti adottati consentendone l’entrata in vigore anche dal punto di vista esecutivo.

Ordinamento


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IL TRANSITORIO DELLA MODERNITÀ E LA SUA BELLEZZA MISTERIOSA

Antonio Scarpa Magistrato addetto al Massimario della Corte di Cassazione

LA LITE VERSO IL PROCESSO

La risultante dei nostri ultimi anni spinge verso l’accentramento delle sedi giudiziarie

Nel 1931 Francesco Carnelutti spiegava che la distribuzione dei giudici entro il territorio dello Stato in vari punti (che segnano, poi, le sedi fisse del processo, e così soddisfano gli auspici di localizzazione della lite) viene governata da due direttive in contrasto: la tendenza all’accentramento e la tendenza al decentramento. L’accentramento sarebbe, però, tipico del grado più alto del giudizio e porta i benefici della competenza unica nazionale, ricca di prestigio e di decoro. Il decentramento, caratterizzante, invece, il procedimento di primo grado, appaga l’utilità di avvicinare il giudice alla lite: ciò perché una legge economica elementare avverte che, quanto più la sede del processo coincida esattamente con la sede della lite, tanto minore è il costo e tanto maggiore il rendimento di quello. “Idealmente il giudice dovrebbe andare verso la lite come il medico va verso l’ammalato”. Tuttavia, l’utopia del “processo ambulante” finisce per sottovalutare l’essenzialità dell’apparato materiale che occorre al giudice, del decoro e della dignità della sua funzione, nonché del risparmio del tempo e delle spese. Sicché altrettante buone ragioni vi sono nel senso che non

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deve essere il processo ad andare presso la lite, quanto la lite verso il processo. L’ordinamento giudiziario è allora chiamato a comporre le due forze vettoriali dell’accentramento e del decentramento, forze che si muovono sulla stessa retta d’azione, ma sono opposte: perciò la storia ne ricava, di tempo in tempo, una risultante, la quale avrà poi il verso della forza dotata, in quel dato momento, di maggiore intensità.

Dal decentramento all’accentramento La risultante dei nostri ultimi anni spinge verso l’accentramento delle sedi giudiziarie. Dapprima la legge 14 settembre 2011, n. 148, che convertiva il d.l. 13 agosto 2011, n. 138, poi i decreti legislativi nn.


53 155 e 156 del 7 settembre 2012, hanno comportato la soppressione di 667 Uffici del giudice di pace, 220 sezioni distaccate di Tribunale e 31 Tribunali, la costituzione ex novo del Tribunale di Napoli Nord, la variazione dei circondari di diversi Tribunali e Procure della Repubblica e, conseguentemente, delle zone di competenza di Corti d’Appello, Corti d’Assise e Uffici di Sorveglianza. Gli interventi normativi correlati hanno altresì causato la rideterminazione delle piante organiche degli uffici e la redistribuzione del

enti territoriali. Alcuni Tribunali comprendono comuni appartenenti a province diverse, talvolta addirittura a regioni diverse. Le critiche più diffuse alle linee della delega legislativa avevano riguardato proprio l’inattuale rinvio alla ripartizione per province e l’immutabilità degli ambiti distrettuali delle Corti d’Appello, conservandosi distretti che comprendono due regioni diverse e regioni suddivise in quattro diversi distretti di Corte.

LE CRITICHE PIÙ DIFFUSE ALLE LINEE DELLA DELEGA LEGISLATIVA AVEVANO RIGUARDATO L’INATTUALE RINVIO ALLA RIPARTIZIONE PER PROVINCE E L’IMMUTABILITÀ DEGLI AMBITI DISTRETTUALI DELLE CORTI D’APPELLO personale giudiziario e amministrativo. Per effetto dell’art. 11 del d. lgs. n. 155 del 2012, entrato in vigore il 12 settembre 2012, soppressioni e accorpamenti hanno avuto efficacia decorsi dodici mesi da quella stessa data. Da ultimo, il decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14 ha introdotto disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai d. lgs. nn. 155 e 156 del 2012. Ciascun Tribunale soppresso è stato accorpato ad altro analogo ufficio giudiziario. La stessa cosa è avvenuta per le corrispondenti Procure della Repubblica. Le sezioni distaccate sono state o inglobate nella rispettiva sede centrale, o accorpate ad altro Tribunale, o ridefinite territorialmente tra Tribunali contigui. Non vi è più perfetta identità tra nuove circoscrizioni dei Tribunali e aree geografiche dei corrispondenti

Ordinamento


54 Il CSM ha approvato il 3 luglio 2013 un’apposita circolare sulla riorganizzazione degli uffici alla luce della revisione delle circoscrizioni (13/PO/2012).

IL PROFILO DI COSTITUZIONALITÀ La Corte Costituzionale, dal canto suo, dapprima, con sentenza 24 luglio 2013, n. 237, investita da dieci ordinanze di rimessione, denuncianti l’illegittima soppressione dei rispettivi uffici giudiziari, per assunta violazione di più parametri costituzionali ad opera sia della disposizione di delega contenuta nell’art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, sia dei decreti legislativi che vi hanno dato attuazione, ha dichiarato infondate le relative questioni, escludendo la violazione dei criteri di delega (a parte l’affare relativo al Tribunale di Urbino): non sono stati ravvisati elementi di irragionevolezza nella scelta del legislatore di operare una riorganizzazione della geografia giudiziaria nazionale in un’ottica di riequilibrio complessivo degli uffici di primo grado, senza fermarsi a valutare soltanto i dati statistici dei singoli uffici e i relativi territori. Della riforma, la Corte Costituzionale ha verificato altresì la ragionevolezza e la proporzionalità nel bilanciamento tra i vari interessi di rilievo costituzionale coinvolti: principi dell’economicità e dell’efficienza dell’azione amministrativa, ma anche solidarietà e incidenza su territori caratterizzati da riserve naturali. Né, quanto all’art. 24 Cost., paventandosi denegata giustizia e difficoltà di accesso a essa, può dirsi esistere impedimento o limitazione, trattandosi proprio di garantire una giustizia complessivamente più efficace. Più di recente, sempre la Corte Costituzionale, con sentenza 29 gennaio 2014, n. 12, ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 1, commi 2, 3, 4, 5 e 5-bis della legge 14 settembre 2011, n. 148, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 e del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, osservando come, in caso di abrogazione per via referendaria della norma di delega e dei due decreti legislativi, si sarebbe determinato un vuoto normativo, non

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colmabile in via interpretativa, tale da provocare la paralisi dell’indefettibile funzione giurisdizionale. In sostanza, ad avviso della Corte, il corpo normativo oggetto della richiesta referendaria risulta costituzionalmente necessario per lo svolgimento della funzione giurisdizionale e per l’esercizio del diritto fondamentale di agire e di difendersi in giudizio, ed è, perciò, nel suo insieme indefettibile, tanto da non poter essere meramente e integralmente abrogato, senza essere sostituito contestualmente da una diversa normativa.

UNA RIFORMA VOLUTA DAI MAGISTRATI La revisione delle circoscrizioni giudiziarie era, in verità, da tutti idealmente auspicata da tanto tempo. Le Relazioni annuali sull’amministrazione della giustizia, le risoluzioni del CSM, gli studi dell’ANM, da almeno un ventennio, ammonivano sulla necessità di addivenire alla revisione della distribuzione territoriale degli uffici giudiziari, e soprattutto dei Tribunali, quale condizione essenziale per una ripresa dell’efficienza del sistema. La distribuzione dei Tribunali fino a ieri vigente discendeva, in pratica immutata, dalla legge 13 novembre 1859, n. 3871, del Regno di Sardegna e dai Regi Decreti 6 dicembre 1865, n. 2626 e 14 dicembre 1865, n. 2641. Dal tempo dell’Unità d’Italia, mai un Tribunale era stato più soppresso, e anzi fino agli sgoccioli del passato millennio si era insistito


55 a crearne di nuovi. Sopravvivevano addirittura quindici Tribunali in Italia che avevano un organico inferiore a dieci unità. La revisione della geografia dei Tribunali è stata allora finalmente attuata: ma perché essa, come ogni modernità, possa essere accettata, deve mettere fuori la sua bellezza misteriosa. La modernità porta con sé inevitabilmente il transitorio, il fuggitivo, il contingente. Se non si vuole la modernità, si deve far voto per l’eterno, per l’immutabile. Il transitorio dell’intervento di revisione delle circoscrizioni implica che i magistrati assegnati agli uffici giudiziari soppressi entrano di diritto a far parte dell’organico dei Tribunali e delle Procure della Repubblica a cui sono trasferite le funzioni, anche in sovrannumero, riassorbibile con le successive vacanze. Mentre i magistrati che esercitavano le funzioni, anche in via non esclusiva, presso le sezioni distaccate soppresse, si intendono assegnati alla sede principale del Tribunale.

Dagli uffici pervengono diffuse lamentele sulle modalità con cui si sta realizzando, nei fatti, l’integrazione tra gli uffici accorpanti e uffici accorpati

I PROBLEMI DI COMPETENZA Quanto alle udienze e ai procedimenti, l’art. 11 e l’art. 9 del d.lgs. n. 155 stabilivano che le udienze fissate dinanzi a uno degli uffici destinati alla soppressione per una data compresa tra l’entrata in vigore del decreto e la data di efficacia di cui all’art. 11, comma 2, fossero tenute presso i medesimi uffici, mentre le udienze fissate per una data successiva dovessero tenersi dinanzi all’ufficio divenuto competente; e che, di regola, i procedimenti, sia penali, sia civili, dovessero proseguire davanti ai medesimi magistrati persone fisiche. Purtroppo, dagli uffici pervengono diffuse lamentele sulle modalità con cui si sta realizzando, nei fatti, l’integrazione tra uffici accorpanti e uffici accorpati. Alla originaria lacunosità del regime intertemporale aveva provato a porre rimedio dapprima il Ministero della Giustizia (Nota del 7 maggio 2013 del Capo dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria), ravvisando nella sede centrale di ciascun Tribunale l’unico ufficio competente per tutti gli affari trattati nelle sezioni distaccate soppresse, ed evidenziando come, nella diversa ipotesi di procedimenti pendenti, attinenti a territorio scorporato da un Tribunale e attribuito ad altro, dovesse operare il principio della perpetuatio iurisdictionis. Il CSM poi, con delibera del 22 maggio 2013, nello stesso indicava che, nel caso di territorio appartenente a una determinata sezione distaccata, poi assegnato alla competenza di diverso Tribunale (e non quindi alla precedente sede centrale), il Tribunale accorpante dovesse intendersi competente per la sola trattazione degli affari sopravvenuti, e non quindi dei procedimenti ivi pendenti, da continuare presso l’originaria sede principale. A più riprese, per giunta, i giudici amministrativi si sono dovuti occupare della legittimità dei provvedimenti adottati dai presidenti di numerosi tribunali, i quali avevano anticipatamente trasferito, utilizzando l’art. 48-quinquies ord. giud., la trattazione delle cause dalle sedi distaccate alla sede principale.

Ordinamento


56 L’assenza di disposizioni transitorie è stata parzialmente colmata dall’art. 8 del d.lgs. 19 febbraio 2014, n. 14, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.48 del 27 febbraio 2014. Se ne trascrive il testo:

2-quater.

1. All’articolo 9 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:

La nuova definizione, mediante attribuzione di porzioni di territorio, dell’assetto territoriale degli uffici di sorveglianza non determina effetti sulla competenza per i procedimenti pendenti innanzi ai medesimi uffici alla data di efficacia di cui all’articolo 11, comma 2. I procedimenti di cui al primo periodo si considerano pendenti dal momento della ricezione dell’istanza, della richiesta, della proposta o del reclamo ovvero dal momento in cui hanno avuto inizio d’ufficio.

«2-bis.

2-quinquies.

DISPOSIZIONI TRANSITORIE

La soppressione delle sezioni distaccate di tribunale non determina effetti sulla competenza per i procedimenti civili e penali pendenti alla data di efficacia di cui all’articolo 11, comma 2, i quali si considerano pendenti e di competenza del tribunale che costituisce sede principale. I procedimenti penali si considerano pendenti dal momento in cui la notizia di reato è acquisita o è pervenuta agli uffici del pubblico ministero.

2-ter. La disposizione di cui al comma 2-bis si applica anche nei casi di nuova definizione, mediante attribuzione di porzioni di territorio, dell’assetto territoriale dei circondari dei tribunali diversi da quelli di cui all’articolo 1, oltre che per i procedimenti relativi a misure di prevenzione per i quali, alla data di cui all’articolo 11, comma 2, è stata formulata la proposta al tribunale.

L’istituzione del tribunale di Napoli nord non determina effetti sulla competenza dei tribunali di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere per i procedimenti penali pendenti a norma delcomma 2-bis alla data di cui all’articolo 11, comma 2, oltre che per i procedimenti relativi a misure di prevenzione per i quali, alla stessa data, è stata formulata la proposta al tribunale.

2-sexies. L’istituzione del tribunale di Napoli nord non determina effetti sulla competenza dell’ufficio di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere per i procedimenti pendenti a norma del comma 2-quater alla data di cui all’articolo 11, comma 2». La dottrina (ad esempio, G. Costantino, La revisione delle circoscrizioni giudiziarie, in Riv. dir. proc., 2012, 1567-1588) non troverà però risolti tutti i suoi

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interrogativi. Dal 13 settembre 2013 è competente certamente soltanto l’ufficio giudiziario «incorporante». Nulla quaestio per i processi che iniziano con ricorso. Dove, però, trattare le cause per le quali fosse stata notificata citazione prima di tale data con invito a comparire presso l’ufficio o la sezione soppressi, e quale conseguenza abbia tale vocatio in ius sulla validità dell’atto? Che ne è dei termini pendenti per il deposito di provvedimenti del giudice o per il compimento di atti delle parti, al momento del passaggio dei procedimenti dagli uffici soppressi a quelli «incorporanti»? Che succede per l’opposizione a decreto ingiuntivo da proporre avverso provvedimento emesso da giudice dell’ufficio soppresso? E per la riassunzione dei giudizi sospesi o interrotti? A quale ufficio dovrà rivolgersi il cancelliere del giudice del gravame per ottenere il fascicolo di prime cure definito da una sede soppressa? Sono problemi che iniziano a venire all’attenzione del


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contenzioso: il Tribunale di Alessandria, ad esempio, con sentenza del 23 gennaio 2014 (in De Jure), ha dovuto decidere la questione della competenza del giudice dell’opposizione con riferimento a decreto ingiuntivo emesso dal soppresso Tribunale di Aqui Terme. Mentre il Tribunale di Milano, sez. IX, con decreto 1 ottobre 2013 ha affrontato il problema della competenza territoriale in materia di procedure per tutele e amministrazioni di sostegno pendenti presso le soppresse sezioni distaccate, affermando la priorità della considerazione del domicilio del tutore, del curatore o del beneficiario dell’amministrazione.

I NOSTRI VICINI: L’ESEMPIO DELLA FRANCIA Può forse consolarci un dato di comparazione, che porta a dirci che l’erba del vicino non è per forza più verde, anche se si lascia comunque preferire. Il

confronto è con la pressoché contemporanea esperienza di revisione della geografia giudiziaria attuata in Francia (di cui dà conto F. Auletta, La lezione francese sulla revisione della geografia finanziaria, in Riv. dir. proc., 2013, 165 ss.). In Francia, il percorso normativo di revisione delle circoscrizioni è durato quattro anni; ha riguardato solo gli uffici di primo grado; non è stato attuato mediante indiscriminate soppressioni di classi di uffici; è stato aspramente osteggiato dai magistrati, dagli avvocati e dalle comunità locali; ma – c’è un “ma” – non ha conosciuto clausole di invarianza (come il nostrano art. 6 del d.lgs. 7 settembre 2012, n. 156, per il quale dal provvedimento «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» e alla sua attuazione, prescindendo dalla distinzione tra spese e investimenti, «si provvede nell’ambito delle risorse umane strumentali e finanziarie disponibili»), prevedendosi, anzi,

la corresponsione di speciali indennità per i funzionari dislocati e assegni di mobilità per tutto il personale.

LA SINDROME NIMBY (NOT IN MYBACKYARD) Ci accomuna, a ben vedere, ai francesi la sindrome NIMBY (not in mybackyard), sicché la revisione delle circoscrizioni si è rivelata da tutti, e da decenni, agognata, ma nessuno, alla prova dei fatti, avrebbe voluto che finisse per coinvolgere esattamente il proprio cortile. Ci differenzia, tuttavia, la progettualità e la fiducia nell’utilità dell’investimento in un servizio da riorganizzare. Abbiamo certamente allontanato i processi dalle liti, dovevamo però farlo per ricavarne prestigio, decoro e soprattutto efficienza, e non soltanto per ridurre i tempi e i costi. Non rimpiangiamo, in ogni caso, l’eterno e l’immutabile, ma viviamo il transitorio della modernità, aspettando di carpire di questa la sua bellezza misteriosa.

Ordinamento


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IL SOVRAFFOLLAMENTO CARCERARIO E GLI OBBLIGHI EUROPEI: LA SCADENZA DEL TERMINE DELLA SENTENZA TORREGGIANI. L’ABOLIZIONE DEGLI OPG

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61 Abbiamo deciso di dedicare, alla scadenza del termine concesso all’Italia dalla ben nota sentenza Torreggiani, la parte della Rivista riservata al settore penale alla questione carceraria. Ci è sembrato che il tema della detenzione negli istituti di pena, così come quella parallela dell’internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari (oggetto di un’importante riforma proprio recentemente rinviata di un ulteriore anno), meritasse il primo posto nell’agenda giudiziaria dei magistrati italiani, come peraltro è già nell’agenda politica del Parlamento e del Governo, dopo l’importante messaggio del Capo dello Stato dell’ottobre 2013 e gli interventi “tampone” adottati con lo strumento del decreto legge dai tre governi che si sono succeduti dal 2010, anno in cui il sovraffollamento ha raggiunto il suo massimo storico. Del resto il carcere di oggi ci restituisce quotidianamente l’immagine di un sistema in cui i diritti si negano di frequente: diritti che, pur essendo formalmente riconosciuti dalla legge, in tempi di emergenza non trovano risposte giurisdizionali adeguate. Le carceri attuali, ridotte a nuovi contenitori del disagio ad opera di politiche che non intervengono sui problemi da cui quel disagio è prodotto e che anzi li negano con la semplificazione della pena, divengono l’approdo inevitabile di una condizione di mera sopravvivenza ma la Giustizia è orgogliosa del suo figlio legittimo, il processo, cui dedica e concentra ogni doverosa attenzione, mentre si vergogna del suo figlio illegittimo, il carcere, tende a nasconderlo affinché lo si intravveda appena. Ciò è avvenuto finché la CEDU, con la sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013, ha messo in mora lo Stato italiano e la questione carceraria è da mesi ormai ogni giorno in primo piano sugli organi di stampa, telegiornali, TV e nelle aule di giustizia. Esiste tuttavia uno spazio giuridico, culturale e anche politico per discutere del ruolo e del valore delle prigioni, come hanno fatto i governi politici francese e norvegese, allo scopo di trasformarle dal luogo dell’umiliazione al luogo della costruzione di responsabilità, ma per fare questo bisogna una volta per tutte abbandonare l’idea di una pena rigida, frutto in gran parte dell’emanazione negli ultimi tempi di leggi repressive in tema di immigrazione clandestina, tossicodipendenza e recidiva, norme alimentate da una cultura che vede nella detenzione la risoluzione di tutti i problemi sociali e l’unica risposta agli allarmi securitari. Abbattere la recidiva agendo sulla rieducazione ha costi infinitamente meno elevati che costruire nuove carceri, peraltro in tempi lunghissimi (il famoso “piano-carceri” attende di fatto il completamento da oltre quattro anni), quando invece si è constatato che la diminuzione anche di un solo punto percentuale della recidiva corrisponde a un risparmio di circa 51 milioni di euro l’anno, l’equivalente di una “piccola” manovra finanziaria, come dichiarato dal vicecapo dell’Amministrazione Penitenziaria Luigi Pagano in risposta a un’interrogazione parlamentare del 23 ottobre 2013, a fronte di un costo dell’amministrazione penitenziaria che attualmente si attesta a quasi 3 miliardi di euro l’anno (peraltro assorbiti in gran parte dal mantenimento di circa 48.000 dipendenti). Ma una parte consistente dei detenuti italiani è rappresentata dagli imputati in attesa di giudizio su cui si è significativamente inciso dapprima con i vari decreti “salva-carceri”, Severino e Cancellieri (riducendo il fenomeno c.d. “delle porte girevoli”), e in seguito con la riforma della custodia cautelare, oggi all’esame del Parlamento. Lo sviluppo del tema cautelare non può non avere riflessi anche sul profilo provvedimentale che più ci riguarda da vicino, giacché l’adozione della misura impone inevitabilmente uno sviluppo motivazionale che risponda alla domanda e dia conto delle ragioni di accoglimento o di quelle di rigetto. Infine, gli OPG. La legge n. 9 del 2012 ha determinato la chiusura degli OPG e delle case di cura e custodia (di fatto però rinviata al 31 marzo 2015) ma non ha comportato la rimozione dal nostro ordinamento delle misure di sicurezza psichiatriche. Peraltro l’abolizione delle misure di sicurezza avrebbe richiesto l’elaborazione di un nuovo codice penale e tali condizioni non sembrano essersi verificate né è prevedibile si possano realizzare a breve. Ecco allora che l’attenzione si è tutta e solo concentrata sugli OPG puntando, con verosimili maggiori possibilità di successo, sulla loro definitiva cancellazione.

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63 La cura della malattia mentale, com’è ormai dal 1980, non deve attuarsi se non eccezionalmente in condizioni di degenza ospedaliera ma la materia penale impone la regola aurea del bilanciamento tra le esigenze di controllo della pericolosità sociale e le esigenze di cura dell’infermo. La Corte Costituzionale aveva già posto le basi per l’attuale superamento della struttura segregante ove confinare obbligatoriamente l’infermo, anche quando la difesa della collettività possa essere assicurata da una misura più flessibile e inclusiva quale la libertà vigilata, e oggi la legge ha dato una grossa spallata all’istituto dell’internamento giudiziario che tuttavia rimane. Ma c’è un tempo per distruggere e un tempo per costruire: distruggere senza un progetto di ricostruire, sanando gli errori passati e recuperando i traguardi falliti, può diventare un salto avventuroso nel buio: tutta l’attenzione di Governo e Regioni è stata rivolta alle nuove strutture speciali destinate a sostituire gli attuali OPG a scapito dello sforzo, che dovrebbe essere primario, di dare forza ed esigibilità alle misure di sicurezza alternative ovvero ai progetti di reinserimento familiari. Del resto il tema della salute mentale, dentro e fuori i luoghi di segregazione, con tutti i suoi risvolti etici e culturali, è una grande questione che coinvolge l’affermazione di diritti inalienabili di cui tutti dobbiamo farci promotori. Marcello Bortolato Componente della GEC dell’ANM

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IL CARCERE

AL TEMPO DELLA CRISI Antonietta Fiorillo Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze

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»»Perché

si dilata progressivamente l’area dei sistemi penali dei vari paesi e si sceglie sempre più la pena detentiva, nonostante si affermi con costanza che questa deve essere l’ultima ratio?

»»Perché

il nostro Capo dello Stato arriva a denunciare «l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità delle persone» e aggiunge che si tratta di «una realtà non giustificabile in nome della sicurezza che ne viene più insidiata che garantita»? Perché non si constata che questa alluvione penale, rilegittimando il carcere, rende sempre più vaghi i confini del sistema penale e sempre più frequenti i casi in cui un processo è sempre meno espressione di investigazioni e accertamenti compiuti nel dibattimento e viene da indagini sommarie, svolte dagli organi di polizia: un reato e una pena, quindi, oltre il sistema e un processo che si trasforma in un accertamento di polizia? Perché tutto ciò si risolve con la perdita dei diritti delle persone detenute nel processo e durante la detenzione?

»»Perché le condizioni delle carceri peggiorano

progressivamente, producendo sovraffollamento, a sua volta causa di degrado, così che il lavoro, la scuola e le altre attività che dovrebbero rendere attiva la vita nel carcere non sono più realizzabili? Il riesame della spesa porta ad altre limitazioni, in corso da tempo, delle risorse per le cose più essenziali, comprese quelle che dovrebbero tenere sotto controllo le condizioni igienico-sanitarie delle carceri. I controlli delle attività sanitarie dovrebbero concludersi con un ordine di chiusura. Se gli organi di controllo non lo fanno, è abbastanza prevedibile ciò che può accadere.

»»Perché questa situazione sta invadendo tutti i

paesi dell’occidente più sviluppato e appare collegata con politiche economiche di rigore, le ultime delle quali, risoltesi nella riduzione del personale dirigente delle carceri e di quello educativo e di servizio

Penale


66 sociale e nel solo aumento del personale di polizia penitenziaria, consegneranno le carceri a gestioni sempre più di sicurezza che, come dice il Capo della Stato, ne viene «più insidiata che garantita»?

»»Perché

le politiche penitenziarie degli Stati, sempre più disapprovate dagli organi internazionali di controllo, restano le medesime?

»»Perché, col sovraffollamento, aumentano le ore

di permanenza in celle sovraffollate dei detenuti, costretti all’ozio in periodi giornalieri di circa 20 ore? Perché aumentano i suicidi e le morti in cella?

»»Perché

l’Amministrazione penitenziaria, cui è stato dato da attuare, nel 1975, l’Ordinamento penitenziario, sviluppato anche dalla legge Gozzini del 1986, non ha saputo gestirlo in funzione delle finalità costituzionali di quelle leggi, così che oggi la situazione è peggiore di allora?

La criticità della situazione carceraria nel nostro Paese ha raggiunto livelli non più accettabili sia con riguardo al numero delle presenze in rapporto alla capienza non solo regolamentare, ma anche tollerabile (da chi?) come individuata dall’Amministrazione penitenziaria, sia con riguardo alla complessità del sistema in tutti i suoi aspetti di trattamento e di gestione; una situazione che, in linea assolutamente generale, non corrisponde alla finalità rieducativa riconosciuta alla pena dall’art. 27 comma 3 della Costituzione, né garantisce la dignità della persona condannata. La realtà è che paghiamo l’assenza di una riforma organica della giustizia a partire dal Codice Rocco aggravata dall’emanazione di una legislazione di

emergenza che ha pesantemente ridotto i principi del garantismo e dello Stato di diritto. Il carcere odierno è diventato un contenitore del disagio sociale causato dall’assenza di welfare che è stato sostituito con quello che potremo definire prison-fare. Si gestiscono i problemi sociali con lo strumento penale ovviamente senza risolverli sul piano naturale che è quello sociale. Lo dichiarano i numeri: 62.536 detenuti al 31.12.2013 di cui circa 700 detenuti sottoposti al regime ex art. art. 41-bis e 7.000 in “alta sicurezza”; in sostanza, la gran massa è costituita da tossicodipendenti, stranieri, emarginati, consumatori e/o piccoli spacciatori. Peraltro, i problemi si conoscono (e forse anche le soluzioni) ma dalla prima riforma penitenziaria del 1975 ad oggi la situazione si è cronicizzata perché alle spinte riformatrici sono stati opposti gli interventi normativi emergenziali di cui sopra sull’onda di spinte securitarie; in passato, il sistema ha retto grazie all’utilizzo dei provvedimenti di amnistia e indulto, 34 dal dopoguerra al 1990; eliminata, però, questa valvola di sfogo con la riforma costituzionale dell’art. 79 che ha previsto la maggioranza qualificata per i provvedimenti indulgenziali, il sovraffollamento non ha più avuto argini. Attraverso il sovraffollamento sempre crescente in questi anni, si è resa, di fatto, impraticabile la via riabilitativa dell’esecuzione della pena e si è strutturato un carcere che può realizzare solo la contenzione fisica, aggiungendo corpi a corpi in un ammasso inevitabilmente anonimo, che nega l’individualizzazione del trattamento su cui si fonda ogni politica penitenziaria risocializzante. L’eccessiva presenza numerica e la conseguente riduzione degli spazi a disposizione di ciascuno comporta,

Si è strutturato un carcere che può realizzare solo la contenzione fisica, aggiungendo corpi a corpi in un ammasso inevitabilmente anonimo

La Magistratura - Anno LXIII - Numero 1 - 2


67

infatti, la difficoltà della vita quotidiana, rendendo difficile e complessa qualunque azione anche la più semplice, quale l’impossibilità di mangiare insieme e seduti o leggere, scrivere, guardare la televisione in un posto che non sia il letto. E ancora: la promiscuità genera conflittualità e aumenta il rischio di sopraffazione dei più deboli. Contestualmente, l’aumento del carico di lavoro del personale, di polizia penitenziaria, dell’area educativa e del servizio sociale, incide sensibilmente e negativamente sulla conoscenza necessaria che ogni struttura dovrebbe avere dei soggetti che contiene con ciò incidendo sia sull’aspetto del controllo sia su quello dell’approntamento di un piano di trattamento individualizzato come richiesto dall’art. 13 dell’ordinamento penitenziario. Ancora una volta i numeri disvelano la realtà: al 30 agosto 2013 erano presenti 416 unità dell’area dirigenziale, 1.002

funzionari dell’area pedagogica (c.d. educatori), 1.058 operatori sociali, 37.590 appartenenti al corpo di polizia penitenziaria; questi ultimi impegnati anche in compiti diversi e ulteriori quali le traduzioni e la gestione della sicurezza presso le diverse strutture del Ministero della Giustizia. La conseguenza naturale è che, tranne in quelle situazioni che ancora sono eccezioni, i detenuti trascorrono in cella circa venti ore su ventiquattro. Tra i tanti aspetti dell’emergenza carcere uno dei più rilevanti riguarda il diritto alla salute. La realtà quotidiana dei nostri istituti produce sofferenza e malattia; in questa prospettiva il passaggio di competenza della sanità al servizio pubblico nel 2008 non ha ancora dispiegato i suoi effetti per la fruizione del bene salute in condizioni di parità tra soggetti ristretti e cittadini liberi. In verità non si è trattato solo di un pur necessario e opportuno cambio di competenze, ma di un

La realtà quotidiana dei nostri istituti produce sofferenza e malattia vero e proprio cambio di passo, di una seria riforma di sistema. Ma l’operazione è avvenuta con ritardo e con una visione miope della potenzialità che poteva e può ancora avere la riforma per la stessa qualità della gestione penitenziaria, per la vita dei ristretti e per la sicurezza del sistema. È bene ricordare che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la salute non è solo assenza di malattia, ma completo ben-essere psicofisico della persona, di ogni persona in un rapporto equilibrato con un ambiente sano o da rendere tale. Nell’ambiente penitenziario si registrano tutt’ora notevoli difficoltà, alcune oggettive legate al sovraffollamento che accresce il carattere di per sé patogeno, altre soggettive, legate

Penale


Popolazione

detenuta

68 68.000 66.000

65.893

Andamento popolazione detenuta

64.000 62.000

61.912

60.000

61.111 60.381

60.399

60.167

60.205

60135

Serie1 Lineare (Serie1)

58.000 56.000

al persistere, nel sistema, di una prevalente indifferenza verso i diritti sociali dei detenuti. Questi primi cinque anni di avvio della riforma hanno posto in evidenza notevoli difficoltà per garantire il diritto costituzionale alla salute a tutti i detenuti perché la riforma non è un provvedimento di routine in quanto propone, promuove ed esige un cambiamento sia del servizio sanitario che dell’ordinamento penitenziario. Il Servizio sanitario che va in carcere deve mettere fine alla tradizionale pratica dell’attesa e improntare tutte le sue attività alla sanità di iniziativa che non attende semplicemente la domanda di

Il sistema penitenziario deve restituire dignità e responsabilità al detenuto che deve impegnarsi a uscire dalla gabbia del reato

cura da parte dei detenuti, ma attiva una medicina proattiva che previene la malattia, che rende responsabili gli stessi detenuti e il personale penitenziario e affronta la salute come un bene comune che riguarda il complesso dell’istituto penitenziario. Il sistema penitenziario, a sua volta, deve restituire dignità e responsabilità al detenuto che, attraverso una nuova esperienza dei diritti e dei doveri (soprattutto il lavoro produttivo per tutti, in tutte le possibili condizioni, dentro e fuori del carcere), deve impegnarsi a uscire dalla gabbia del reato e procedere verso un suo reale rientro nella società civile, in sintonia con la legalità. La qualità di un Servizio sanitario in carcere, che fa proprio il principio della sanità d’iniziativa, è strettamente condizionata alla partecipazione della popolazione detenuta sia alle scelte programmate che all’esecuzione degli interventi. Si tratta di un principio tutt’altro che agevole in un ambiente che limita fortemente

La Magistratura - Anno LXIII - Numero 1 - 2

la mobilità dei detenuti, anche all’interno degli istituti penitenziari. Dopo un periodo di faticoso assestamento, in verità troppo lungo, il nuovo Servizio sanitario penitenziario può farsi carico del diritto alla salute a condizione che ci sia una piena assunzione di responsabilità da parte delle Istituzioni, in particolare del Ministero della Salute e delle Regioni italiane, tutte. La riforma della sanità penitenziaria è certamente ancora in mezzo al guado, con difficoltà notevoli da superare, ma non ha alternative se non la sua coerente e adeguata applicazione. Realizzare il diritto alla salute significa contribuire all’obiettivo civile di avere meno carcere e un carcere migliore, come richiede la Costituzione italiana e le regole Europee. Ma un discorso sul carcere di oggi non può prescindere da un cenno anche all’edilizia penitenziaria perché, in certo modo, la qualità della vita delle persone si misura anche da dove e come vivono.


69 Le caratteristiche di quasi tutti gli istituti penitenziari italiani sono simili e prevedono la presenza di padiglioni a più piani con sezioni e camere di detenzione che partono da una rotonda o comunque da un centro verso due direzioni. Gli spazi a disposizione dei ristretti sono le salette per la socialità e i passeggi; in sostanza le caratteristiche strutturali parlano di un sistema detentivo “chiuso” che prevede che i detenuti trascorrano la maggior parte del tempo all’interno delle camere di detenzione (come infatti avviene nella quasi totalità delle realtà). Una riflessione che sorge immediata è che, in Italia, non si parla mai di architettura del carcere, ma solo di edilizia penitenziaria sia con riguardo alla manutenzione dell’esistente che con riguardo alle nuove realizzazioni. È pur vero che all’interno del termine edilizia è compreso il progetto più propriamente architettonico, ma non si può nascondere che il “gergo” comunemente utilizzato sta a significare un generale disinteresse per qualunque questione di qualità riferita al carcere, un luogo nel quale prevalgono le questioni della pena, in cui avviene una specie di de-spazializzazione; interessa solo che vi sia un luogo ove si attua la pena; la qualità e le caratteristiche degli spazi in cui ciò avviene non sono oggetto di indagine. Anche il piano carceri predisposto dall’Amministrazione penitenziaria che prevede interventi sull’esistente e realizzazioni ex novo non ha colto l’occasione per provare a riportare lo studio dello spazio e dei luoghi all’interno delle emergenze che si tenta di affrontare. Con riguardo poi alla localizzazione degli istituti già dagli anni Ottanta in poi è cambiato totalmente il rapporto con la città; si è assistito, infatti, all’espulsione fisica delle strutture inizialmente verso le periferie, e poi verso aree il più lontano possibile. Le conseguenze di queste scelte sono tante per i detenuti come per coloro che in carcere lavorano. Si traducono in maggiori difficoltà di comunicazione, oltre che nella percezione di una più radicale separazione; il rapporto tra città e carcere è infinitamente più lento e complicato a causa della maggiore lontananza dalla rete dei servizi,

che possono operare per rendere il carcere meno separato, e dal tessuto associativo che opera per favorire processi di ricucitura sociale e culturale. In questa situazione il carcere accentua il suo ruolo di luogo escludente e scansato. Il contrasto con principi e norme volte a favorire lo stabilirsi di legame con la collettività esterna è palese, una proclamazione di fallimento di modello, non solo del carcere ma delle città. La crisi del carcere però non è soltanto un problema quantitativo, di metri quadri, ma anche qualitativo, di senso e tempo della pena. È chiaro che per ottenere risultati adeguati, nel solco di quanto previsto dall’art. 27 della Costituzione, sarebbe necessario un carcere con un numero di presenze legato al diritto penale minimo. La denuncia, poi, quasi quotidiana del sovraffollamento porta con sé il rischio di consensi velati da ipocrisia: un festival di “buoni sentimenti” con cui si lavano le coscienze ma che rischia di porre sullo stesso piano vittime e carnefici. Non ci troviamo, infatti, davanti a un fenomeno improvviso, ma alle conseguenze di scelte legislative che hanno prodotto carcerazione oltreché a prassi amministrative pigre e distratte se non ottuse.

IL CARCERE ACCENTUA IL SUO RUOLO DI LUOGO ESCLUDENTE

Penale


70 E cosa dire infine della riduzione delle risorse economiche; basta esaminare i dati degli ultimi anni: nel 2007 (44.587 detenuti) il bilancio del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria era di 3.095.506,32 euro; nel 2011 (67.174 detenuti) il bilancio era di 2.766.036,324 euro; come si vede il bilancio è stato ridotto del 10%, ma i tagli non sono stati omogenei; infatti, i costi del personale sono stati tagliati del 5,3%; quelli per gli investimenti (edilizia penitenziaria, acquisizione mezzi di trasporto, macchine, attrezzature...) del 38,6% e quelli per il mantenimento, l’assistenza, la rieducazione e il trasporto dei detenuti del 63,2%. Il dato è di palmare evidenza. In carcere manca tutto e si fa grande fatica ad assicurare i bisogni più elementari dei detenuti. Su questa situazione il Legislatore è intervenuto da ultimo con il decreto legge 23 dicembre 2013 n. 146 convertito con modifiche in legge 21 febbraio 2014 n. 10 diretto ad affrontare proprio la questione del sovraffollamento e a garantire il pieno esercizio dei diritti fondamentali dei soggetti detenuti. Certamente rappresenta un tentativo apprezzabile di intervenire sul sovraffollamento con misure temporanee (la vigenza è per un biennio) dirette a incidere sia sui flussi di ingresso negli istituti (si veda. la nuova disciplina del comma 5 dell’art. 73 d.p.r. 309/90) sia su quelli di uscita dal circuito penitenziario; in tale prospettiva va letta l’estensione della possibilità di accesso all’affidamento in prova al servizio sociale sia ordinario che terapeutico, l’ampliamento a 75 giorni per ciascun semestre di liberazione anticipata in un arco di tempo compreso fra il 1.1.2010 e il 31 dicembre 2015; nonché la definitiva stabilizzazione nell’ordinamento della legge 199/2010 (esecuzione pena presso il domicilio). Ma ancora una volta si interviene con un provvedimento temporaneo, i cui effetti in termini di riduzione del sovraffollamento sono tutt’altro che certi, date anche le difficoltà interpretative e soprattutto facendo ricadere esclusivamente sui magistrati, in questo caso, di sorveglianza, il peso di un problema che ha radici ben più profonde e richiede soluzioni ben più organiche e strutturali.

La Magistratura - Anno LXIII - Numero 1 - 2

Il sovraffollamento non è un fenomeno improvviso ma la conseguenza di scelte legislative che hanno prodotto carcerazione INTERNATI 1,9%

DEFINITIVI 62,0%

IMPUTATI 36,0%

Per esemplificare: la giurisdizionalizzazione del procedimento per i reclami ex art. 35 ordinamento penitenziario (comprensiva dell’ottemperanza) e il notevole aumento dei giorni di riduzione della pena, i quali comportano quotidiani provvedimenti di scarcerazione per fine pena, rendono gli attuali organici dei giudici di sorveglianza, già carenti, del tutto inadeguati; e ancor più richiedono che sia adeguato anche il numero degli operatori amministravi, la cui scopertura di organico è già insostenibile; se ciò non sarà valutato e non saranno approntate le misure adeguate il rischio prossimo è che gli uffici non saranno in grado di far fronte alle esecuzioni dei provvedimenti, se non di quelli urgentissimi, con tutto ciò che tale situazione potrà


71 comportare anche in termini di responsabilità. È stata prevista, poi, la possibilità di applicare il braccialetto, oltreché per la fase cautelare, per la misura alternativa della detenzione domiciliare ex art. 58-quinquies ordinamento penitenziario. Se e quanto questo meccanismo possa produrre in termini di deflazione delle presenze in carcere è da verificare nei prossimi mesi; sicuramente può

Dati riferiti al 31 marzo 2014

DETTAGLIO IMPUTATI APPELLANTI 26,3%

IN ATTESA 1° GIUDIZIO 48,8%

RICORRENTI 17,8%

domiciliari) quanto che lo stesso non recidivi nel reato; rispetto a questo è tutta, ripeto, da dimostrare la capacità deterrente del braccialetto rispetto all’organizzazione di un serio progetto di vita. D’altra parte dal punto di vista delle scelte di politica giudiziaria, finché la pena criminale sarà ancora al centro del sistema penale le cose non potranno cambiare in maniera sostanziale. Finché, infatti, vivremo dell’illusione che il carcere possa risolvere tutto o quasi tutto, nonostante le condizioni in cui versa, non faremo alcun passo avanti. Viceversa è sul versante della differenziazione del sistema sanzionatorio nonché di una decisiva depenalizzazione che appare necessario agire per ottenere risultati definitivi e non solo far fronte, in qualche modo, alle emergenze con interventi contingenti e settoriali i quali hanno chiamato sempre più la magistratura di sorveglianza al “governo” delle carceri che, invece, spetta alla politica e solo alla politica. È la politica, infatti, che deve riassumere le sue responsabilità consentendo alla magistratura di sorveglianza di recuperare la terzietà a garanzia dei diritti.

MISTI SENZA DEF 26,3%

rivelarsi un utile strumento per la fase cautelare ove prevale l’elemento del controllo; quanto possa essere funzionale alla fase dell’esecuzione della pena è più difficile da prevedere. Non casualmente lo stesso Ministero della Giustizia, nelle sue comunicazioni, inserisce il braccialetto in una prospettiva di “sicura garanzia in ordine al mantenimento di adeguati standard di controllo istituzionale sugli autori di reato” che non appare coerente con la prospettiva di reinserimento che è sempre sottesa alle misure alternative anche quelle più restrittive come la detenzione domiciliare. In realtà ciò che rileva in un’ammissione alla detenzione domiciliare non è tanto il rischio che il soggetto evada (come invece per gli arresti

Penale


72

Detenuti presenti e capienza regolamentare degli istituti penitenziari per regione di detenzione | Situazione al 31 maggio 2014 Regione di detenzione

Capienza Numero Regolamentare Istituti (*)

Detenuti Presenti Totale

di cui stranieri

Detenuti presenti in semilibertà (**)

Donne

Totale

Stranieri

Abruzzo

8

1.504

1.936

75

226

14

0

Basilicata

3

574

500

15

69

3

0

Calabria

13

2.626

2.619

56

291

26

0

Campania

17

6.087

7.586

340

911

211

1

Emilia Romagna

12

2.798

3.241

129

1.609

38

6

Friuli Venezia Giulia

5

495

677

25

339

17

5

Lazio

14

5.115

6.489

468

2.819

59

4

Liguria

7

1.168

1.558

77

879

28

5

Lombardia

19

6.095

8.522

507

3.916

55

8

Marche

7

819

967

26

423

5

1

Molise

3

276

401

0

46

2

0

Piemonte

13

3.833

3.977

140

1.852

38

12

Puglia

11

2.381

3.585

174

670

75

1

Sardegna

12

2.427

1.877

37

487

20

1

Sicilia

26

6.082

6.421

130

1.136

93

5

Toscana

18

3.350

3.647

140

1.841

73

20

Trentino Alto Adige

2

509

346

17

246

3

1

Umbria

4

1.314

1.563

52

524

16

0

Valle d’Aosta

1

180

153

0

101

1

1

Veneto

10

1.955

2.796

135

1.554

37

10

Totale nazionale

205

49.588

58.861

2.543

19.939

814

81

(*) Il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato. (**) I detenuti presenti in semilibertà sono compresi nel totale dei detenuti presenti. Fonte: Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione Statistica

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SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO DELL’8 GENNAIO 2013 - CAUSA TORREGGIANI E ALTRI CONTRO ITALIA La Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha giudicato le condizioni dei detenuti una violazione degli standard minimi di vivibilità che determina una situazione di vita degradante. La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, pronunciata l’8 gennaio 2013, costituisce una pesante condanna nei confronti dell’Italia e del suo sistema penitenziario. Il caso Torreggiani e altri, sottoposto all’attenzione della Corte nell’agosto del 2009, viene depositato da sette ricorrenti contro lo Stato italiano per violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea ovvero la proibizione di trattamenti inumani e degradanti. I ricorrenti si trovano a scontare la propria pena presso gli istituti di detenzione di Busto Arsizio e Piacenza. Dalla descrizione presentata nel ricorso risultava che, essendo ogni cella occupata da tre detenuti, ognuno di loro aveva a propria disposizione meno di tre metri quadrati come proprio spazio personale. La Corte Europea dei diritti dell’Uomo considera che non solo lo spazio vitale indicato non sia conforme alle previsioni minime individuate dalla propria giurisprudenza, ma inoltre che tale situazione detentiva sia aggravata dalle generali condizioni di mancanza di acqua calda per lunghi periodi, mancanza di ventilazione e luce. Tali condizioni, considerate nel loro insieme, costituiscono una violazione degli standard minimi di vivibilità determinando una situazione di vita degradante per i detenuti. La compensazione pecuniaria per i danni morali subiti in violazione dell’articolo 3 della Convenzione è quantificata dalla Corte in una somma di circa 100.000 € per tutti i ricorrenti.

Penale


74

Misure alternative, lavoro di pubblica utilità, misure di sicurezza e sanzioni sostitutive | Dati al 30 aprile 2014 Numero Affidamento in prova al servizio sociale

11,835

Semiliberta'

824

Detenzione domiciliare

10,164

Lavoro di pubblica utilita'

4,916

Liberta' vigilata

3,104

Liberta' controllata

207

Semidetenzione

9

Sospensione condizionale della pena

2

Totale generale

31.061

Prospetti di dettaglio Tipologia

Numero

AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE Condannati dallo stato di libertà

5,716

Condannati dallo stato di detenzione*

2,620

Condannati in misura provvisoria

118

Condannati tossico/alcooldipendenti dallo stato di libertà

997

Condannati tossico/alcooldipendenti dallo stato di detenzione*

1,964

Condannati tossico/alcooldipendenti in misura provvisoria

373

Condannati affetti da aids dallo stato di libertà

5

Condannati affetti da aids dallo stato di detenzione*

42

Totale

11,835

SEMILIBERTÀ Condannati dallo stato di libertà

68

Condannati dallo stato di detenzione*

758

Totale

824

* dallo stato di DETENZIONE = provenienti dagli ii.pp. - arresti domiciliari (art. 656 c 10 c.p.p.) - detenzione domiciliare

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Tipologia

Numero

DETENZIONE DOMICILIARE

di cui L. 199/2010

Condannati dallo stato di libertà

3,212

410

Condannati dallo stato di detenzione*

4,450

1,574

Condannati in misura provvisoria

2,420

-

Condannati affetti da aids dallo stato di libertà

18

-

Condannati affetti da aids dallo stato di detenzione*

37

-

Condannate madri/padri dallo stato di libertà

7

-

Condannate madri/padri dallo stato di detenzione*

20

-

Totale

10,164

1,984

* dallo stato di DETENZIONE = provenienti dagli ii.pp. - arresti domiciliari (art. 656 c 10 c.p.p.) - detenzione domiciliare

Lavoro di pubblica utilità Lavoro di pubblica utilità

232

Lavoro di pubblica utilità - violazione codice della strada

4.684

Fonte: Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - Direzione generale dell’esecuzione penale esterna Osservatorio delle misure alternative

Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, 5 giugno 2014 Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa apprezza l’impegno delle autorità italiane a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario e i risultati significativi ottenuti grazie alle diverse misure strutturali adottate per conformarsi alle sentenze della Corte, compreso il calo importante e continuo della popolazione carceraria e l’aumento dello spazio vitale ad almeno tre mq per detenuto. Accoglie con favore la creazione di un ricorso preventivo nei tempi fissati dalla sentenza pilota sul caso Torreggiani e infine prende nota con interesse delle informazioni sull’introduzione del ricorso risarcitorio, anch’esso previsto dalla sentenza pilota, attraverso la riduzione di pena per i detenuti ancora in carcere e la compensazione pecuniaria per quelli che sono già usciti. Il Consiglio riesaminerà la situazione entro il giugno 2015 per una piena valutazione dei progressi compiuti.

Penale


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FINE DEL VIAGGIO PER LA NAVE DEI FOLLI REI?

RIFLESSIONI SUL SUPERAMENTO DEGLI OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI

Riccardo De Vito Magistrato di sorveglianza di Nuoro

La storia della segregazione dei malati mentali continua nonostante la fine della storia dei manicomi

L’ERBA DALLA PARTE DELLE RADICI. UNA PREMESSA Veder l’erba dalla parte delle radici è un proverbio popolare, il titolo di un libro sofisticato (Lajolo, 1979), ma anche un verso che Alda Merini ha graffiato per descrivere la sua vita in manicomio. Un verso che racconta di quando i manicomi erano aperti e di quando tutti i “folli”, rei o meno, vivevano l’esperienza della discriminazione e della segregazione. Si può partire da qui per parlare di ospedale psichiatrico giudiziario, perché la storia della segregazione dei malati mentali continua nonostante la fine

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77 della storia dei manicomi. Quell’erba dalla parte delle radici, dunque, esprime in pieno il punto di vista dei sommersi e rende in modo immediato e credibile l’esperienza di quel mondo sotterraneo che è l’internamento. Un mondo a parte, nel quale gli infermi psichici ritenuti socialmente pericolosi sono ancora condannati a vivere e “curarsi”. Un universo nascosto alla società, all’opinione pubblica e alle istituzioni, che nei confronti del dramma dell’internamento hanno costantemente praticato una robusta opera di rimozione. Sino al momento in cui non è stato più possibile distogliere lo sguardo. Accade, infatti, che le telecamere si introducano in quelle strutture che fino al 1975 venivano chiamate manicomi criminali e che le immagini dello Stato della follia (Cordio, 2013) entrino negli occhi degli italiani, accompagnate quasi subito dalle parole nette del Presidente della Repubblica che, in un celebre discorso del luglio 2011, ha denunciato l’ «orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari, inammissibili in qualsiasi paese appena appena civile». Nello stesso lasso di tempo, la «Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari» – approvata il 20 luglio 2011 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale – fornisce una narrazione limpida ed esauriente delle condizioni di vita precarie, dei meccanismi contenitivi, dei metodi di cura non all’avanguardia e della fatiscenza delle strutture. Le prime parole della relazione appaiono sintomatiche e rendono chiaro il senso dell’accenno iniziale ai manicomi: «tutti gli OPG presentano un assetto strutturale assimilabile al carcere o all’istituzione manicomiale, totalmente diverso da quello riscontrabile nei servizi psichiatrici italiani». Il punto fondamentale, infatti, sta qui: la promessa di incontrare i malati di mente fuori dalle istituzioni non si è mai avverata per i pazienti psichiatrici autori di reato e la legge Basaglia in OPG non ha mai messo piede. Dalla necessità di mettere definitivamente fine a questo stato di cose scaturisce l’art. 3-ter della

legge 17 febbraio 2012, n. 9, che reca Disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e accelera le procedure per il completamento del processo di chiusura degli OPG avviato dall’allegato C del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1 aprile 2008 (a sua volta precipitato della legge 419/1998). Proprio dall’analisi degli obbiettivi di quest’ultimo decreto appare opportuno prendere le mosse per provare a esaminare i punti di forza e di debolezza del processo di superamento delineato dal legislatore e verificarne le tappe, i ritardi e gli approdi. Senza dimenticare, prima ancora, di tracciare un veloce quadro di chi e cosa c’è dentro gli ospedali psichiatrici giudiziari.

DENTRO GLI OPG. IL DOPPIO BINARIO DELLA MISURA E DELLA CURA L’allegato C del d.p.c.m. 1 aprile 2008 si proponeva di mettere a frutto il passaggio di competenza delle funzioni sanitarie in campo penitenziario al Servizio Sanitario Nazionale per eliminare dall’ordinamento giuridico ogni residuo di segregazione nei confronti dei pazienti psichiatrici socialmente pericolosi, favorire il loro reinserimento sociale e «garantire una corretta armonizzazione fra le misure sanitarie e le esigenze di sicurezza». In altre parole, il legislatore aveva deciso, in ossequio al dettato costituzionale in materia di tutela della salute (art. 32 Cost.) e alle finalità della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, di riavvicinare le condizioni di cura dei “folli rei” a quelle degli individui affetti da disturbo mentale non autori di reato; con l’ulteriore vantaggio di recuperare, nei confronti degli internati in ospedale psichiatrico giudiziario o assegnati a casa di cura e custodia, una penalità non meramente difensiva e precauzionale, ma finalmente orientata al principio rieducativo di cui all’art. 27, comma 3, Cost. Insomma, l’ambizioso e nobile traguardo che il legislatore aspirava a tagliare era quello di porre

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78 fine alla politica dei “doppi binari”. L’uso del plurale, in questo caso, è motivato dalla circostanza che il doppio binario pena-misura di sicurezza non è l’unico che riguarda gli infermi di mente socialmente pericolosi. Per quest’ultimi, infatti, esiste un’altra corsia parallela e riservata, che marca la differenza rispetto ai pazienti psichiatrici esterni al circuito penale; una corsia lungo la quale si snodano le modalità, i tempi e gli spazi di una cura che è rimasta essenzialmente coercitiva.

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79 Il malato mentale autore di reato, pertanto, non è “trattato” alla stregua di un condannato sano di mente e non è curato come un cittadino libero affetto da infermità psichica. Appare opportuno vederle da vicino queste differenze, ispirate da una logica di difesa sociale che, nonostante le progressive erosioni della giurisprudenza costituzionale (sentenze Corte 1 Cost. n. 253/2004 e 367/2004) e nonostante l’apprezzabile sforzo posto in essere da molti psichiatri all’interno degli OPG e da molti giudici di cognizione e magistrati di sorveglianza, appare difficile da scardinare. L’analisi può prendere avvio da una breve “anatomia” del trattamento della figura principale di internato 2 in ospedale psichiatrico giudiziario , vale a dire il prosciolto per infermità mentale (artt. 89 e ss. c.p.) sottoposto al ricovero in quanto socialmente pericoloso (art. 222 c.p.). Al dì là delle complessità e del carattere a volte cabalistico della prognosi di pericolosità ai sensi dell’art. 203 c.p. – spesso fondata sul “lancio di dadi” della perizia psichiatrica (Pugiotto, 2013) –, preme mettere in rilievo che la misura di sicurezza del ricovero in OPG è temporalmente limitata solo nel minimo (art. 222, commi 1 e 2, c.p.), è prorogabile senza limiti e potenzialmente all’infinito (ergastolo bianco) all’esito di ogni nuovo accertamento giurisdizionale della permanenza della pericolosità sociale (art. 208 c.p.), costringe l’infermo di mente 1 Le sentenze in questione, come noto, hanno consentito di adottare misure di sicurezza non detentive in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione alla casa di cura e custodia. Sia in via definitiva sia in via provvisoria, ad esempio, è possibile la misura di sicurezza della libertà vigilata accompagnata dalla prescrizione della presa in carico da parte dei servizi psichiatrici territoriali 2 Tra le altre numerose categorie presenti in OPG (internati provvisori imputati, internati con vizio parziale di mente assegnati alla CCC) preme mettere in rilievo che la riforma non si occupa di un’altra categoria di infermi, quella dei detenuti condannati la cui infermità di mente sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena (art. 148 c.p.).

alla sottoposizione a un regime di impronta contenitiva e alla vita in strutture in tutto e per tutto assimilabili a un carcere; preclude, infine, l’accesso alle misure alternative. Una disciplina, dunque, che può dar vita a un trattamento nettamente sfavorevole rispetto a quello del condannato sano di mente, il quale, per così dire, sa perché e quando entra in carcere, sa quando ne esce e, se ne ricorrono i presupposti, beneficia di misure alternative all’istituzione penitenziaria. Oltre a essere trattato diversamente dal reo, come detto, l’internato subisce una cura e una tutela diverse dall’infermo di mente non autore di reato, nei confronti del quale, a decorrere dalla legge 180 del 1978, trattamenti e ricoveri obbligatori costituiscono un’eccezione legittimata solo da urgenze terapeutiche e rigorosamente contenuta in limiti temporali circoscritti. Basta leggere la relazione della commissione di inchiesta parlamentare, viceversa, per avere immediata contezza di come l’internato sia essenzialmente costretto a una cura scandita dalla permanenza in strutture che sono un ibrido di manicomio e di carcere, da terapie contenitive farmacologiche e meccaniche, dal confinamento all’interno dell’istituzione. Detto in poche parole: più custodia che cura. Ma chi è in concreto il destinatario principale della misura di sicurezza del ricovero in OPG? Da quali reati è stato prosciolto e qual è il suo tasso di pericolosità sociale?

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80 Al momento in cui si scrive, le persone presenti in OPG sono 875, mentre nel 2010 erano ancora 1.294 e nel maggio 2013 circa 1.000. Soltanto il 10% degli internati si è reso responsabile della commissione di gravi reati, manifestando quella «temibile pericolosità sociale» che costituisce la giustificazione «della necessità di rigoroso controllo dello stato di pericolosità» (in questi termini, Cass. 27. 2. 1981, Maritan). Il rimanente 90% è rappresentato da internati prosciolti da reati che oscillano dal tentato furto alla rapina, dal danneggiamento alla resistenza a pubblico ufficiale, dai maltrattamenti in famiglia alle lesioni (Farina Coscioni, 2011). Per questi reati un sano di mente otterrebbe una pena di limitata entità, magari da scontare, senza assaggio di carcere, in detenzione domiciliare o in affidamento in prova al servizio sociale. Molti dei ricoverati in ospedale psichiatrico giudiziario, viceversa, finiscono di proroga in proroga per soggiacere a una “condanna” all’internamento che supera spesso di molti anni l’originaria durata della misura di sicurezza disposta dalla sentenza di proscioglimento. Sotteso al problema del rinnovo della misura di sicurezza, infatti, vi è anche il dramma della mancanza di risorse all’esterno, dell’insussistenza di un domicilio, dell’impossibilità della famiglia e delle strutture pubbliche a fungere da supporto nello svolgimento di una terapia. Lo stesso Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, intervenendo in un convegno in materia di OPG svoltosi presso il Senato della Repubblica nel marzo del 2014, ha affermato che «la durata delle misure spesso, attualmente, non è dipendente dalla pericolosità del paziente, ma da uno stato di abbandono della persona rinchiusa o dalla mancanza di accoglienza al di fuori». Non è un caso che il legislatore, nel delineare il processo di definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, abbia messo subito in agenda l’immediata dimissione di coloro i quali hanno cessato di essere socialmente pericolosi. Di questo processo di superamento ci si deve ora occupare analiticamente.

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PECULIARITÀ DELLA RIFORMA E OBIETTIVI IMMEDIATI La trama normativa del percorso di superamento degli OPG - condensata in diversi atti normativi, tra cui spiccano l’allegato C della d.p.c.m. 1 aprile 2008 e l’art. 3-ter della legge 9/2012 - verte su alcuni capisaldi che possono essere così riassunti: immediata dimissione degli internati la cui pericolosità sociale è cessata e loro presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale; predisposizione di strutture regionali sostitutive, in cui ospitare le persone alle quali continueranno a essere applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione in casa di cura e custodia; affidamento esclusivo alle aziende sanitarie della gestione di tali strutture e della responsabilità dei pazienti ospitati, in un’ottica di decarcerizzazione e di recupero della prevalenza della dimensione medica; limitazione dei compiti della polizia penitenziaria alla sola vigilanza perimetrale ed esterna.

Soltanto il 10% degli internati si è reso responsabile della commissione di gravi reati


81 Appare opportuno iniziare l’approfondimento analitico dei singoli tratti del processo riformatore dalla previsione dell’obbligo di dimissione degli internati che hanno cessato di essere socialmente pericolosi, dal momento che con questo passaggio della normativa i giudici (soprattutto, i magistrati di sorveglianza) hanno dovuto confrontarsi immediatamente. L’art. 3-ter della legge 9/2012, infatti, ha sancito che «le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose devono essere senza indugio dimesse e prese in carico, sul territorio, dai Dipartimenti di salute mentale». Di primo acchito la precisazione legislativa appare pleonastica, limitandosi a ribadire quanto è già in ordinamento o quanto vi è stato immesso dalla giurisprudenza costituzionale: l’art. 208, comma 2, c.p., l’art. 69, comma 4, legge 354/1975 e la sentenza Corte Cost. n. 110/1974 legittimano la revoca della misura di sicurezza, anche prima che siano decorsi i termini minimi di durata, quando vi sia ragione di ritenere che la pericolosità della persona sia cessata. Non è seriamente sostenibile, però, che il legislatore abbia voluto semplicemente reiterare una disposizione esistente; più logica, dunque, si dimostra un’interpretazione della norma tesa a valorizzare la volontà di rimuovere in modo drastico quei fenomeni di proroga della misura di sicurezza legati soltanto all’indisponibilità di risorse all’esterno e alla mancanza di un contesto territoriale idoneo a supportare il paziente psichiatrico non più pericoloso, ma non ancora guarito.

In quest’ottica deve sottolinearsi che il pungolo legislativo non ha trovato impreparata la magistratura, la quale, in alcune pronunce, si è spinta sino a puntualizzare come in capo al medico psichiatra dei servizi territoriali sussista una posizione di garanzia nei confronti del paziente, posizione dalla quale discende un obbligo, penalmente rilevante, di porre in essere tutte le cure necessarie (ivi compreso il ricorso ultimo al Trattamento sanitario obbligatorio) per prevenire 3 condotte auto ed etero lesive . Gli sforzi della magistratura e dei Dipartimenti di salute mentale, tuttavia, non riescono al momento a nascondere una realtà preoccupante, palesata dalla grave crisi dei servizi territoriali psichiatrici, interessati da una progressiva opera di sottrazione di risorse materiali e personali che li mette in condizione di garantire a stento le prestazioni essenziali. La mancanza di investimenti in Stato sociale, in altre parole, corre il rischio di pregiudicare le prospettive di reinserimento sociale e di riabilitazione legate alla dimissione immediata dei non pericolosi. E gli infermi ancora pericolosi?

3 Tra le capofila si segnala Ord. Magistrato di Sorveglianza di Firenze, 15. 2. 2012, reperibile su www. personaedanno.it.

La magistratura, in alcune pronunce, ha puntualizzato che il medico psichiatra dei servizi territoriali deve porre in essere tutte le cure necessarie per prevenire condotte auto ed etero lesive

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DAGLI OPG ALLE REMS

Il meccanismo previsto per il completo superamento degli OPG è quello della loro sostituzione con le REMS, strutture con una gestione sanitaria

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Il meccanismo previsto per il completo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, come già anticipato, è quello della loro sostituzione con le c.d. REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), strutture a base regionale le cui caratteristiche strutturali, tecnologiche e organizzative sono state disciplinate da un decreto del Ministro della Salute (1 ottobre 2012) sulla base delle seguenti indicazioni legislative (art. 3-ter, comma 3, l.9/2012): esclusiva gestione sanitaria all’interno delle strutture; attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna; destinazione delle strutture ai soggetti provenienti, di norma, dal territorio regionale di ubicazione delle medesime. Le strutture appena descritte dovranno accogliere sia gli attuali internati reputati ancora socialmente pericolosi sia le persone «cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia» (in questi termini l’art. 3-ter, comma 2, l. 9/2012), posto che il meccanismo di sostituzione è stato approntato a legislazione penale invariata. Secondo la tempistica scandita dalla legge 9/2012, le nuove residenze avrebbero dovuto prendere il posto degli OPG a decorrere dal 31 marzo 2013 (in una con il completamento del processo di dimissione degli infermi non pericolosi). Tale termine, in ragione delle difficoltà delle Regioni ad approntare per tempo misure e interventi strutturali, è stato prorogato una prima volta al 1 aprile 2014 (dl 24/2013 convertito in legge 57/2013) ed è poi slittato al 31 marzo 2015 in forza del decreto legge 31 marzo 2014 n. 52. Quest’ultimo intervento normativo del Governo, tuttavia, non si è limitato soltanto a disporre una proroga di un anno del termine di chiusura degli OPG, ma ha anche previsto un sistema di monitoraggio del rispetto del termine da parte delle regioni (e delle province autonome) alla scadenza del semestre successivo al giorno di pubblicazione del decreto medesimo; a quel punto, in caso di riscontrata impossibilità della tempestiva


83 realizzazione (o conversione) delle strutture da parte delle Regioni, sarà possibile l’adozione da parte del Governo dei provvedimenti sostitutivi già previsti dall’art. 3-ter, comma 9, della legge 9/2012. Nel cercare di cogliere i principi ispiratori della riforma, appare subito evidente che il legislatore, attraverso la creazione delle nuove strutture, abbia voluto portare a termine il processo di riforma della sanità penitenziaria, scorporando in via definitiva le funzioni di sicurezza, rimaste in capo all’Amministrazione penitenziaria e limitate alla vigilanza perimetrale, da quelle sanitarie e mediche, di esclusiva competenza delle aziende sanitarie. Seguendo questa serie di ragionamenti le future REMS dovrebbero essere luoghi dove, in ossequio al diritto fondamentale di ogni individuo alla tutela della salute (art. 32 Cost.), la dimensione medica torna a essere prevalente rispetto alla dimensione securitaria; uno sforzo, dunque, di adeguamento dei sistemi di cura degli infermi di mente socialmente pericolosi a quello dei pazienti psichiatrici comuni e di rimodulazione dei reparti ai primi dedicati sulla base dei modelli costituiti dai servizi psichiatrici “civili”. In quest’ottica assume una valenza decisiva il principio di territorialità, in base al quale gli infermi di mente ai quali è applicata la misura di sicurezza del ricovero in OPG dovranno essere destinati alle residenze ubicate nella loro regione di provenienza. Così come per la presa in carico dei soggetti non più pericolosi, pertanto, l’ambito territoriale è eletto a “sede privilegiata per affrontare i problemi della salute, della cura, della riabilitazione delle persone con disturbi mentali per il fatto che nel territorio è possibile creare un efficace sinergismo tra i diversi servizi sanitari, tra questi e i servizi sociali, tra le Istituzioni e la comunità”. Prende definitivamente corpo l’idea che la malattia mentale, anche per i socialmente pericolosi, possa essere affrontata seriamente soltanto nel contesto sociale di riferimento, unico terreno ove è possibile attivare un’efficace rete di servizi di salute mentale e attuare dei programmi realmente individualizzati di cura e reinserimento sociale.

A condizione, naturalmente, che le nuove residenze non si trasformino in nuovi OPG. La soluzione allestita dal legislatore per pervenire all’eliminazione degli ospedali psichiatrici, infatti, come è stato segnalato dagli studiosi più attenti e dalle associazioni impegnate sul tema, non è immune da rischi, sui quali ci si deve ora concentrare.

INCONGRUENZE E RISCHI DI UN’OCCASIONE. CONCLUSIONI Si è appena detto che il processo di superamento degli OPG non è immune da vizi. Da un punto di vista pratico, viene subito in mente la mancata armonizzazione della disciplina legislativa appena analizzata con le norme di ordinamento penitenziario che stabiliscono le competenze del magistrato di sorveglianza sugli ospedali psichiatrici giudiziari, ragion per cui è lecito interrogarsi sul destino di tale competenze anche in relazione a vicende elementari (le licenze, ad esempio).

IL PROCESSO DI SUPERAMENTO DEGLI OPG NON È IMMUNE DA VIZI

Penale


84 Queste incongruenze, certamente superabili in via ermeneutica, destano un’apprensione di tipo puramente applicativo. Il principale punto di debolezza della pur auspicata produzione legislativa appena esaminata, viceversa, attiene alle linee di fondo di una riforma che ha inteso intervenire “a valle” sul problema OPG e non “a monte”. Il legislatore, in sostanza, non ha messo mano al codice Rocco e ha lasciato invariate le disposizioni del codice penale in materia di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e di assegnazione a casa di cura e custodia, accontentandosi di trasformare soltanto i recinti murari degli OPG in nuove aree maggiormente ospedalizzate e meno degradanti. Il rischio maggiore è che, rimanendo invariata la legislazione, le nuove strutture regionali si trasformino in più piccoli e più vivibili OPG, con conseguente ulteriore tradimento dell’intenzione di mettere fine a ogni ipotesi di segregazione. In questo senso, dunque, si può parlare di un’occasione mancata, dal momento che ancora una volta non è stato affrontato il problema della attualità e della validità anche scientifica del doppio binario tra pena e misura di sicurezza, del principio di non imputabilità e dei meccanismi di accertamento della pericolosità sociale. Rimangono in piedi, dunque, nonostante alcuni tiepidi accorgimenti adottati o 4 suggeriti , tutti i dispositivi normativi che aprono le porte alla deresponsabilizzazione dell’infermo di mente autore di reato, alle proroghe delle misure di sicurezza senza termini, al c.d. ergastolo bianco. Vi è poi un ulteriore rischio. Nonostante il processo legislativo di superamento degli OPG sia una delle poche riforme in materia di giustizia con capitoli di spesa stanziati, la sensazione è che tutto il complesso della riforma possa funzionare a dovere 4 Va infatti osservato che la 12a Commissione permanente del Senato ha poi di recente approvato all’unanimità una risoluzione che propone, tra l’altro, di introdurre una disposizione volta a fissare la durata massima di permanenza nelle REMS, vietare che nelle medesime strutture possa aver luogo il ricovero provvisorio o l’applicazione provvisoria della misura ai sensi dell’art. 206 c.p.

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soltanto a patto di un massiccio investimento in Stato sociale, in particolare nel campo della sanità e dei servizi sociali. Se le nuove strutture delineate, così come i dipartimenti di salute mentale, dovessero continuare a sopravvivere tra continue riduzioni delle piante organiche e tagli di spesa, l’alternativa all’OPG sarebbe rappresentata da una sorta di azzardato abbandono a se stesso dell’infermo di mente socialmente pericoloso. Ne discenderebbero due pericoli: il primo legato all’insorgere tra l’opinione pubblica di meccanismi di paura e di reazione, con conseguente possibile veloce approdo a una fase politica di nuova “istituzionalizzazione” della malattia mentale; il secondo connesso alla possibilità di una nuova condanna all’invisibilità. È stato scritto, lucidamente, che «il panopticon è stato chiuso, ma, in sostituzione, si è imposto ai pazienti e ai loro familiari l’elmo di Ade. Secondo la mitologia greca, l’elmo di Ade, dio dell’oltretomba, rende invisibili. Se il panopticon era un dispositivo che imponeva il dover essere visti, l’elmo di Ade rappresenta il non poter essere visti, un dispositivo dell’invisibilità coatta» (Galofaro, 2011).

Il rischio maggiore è che, a legislazione invariata, le REMS si trasformino in più piccoli e vivibili OPG tradendo l’intenzione di mettere fine a ogni ipotesi di segregazione


85 Riferimenti bibliografici: Farina Coscioni M.A. (2011), Matti in libertà. L’inganno della “legge Basaglia”, Editori Internazionali Riuniti, Roma. Gordio F. (2013) Lo Stato della follia. Qui nessuno è libero (documentario). Lajolo D. (1979), Veder l’erba dalla parte delle radici, Rizzoli, Milano. Pugiotto A. (2013), La follia giuridica dell’internamento nei manicomi criminali, in Corleone F., Pugiotto A. (a cura di, 2013), Volti e maschere della pena. Opg e carcere duro, muri della pena e giustizia ripartiva, Ediesse, Roma. Galofaro F., (2011) Basaglia è morto. Dal panopticon all’Elmo di Ade, in “Alfabeta 2”, n. 8 2011, cit. in Magrelli V. (2011), il Sessantotto realizzato da Mediaset. Un Dialogo agli Inferi, Einaudi, Torino.

“…gli Ospedali psichiatrici giudiziari, autentico orrore indegno di un paese appena civile” Presidente Napolitano, Messaggio di fine anno del 31/12/2012

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86

Internati OPG - Prosciolti Capienza Istituto/sez. IP3

Regolamentare

Tollerabile

Presenza

Uomini

Donne

Totale

Uomini

Donne

Totale

Uomini

Donne

Totale

Castiglione delle stiviere (BB41)

96

42

138

100

55

155

82

38

120

Reggio nell'Emilia (BB12)

64

0

64

128

0

128

55

0

55

Montelupo Fiorentino (DD10)

39

0

39

51

0

51

43

0

43

Aversa "F. Saporito" (FF03)

106

0

106

130

0

130

39

0

39

Napoli "Sant'Eframo" (C/O C.C. Secondigliano Rep. Verde) (FF09)

25

0

25

30

0

30

21

0

21

Barcellona Pozzo di Gotto (HH08)

171

0

171

200

0

200

45

0

45

Totale sottosezione

501

42

543

639

55

694

285

38

323

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87

Internati OPG - Misure di sicurezza provvisorie Capienza Istituto/sez. IP3

Regolamentare

Tollerabile

Presenza

Uomini

Donne

Totale

Uomini

Donne

Totale

Uomini

Donne

Totale

Castiglione delle stiviere (BB41)

10

12

22

12

15

27

68

36

104

Reggio nell'Emilia (BB12)

25

0

25

50

0

50

27

0

27

Montelupo Fiorentino (DD10)

17

0

17

17

0

17

12

0

12

Aversa "F. Saporito" (FF03)

45

0

45

50

0

50

70

0

70

Napoli "Sant'Eframo" (C/O C.C. Secondigliano Rep. Verde) (FF09)

25

0

25

30

0

30

21

0

21

Barcellona Pozzo di Gotto (HH08)

32

0

32

39

0

39

37

0

37

Totale sottosezione

154

12

166

198

15

213

235

36

271

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COMUNICATO ANM-CONAMS SUGLI OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI L’Associazione Nazionale Magistrati e il Coordinamento dei Magistrati di Sorveglianza, esaminato il testo del disegno di legge di conversione del d.l. n. 52/2014, approvato dal Senato il 24/4/2014, formula le seguenti osservazioni. Con il dl n. 211/2011 conv. nella l. n. 9/12 si è proceduto alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) - chiusura rinviata alla fine di marzo 2015 - ma non alla loro abolizione, in quanto la misura del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, anche quella provvisoria nel corso delle indagini, continua a essere prevista, assieme alla nozione di pericolosità sociale e di non imputabilità che ne sono i presupposti, dal codice penale e di procedura penale. Tale normativa generale non è stata toccata dalla riforma che ha ad oggetto, com’è noto, il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, il cui modello penitenziario, frutto della stagione del positivismo, ormai da tempo non è più compatibile con la civiltà di un paese democratico e con i progressi e le migliori acquisizioni della moderna scienza giuridica, criminologica e psichiatrica. Va sottolineata la piena condivisione di tale importante intervento legislativo che prevede, finalmente, la sostituzione degli attuali OPG (il cui complessivo sistema non appare in linea con le esigenze di cura e con i principi di rispetto della dignità degli internati) con le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), da istituirsi su base regionale con una capienza massima di 20 posti, le quali saranno gestite interamente da personale sanitario, essendo prevalenti nello spirito della riforma le finalità di cura. Tanto premesso, si devono in ogni caso sottolineare le perplessità e le preoccupazioni che desta l’art. 1 lett.b) del testo approvato nella parte in cui svincola il giudizio di pericolosità sociale (che compete anche al gip nel momento dell’applicazione provvisoria della misura) dai parametri di cui all’ art. 133 c. 2 n.4, così derogando alle previsioni dell’ art. 203 c. 2 c.p. per il quale il giudizio di pericolosità sociale va

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desunto da tutte le circostanze indicate nell’art. 133 c.p.. Il giudizio di pericolosità potrà pertanto essere desunto esclusivamente dalle qualità soggettive della persona, vale a dire dalle sole condizioni biologiche, caratteriali e di salute psichica del soggetto, e non anche da quelle di vita individuale, familiare e sociale, condizioni che da sempre assumono importanza fondamentale nelle valutazioni della pericolosità sociale di tutti i soggetti siano o non siano essi infermi di mente. In base a tale disciplina, che espressamente nega rilevanza prognostica alla mancanza di progetti terapeutici individuali, la pericolosità sociale sarà legata in definitiva solo alla malattia, ove è palese il richiamo a teorie positivistiche il cui superamento, alla stregua delle più moderne teorie criminologiche e psichiatriche, si riteneva ormai patrimonio comune. Tali modifiche normative, ancorché dettate da buone intenzioni (evitare ulteriori proroghe della chiusura degli OPG e limitare il numero degli internamenti), finiscono tuttavia col realizzare forzature e incrinature di fondamentali categorie penalistiche, criminologiche e psichiatriche, senza una generale e meditata rivisitazione della materia. In conclusione si auspica la piena attuazione della l. n.9/12, il rapido completamento delle REMS sull’intero territorio nazionale senza ulteriori rinvii e, nel contempo, l’avvio di una seria riflessione per una revisione complessiva della materia, ivi compresi gli istituti dell’imputabilità e della pericolosità sociale, senza affrettate, riduttive e regressive reinterpretazioni che rispondono più a impulsi contingenti che a una sana logica sistematica. Roma, 29 aprile 2014 La Giunta Esecutiva Centrale dell’ANM Il Comitato Esecutivo del CONAMS

Penale


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LA STRUTTURA DELLA MOTIVAZIONE

NEI PROVVEDIMENTI GIUDIZIARI LIMITATIVI DELLA LIBERTÀ PERSONALE Bruno Giangiacomo Presidente aggiunto della sezione GIP del Tribunale di Bologna

La custodia cautelare si è venuta sviluppando all’interno del processo penale come un vero e proprio subprocedimento, caratterizzato da una sempre più spiccata autonomia sia dal punto di vista procedimentale che strutturale; uno sviluppo che ha riguardato i soggetti che partecipano al procedimento, la stessa struttura del procedimento, l’oggetto, le condizioni, le tipologie di strumenti cautelari ecc. Se si

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guarda agli ultimi venticinque anni, siamo passati dalla possibilità di emissione di provvedimenti cautelari da parte del PM in via del tutto autonoma, all’emanazione di essi da parte del giudice istruttore e del GIP, alla possibilità di ricorso al Tribunale del riesame, individuato come un organismo autonomo di controllo peculiare ed esclusivo sulle misure cautelari, all’intervento della persona offesa introdotto dalla legge sul c.d. femminicidio. Lo sviluppo del tema cautelare non poteva non avere riflessi anche sul profilo motivazionale e in proporzione è aumentata anche la motivazione; innanzitutto va rilevata la mutazione della genesi della misura, nel momento in cui l’adozione di essa impone una relazione tra due soggetti (chi la richiede e chi deve decidere sulla richiesta), s’impone inevitabilmente uno sviluppo motivazionale che risponda alla domanda e dia conto delle ragioni di accoglimento o reiettive (diversamente da quanto accadeva in precedenza con l’emanazione, una

Negli ultimi venticinque anni siamo passati dall’emissione di provvedimenti cautelari da parte del PM in via del tutto autonoma a quella da parte del giudice istruttore e del GIP volta solitaria, del provvedimento da parte del PM). Ancora, nel momento in cui s’introduce uno strumento impugnatorio nel merito di valutazione sulla misura cautelare si crea un’esigenza in capo all’organo decidente di rispondere all’impugnazione da un lato e dall’altra di rapportarsi all’ordinanza oggetto del gravame, di valutarla, interpretarla e a volte, se del caso, integrarla. Lo stesso dicasi per il giudizio della Corte Cassazione che risente inevitabilmente di questo sviluppo procedimentale già determinatosi sulla base dell’originaria richiesta del PM (basta guardare nei repertori e nelle riviste al numero di decisioni sempre più numeroso in materia di misure cautelari personali).

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Entrati dalla libertà con durata della permanenza fino a tre giorni, distinti per periodo di riferimento e nazionalità

Italiani % sul totale Stranieri % sul totale

Totale

% entrati fino Totale entrati a 3 giorni su dalla libertà totale

2011

8.914

51,1%

8.527

48,9%

17.441

76.982

22,7%

2012

4.341

49,7%

4.387

50,3%

8.728

63.020

13,8%

2013

4.016

47,5%

4.438

52,5%

8.454

59.390

14,2%

2014 (fino al 31 Marzo)

977

45,4%

1.175

54,6%

2.152

13.836

15,6%

Periodo di riferimento

Detenuti Presenti

Fonte: DAP - Ufficio per lo Sviluppo e la Gestione del S. I. A. - Sezione Statisticatemporanei dal valore indicato.

Altri fattori hanno concorso a prestare sempre più attenzione alle misure cautelari: uno sviluppo significativo della disciplina dei termini di custodia cautelare, della tipologia di reati che consentono le misure custodiali, dei requisiti per adottare la misura; una disciplina sempre più differenziata, specifica e precisa, che origina inevitabilmente questioni interpretative nella sua applicazione; una disciplina che spesso si è andata modificando nel corso degli anni con tutto quel che comporta in termini

Con la legge sul c.d. femminicidio si è giunti a inserire un ulteriore soggetto che può interloquire: la persona offesa

interpretativi (ad es. in materia di diritto transitorio). È inevitabile che per tutto questo vi sia stato un corrispondente sviluppo motivazionale. Non va dimenticata la novità dell’individuazione di tipologie diverse di misure custodiali, che hanno permesso di articolare in modo differenziato la necessità di soddisfare le varie esigenze cautelari che consentono l’adozione della misura (si pensi agli arresti domiciliari, un’assoluta novità all’epoca della sua introduzione, per arrivare alle ultime misure custodiali degli artt.282 bis e ter c.p.p.) e di conseguenza hanno determinato anche in questo caso un aggravio motivazionale. Inoltre, non si deve dimenticare che il giudizio cautelare non è solo quello conseguente alla richiesta di una misura, ma anche ciò che attiene al regime della misura stessa, alle sue variazioni

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o modifiche, ai termini ecc., per cui riguarda tutte le ordinanze che interessano il tema cautelare (anch’esse soggette al regime di controllo del Tribunale del riesame). Con la legge sul c.d. femminicidio si è addirittura giunti a inserire un ulteriore soggetto che può interloquire: la persona offesa (art. 299, commi 3 e 4 bis, c.p.p., a proposito di arricchimento di soggetti nella procedura); si tratta di una novità assoluta, la p.o., in generale parte non necessaria del procedimento e del processo, lo diventa sul tema cautelare, dal quale era sempre rimasta esclusa e l’omissione della sua partecipazione è prevista a pena di inammissibilità; può intervenire presentando memorie (nei due giorni successivi alla notifica). La novità si giustifica sulla base della peculiarità di misure coercitive che hanno la specifica caratteristica di voler tutelare non


93 un interesse generale della collettività (a non veder reiterato il reato), ma una persona ben precisa che è appunto la p.o. ed allora occorre consentire a questa di intervenire proprio sul tema cautelare adducendo ragioni utili a una decisione adeguata. Inoltre, un’attenzione particolare alla motivazione del provvedimento cautelare trova riscontro specifico nella Costituzione all’art.13, comma 2, la cui valenza anche simbolica è avvalorata dal fatto che già tutti i provvedimenti giurisdizionali per la Costituzione (art.111, comma 6) devono essere motivati. Nel codice di procedura penale questa attenzione si manifesta con la norma generale dell’art. 125 (le ordinanze devono essere motivate a pena di nullità) e più in specifico con l’art. 292, comma 2, lett.c) che sancisce tutto l’iter logico-argomentativo che il giudice deve esporre nell’ordinanza, norma riformata dalla l 332/95, che ha preteso che vengano presi in considerazione gli eventuali elementi forniti dalla difesa e le ragioni per cui doveva essere applicata la misura custodiale carceraria; la stessa legge ha introdotto il comma 2 ter che stabilisce a pena di nullità il deficit motivazionale dell’ordinanza circa la valutazione degli elementi a carico e a favore dell’imputato. Insomma, un’attenzione massima e costante del legislatore all’apparato motivazionale della misura custodiale personale. Il risultato evidente è stato appunto un vero e proprio subprocedimento all’interno del processo con sue regole peculiari, che ha prodotto il formarsi di una giurisprudenza di settore su provvedimenti che assumono sempre più caratteristiche di specificità, dettaglio, articolazione, simili a un provvedimento definitorio della fase processuale. Ma questo è il fenomeno che si è prodotto; la causa è che non v’è dubbio che anche la struttura del “nuovo” processo penale ha dato un contributo al frequente ricorso alla cautela personale, condizionando la normativa specifica che regola questa materia; un processo che pone limiti all’indagine e allunga i suoi tempi attraverso vari strumenti: un limite ai termini per le indagini preliminari, l’inutilizzabilità delle risultanze delle indagini preliminari nel dibattimento con la

necessità di rifare tutta l’attività d’indagine in quella fase processuale, che è il centro di raccolta della prova, un’udienza preliminare che può consentire di esperire ulteriori elementi d’indagine e lo stesso dicasi quando si celebra il giudizio abbreviato (con l’integrazione probatoria officiosa e non per niente la richiesta di giudizio abbreviato fa decorrere nuovi termini di custodia cautelare) e poi tre gradi di giudizio prima della sentenza definitiva; il tutto in presenza dell’obbligatorietà dell’azione penale. Se questo accade, è chiaro che le esigenze cautelari del pericolo di inquinamento della prova e di reiterazione dei reati si dilatano (il pericolo di fuga è meno significativo statisticamente e concettualmente) in conseguenza della distanza dal momento di raccolta effettivo della prova rispetto alle indagini preliminari e del differimento all’ultimo grado di giudizio della definitività della sentenza che consente l’esecuzione della pena; se le esigenze si accrescono in conseguenza del meccanismo processuale che dilata i tempi del processo, aumenta inevitabilmente la possibilità della custodia cautelare e quasi la necessità di far ricorso a essa.

Un’attenzione particolare alla motivazione del provvedimento cautelare trova riscontro specifico nella Costituzione all’art. 13, comma 2 Penale


94 L’effetto è: una forte strutturazione del provvedimento cautelare oggettiva e soggettiva e un aumento del ricorso alle misure cautelari e quindi più motivazioni con le caratteristiche già evidenziate di complessità; il tutto assicurato all’esito di un subprocedimento sorretto da garanzie, con l’istituzione di un giudice ad hoc e un sistema di incompatibilità. Sono in tal senso condivisibili le prospettive di riforma che viaggiano verso l’individuazione di un giudice collegiale competente per la decisione sulle misure cautelari, così da anticipare la tutela del Tribunale del riesame in termini di collegialità, ma con possibilità di appello in Corte; mentre più delicato è il tema dell’anticipazione del contraddittorio prima della decisione (nel nostro ordinamento previsto solo per l’arresto in flagranza e il fermo), peraltro non sconosciuto in altri ordinamenti. 2- Certo, il sistema pone anche dei limiti. Il giudizio cautelare è regolato dal principio della domanda del PM, per il quale il giudice non può andare ultra petita; nel caso specifico esso si connota di due aspetti peculiari e significativi: il potere selettivo del PM di adduzione degli atti a sostegno della richiesta (non ha il PM un obbligo di discovery) e per conseguenza l’assenza di un potere integrativo da parte del giudice di sopperire a deficienze cognitive del compendio probatorio sottoposto alla sua attenzione (fare l’esempio a me capitato della c.d. retrodatazione) e dire dell’ultima sentenza della Corte Costituzionale. È un giudizio a cognizione sommaria e a carattere accessorio (o eventuale). Ciò rende altresì perfettamente distinguibile il tema del procedimento cautelare rispetto al processo, la cui richiesta devolve al giudice interamente il materiale probatorio acquisito dal PM, salvo l’attività d’integrazione, consentendogli di attivare tutti i suoi poteri di supplenza istruttoria: artt.422, 441, 507 c.p.p., etc.; la sentenza della Corte Costituzionale, n.121 del 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.405 comma 1 bis c.p.p. e sottolineato con ampi argomenti la differenza tra il giudizio cautelare e il giudizio del processo (definendo questo secondo impermeabile al primo).

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È indubbio comunque che tutto questo possa limitare lo sviluppo motivazionale del provvedimento cautelare. 3- Ma in cosa consiste il giudizio cautelare? A questa domanda si può rispondere proprio con quanto detto dalla Corte Costituzionale nella sentenza citata. È un giudizio particolare rispetto a quello tipico della decisione finale del grado di giudizio del processo. È un giudizio che deve valutare gli elementi d’indagine preliminare acquisiti, un giudizio allo stato degli atti, ma lo deve fare nella prospettiva di una plausibilità (alta probabilità) della condanna. Un giudizio che guarda al passato, ma che è anche prognostico. Ciò non vale solo per la sussistenza dei gravi indizi, ma anche per la valutazione delle esigenze cautelari e specificamente per quella più frequentemente utilizzata, il concreto pericolo di reiterazione di fatti della stessa specie di quelli per cui si procede, tipico giudizio prognostico, che affonda le sue radici nel fatto per cui si procede e nei precedenti dell’indagato (giudizio rivolto al passato). È un giudizio particolare, non minore, che arriva, per quel che riguarda la gravità indiziaria, prima che il procedimento abbia raggiunto un grado di maturazione e di completezza e, quindi, non può essere espresso nel suo corredo motivazionale pensando che il procedimento sia completo. È un giudizio con caratteri di indubbia discrezionalità con riguardo alle esigenze cautelari; per fare un’equazione un po’ azzardata rispetto alla sentenza si può dire che la gravità indiziaria sta alle


95 esigenze cautelari come la responsabilità penale sta alla determinazione della pena. Di solito l’impianto motivazionale della sentenza è consistente sulla responsabilità, anoressico sulla pena, nell’irrogazione della quale pure si esalta la discrezionalità del giudice e lo stesso accade nelle motivazioni delle misure cautelari, dove a un’ampia disamina del tema della gravità indiziaria corrisponde una grande sintesi sul tema delle esigenze cautelari e dell’individuazione della misura. E questa dell’individuazione della misura più calibrata al caso concreto è una caratteristica che si è venuta acquisendo nella misura cautelare, poiché le misure hanno ora un carattere più personale, più rivolto a scongiurare l’effetto tipico del reato rivolto verso una specifica persona offesa; un carattere paracivilistico della misura coercitiva limitativa dei suoi effetti negativi non in via generale, ma specifica. Ma il giudizio cautelare ha anche un’altra caratteristica: deve essere sollecito (se non rapido); chi deve emettere il provvedimento si trova di fronte una richiesta che è frutto di un lavoro che può essere durato anche molti mesi (qualche volta anche anni), stratificatosi nel tempo, su cui il PM ha avuto il tempo di

attrezzarsi e operare le sue legittime e opportune valutazioni, mentre la decisione deve avvenire in tempi ristretti altrimenti si vanifica l’essenza stessa della richiesta cautelare; il giudice deve così penetrare in una realtà che, quando va bene, conosce poco per aver adottato altri provvedimenti in quel procedimento. Da qui il ricorso a motivazioni che possono rispondere a questa esigenza di rapidità, quali sono quelle per relationem; Giostra ha definito questa tipologia motivazionale espressione di “parassitismo giudiziario” e non è la sola, perché anche altri provvedimenti possono essere argomentati per relationem (il riferimento è, ad esempio, alle intercettazioni), ma, per altro verso, non si deve neanche incentivare una motivazione che costituisca una sorta di parafrasi della richiesta del PM, una motivazione che solo all’apparenza è autonoma, poiché la motivazione apparente è un’altra espressione di incongruità motivazionale sanzionata dalla giurisprudenza, in presenza di mere formule di stile, ripetizioni della lettera della legge, affermazioni apodittiche, insomma simulacri motivazionali, ordinanze vuote. La motivazione per relationem si discosta da questa situazione perché fa riferimento a un altro atto e la giurisprudenza ha fissato i paletti del possibile ricorso a essa: a) trasportare la motivazione non vuol dire eluderla, vuol dire trasferire l’obbligo motivazionale su un altro atto, che pertanto a quell’obbligo deve assolvere con le caratteristiche di congruità necessaria; b) l’atto richiamato deve essere conosciuto o conoscibile; c) il richiamo non può costituire un mero recepimento, ma dall’atto deve risultare perché il giudice lo ritenga recepibile.

DI SOLITO L’IMPIANTO MOTIVAZIONALE DELLA SENTENZA È CONSISTENTE SULLA RESPONSABILITÀ, ANORESSICO SULLA PENA

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Riversare nei provvedimenti cautelari interi pezzi di intercettazione è ammissibile, ma è necessaria la valutazione del giudice circa il significato di quelle conversazioni

Quest’ultimo è il momento più critico, che comporta gli aspetti di maggiore difficoltà, perché a quel punto il mero richiamo e il vaglio critico hanno prodotto, attraverso l’uso degli strumenti informatici, la motivazione col c.d. copia e incolla; ma anche in questo caso si deve sempre comprendere che il recepimento non sia stato meramente passivo, ma abbia avuto il vaglio critico di colui che emette l’atto (così specificamente l’ultima giurisprudenza in tema di riesame, dalla quale si devono evincere le ragioni che hanno portato il giudice ad aderire alla richiesta del PM). 7000 Una situazione tipica è quella 6000 che si presenta con il riversare nei provvedimenti cautelari interi 5000 pezzi di brani d’intercettazione; la cosa è sicuramente ammissibile, 4000 l’importante è che ad essa si 3000 affianchi la valutazione del giudice circa il significato di Nota: i dati relativi ai flussi sono 2000 quelle conversazioni (spesso soggetti ad assestamento, pertanto eventuali piccoli 1000 esse hanno un contenuto criptico) scostamenti nel tempo dai e la loro pregnanza rispetto alle valori inizialmente contestazioni elevate. forniti non devono essere Lo stesso dicasi laddove il considerati imprecisioni. giudice riproduca interi pezzi di atti, cosa che può essere anche comoda piuttosto che andarla a ricercare in mezzo a un consistente numero di Non sembra, nel momento in cui venga soddisfatto carte; l’importante anche in questo caso è che vi il requisito dell’obbligo di motivazione da parte sia il vaglio critico di quegli atti, pur aderendo alle dell’atto cui si rinvia e questo sia conoscibile. argomentazioni proposte dal PM, che, se adeguate, Pertanto, può dirsi che l’interpretazione data ben possono essere recepite, spiegandone le dalla Cassazione sui limiti di ammissibilità della ragioni e non utilizzando semplici formule di stile motivazione per relationem nei provvedimenti (anche se a volte il contenuto motivazionale può cautelari personali costituisca un buon punto essere assolutamente soddisfacente). di equilibrio, volto da un lato a censurare il Vi è poi la motivazione per relationem di secondo parassitismo giudiziario e dall’altro a consentire grado, per cui la richiesta del PM è già essa quell’essenzialità motivazionale che rifugga da stessa recettiva di altra richiesta o informativa comode e inutili parafrasi di atti già emanati. della Polizia giudiziaria; vi è ostacolo in questo 4- Da ultimo, va valutato che il diritto internazionale caso all’applicazione della giurisprudenza della non ha smentito (e si potrebbe dire che ha Cassazione sulle condizioni di ammissibilità della avvalorato) questo sistema cautelare; infatti, da un motivazione per relationem? lato, la Corte europea dei diritti dell’uomo non ha

Entrati distinti per durata della permanenza Serie mensile

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97 censurato l’Italia con riguardo al tema della custodia cautelare e, dall’altro, la legge sul mandato di arresto europeo (la 69/2005) consente di allargare i confini di efficacia del sistema di carcerazione preventivo italiano. Il MAE è oggi uno strumento attivo e ormai piuttosto diffuso e quando si è nella procedura attiva di consegna vi è comunque la necessità di rispettare certi requisiti per ottenere il risultato positivo che l’adozione del provvedimento vuole conseguire.

alla sentenza di I grado e dopo di questa non vi sono più termini. Il tema della motivazione dei provvedimenti cautelari costituisce per le ragioni esposte uno snodo sempre più importante del processo penale, a cui tutti i protagonisti di esso devono prestare particolare attenzione, ma alla base della sua definizione e struttura e, quindi, della sua espansione o contrazione, vi sono opzioni che spettano al legislatore; la scelta sinora è stata quella di dilatare

IL TEMA DELLA MOTIVAZIONE DEI PROVVEDIMENTI CAUTELARI COSTITUISCE UNO SNODO SEMPRE PIÙ IMPORTANTE DEL PROCESSO PENALE

4 e oltre Il sistema del MAE è fondato sulla fiducia massima tra gli Stati membri circa la loro regolamentazione in questo settore, ma ciò non toglie che il sistema per essere esportato deve avere quei requisiti minimi di riconoscibilità di garanzie offerte dallo Stato che richiede la custodia col MAE, contenuti nell’art.30 della L.69/2005. Da qui la rispondenza a questi criteri di sistemi diversificati, come quello tedesco, che preferisce apporre termini brevi di custodia cautelare, ma sostanzialmente sempre prorogabili, perché alla scadenza di essi, è lo stesso giudice che deve valutare la permanenza dei motivi che giustificano la misura; oppure, come quello francese, che arresta i termini massimi di custodia cautelare

il processo cautelare, renderlo efficace, rispetto a un processo penale che soffre di tempi lunghi. Forse è il caso di ribaltare questa logica o prospettiva: una maggiore attenzione generale ai tempi del processo penale, privandolo anche di qualche tabù che fa parte solo della nostra cultura giuridica, può riservare al tema cautelare una collocazione più ridimensionata di quella attuale.

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98 Detenuti presenti al 31/12/13 Principali tipologie di reato Associazione di stampo mafioso Tu stupefacenti Legge armi Ordine pubblico Contro il patrimonio

Prostituzione Contro la pubblica amministrazione Incolumita' pubblica Fede pubblica Moralita' pubblica Contro la famiglia

Contro la persona

Contro la personalita' dello stato Contro l'amministrazione della giustizia Economia pubblica

Contravvenzioni Tu immigrazione Contro il sentimento religioso Altri reati

Dettaglio reati

Altri reati Associazione per delinquere Furto Rapina Estorsione Sequestro di persona Danni a cose, animali, terreni, ecc. Truffa Appropriazione indebita Ricettazione Insolvenza fraudolenta Violenza, resistenza, oltraggio, ecc. Peculato, malversazione, ecc. Omissione d'atti d'ufficio, ecc. Strage Altri reati Falsita' in monete Falsita' in sigilli Falsita' in atti e persone Atti osceni Pubblicazioni e spettacoli osceni Violazione obblighi assistenza familiare Maltrattamenti in famiglia Bigamia, incesto, ecc. Interruzione della gravidanza Omicidio volontario Infanticidio Omicidio preterintenzionale Omicidio colposo Percosse Lesioni personali volontarie Lesioni personali colpose Altri reati Violenza privata minaccia Violenze sessuali Atti sessuali con minorenne Corruzione di minorenne Prostituzione minorile Pornografia minorile Detenzione materiale pornografico (sfruttamento dei minori) Turismo finalizzato allo sfruttamento dei minori Ingiurie e diffamazioni Frode nell'esercizio del commercio Vendita sostanze alimentari non genuine Arbitraria invasione aziende Bancarotta Emissione di assegni a vuoto

Fonte: DAP - Ufficio per lo Sviluppo e la Gestione del S. I. A. - Sezione Statistica

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Detenuti italiani

Detenuti stranieri

Totale detenuti per reato

6.670 14.541 9.522 69 2.198 8.733 13.417 6.772 356 2.147 1.258 291 9.761 719 198 4.491 314 379 198 1.263 327 427 2.525 126 3 170 1.365 64 13 7.275 7 143 123 151 6.580 148 261 5.241 2.007 572 82 106 89 89

74 9,732 968 10 908 4.798 4.647 735 190 705 107 23 2.457 42 682 3.043 32 20 11 195 121 119 1.591 49 2 30 486 23 22 2.100 1 69 56 81 4.084 81 286 2.001 1.343 107 9 244 10 7

6,744 24,273 10,490 79 3.106 13.531 18.064 7.507 546 2.852 1.365 314 12.218 761 880 7.534 346 399 209 1.458 448 546 4.116 175 5 200 1.851 87 35 9.375 8 212 179 232 10.664 229 547 7.242 3.350 679 91 350 99 96

1 405 98 5.716 9 1 234 406 4 3.578 102 997 3.068

1 120 32 1.112 1 0 12 9 0 687 1,072 107 207

2 525 130 6.828 10 1 246 415 4 4.265 1.174 1.104 3.275


99 % detenuti per reato su totale complessivo detenuti (*) di cui condannati

% condannati su totale % stranieri su totale detenuti per reato detenuti per reato

Detenuti italiani

Detenuti stranieri

Totale detenuti

3.813 15.990 7.246 67 2.099 10.289 12.316 4.785 403 2.248 1.199 294 9.371 483 586 5.698 245 297 180 1.103 362 485 3.705 135 5 185 1.035 72 19 6.414 6 173 152 181 7.739 187 438 5.092 2.526 552 75 231 60 66

56,5 65,9 69,1 84,8 67,6 76,0 68,2 63,7 73,8 78,8 87,8 93,6 76,7 63,5 66,6 75,6 70,8 74,4 86,1 75,7 80,8 88,8 90,0 77,1 100,0 92,5 55,9 82,8 54,3 68,4 75,0 81,6 84,9 78,0 72,6 81,7 80,1 70,3 75,4 81,3 82,4 66,0 60,6 68,8

1,1 40,1 9,2 12,7 29,2 35,5 25,7 9,8 34,8 24,7 7,8 7,3 20,1 5,5 77,5 40,4 9,2 5,0 5,3 13,4 27,0 21,8 38,7 28,0 40,0 15,0 26,3 26,4 62,9 22,4 12,5 32,5 31,3 34,9 38,3 35,4 52,3 27,6 40,1 15,8 9,9 69,7 10,1 7,3

16,4 35,7 23,4 0,2 5,4 21,5 33,0 16,6 0,9 5,3 3,1 0,7 24,0 1,8 0,5 11,0 0,8 0,9 0,5 3,1 0,8 1,0 6,2 0,3 0,0 0,4 3,4 0,2 0,0 17,9 0,0 0,4 0,3 0,4 16,2 0,4 0,6 12,9 4,9 1,4 0,2 0,3 0,2 0,2

0,3 44,5 4,4 0,0 4,2 22,0 21,3 3,4 0,9 3,2 0,5 0,1 11,2 0,2 3,1 13,9 0,1 0,1 0,1 0,9 0,6 0,5 7,3 0,2 0,0 0,1 2,2 0,1 0,1 9,6 0,0 0,3 0,3 0,4 18,7 0,4 1,3 9,2 6,1 0,5 0,0 1,1 0,0 0,0

10,8 38,8 16,8 0,1 5,0 21,6 28,9 12,0 0,9 4,6 2,2 0,5 19,5 1,2 1,4 12,0 0,6 0,6 0,3 2,3 0,7 0,9 6,6 0,3 0,0 0,3 3,0 0,1 0,1 15,0 0,0 0,3 0,3 0,4 17,1 0,4 0,9 11,6 5,4 1,1 0,1 0,6 0,2 0,2

1 430 104 5.752 10 1 131 378 4 3.398 677 918 2.815

50,0 81,9 80,0 84,2 100,0 100,0 53,3 91,1 100,0 79,7 57,7 83,2 86,0

50,0 22,9 24,6 16,3 10,0 0,0 4,9 2,2 0,0 16,1 91,3 9,7 6,3

0,0 1,0 0,2 14,1 0,0 0,0 0,6 1,0 0,0 8,8 0,3 2,5 7,5

0,0 0,5 0,1 5,1 0,0 0,0 0,1 0,0 0,0 3,1 4,9 0,5 0,9

0,0 0,8 0,2 10,9 0,0 0,0 0,4 0,7 0,0 6,8 1,9 1,8 5,2

(*) si ottiene rapportando il numero dei detenuti per reato con il totale complessivo dei detenuti

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IL TRIBUNALE PER L’IMPRESA:

LE RAGIONI DELLA SCELTA POLITICA E LA RIFLESSIONE SULL’ADEGUATEZZA DI UN SISTEMA SPECIALIZZATO PER IL RILANCIO DELLA COMPETITIVITÀ NEL MODERNO DIRITTO D’IMPRESA

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103 Gli approfondimenti dedicati al diritto civile prendono l’avvio da un settore di enorme attualità: il diritto dell’impresa al tempo dei conflitti sociali, delle imprese senza passaporto e, non ultime, delle piccole e medie imprese a radicamento familiare. La questione della produttività e della competitività imprenditoriale merita di essere guardata con occhi nuovi, aperti a tutte le realtà imprenditoriali, poiché si spazia dalla scena nazionale, per approdare a uno scenario ben più vasto, nel quale le imprese proiettano le proprie scelte (per lo più) fuori dai confini nazionali. Si assiste a un fenomeno imprenditoriale assai variegato; accanto a imprese ancora ben radicate sul territorio, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, si pongono le nuove imprese senza passaporto (o forse con molti passaporti): l’esempio di Fiat è significativo. Oggi Fiat è diventata FCA (FIAT Chrysler Automobiles), è un produttore globale di automobili con sede legale nei Paesi Bassi, sede fiscale nel Regno Unito, mercato borsistico a Wall Street, un assetto proprietario aperto e azionisti di ogni parte del mondo, sedi operative principali in Italia e USA, impianti in svariati paesi nel mondo e filiali commerciali ancora più diffuse. In questo mutato scenario imprenditoriale, la questione della produttività assume nuove caratteristiche, finora inedite, che impongono di guardare alla competitività come a una vera e propria competizione multipla, che si gioca su più tavoli, non solo all’interno del territorio nazionale ma anche tra Stati e – per lo più – in materia fiscale e di diritto societario. Il legislatore pare essersi ispirato a una politica industriale di ampio respiro, volta a rendere l’Italia un luogo adatto a fare impresa per le imprese; la direzione è stata quella di incentivare la produttività con l’intento di rimuovere le inefficienze della pubblica amministrazione, le lentezze della burocrazia, e soprattutto quelle della giustizia. Significativo il recente caso dell’imprenditoria romagnola nel settore della ceramica, che, in dieci mesi, ha aperto uno stabilimento di trentamila metri quadrati in Tennessee contro dieci anni per ottenere il permesso per un ampliamento dello stabilimento di Rimini. Le ragioni dell’ambiziosa scelta politica, correlata alla recente istituzione del Tribunale delle Imprese – salvo poi constatare che non di “Tribunale” si tratta ma di “sezioni specializzate” – risiede proprio nel mutato assetto imprenditoriale e nell’esigenza di rendere il territorio nazionale più appetibile per gli investitori, italiani ed esteri, con l’obiettivo di far sì che l’Italia torni a essere il luogo adatto a fare impresa senza il predominio della burocrazia e della lentezza della giustizia. La legge n. 27/2012, di conversione del d.l. n. 1/2012, ha così istituito le sezioni specializzate in materia di impresa presso i Tribunali e le Corti d’Appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, nonché presso il Tribunale e la Corte d’Appello di Brescia e Catania, delineando una competenza “concentrata tendenzialmente per regione” nei tre gruppi di materie della proprietà industriale (e affini), delle controversie “societarie” relative a società di capitali e cooperative e dei contratti pubblici di appalto ove sia parte una società di capitali o una cooperativa. La moderna creazione delle sezioni d’impresa non costituisce un’assoluta novità nel panorama giuridico italiano. È sufficiente ricordare che la recente istituzione del Tribunale delle Imprese riprende, sia pure in parte, la filosofia dell’originaria proposta di riforma della giurisdizione in materia societaria, formulata agli inizi di questo secolo dalla c.d. Commissione Mirone (successivamente ripresa anche dalla Commissione Rovelli), non recepita dal testo definitivo delle legge delega n. 366 del 2001 di riforma del diritto e del processo societario. Tale proposta partiva dall’intenzione di dare vita a un modello di giudice specializzato, stabilmente inserito nella struttura dei Tribunali delle città sedi delle Corti d’Appello con una competenza in materia societaria, bancaria e finanziaria, di concorrenza, brevetti e segni distintivi dell’impresa, e, con alcune eccezioni, in materia fallimentare e concorsuale. Tale proposta non fu recepita nel corso dell’iter parlamentare di approvazione della legge di riforma del diritto societario (legge n. 5 del 2003), preferendosi affidare tutte queste materie alla competenza del giudice ordinario in composizione collegiale.

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104 Un cammino nel mondo delle imprese (e nelle controversie che coinvolgono le società di medie e di grandi dimensioni) si è rivelato dunque necessario nell’attuale contesto sociale ed economico; la riflessione sull’avvio delle sezioni d’impresa e sull’idoneità del modello legislativo, ivi comprese le soluzioni organizzative prescelte all’interno dei vari uffici giudiziari, ci è sembrata inevitabile proprio alla luce del mutato concetto di competitività. È questa una prima tappa di approfondimento, che ci ripromettiamo di coltivare anche nel futuro, ove perverranno contributi e idee in tal senso. Abbiamo deciso di intraprendere il viaggio nel mondo del diritto processuale d’impresa, partendo proprio dalla riflessione sull’adeguatezza o meno delle sezioni specializzate a raffronto con il mutato quadro di riferimento culturale e sociale, nonché dalla constatazione della pluralità di modelli organizzativi sparsi sul territorio nazionale, i quali, se per un verso, sono volti a facilitare e adattare lo schema di legge alle variegate realtà territoriali, per altro verso rischiano di creare uffici non omogenei e diseguali sotto il profilo dell’efficienza e della funzionalità, forse impedendo alle sezioni per l’impresa di divenire qualcosa di realmente “nuovo” nell’ambito nell’articolazione interna dei singoli Tribunali. Negli uffici di maggiori dimensioni è infatti prevalso il modello organizzativo che ripartisce le competenze del Tribunale delle Imprese su due diverse sezioni: l’una che si occupa della proprietà industriale e intellettuale (oltre che dell’antitrust) e l’altra che è specializzata in materia societaria (entrambe le sezioni, poi, sono investite delle cause in materia di appalti pubblici). Il limite di tale assetto organizzativo è piuttosto evidente e deriva dal fatto che, sulla base di questo modello, le sezioni specializzate hanno finito per divenire una fotografia dell’esistente ovvero una mera copia della ripartizione tabellare con cui, già nel passato, erano attribuite alle sezioni dei grandi uffici le competenze che oggi sono riservate al Tribunale delle Imprese. (cfr. sugli aspetti organizzativi parere del Consiglio Superiore della Magistratura sul d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», reso con delibera consiliare del 22 febbraio 2012). La scelta legislativa di ricorrere al criterio della specializzazione sollecita poi ulteriori riflessioni di fondo su come determinate materie, caratterizzate da una particolare complessità tecnica, abbiano effettivamente la necessità di uffici e, prima ancora, di giudici iper-specializzati, che trattino i temi del diritto e dell’economia per una risposta di giustizia qualitativamente molto elevata e per favorire la reale competitività delle imprese sul mercato. Non sono mancate le voci critiche, paventando il rischio che, attraverso il potenziamento della specializzazione dei giudici, si possa mettere in discussione il principio della equi- ordinazione dei magistrati (che si distinguono solo per le funzioni esercitate), l’unico a rendere effettiva la garanzia di accesso paritario alla giustizia da parte di tutti i cittadini. Per non tacere sulla creazione di una sorta di giustizia a doppia velocità: da un lato protagonisti e attori di prima serie (le imprese di medie e grandi dimensioni); dall’altro protagonisti e attori di rango inferiore (le piccole imprese a conduzione familiare), ricondotti a un ruolo minoritario di comparse insignificanti in ragione della minor possidenza. Ancora, la legge ha messo insieme materie tanto diverse tra loro senza soddisfare un elementare, quanto sentita, aspettativa di completezza e di coerenza interna del disegno normativo. Così, per fare degli esempi: le nuove sezioni specializzate si devono occupare solo di alcune tipologie di controversie in materia societaria; hanno competenza su una parte, ben delimitata, delle cause in tema di appalti pubblici (quelli di rilevanza comunitaria); conoscono delle liti in materia di proprietà industriale, ma non di quelle che hanno ad oggetto la cosiddetta concorrenza sleale non interferente (e cioè la concorrenza sleale che non presenta profili di connessione con la materia dei marchi e dei brevetti). Il giudice specializzato, quasi in modo paradossale, è investito di un’enorme e disomogenea fetta di contenzioso, nella quale tuttavia non rientrano le controversie relative alle società di persone, quelle in materia di contratti commerciali, le procedure legate all’insolvenza civile, le controversie relative al recupero dei crediti. Si rifletta dunque sul dato, tutto italiano, ove le PMI (piccole e medie imprese per lo più costituite da società

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105 di persone), essenzialmente su base familiare, costituiscono una realtà numericamente molto significativa. Lo studio delle loro storie in tempo di crisi economica evidenzia come sia urgente una giustizia veloce ed efficiente modellata in prevalenza anche su tali imprese, molto spesso costrette al fallimento, con una grave ferita inferta alla dinamicità complessiva del sistema. Un’estensione delle competenze delle sezioni specializzate, oltre a conferire all’intervento legislativo una connotazione più alta (consentendole di assurgere al rango di vera e propria riforma “di sistema”), avrebbe forse evitato molte delle questioni tecniche destinate a proliferare laddove la delimitazione dell’area di competenza di magistrati specializzati sia poco chiara (in quanto non ritagliata su interi blocchi omogenei di materie). La riforma è ancora troppo recente per poterne valutare e apprezzare l’efficacia e i limiti. Un dato è certo: essa si basa sulla ben nota clausola della “invarianza finanziaria” ed è stata avviata “a costo zero”, senza prevedere adeguate dotazioni strutturali e risorse umane. La risposta che ci permettiamo di offrire è che la ripresa economica può e deve passare anche attraverso il quadro normativo, purché lo si adatti alla propria realtà, alla propria storia, ai propri costumi; da qui l’interrogativo, che non vuole essere una desolante mancanza di speranza, ma un’attenta apertura alle dinamiche sociali dalle quali spesso il diritto scaturisce: “Le misure introdotte dal legislatore saranno utili per accrescere la competitività delle imprese in un paese con scarsa propensione all’imprenditorialità o con imprenditorialità ancora modellata su impresa di piccola dimensione?” In questo contesto, avere lasciato fuori dalla dinamica processuale (per così dire privilegiata e accelerata) le piccole realtà, rende certamente molto elevato il rischio di dinamiche distorsive di politica economica, identificate con l’espressione inglese beggar thy neighbour (impoverisci il tuo vicino): una sorta di gioco al rubamazzo, destinato in Italia alla marginalizzazione delle piccole e delle medie imprese che costituiscono ancora gran parte del tessuto imprenditoriale. L’ultima novità legislativa nel diritto delle imprese riguarda, infine, il fenomeno delle imprese a dimensione transnazionale ed è costituita dall’avere creato, a partire dal febbraio di questo anno, un’ulteriore specializzazione nelle controversie in cui è parte una società con sede estera, incentrando dinanzi a undici sezioni le controversie riguardanti tali società (decreto «Destinazione Italia» n. 145/2013 convertito definitivamente in legge n. 9/2014 con pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 43 del 21.2.2014). Tale nuova competenza territoriale si applica a tutti i giudizi civili incardinati dopo il 22 febbraio 2014 riguardanti le cause già di competenza del Tribunale delle Imprese elencate nel novellato art. 3 del decreto legislativo 27.6.2003 e successive modificazioni. La novità legislativa si inserisce nel solco della politica legislativa di cui si è detto, correlandosi alle attuali esigenze di competitività e di rilancio dell’imprenditoria. La novità introduce, sul piano procedurale, un’ulteriore differenziazione nel quadro delle sezioni specializzate di impresa, introducendo competenze territoriali ancora più ristrette (solo 11 sezioni) dedicate al fenomeno delle società estere. I giudici non mancheranno certo di fare la propria parte nella materia del diritto commerciale altamente specializzato; ciò tuttavia non esime dall’amara notazione che un giudice specializzato “a costo zero”, con competenze per blocchi incompleti e disomogenei di materie e con territori differenziati (si pensi alla società con sede estera), possa non essere la strada giusta per vincere la sfida della competitività al tempo dei conflitti sociali, delle imprese senza passaporto e, non ultime, delle piccole e medie imprese a radicamento familiare. Luisa De Renzis Comitato di redazione - Componente del CDC dell’ANM

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IL TRIBUNALE DELLE IMPRESE

Paolo Criscuoli Giudice del Tribunale di Palermo

Nell’ottobre del 2013 il presidente della Banca Centrale Europea, nel corso di una lezione di economia politica internazionale tenuta presso la Harvard Kennedy School, ha dichiarato che «l’Europa è attualmente impegnata in un profondo processo di riforma. Molte di queste riforme stanno avvenendo all’interno degli Stati membri dell’Unione europea per rendere le finanze pubbliche più sostenibili; per rendere le loro economie più competitive; e per rafforzare i 1 bilanci delle loro banche nazionali» . Riforme, dunque, che hanno anche quale obiettivo quello di rendere l’economia maggiormente 2 competitiva , e cioè di «creare un ambiente in cui le condizioni istituzionali e macroeconomiche 3 permettono alle imprese produttive di prosperare» . Tra le citate condizioni istituzionali che concorrono ad aumentare la competitività di un sistema 1 “L’Europa cerca una ‘Unione più perfetta’”, Lezione di Mario Draghi, presidente della BCE, alla Harvard Kennedy School, Cambridge (USA) , 9 ottobre 2013, pubblicata sul sito www.europeancentralbank. wordpress.com 2 Sulla perdita di competitività dell’economia nazionale si veda “Audizione del Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato Professor Giovanni Pitruzzella presso la X Commissione del Senato nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sulla competitività delle imprese italiane” del 17.1.2012, sul sito www. agcm.it 3 “La politica e il ruolo della Banca centrale europea durante la crisi nella zona euro”; intervento di Mario Draghi, presidente della BCE, presso la Katholische Akademie in Bayern, Monaco di Baviera, del 27 febbraio 2013.

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107 economico vi è, sicuramente, l’efficienza del sistema giudiziario. Per misurare detto indice sono solitamente valutati la durata media dei procedimenti e, con particolare riferimento al settore commerciale, i tempi di accertamento e di realizzazione dei crediti delle imprese, nonché la capacità del sistema di garantire un apprezzabile grado di certezza del diritto e una tendenziale uniformità delle decisioni. In tal senso un recentissimo studio di autori del 4 Fondo Monetario Internazionale ha individuato, tra le cause dell’inefficienza del sistema giudiziario italiano, tanto l’incertezza dell’esito dei procedimenti, quanto l’eccessivo numero di autorità 5 di primo grado ; elementi questi che influenzano, poi, sia la durata dei giudizi, che l’uniformità degli indirizzi interpretativi. In tale contesto, tra le riforme finalizzate a migliorare le condizioni istituzionali per “fare impresa” vi sono, quantomeno secondo l’intendimento del legislatore, sia quella che nel 2012 ha previsto il 6 c.d. “Tribunale delle Imprese” , sia quella che, ancor più recentemente, ha previsto il c.d. “Tribunale delle 7 società con sede all’estero” . 4 «Judicial System Reform in Italy - A Key to Growth», di G. Esposito, S. Lanau e S. Pompe, WP /14/32, febbraio 2014, rinvenibile sul sito istituzionale all’indirizzo http://www.imf.org/Judicial System Reform in Italy. 5 Già il legislatore comunitario aveva, con riferimento agli strumenti di tutela del marchio comunitario, invitato gli Stati Membri a individuare un numero “per quanto possibile ridotto” di autorità di prima istanza competenti a conoscere dette controversie; si veda art. 91 del Regolamento (CE) del Consiglio del 20.12.1993, poi divenuto articolo 95 del Reg. (CE) n.207/2009 del Consiglio del 26.2.2009. 6 Trattasi del d.l. n.1 del 24 gennaio 2012 poi convertito con modifiche con la l. n. 27 del 24 marzo del 2012. 7 L’articolo 10 del d.l. n.145 del 23 dicembre 2013, convertito in l. 21 febbraio 2014, n. 9, rubricato «Tribunale delle società con sede all’estero» ha modificato l’articolo 4 del d.lgs. 27 giugno 2003 n. 168.

Del resto, a conferma di quanto sopra circa la finalità dei predetti interventi di riforma, nella relazione introduttiva al d.l. n. 1 del 24 gennaio 2012 si leggeva: «la giustizia civile, imbrigliata dalla lentezza dei processi, ostacola il corretto funzionamento dei mercati»; l’obiettivo, dunque, era «ridurre i tempi di definizione delle controversie in cui è parte una società di medio/grandi dimensioni, aumentando in tal modo la competitività di tali imprese sul mercato». Se queste erano le finalità dell’intervento – rimuovere uno degli ostacoli al corretto funzionamento dei mercati – occorre verificare, in concreto, previa analisi degli strumenti individuati dal legislatore per perseguire i predetti obiettivi, l’impatto sull’ordinamento di dette novelle, tenendo, al contempo, conto delle risorse concretamente 8 destinate a tal fine .

8 Opportunamente, tra i primi commenti, M. Tavassi «Dalle Sezioni specializzate della proprietà industriale e intellettuali alle Sezioni specializzate dell’impresa», in Corriere Giuridico, Milano, 8-9, 2012, pag. 1116 richiamava il parere della Commissione Giustizia del Senato ove si suggeriva la valutazione delle ricadute sul funzionamento degli uffici giudiziari in assenza di interventi legislativi volti ad adeguare l’organico e le strutture organizzative. Critica il mancato accertamento dei carichi e dei flussi al momento della individuazione delle sedi delle sezioni specializzate, G. Casaburi, «Liberalizzazioni e Sezioni Specializzate», in Diritto Industriale, Milano, 1, 2012 pag. 14.

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IL C.D. TRIBUNALE DELLE IMPRESE9 Il d.l. 24 gennaio 2012 n.1, recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, convertito, con 10 modificazioni, con la l. n.27 del 24 marzo del 2012 11 , come noto, ha previsto l’istituzione , modificando il testo del decreto legislativo n. 168 che nel 2003 aveva introdotto le sezioni specializzate in materia 12 di proprietà industriale ed intellettuale , delle “Sezioni specializzate in materia di imprese” presso determinati Tribunali e Corti di Appello, individuando per dette sezioni una specifica competenza tanto per territorio, quanto per materia in deroga ai criteri ordinari previsti dal codice di rito. Forse ozioso immorare, ancora oggi, sulle opportune critiche mosse dalla dottrina in ordine all’utilizzo da parte del legislatore del termine “Tribunale delle Imprese” laddove, come sopra accennato, la novella ha più semplicemente e diversamente istituito delle sezioni specializzate e in taluni casi ha, di fatto, solo modificato quelle già esistenti in alcune sedi 13 giudiziarie italiane .

SEZIONI IMPRESA SUL TERRITORIO NAZIONALE

TRENTO MILANO TORIN O

GENOVA

BRESCIA

VE

BOLOGNA

FIRENZ E

PE

RO 9 Tra i commenti si veda anche Santagada «Sezioni specializzate per l’impresa, accelerazione dei processi e competitività delle imprese», su www.judicium. it, nonché V. Sena, «Sezioni specializzate», in Riv. di Dir. Ind., 2012, I, 114. 10 Pubblicata in G.U. 24 marzo 2012, n.71, Suppl. ord. n. 53. 11 L’art. 2 del predetto decreto era rubricato «Tribunale delle imprese”. 12 Trattasi del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, in G.U. n.159 del 11 luglio 2003. 13 Si sottolinea la differenza tra la rubrica e il testo dell’articolo in «Prima glossa al d.l. 24.1.2012 n. 1, in Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza», a cura di L.C. Ubertazzi, Padova, 2012, 3108; nonché M.A.Iuorio «Il Tribunale delle Imprese» in www.judicium.it che nomina il primo paragrafo del predetto contributo :«Il “Tribunale delle imprese” un nome di solo immagine?» ed, ancora, in «Liberalizzazioni e sezioni specializzate», di G. Casaburi, in Dir. Ind., n.1/2012, pagg. 12 e ss., Milano.

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CAGLIARI


109 Del resto il legislatore, verosimilmente intento a tenere conto degli effetti di tali interventi sugli investitori stranieri, ha, purtroppo, manifestato, quanto all’utilizzo di termini non proprio puntuali, una certa, ci si passi il termine, recidività rubricando l’art.10 del d.l. 23 dicembre 2013, n. 14 145 “Tribunale delle società con sede all’estero”, laddove ha, anche in tal caso, più limitatamente apportato ulteriori modifiche alle norme relative alle attribuzioni delle già citate sezioni specializzate in materia di imprese. Fatta, dunque, per quanto possibile, chiarezza terminologica, si analizzano, ora, gli aspetti salienti della novella del 2012, prima, e, in termini rapidissimi in ragione dei termini connessi alla pubblicazione del presente contributo, di quella del 2014, poi, individuando le regole in tema 15 di competenza per materia e per territorio . Le materie di competenza delle predette sezioni sono elencate nel citato articolo 3 del decreto n. 168/2003 ove, oggi, si legge:

TRIESTE

ENEZIA

ANCON A

ERUGIA

L’AQUILA

OMA CAMPOBASSO BARI

NAPOLI POTENZA

«Le sezioni specializzate sono competenti in materia di: a) controversie di cui all’articolo 134 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e successive modificazioni; b) controversie in materia di diritto d’autore; c) controversie di cui all’articolo 33, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287; d) controversie relative alla violazione della normativa antitrust dell’Unione europea. 2. Le sezioni specializzate sono altresì competenti, relativamente alle società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, e titolo VI, del codice civile, alle società di cui

CATANZARO

PALERMO

REGGIO CALABRIA

CATANIA

14 Recante «Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015», pubblicato in GU n.300 del 23.12.2013, poi convertito con modificazioni dalla l. 21 febbraio 2014, n. 9 (in G.U. 21/2/2014, n. 43). 15 Opportuno precisare che dette norme si applicano ai giudizi instaurati dal 20.9.2012.

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al regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, e di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, nonché alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società costituite all’estero, ovvero alle società che rispetto alle stesse esercitano o sono sottoposte a direzione e coordinamento, per le cause e i procedimenti: a) relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni di cui agli articoli 2445, terzo comma, 2482, secondo comma, 2447-quater, secondo comma, 2487-ter, secondo comma, 2503, secondo comma, 2503-bis, primo comma, e 2506-ter del codice civile;

Le controversie trattate dalle sezioni specializzate: in tema di diritto industriale e diritto d’autore, quelle inerenti al diritto antitrust e quelle in materia societaria La Magistratura - Anno LXIII - Numero 1 - 2

b) relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti; c) in materia di patti parasociali, anche diversi da quelli regolati dall’articolo 2341-bis del codice civile; d) aventi ad oggetto azioni di responsabilità promosse dai creditori delle società controllate contro le società che le controllano; e) relativi a rapporti di cui all’articolo 2359, primo comma, numero 3), all’articolo 2497-septies e all’articolo 2545-septies del codice civile; f) relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte una delle società di cui al presente comma, ovvero quando una delle stesse partecipa al consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i contratti siano stati affidati, ove comunque sussista la giurisdizione del giudice ordinario. 3. Le sezioni specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2». Le controversie che saranno trattate dalle predette sezioni specializzate possono, in estrema sintesi, ricondursi a tre grandi aree: le controversie in tema di diritto industriale e diritto di autore [I comma, lett. a) e b)], quelle inerenti il diritto antitrust [I comma, lett. c) e d)] e quelle in materia societaria (II comma). A dette aree si aggiunge poi, seppur per un assai limitato ambito, una competenza, ove possibile,


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ancor più disomogenea, in tema di contratti pubblici. Trattasi, in dettaglio, con riferimento a quest’ultima tipologia di controversie, di quelle relative ai contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di 16 rilevanza comunitaria dei quali sia parte una delle società di cui al citato comma 2 (e sulle quali si tornerà di seguito) ovvero dei quali sia parte un consorzio o un raggruppamento temporaneo, partecipati da una delle predette società, ferme le norme in tema di riparto di giurisdizione. Quanto al primo ambito di materie – controversie in tema di proprietà industriale e diritto di autore – facile notare come, rispetto alle previsioni relative alle sezioni specializzate della proprietà industriale e intellettuale, non vi sono state modifiche.

16 A decorrere dal 1° gennaio 2014, per effetto del Regolamento della Commissione dell’Unione europea n. 1366 del 13 dicembre 2013, pubblicato nella G.U.U.E. L 335/17 del 14 dicembre 2013, le soglie di rilevanza comunitaria degli appalti pubblici sono fissate negli importi di: Euro 5.186.000 per gli appalti e le concessioni di lavori pubblici; Euro 134.000 per gli appalti pubblici di forniture e di servizi aggiudicati dalle autorità governative centrali nei settori ordinari; Euro 207.000 per gli appalti pubblici di forniture e di servizi aggiudicati dalle altre stazioni appaltanti nei settori ordinari; Euro 414.000 per gli appalti pubblici di forniture e servizi nei settori speciali; Euro 207.000 per gli appalti pubblici di forniture aggiudicati dal Ministero della Difesa, aventi ad oggetto prodotti non menzionati nell’allegato V al Codice degli appalti pubblici.

17 È stato, però, opportunamente rilevato che il richiamo espresso dell’art. 134 del codice della proprietà industriale non può che condurre l’interprete, al fine di avere piena contezza dell’oggetto e del novero delle predette “materie”, 18 a un rinvio alla definizione dei «diritti di proprietà industriale» contenuta nell’art. 1 del predetto codice.

Critiche, sostanzialmente unanimi, ha mosso la dottrina, sotto tale profilo, in relazione al mancato inserimento, tra le controversie devolute alle sezioni specializzate, di quelle in tema di concorrenza sleale c.d. pura, e cioè quelle neanche indirettamente interferenti con diritti di 17 M. Tavassi in «Dalle Sezioni specializzate della proprietà industriale e intellettuali alle Sezioni specializzate dell’impresa», cit; 18 Opportuno rammentare che il predetto art. 134 del Codice della proprietà industriale recita «Sono devoluti alla cognizione delle sezioni specializzate previste dal decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168: a) i procedimenti giudiziari in “materia di proprietà industriale” e di concorrenza sleale, con esclusione delle sole fattispecie che non interferiscono, neppure indirettamente, con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale, nonché in materia di illeciti afferenti all’esercizio dei diritti di proprietà industriale ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e degli articoli 81 e 82 del Trattato che istituisce la Comunità europea, la cui cognizione è del giudice ordinario, e in generale in materie che presentano ragioni di connessione, anche impropria, con quelle di competenza delle sezioni specializzate;...»

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112 19 proprietà industriale . In ordine al secondo settore di materie, le controversie in materia antitrust, la novella ha profondamente e opportunamente inciso rispetto al precedente assetto normativo. È stata, infatti, abrogata la competenza, in unico grado di merito, della Corte d’Appello competente per territorio per le cause definite come «controversie di cui all’articolo 33, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287», e cioè quelle inerenti le «azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione di cui ai titoli dal I al IV» della predetta legge. L’attuale assetto normativo prevede, quindi, la competenza, in primo grado, delle citate sezioni specializzate tanto per dette controversie, quanto «per quelle relative alla violazione della normativa antitrust dell’Unione europea». Detto ultimo intervento è assai apprezzabile poiché, recependo le osservazioni tanto della dottrina quanto della stessa Autorità Garante 20 per la Concorrenza e per il Mercato , concentra dinanzi alla medesima autorità cause che, spesso connesse, erano, sino all’introduzione della novella, di competenza del Tribunale, quanto alla violazione delle previsioni degli artt. 101 e 102 del TFUE, e della Corte d’Appello quanto alla l.287/1990.

19 Per tutti si rinvia P. Celentano, «Le Sezioni Specializzate in materia d’impresa» in Società, 2012, 7, 805 il quale richiama condivisibilmente «le difficoltà che si frappongono ad una precisa distinzione delle prime dalle seconde, stante la genericità del concetto di interferenza, per di più indiretta», anche a seguito dei primi arresti della Suprema Corte sul punto; Cass. 18 maggio 2010, n. 12153, in CED Cass. civ., rv. 61366. 20 Modifica espressamente richiesta da ultimo il 17.1.2012 nel corso della “Audizione del Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato Professor Giovanni Pitruzzella presso la X Commissione del Senato nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sulla competitività delle imprese italiane”, sul sito www.agcm.it

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In ordine alla terza area di controversie, inerenti 21 le “cause” e i “procedimenti” in tema di rapporti societari, va, in primo luogo, precisato che detti giudizi, quanto ai soggetti, devono concernere società di capitali, incluse le cooperative e le società europee, ovvero società di persone soggette a direzione e coordinamento da parte di una società di capitali ovvero esercitanti direzione e coordinamento nei confronti di una società di capitali. Quanto all’oggetto devono riguardare, in primo luogo, i rapporti endosocietari, definibili quali i rapporti che traggono origine dal contratto 22 di società , le partecipazioni sociali, i patti parasociali, le azioni di responsabilità, anche promosse dai creditori delle controllate, e i giudizi relativi ai rapporti di direzione e coordinamento. 21 Termine che consente di estendere la competenza anche ai procedimenti cautelari e, soprattutto, ai procedimenti di volontaria giurisdizione riferibili ai «rapporti societari». 22 Così MONTANARO, Commento sub art. 1, in ARIETA-DE SANTIS (a cura di), Commentario dei processi societari, Torino, 2007, 15.


113 Attenta dottrina, con riferimento alle controversie inerenti i rapporti societari, vi ha incluso, alla luce di una piena interpretazione del dato normativo, anche: i procedimenti relativi al recesso o all’esclusione dei soci; i procedimenti di cui all’art. 2409 c.c.; le opposizioni dei creditori alle trasformazioni eterogenee delle società di capitali loro debitrici ovvero alle trasformazioni eterogenee in società di capitali dei consorzi, delle società consortili, delle comunioni d’azienda, delle associazioni riconosciute e delle fondazioni loro debitrici, di cui all’art. 2500 novies, comma 2, c.c.; ogni impugnativa da parte dei soci, degli amministratori o dei sindaci delle deliberazioni o decisioni degli organi sociali che non importino modificazioni dell’atto costitutivo; le azioni di responsabilità promosse, ai sensi dell’art. 2497, comma 1, c.c., dai soci di società sottoposte all’attività di direzione e coordinamento di altri enti nei confronti di questi ultimi; le impugnative delle decisioni degli arbitratori cui sia affidata la risoluzione di contrasti sulla gestione delle società a norma dell’art. 37, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5; le controversie tra il socio

di una cooperativa e quest’ultima «relative alla 23 prestazione mutualistica» . Con riferimento al novero delle controversie devolute alla predetta Sezione, non può non concordarsi con quella dottrina che ha colto l’assoluta singolarità dell’inclusione delle controversie in tema di contratti pubblici e l’evidente differenza di specializzazione connessa alle tre aree sopra indicate; a ciò si aggiunga, come notato, la poco comprensibile mancata devoluzione di controversie assai omogenee a quelle previste, quali quella in tema di abuso di dipendenza economica, di pubblicità ingannevole e comparativa ex d.lgs. 2.8.2007 n.145 ovvero in tema di pratiche commerciali scorrette di 24 cui al d.lgs. 6.9.2005 n. 206 . Da ultimo merita attenzione la previsione contenuta nel terzo comma del citato articolo 3 in 25 ordine alla connessione . 23 P. Celentano, cit. Lo stesso autore esclude, al contempo, le controversie tra l’amministratore o il sindaco e la società in relazione al pagamento del compenso, in considerazione della causa petendi – rapporto contrattuale – del tutto distinta da quella afferente la immedesimazione organica del soggetto operante verso terzi. 24 In tal senso M. Tavassi, cit. 25 Per comodità se ne riporta il testo «3. Le sezioni specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2».

ASSOLUTA SINGOLARITÀ DELL’INCLUSIONE DELLE CONTROVERSIE IN TEMA DI CONTRATTI PUBBLICI

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114 Va, in primo luogo, rilevato che detto comma non era presente nel d.l. n.1/2012 risultando, invece, dal testo finale di conversione in legge. Il legislatore, del tutto verosimilmente, ha, sul punto, cercato di tenere conto, tanto delle indicazioni della dottrina, che auspicava il superamento dell’incertezza sui rapporti tra le sezioni specializzate e le sezioni ordinarie dello 26 stesso ufficio giudiziario , quanto del Consiglio Superiore della Magistratura che, con la delibera del 27 22 febbraio del 2012 , sul punto aveva osservato: «sarebbe opportuno esplicitamente prevedere che, in caso di proposizione di domande diverse nello stesso giudizio, di cui una soltanto di competenza del tribunale delle imprese, prevalga sempre la competenza della sezione specializzata». Con riferimento a tale ultimo profilo va, però, rilevato che tale previsione, in assenza di indicazioni in ordine ai profili di connessione rilevanti, se, da un lato, appare espressione del favor per l’attrazione delle controversie dinanzi al Giudice specializzato, 28 consentendo un simultaneus processus altrimenti precluso, rischia, però, dall’altro, di inficiare il dichiarato intento specializzante 26 G. Casaburi, pag. 15, cit. 27 Trattasi del parere in riscontro alla Nota in data 14 febbraio 2012 del Ministro della Giustizia, con la quale trasmette copia del Decreto Legge 24 gennaio 2012 n. 1: «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», per il parere previsto dall’art. 10, della Legge 24 marzo 1958, n. 195 ove al riguardo si leggeva: «Ulteriore rilievo sul piano della ripartizione della competenza è quello relativo all’assenza della disciplina delle ipotesi di connessione tra controversie devolute alle sezioni specializzate con contenziosi c.d. “ordinari”: la conseguenza sarebbe l’applicazione delle regole ordinarie del codice di procedura civile (art. 40 c.p.c.) che potrebbe condurre a soluzioni difformi in dipendenza del caso concreto». 28 Derogando, quindi, ai principi generali in base ai quali le varie modificazioni della competenza per ragioni di connessione non sono possibili quando la modificazione dovrebbe riguardare una competenza per materia o per territorio inderogabile o funzionale; cfr. Cass. Civ., Sez. 6 - 3, Ord. n. 9447 del 18 aprile 2013.

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sotteso al provvedimento, estendendo eccessivamente il novero delle controversie 29 attratte verso le sezioni specializzate . Non incide, invece, direttamente, la predetta norma sulla prima delle questioni sopra poste in merito alle natura dei rapporti tra le sezioni specializzate e le sezioni ordinarie del medesimo ufficio ovvero se trattasi di questioni di competenza o di mera ripartizione interna degli affari. Al riguardo, va ricordato che la Suprema Corte, sul punto, ha, ormai in più occasioni, statuito, seppur con riferimento alla precedente normativa relativa alle sezioni specializzate della proprietà industriale ed intellettuale, che «la ripartizione delle funzioni tra le sezioni specializzate (come quella in materia di proprietà intellettuale) e le sezioni ordinarie del medesimo tribunale non implica l’insorgenza di una questione di competenza, attenendo piuttosto alla distribuzione degli affari giurisdizionali all’interno dello stesso ufficio. Ne consegue che, ove il tribunale ordinario abbia impropriamente dichiarato la propria incompetenza per essere competente la sezione specializzata presso lo stesso ufficio, ovvero abbia dichiarato la propria competenza negando quella della predetta sezione specializzata, è inammissibile il regolamento di competenza proposto avverso la suddetta pronuncia, trattandosi di questione concernente la ripartizione degli affari all’interno 30 dello stesso ufficio» . Critica tale orientamento, siccome l’assenza di elementi di chiarificazione nella novella in esame, 31 parte della dottrina che, anche al fine di garantire il rispetto della ratio legis, rileva come, richiamando 29 Potrebbero ritenersi attratte alla competenza delle sezioni specializzate anche le domande connesse soggettivamente oltre quelle che presentano una connessione oggettiva impropria per identità di questione. 30 Così Cass. Civ., Sez. 6 - 1, Ord.n. 24656 del 22 novembre 2011; nonché Cass. Civ., Sez. 6 - 1, Ord. n. 21668 del 20 settembre 2013. 31 M. Tavassi, pag.1118, cit.; nonché, da ultimo, sul punto Cass. Civ., Sez. 6 - 3, Ord. n. 14782 del 12 giugno 2013.


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anche la giurisprudenza della Suprema Corte in tema di rapporti tra il Tribunale e la Sezione Agraria aventi la medesima sede, sia ben possibile configurare una 32 questione di competenza in ragione del tasso di specializzazione, dell’autonomia funzionale degli uffici e della peculiare estensione della competenza per territorio. Argomenti, questi, del resto pure rafforzati dall’espressa previsione, recentemente introdotta nel corpo del comma 1 bis dell’articolo 4, sulla competenza per territorio, della “inderogabilità” della competenza, seppur con riferimento ai soli Tribunali delle società con sede all’estero.

COMPETENZA PER TERRITORIO A mente dei commi 1 e 1 bis dell’art. 1 del d.lgs. 168/2003 le sezioni specializzate in materia di 32 Si rinvia per una lucidissima e puntualissima disamina delle due tesi, da ultimo, G. Casaburi, «Inammissibile l’appello proposto genericamente alla Corte avverso una sentenza resa dalle sezioni della proprietà industriale», sul sito www.il quotidianogiuridico.it, ed. 4.3.2014, in commento alla Sent. 20.2.2014 della Corte d’Appello di Napoli – Sezione Specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale che ha aderito alla tesi che ravvede una questione di competenza e non di riparto degli affari all’interno del medesimo ufficio quella tra le sezioni ordinarie e le sezioni specializzate.

impresa «sono istituite presso i tribunali e le corti d’appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma,Torino, Trieste e Venezia…»; «sono altresì istituite...presso i tribunali e le corti d’appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, ove non esistenti nelle città di cui al comma 1». È, inoltre, istituita la predetta Sezione presso il Tribunale e la Corte d’Appello di Brescia, mentre per il territorio della Valle d’Aosta è competente la Sezione istituita presso il Tribunale ovvero la Corte d’Appello di Torino. Da ultimo, col d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con modificazioni dalla l. 21 febbraio 2014, è stata istituita la sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale e della Corte d’Appello (sezione distaccata) di Bolzano. Il legislatore, dunque, ha creato una nuova competenza sostanzialmente coincidente, per la maggior parte delle controversie, con i confini regionali, ad eccezione della Lombardia, della Sicilia e del Trentino Alto Adige e con esclusione, 33 come detto, della Valle d’Aosta .

33 In conclusione le predette sezioni sono presenti a: Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Brescia, Cagliari, Campobasso, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova, L’Aquila, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Potenza, Roma, Torino, Trento, Trieste e Venezia.

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116 Da ciò consegue che le controversie di cui all’articolo 3, le quali, secondo gli ordinari criteri di ripartizione della competenza territoriale e nel rispetto delle normative speciali che le disciplinano, dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nel territorio di una regione, saranno assegnate alla Sezione specializzata avente sede nel capoluogo di regione. Alle sezioni specializzate istituite presso i Tribunali e le Corti d’Appello non aventi sede nei capoluoghi di regione sono assegnate le controversie che dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nei rispettivi distretti di Corte d’Appello. Tale scelta legislativa, pure auspicata dal Consiglio Superiore della Magistratura, che nel citato parere del febbraio del 2012 aveva rilevato che l’originaria individuazione delle sezioni specializzate per le imprese solo negli uffici ove erano già presenti le sezioni specializzate per la proprietà industriale rischiava «di creare difficoltà di accesso alla tutela giurisdizionale, soprattutto per i soggetti meno “forti” e per coloro che risiedono in determinate aree geografiche», appare, invero, in chiaro contrasto con la necessità di mirare a una tendenziale uniformità di indirizzi su materie connotate da elevato tasso di tecnicismo e con la connessa necessità di specializzazione dei magistrati addetti alle sezioni. Troppe le sezioni specializzate istituite a fronte, per la maggior parte delle stesse, di carichi che non ne giustificano l’istituzione. Si osservi del resto, con riferimento ai timori mostrati dal CSM, che, tenuto conto della natura delle controversie di competenza delle sezioni, pare assai poco verosimile che la presenza di 12 o, ancora meglio, di “solo” 9 sezioni specializzate sul territorio nazionale, oggi, peraltro in epoca di PCT, 34 possa concretamente costituire un ostacolo all’accesso alla giurisdizione. 34 Si veda anche Cass. Civ., Sez. U, Sent. n. 10143 del 20 giugno 2012 per gli effetti della indicazione della pec nell’atto dell’ avvocato, il quale esercita il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del Tribunale al quale è assegnato.

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BREVISSIMI CENNI SUL C.D. TRIBUNALE DELLE SOCIETÀ CON SEDE ALL’ESTERO 35 Il legislatore, con recentissimo intervento , è nuovamente tornato sulle competenze delle 36 sezioni specializzate . Ferme le considerazioni già svolte in ordine al tenore 37 della rubrica dell’articolo 10 del d.l. 23 dicembre 38 2013, n. 145, la novella ha modificato ulteriormente le regole inerenti la competenza territoriale delle predette sezioni specializzate per le controversie «nelle quali è parte, anche nel caso di più convenuti 35 Decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145, «Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas […], convertito con modificazioni dalla l. 21 febbraio 2014, n. 9 (in G.U. 21/2/2014, n. 43). 36 Tra i primi commenti si veda M. Farina, «Brevi note sul Tribunale delle società con sede all’estero (art. 10 d.l. 145/2013)», in www.judicium.it, nonché G. Casaburi, «La novellazione infinita del Tribunale delle imprese», in www.ilquotidianogiuridico.it. 37 «Tribunale delle società con sede all’estero». 38 Applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dal 22 febbraio 2014.


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ai sensi dell’articolo 33 del codice di procedura civile, una società, in qualunque forma costituita, con sede all’estero, anche avente sedi secondarie con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato». Ed infatti, per le controversie già menzionate nell’art. 3 del d.lgs. 168/2003 ove è parte uno dei soggetti appena sopra citati, sono «inderogabilmente competenti»: 1) «la sezione specializzata in materia di impresa di Bari per gli uffici giudiziari ricompresi nei distretti di Bari, Lecce, Taranto (sezione distaccata), Potenza; 2) la sezione specializzata in materia di impresa di Cagliari per gli uffici giudiziari ricompresi nei distretti di Cagliari e Sassari (sezione distaccata); 3) la sezione specializzata in materia di impresa di Catania per gli uffici giudiziari ricompresi nei distretti di Caltanissetta, Catania, Catanzaro, Messina, Palermo, Reggio Calabria; 4) la sezione specializzata in materia di impresa di Genova per gli uffici giudiziari ricompresi nei distretti di Bologna, Genova; 5) la sezione specializzata in materia di impresa di Milano per gli uffici giudiziari ricompresi nei distretti di Brescia, Milano; 6) la sezione specializzata in materia di impresa di Napoli per gli uffici giudiziari ricompresi nei distretti di

corte d’appello di Campobasso, Napoli, Salerno; 7) la sezione specializzata in materia di impresa di Roma per gli uffici giudiziari ricompresi nei distretti di Ancona, Firenze, L’Aquila, Perugia, Roma; 8) la sezione specializzata in materia di impresa di Torino per gli uffici giudiziari ricompresi nel distretto di Torino; 9) la sezione specializzata in materia di impresa di Venezia per gli uffici giudiziari ricompresi nei distretti di Trento, Bolzano (sezione distaccata), Trieste, Venezia; 9-bis) la sezione specializzata in materia di impresa di Trento per gli uffici giudiziari ricompresi nel distretto di Trento, fermo quanto previsto al numero 9-ter); 9-ter) la sezione specializzata in materia di impresa di Bolzano per gli uffici giudiziari ricompresi nel territorio di competenza di Bolzano, sezione distaccata della Corte di Appello di Trento». Non può non rilevarsi che il legislatore, forse recependo le osservazioni della dottrina in ordine all’eccessivo numero delle sezioni specializzate, ha concentrato dinanzi a “solo” 11 sezioni le controversie, oggettivamente già di competenza delle stesse, in relazione al profilo soggettivo di una delle parti dei giudizi.

COMPOSIZIONE E PROFILI ORDINAMENTALI Il legislatore, con riferimento alla composizione e alle regole operative delle predette sezioni, ha posto pochi principi che, poi, hanno trovato, in parte e per quanto possibile, dettaglio nelle previsioni contenute nella normazione secondaria adottata dal Consiglio Superiore della Magistratura. In via generale può osservarsi che, a mente del n.3 dell’art. 50 bis del codice di procedura civile, «il Tribunale giudica in composizione collegiale…nelle 39 cause devolute alle Sezioni specializzate» .

39 Si veda in tal senso anche l’ordinanza del Tribunale di Milano Sezione Specializzata in materia di imprese “B” del 25.11.2013 che ha dichiarato inammissibile un ricorso proposto ex art. 702 bis c.p.c., pubblicata in www.giurisprudenzadelleimprese.it

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118 A ciò si aggiunga che, comunque, parte delle controversie devolute alla Sezione specializzata erano già previste, sotto altri profili, nel predetto articolo 50 bis c.p.c. Ciò posto, va rilevato che il legislatore ha espressamente prescritto, per dette sezioni specializzate, la dotazione di un presidente di Sezione che è direttamente titolare, con riferimento alle sole materie di cui all’articolo 3 del d.lgs. 168/2003, delle competenze già riservate dalla legge al presidente del Tribunale ovvero al 40 presidente della Corte d’Appello . Abrogata, invece, 1a previsione, originariamente introdotta nel 2003 con riferimento alle sezioni specializzate per la proprietà industriale, relativa al numero minimo di giudici; sul punto è esclusivamente previsto dalla norma primaria che le stesse siano composte da magistrati «dotati di 41 specifiche competenze» . Al contempo, in chiara considerazione della profonda differenza in termini di carichi, flussi e di pendenze tra le diverse sezioni presenti sul territorio nazionale, in ragione del contesto economico in cui operano, è espressamente disciplinata, al comma secondo dell’art.2 del citato d.lgs., la facoltà dei Capi degli Uffici di assegnare «ai giudici delle sezioni specializzate anche la trattazione di processi diversi, purché ciò non comporti ritardo nella trattazione e decisione dei giudizi in materia di impresa». Il Consiglio Superiore della Magistratura, quindi, con la delibera del giorno 11 luglio 2012, ha dettato la disciplina secondaria inerente le predette sezioni e, al contempo, ha modificato la Circolare del 27 luglio 2011 sulla formazione delle tabelle di

organizzazione degli uffici giudicanti. A tal fine ha, in primo luogo, espressamente indicato in 5 il numero minimo di Giudici da destinare alle citate sezioni. L’organo di autogoverno della magistratura, inoltre, prendendo atto, da un lato, della profonda differenza sussistente nei vari uffici sedi di sezioni specializzate in termini di flussi e di pendenze, e, dall’altro, della disomogeneità intrinseca delle controversie attribuite alle predette sezioni, ha, assai opportunamente, previsto, con riferimento alle modifiche tabellari da apportare negli Uffici, più modelli organizzativi alternativi. Il Consiglio Superiore della Magistratura, ribadendo una scelta già operata nella Circolare per la formazione delle Tabelle in tema di responsabilizzazione dei Capi degli Uffici e di discrezionalità loro riconosciuta nella gestione della organizzazione dell’ufficio, dopo aver chiarito che le sezioni specializzate in materia di impresa non erano automaticamente sovrapponibili alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, ove presenti, ha individuato tre distinti modelli: il primo prevedeva una Sezione unica con collegi specializzati, formati da giudici che si occupavano delle controversie indicate dal legislatore in materia esclusiva o concorrente con altre materie; il secondo prevedeva l’accorpamento delle due sezioni che si occupavano verosimilmente, da un lato, delle controversie societarie e, dall’altro, delle controversie industriali con istituzione di due collegi, ciascuno dei quali presieduto da uno dei due presidenti delle sezioni accorpate; il terzo prevedeva il mantenimento delle due sezioni

40 Cfr. l’articolo 5 del citato decreto legislativo ove, sotto la rubrica «Competenze del Presidente della sezione specializzata», si legge «Nelle materie di cui all’articolo 3, le competenze riservate dalla legge al Presidente del tribunale e al Presidente della corte d’appello spettano al Presidente delle rispettive sezioni specializzate». 41 Sull’apprezzamento mostrato anche dal mondo imprenditoriale in merito alla specializzazione dei magistrati si veda anche la Circolare Assonime 19/2012 in Riv. delle Società, pag. 1047 del 2012.

Il legislatore non è riuscito a realizzare una compiuta riforma

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119 che già si occupavano delle materie attribuite alla competenza della nuova sezione specializzata, con assegnazione delle funzioni di coordinamento a 42 uno dei due presidenti di sezione .

Così, seppur in estrema sintesi, ricostruita la disciplina delle sezioni specializzate in materia di impresa, non può non rilevarsi che il legislatore pare aver colto alcuni aspetti necessari per innovare il sistema giudiziario e, con esso, il grado di competitività dell’economia non riuscendo, però, a realizzare una compiuta riforma. L’istituzione delle predette sezioni, infatti, seppur assai timidamente, riduce, per talune materie incidenti sul funzionamento del mercato, il numero delle autorità giudiziarie competenti a conoscerne le relative controversie, riduzione ulteriormente

perseguita con l’introduzione della speciale disciplina per le società con sede all’estero, mirando, al contempo, alla specializzazione del 43 Giudice addetto alle stesse . Non possono, però, tacersi alcune delle criticità direttamente ovvero indirettamente correlate alle novelle in esame che rischiano, al contempo, di rendere arduo il perseguimento dei citati obiettivi. In primo luogo, va sottolineato che l’individuazione di un numero così elevato di sezioni specializzate sul territorio nazionale si pone in chiara antitesi con l’obiettivo di uniformare gli indirizzi e di concentrare i procedimenti dinanzi a un numero ridotto di uffici. Al contempo tale scelta, in particolare con riferimento alle sezioni che saranno interessate da ridotti flussi di controversie, non garantirà un sicuro tasso di specializzazione dei magistrati, ai quali, necessariamente, saranno assegnate anche un importante numero di controversie relative ad altre

42 Il CSM, con delibera del 5.12.2012, rispondendo a un apposito quesito, ha escluso la possibilità di ripartire le competenze della sezione specializzata tra tre o più sezioni, paventando il rischio di una eccessiva frammentazione della specializzazione “di settore”.

43 Sulla necessità, in generale, della specializzazione dei magistrati si rinvia al fondamentale «La professionalità dei magistrati ed avvicendamento: specializzazione ed avvicendamento», R. Rordorf, Foro It., 2000, V, 269 e ss.

CONCLUSIONI

IL CSM HA PREVISTO PIÙ MODELLI ORGANIZZATIVI

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Il legislatore ha concentrato davanti a “solo“ 11 sezioni le controversie, in relazione al profilo soggettivo di una delle parti dei giudizi

materie. Proprio tale aspetto inerente la specializzazione del magistrato, pone, comunque, in capo alla magistratura il compito di garantire la presenza, nelle predette sezioni, di giudici dotati di specifiche competenze. Per fare ciò occorre intervenire, anche, sulla formazione dei magistrati. Se, infatti, è attualmente forte l’attenzione della Scuola Superiore della Magistratura, anche su impulso della Commissione europea che finanzia taluni progetti di formazione del “giudice comunitario”, alla formazione (rectius all’aggiornamento) dei magistrati che già compongono le predette sezioni, con previsione di numerosi corsi a loro dedicati, al contempo, pare opportuno tenere conto della formazione dei magistrati che, domani, comporranno le predette sezioni. All’uopo, oltre ad apparire assai opportuno che i Capi degli Uffici tengano conto, nel gestire la mobilità interna dell’ufficio, della necessità di introdurre nuove risorse nelle predette sezioni scadenzando nel tempo l’avvicendarsi dei magistrati – evitando quindi un

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contestuale tramutamento della maggior parte ovvero di tutti i giudici “specializzati” e, quindi, una dispersione del patrimonio della Sezione – va rilevato che la Scuola Superiore della Magistratura potrebbe aprire, sin da ora, la partecipazione ai corsi di formazione, abitualmente destinati ai magistrati che già compongono le predette sezioni, anche a magistrati che, al momento della partecipazione al corso, non sono già incardinati presso dette sezioni, ma che aspirano a esserlo. Quanto sopra vale, in particolar modo, sino a quando resterà fermo l’attuale vincolo di permanenza decennale nella stessa posizione tabellare. In conclusione, come avviene per la gran parte delle riforme, è opportuno invitare ad attendere ancora qualche mese, a settembre del 2014 si compirà il secondo anno di attività delle predette sezioni, per verificare presso ogni Tribunale o Corte ove le stesse sono state istituite i flussi, le pendenze e l’indice di ricambio dei fascicoli. Appare innegabile che solo un costante monitoraggio


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di tali dati consentirà alle predette sezioni, per quanto afferente i profili ordinamentali, di operare al meglio, in un’ottica di complessivo ragionevole bilanciamento dei carichi tra le varie sezioni di ciascun Ufficio. Fastidioso concludere osservando che, per espressa previsione normativa, «l’istituzione delle sezioni specializzate non comporta incrementi di dotazioni 44 organiche »; previsione che, a scanso di equivoci, è stata, sostanzialmente, riproposta anche al terzo 45 comma del d.l. c.d. «Destinazione Italia» . La specializzazione del magistrato, la celere definizione dei procedimenti e la tendenziale uniformità degli indirizzi non possono concretamente realizzarsi se non affidando a ciascuna Sezione specializzata, a ciascun collegio e a ciascun giudice 44 Art. 1 comma 1 bis d.lgs. 163/2003. 45 «Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. All’attuazione del presente articolo le amministrazioni provvedono nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente».

relatore un numero di procedimenti compatibile col 46 tasso di complessità delle materie . Per fare ciò è necessario, si dica senza timori, investire in risorse e, auspicabilmente, definire i carichi esigibili di ciascun magistrato, anche per riscoprire a fondo il valore della collegialità.

46 Si rinvia sul punto a quanto osservato dal CSM nella citata delibera del luglio 2012 ove si legge: «Ritiene il Consiglio di dovere ribadire l’esigenza di un aumento delle piante organiche degli uffici interessati dalla riforma ovvero di una riorganizzazione degli stessi». Si noti del resto che nella relazione illustrativa del d.l. 1.2012 la invarianza dell’organico era correlata all’individuazione, tra le controversie in materia societaria da assegnare alle sezioni specializzate, solo di quelle relative alle spa ovvero alle società di accomandita per azioni e non già di quelle, ben più numerose, relative alle srl, poi pure devolute in sede di conversione alla predette sezioni.

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LA COMPETENZA PER TERRITORIO E PER MATERIA

DELLE SEZIONI SPECIALIZZATE IN MATERIA DI IMPRESA: PROFILI PROBLEMATICI Le sezioni hanno una competenza territoriale più ampia rispetto a quella degli uffici giudiziari presso cui sono incardinate

Guido Romano Giudice del Tribunale di Roma

L’art. 2 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, in l. 24 marzo 2012, n. 27, sotto la rubrica «Tribunale delle imprese», ha istituito la nuova figura delle sezioni specializzate in materia di impresa, innestando la relativa disciplina sulle esistenti sezioni specializzate in materia di proprietà industriale, di cui al d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 che oggi risulta completamente riformulato. Le nuove sezioni sono istituite presso i Tribunali e le Corti d’Appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia (art. 1 primo comma d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168), presso i Tribunali e le Corti d’Appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, ove non esistenti nelle città ora elencate (art. 1 comma 1 bis), nonché presso i Tribunali e le Corti d’Appello

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123 di Brescia e di Bolzano. Le sezioni in argomento hanno, dunque, una competenza territoriale più ampia rispetto a quella degli uffici giudiziari presso cui sono incardinate (la competenza fa riferimento ai comuni compresi nel distretto di ciascuna Corte d’Appello) e una competenza per materia che interessa una serie di cause e procedimenti, per tali intendendosi anche i procedimenti camerali nei confronti di una o più parti (comunemente denominati procedimenti di volontaria giurisdizione), che riguardano, in estrema sintesi, la materia industriale, la violazione della disciplina della concorrenza dell’Unione europea, i rapporti societari, le controversie in materia di appalti pubblici, forniture e servizi di rilevanza comunitaria e, infine, le cause e i procedimenti che presentino ragioni di connessione con i richiamati gruppi di materie. Scopo del presente lavoro è quello di indagare taluni profili connessi alla competenza per territorio e per materia delle sezioni specializzate che presentano punti problematici e che, a distanza di circa un anno e mezzo dall’entrata in vigore della riforma, non hanno ancora trovato soluzioni univoche e definitive nelle prime pronunzie della giurisprudenza di merito.

LA COMPETENZA PER TERRITORIO L’art. 4 del d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 si limita a stabilire che le controversie, indicate nell’art. 3, che, secondo gli ordinari criteri di ripartizione della competenza territoriale, dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nel territorio della regione sono assegnate alla sezione specializzata avente sede nel capoluogo di regione individuato ai sensi dell’art. 1, mentre alle sezioni specializzate istituite presso i Tribunali e le Corti d’Appello non aventi sede nei capoluoghi di regione sono assegnate le controversie che dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nei rispettivi distretti di Corte d’Appello. Ciò posto, non appare revocabile in dubbio che il rapporto tra il Tribunale presso il quale è istituita le sezione specializzata e quello nel cui ambito tali sezioni non sono istituite involge, in senso proprio, una questione di competenza, con la conseguenza: che il Tribunale ove non è istituita sezione specializzata

erroneamente investito di causa avente per oggetto una delle materie sopra indicate dovrà certamente declinare, con ordinanza (per come stabilito dalla l. 18 giugno 2009, n. 69) ovvero con sentenza (negli altri residui casi in cui la pronunzia di incompetenza deve avvenire con tale atto), la propria competenza in favore del Tribunale ove la sezione specializzata 1 è invece istituita ; inversamente, che il Tribunale ove la sezione è istituita, erroneamente investito di controversia esulante dalle materie in questione, dovrà adottare provvedimento di segno analogo in favore del Tribunale competente secondo le regole ordinarie. Diverso, e più problematico, il caso in cui una controversia, avente per oggetto una materia di competenza delle sezioni specializzate, venga proposta dinanzi al Tribunale ordinario (senza alcuna ulteriore precisazione) presso cui sia istituita la sezione specializzata medesima e non già direttamente dinanzi a quest’ultima. Il legislatore non ha, infatti, esplicitamente chiarito se le sezioni specializzate siano da ricondurre a mere suddivisioni interne del medesimo ufficio giudiziario (come nel caso delle sezioni lavoro e fallimentare costituite nell’ambito di Tribunale suddiviso in sezioni) o vadano qualificate come uffici giudiziari autonomi e 2 separati , così che la giurisprudenza oscilla tra l’una e l’altra delle due soluzioni astrattamente possibili. Un primo orientamento, già formatosi con riferimento alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e recentemente ripreso dal Tribunale di Napoli e dalla Corte d’Appello della 3 medesima città , che richiama alcune pronunzie 1 Così, Cass. Sez. VI, 23 settembre 2013, n. 21762. 2 Sulla problematica in esame, cfr., Iuorio Maria Assunta, Tribunale delle imprese, in www.judicium.it, Merlin, Le nuove sezioni delle imprese fra corsie preferenziali e sviluppo del mercato, in www.diritto24.it; Riva Crugnola Elena, Il Tribunale delle imprese, in Il libro dell’anno del diritto, 2013, Enciclopedia Treccani; Paolo Celentano, Commento al decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, in Le Società, 2012, pag. 820. 3 Precisamente, Trib. Napoli, ord. 10 marzo 2014, inedita, e App. Napoli, sent. 20 febbraio 2014, n. 763, in www.ilcaso.it. Ma si vedano, altresì, Trib. Venezia, 30 aprile 2008 in Foro it., 2008, 1733.

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124 4 della Corte di Cassazione , rileva come il legislatore – nell’intitolare le rubriche degli artt. 3 e 4 del d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, come oggi modificati, rispettivamente «competenza per materia delle sezioni» e «competenza territoriale delle sezioni» e nel precisare nel successivo art. 5 le competenze del presidente della sezione («nelle materie di cui all’art. 3, le competenze riservate dalla legge al presidente del tribunale e al presidente della corte di appello spettano al presidente delle rispettive sezioni specializzate») – abbia inteso, sia pure implicitamente attraverso il richiamo al concetto di competenza, sottolineare 5 l’autonomia della sezione , con la conseguenza che, nel caso prospettato, si porrebbe appunto una questione di competenza in senso proprio. In questo ordine di concetti, è stato sottolineato, da una parte, che il legislatore, qualificando espressamente come specializzate le sezioni in questione, utilizza il medesimo aggettivo indicato dall’art. 102 secondo comma Cost. e, dall’altra, che sussisterebbe un naturale parallelismo tra le sezioni in materia di impresa e le sezioni specializzate agrarie delle quali non si è mai dubitato del carattere 6 di autonomia . Ancora, proprio il richiamo all’art. 102 Cost. consentirebbe di ritenere che possano essere costituite sezioni specializzate (autonome rispetto all’ufficio territoriale cui formalmente appartengono) anche, ma non necessariamente, con la partecipazione di cittadini idonei estranei all’ordine giudiziario. Il descritto orientamento giurisprudenziale è stato, tuttavia, recentemente superato sia da parte della

4 Cass., sez. I, ord. 14 giugno 2010, n. 14251; Cass., sez. I, ord. 25 settembre 2009, n. 20690. 5 In questo senso, Cass., sez. III, 28 novembre 2001, n. 15151; Cass., sez. lav., 19 gennaio 2001, n. 736. 6 Sulla autonomia delle sezioni specializzate agrarie, cfr., fra le molte, Cass., sez. III, 13 marzo 2007, n. 5829, in Giust. civ. Mass., 2007, 3; Cass., sez. VI, 26 luglio 2010, n. 17502, in Giust. civ. Mass., 2010, 9, 1153; Cass., sez. un., 16 luglio 2008, n. 19512, in Giust. civ. Mass., 2008, 9, 1293.

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7 8 giurisprudenza di merito che di legittimità la quale è pervenuta alla diversa conclusione che la ripartizione delle funzioni tra le sezioni specializzate e le sezioni ordinarie del medesimo Tribunale – non involgendo un errore nell’individuazione dell’ufficio giudiziario e, quindi, la necessità di una ricollocazione territoriale della controversia 7 Per la quale cfr.: Trib. Torino, 13 luglio 2012; Trib. Milano 1 giugno 2009, in Dir. ind., 2011, 233, con nota di G. Ciccone, Sezioni specializzate e sezioni ordinarie: questioni di competenza o di ripartizione interna?; Trib. Torino 24 aprile 2008, in Foro it., 2009, I, 1285; Trib. Milano 13 luglio 2006, in Dir. ind., 2006, 582; Trib. Napoli, 27 ottobre 2009; U. Scotti, Le sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale. Osservazioni relative ad alcune questioni processuali, in Giur. mer., 2003, IV, 2614 ss.; M. Scuffi, La competenza per materia e per territorio delle sezioni specializzate, in Dir. ind., 2006, 78; Trib. Bologna 22 giugno 2010, Dir. ind., 2011, 230. 8 Così, Cass., sez. VI, 22 novembre 2011, n. 24656 (che ha operato il revirement rispetto alla giurisprudenza formatasi tra il 2009 ed il 2010 segnalata alla nota n. 3); Cass., 7 ottobre 2004, n. 19984, nonché, da ultimo, Cass., sez. VI, 20 settembre 2013, n. 21668.


125 – non implica l’insorgenza di una questione di competenza, attenendo piuttosto alla distribuzione degli affari giurisdizionali all’interno dello stesso ufficio. Ciò ha portato, in particolare, il giudice di legittimità a ritenere che, ove il Tribunale ordinario abbia impropriamente dichiarato la propria incompetenza per essere competente la sezione specializzata presso lo stesso ufficio, ovvero abbia dichiarato la propria competenza negando quella della predetta sezione specializzata, è inammissibile il regolamento di competenza proposto avverso la suddetta pronuncia, trattandosi, appunto, di questione concernente la ripartizione degli affari all’interno dello stesso ufficio. Tale orientamento – che, alla luce delle considerazioni che si vanno a esporre, appare preferibile – richiama espressamente i principi affermati in materia di rapporti tra sezioni ordinarie del Tribunale e le relative sezioni lavoro e fallimentare le quali, come già accennato, costituiscono espressione dell’organizzazione interna dell’ufficio e non già un ufficio autonomo dotato di una propria competenza e, dunque, non sono qualificabili come giudici diversi: e ciò nonostante che l’art. 413 c.p.c. attribuisca al Tribunale in funzione di giudice del

lavoro la “competenza” a decidere sui rapporti di cui all’art. 409 c.p.c. e che l’art. 24 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 stabilisca la “competenza” del Tribunale che ha dichiarato il fallimento a decidere di tutte le 9 controversie che derivano dal fallimento . 9 Si vedano, quanto ai rapporti fra sezione ordinaria e sezione fallimentare del Tribunale in riferimento alle azioni di cui all’art. 24 l.fall., fra le molte, Cass., 17 aprile 1962, n. 738; 26 aprile 1969, n. 1359; Cass., sez. I, 17 novembre 1982, n. 6153; Cass., sez. I, 15 marzo 1990, n. 2117; Cass., sez. I, 25 marzo 1997, n. 2619; Cass., sez. I, 14 giugno 2001, n. 8025; Cass., sez. I, 25 luglio 2002, n. 10912; Cass., sez. I, 1 aprile 2011, n. 7579. Quanto ai rapporti fra Tribunale e Tribunale in funzione di giudice del lavoro dello stesso circondario, cfr., e multis, Cass., sez. III, 23 settembre 2009, n. 20494; Cass., sez. I, 1 febbraio 2001, n. 1399; Cass., sez. un. 28 settembre 2000, n. 1045. Infine, con riferimento ai rapporti fra sezione che doveva trattare delle controversie soggette al c.d. “rito societario” e altra sezione dello stesso Tribunale, cfr. Cass., sez. III, 9 novembre 2006, n. 23891 che ha dichiarato inammissibile il regolamento di competenza contro l’ordinanza con la quale il giudice, ritenendo la questione di competenza della c.d. “sezione societaria”, aveva disposto il mutamento del rito e la cancellazione della causa dal ruolo ex art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5).

LA GIURISPRUDENZA È GIUNTA ALLA CONCLUSIONE CHE LA RIPARTIZIONE DELLE FUNZIONI TRA LE SEZIONI SPECIALIZZATE E QUELLE ORDINARIE DELLO STESSO TRIBUNALE NON IMPLICA L’INSORGENZA DI UNA QUESTIONE DI COMPETENZA

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La sezione specializzata in materia d’impresa opera solo con membri togati

Quanto poi al descritto parallelismo con le sezioni specializzate agrarie è stato correttamente osservato che i presupposti su cui si basa la competenza delle sezioni agrarie si fondano su una normativa del tutto peculiare in base alla quale il rapporto di dette sezioni con le altre del medesimo Tribunale si connota nel senso di suggerire che tale rapporto si iscriva nell’ambito della nozione di competenza, in quanto all’unico dato contrario (e favorevole alla riconducibilità alla nozione della ripartizione interna a un unico ufficio), rappresentato dall’essere la sezione incardinata nell’ambito del Tribunale e, quindi, organizzativamente e burocraticamente nell’ufficio del Tribunale, se ne contrappongono tre favorevoli, costituiti il primo dall’uso da parte del legislatore del termine “competenza” per individuare la potestà giurisdizionale della sezione, il secondo dall’espresso riferimento della competenza proprio alla sezione, il terzo dall’essere la composizione 10 della sezione del tutto peculiare . Sotto tale ultimo profilo, in particolare, le sezioni specializzate agrarie includono anche membri laici non togati – magistrati onorari altrimenti estranei al normale apparato organizzativo del tribunale – forniti di specifica qualificazione tecnica ritenuta normativamente necessaria all’integrazione delle cognizioni e del patrimonio culturale dell’organo, mentre la sezione specializzata in materia di impresa opera solo con membri togati, scelti attraverso procedure interne di selezione riguardanti il solo ufficio di Tribunale o di Corte interessato, sia pure avendo riguardo alla specifica 11 competenza nella materia da trattare . D’altra parte, nel sollecitare che i magistrati addetti alle sezioni specializzate in materia di impresa siano scelti tra quelli dotati di specifica 10 Cass., sez. III, 7 ottobre 2004, n. 19984, in Giust. civ. Mass., 2004, 10. La motivazione della richiamata decisione è stata, peraltro, ripresa dalla citata Cass., sez. VI, 22 novembre 2011, n. 24656. 11 Così, Trib. Torino, 13 luglio 2012, cit.

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competenza (art. 2, primo comma, d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168), il legislatore non ha elevato tale criterio a presupposto di valida costituzione dell’organo giurisdizionale, prospettando soltanto un criterio attitudinale preferenziale da seguire in sede di selezione dei magistrati aspiranti. Un ulteriore rilievo, di particolare spessore, al fine di escludere l’autonomia delle sezioni specializzate in materia di impresa è costituito dalla circostanza che a tali sezioni possa essere assegnata anche la trattazione di procedimenti relativi a materie diverse da quelle previste dal “novellato” arT. 3, comma 1, del d.lgs. n. 168 del 2003, sempre che ciò non comporti ritardo nella trattazione e nella decisione dei giudizi prioritariamente assegnati al c.d. “Tribunale delle Imprese”; come espressamente prescritto dall’art. 2, comma 2, dello stesso decreto. Tale argomento risulta, nell’ottica del più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, di non piccola consistenza, in quanto, sulla base di tale normativa, le sezioni specializzate possono essere – recte: sono (non constano, infatti, nel panorama nazionale sezioni specializzate in materia di impresa alle quali non sia devoluta anche la cognizione di ulteriori controversie) – sezioni miste in cui in cui possono essere trattate sia materie riguardanti la competenza esclusiva che cause ordinarie rientranti nella normale sfera di competenza del Tribunale. Ciò dimostra che la competenza specializzata resta comunque inserita


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nell’ambito dell’articolazione dell’ufficio giudiziario e non implica una competenza separata. In questo ordine di concetti, invero, appare un vero e proprio artifizio concettuale ritenere che possa sussistere una questione di competenza in senso tecnico in una causa introdotta (erroneamente) dinanzi al Tribunale (senza ulteriore specificazione nell’atto introduttivo del processo o del procedimento) nell’ambito del quale sia presente la sezione specializzata effettivamente competente 12 a conoscere quella controversia . Ancora, come osservato da altra giurisprudenza di 13 merito , la formale dichiarazione di incompetenza, ancorché eventualmente adottata con ordinanza, comporterebbe un irragionevole appesantimento processuale, con necessità di riassunzione della causa, senza che ciò costituisca per alcuna delle parti una maggiore garanzia o tutela. 12 Cfr., Cass., sez. I, 15 marzo 1990, n. 2117 secondo la quale con riguardo alla causa instaurata davanti al Tribunale che ha dichiarato il fallimento, nell’ambito delle attribuzioni contemplate dall’art. 24 del R.d. 16 marzo 1942 n. 267, non spiega effetti invalidanti, sull’atto di citazione, la circostanza che si indichi il giudice adito nel Tribunale stesso, anziché nella sua sezione fallimentare, tenendo conto che questa è espressione dell’organizzazione interna dell’ufficio giudiziario e non costituisce un ufficio autonomo, munito di propria competenza. 13 Trib. Milano, 13 aprile 2010, in Riv. dir. ind., 2011, 231.

In definitiva, alla luce delle precedenti considerazioni, appare preferibile considerare la sezione specializzata in materia di impresa quale articolazione interna al Tribunale presso il quale la stessa è, per legge, istituita. Trattandosi di una questione afferente alla distribuzione interna degli uffici, le parti non potrebbero, come sopra evidenziato, reagire all’erronea attribuzione della controversia mediante la proposizione di un’eccezione di competenza, ma potrebbero sollecitare il potere-dovere ufficioso dei giudici e del Capo dell’Ufficio di rispettare le previsioni 14 tabellari e, dunque, appunto quella distribuzione degli affari che si assume violata. Conseguentemente, in caso di erronea assegnazione della causa a una sezione il giudice dovrà limitarsi a trasmettere gli atti al presidente del Tribunale perché questi provveda alla corretta riassegnazione del fascicolo senza emettere un provvedimento a contenuto decisorio della 15 controversia .

LA COMPETENZA PER MATERIA Riformando l’art. 3 del d.lgs. 26 giugno 2003, n. 168, il legislatore ha inteso attribuire alla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa una serie di controversie, indicate in una sorta di catalogo, che possono ricondursi, come già evidenziato in premessa, alle materie del diritto industriale, del diritto antitrust, del diritto societario e degli appalti pubblici di rilevanza comunitaria. Le finalità del presente lavoro non consentono di soffermarsi analiticamente su tutte le questioni 14 Così, P. Celentano, Commento al decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, in Le Società, 2012, pag. 825. 15 E ciò anche quando la sezione specializzata in materia di impresa sia competente a conoscere, in virtù del disposto di cui del secondo comma dell’art. 2, di quella controversia quale “processo diverso” assegnato alla trattazione della sezione, essendo ciò necessario sia ai fini delle rilevazioni statistiche che ai fini dell’eventuale integrazione del pagamento del contributo unificato.

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128 interpretative che l’elencazione di cui all’art. 3 imporrebbe. Tuttavia, appare utile esaminare due ipotesi che potrebbero dare luogo alle maggiori incertezze interpretative: ci si riferisce alle cause e procedimenti «relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte una società» (art. 4, comma 2, lett. f) e alle cause e procedimenti «relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti» (lett. b). Con riferimento alla seconda delle ipotesi indicate, sorge il dubbio se siano devolute al c.d. “Tribunale delle Imprese” tutte le cause aventi ad oggetto, anche indirettamente, un trasferimento di partecipazioni sociali ovvero se, ai fini della attribuzione, sia necessario che la controversia verta su profili che afferiscano all’atto dispositivo e non già solo al suo oggetto. In altre parole, si pone il problema di stabilire se la competenza delle sezioni specializzate includa anche le azioni di cui il negozio avente ad oggetto partecipazioni sociali o diritti inerenti a partecipazioni sociali non costituisce né il petitum 16 né la causa petendi, se non indirettamente . Infatti, la categoria dei procedimenti «relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti» è tanto ampia da risultare idonea a comprendere anche procedimenti che ben poco potrebbero avere a che fare con la materia societaria, come quello avente ad oggetto l’azione di divisione giudiziale di un patrimonio nel quale vi sia una partecipazione sociale ovvero un’impugnativa di un testamento ovvero ancora una causa relativa a una donazione che non abbiano diretta attinenza con la partecipazione

che di quella divisione, di quel testamento o di quella donazione costituisce soltanto l’oggetto: tuttavia, qui è il centro del problema, perché la formula legislativa («ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali») sembra indicare la competenza delle sezioni specializzate proprio in ragione di quell’oggetto e non già del “contenitore” utilizzato per il trasferimento della partecipazione. È stata, dunque, avvertita la necessità di un’interpretazione bilanciata della norma in quanto, altrimenti, si assisterebbe a un’eccessiva e peraltro dai confini assai incerti espansione della competenza delle sezioni specializzate in materia d’impresa. Tale strada, tuttavia, alla luce dell’ampio disposto normativo, appare però difficilmente percorribile. Secondo un’ipotesi interpretativa, chiaramente restrittiva, la competenza delle sezioni specializzate sarebbe limitata, in caso di negozi tra vivi di trasferimento delle partecipazioni sociali, alle sole cause il cui oggetto incide effettivamente sulla composizione della società, e quindi, ad esempio, ai casi in cui si impugna il negozio traslativo per fare valere o ottenere la caducazione dei suoi effetti, ciò comportando l’accertamento della persistenza della preventiva composizione della compagine societaria (es. nullità, simulazione, risoluzione di un negozio di cessione di partecipazioni sociali); dovrebbe, al contrario, escludersi la competenza delle sezioni specializzate laddove invece si discuta del medesimo negozio, ma senza una diretta incidenza sulla compagine sociale (es. azione di adempimento del pagamento del prezzo di una vendita di partecipazioni). Tale opzione interpretativa, tuttavia, introduce un criterio discretivo (incidenza della risoluzione della controversia all’interno dell’organizzazione societaria) che la norma non prende a presupposto per l’attribuzione della controversia alle sezioni specializzate e porta a escludere tutte le cause

L’elenco delle controversie per materia impone diverse questioni interpretative

16 La problematica è analizzata da P. Celentano, Commento al decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, cit., pag. 825

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129 di adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto traslativo di partecipazioni sociali che, già 17 sotto il regime del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 , erano pacificamente soggette al c.d. “rito societario”. Peraltro, vi sono azioni che, pur non incidendo direttamente sulla composizione della società, appaiono certamente rientrare nella competenza delle sezioni specializzate. Si pensi, ad esempio, alla causa in cui l’acquirente di una partecipazione sociale intenda far valere eventuali clausole di garanzia in ordine alla consistenza patrimoniale della partecipazione stessa. In tale ipotesi, la controversia – ove non destinata a ottenere la risoluzione del contratto, ma eventualmente la riduzione del prezzo ovvero il risarcimento del danno – non ha un diretto riflesso sulla composizione della società, rimanendo il rapporto giuridico confinato tra le parti del negozio 17 Si ricorda che l’art. 1, primo comma, lett. b) dell’art. 1 del d.lgs. citato nel testo («trasferimento delle partecipazioni sociali, nonché ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti») presentava una disposizione del tutto analoga a quella contenuta nell’art. 4, secondo comma, lett. f. dell’attuale d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168.

traslativo delle quote e restando la società (e il suo assetto organizzativo) sullo sfondo: tuttavia, non appare errato considerare come proprio tali controversie rispondono maggiormente alla ratio dell’istituzione del c.d. “Tribunale delle Imprese” in quanto, proprio in esse, si avverte la necessità di una maggiore specializzazione del giudice e di una 18 maggiore celerità della risposta giudiziaria che costituiscono, come è noto, i presupposti ideali dell’introduzione della nuova normativa. Conseguentemente – sebbene non possano offrirsi soluzioni definitive, anche in relazione alle scarse pronunzie della giurisprudenza di merito sul punto – deve ritenersi preferibile l’orientamento secondo il quale la competenza delle sezioni specializzate sussisterebbe in tutti i casi in cui 18 Se si parte dall’idea che il c.d. Tribunale delle Imprese sia stato istituito anche al fine di attirare in Italia gli investimenti delle aziende straniere, altrimenti allontanati dalla lentezza della giustizia civile, può legittimamente dedursi che la controversia che ha ad oggetto il prezzo pagato in rapporto alla consistenza patrimoniale della società si ripercuota direttamente sulla capacità di investimento di un soggetto all’interno della società.

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l’oggetto della domanda è un diritto derivante da un negozio avente ad oggetto il trasferimento di partecipazioni sociali. Venendo ora alla materia dei contratti pubblici di appalto, le sezioni specializzate sono competenti, quando sia parte una delle società individuate nella prima parte del secondo comma dell’art. 3, per le cause e procedimenti «relativi» a «contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria». In forza della seconda parte della lett. f), la competenza delle sezioni specializzate ricorre anche quando una delle dette società non sia direttamente parte della causa o del procedimento, ma partecipi «al consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i contratti (pubblici di appalto di rilevanza comunitaria) siano stati affidati». Condizione, ovviamente, sempre necessaria è che sussista la giurisdizione del giudice ordinario. Occorre, pertanto, in primo luogo, attribuire significati concreti alle espressioni «cause e procedimenti relativi a» e «contratti pubblici di appalto» per individuare la portata del nesso di relatività e il contenuto del suo oggetto. Prendendo le mosse dal secondo aspetto, pare certo che le cause e i procedimenti di competenza delle sezioni specializzate debbano essere relativi a

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contratti pubblici di appalto di rilevanza comunitaria nell’ambito della giurisdizione riconosciuta al riguardo al giudice ordinario, il cui difetto, comunque, non potrà che essere dichiarato dalla sezione specializzata adita. A tale riguardo non pare possa dubitarsi che per l’individuazione dei contratti pubblici di appalto si debba fare riferimento alle disposizioni del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 – il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture – che, come previsto al primo comma dell’art. 1, disciplina i contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere.


131 Si tratta di contratti di appalto di lavori pubblici nei quali committente può essere tanto una pubblica amministrazione quanto un soggetto privato, quando, per la natura dell’opera da realizzare e per la connessa presenza di finanziamenti pubblici, tali contratti coinvolgono il pubblico interesse. Tali soggetti privati sono indicati nell’art. 3, commi 2531 e nell’art. 32, comma 1, del citato d.lgs., ai quali deve aversi riguardo per individuare i contratti pubblici di appalto di competenza delle sezioni specializzate (concessionari di lavori pubblici, società con capitale pubblico, altri soggetti privati che fruiscono di contributi pubblici etc.). Per quanto riguarda, invece, il significato da attribuire all’espressione «cause relative ai contratti pubblici di appalto», si deve ritenere che l’esistenza del contratto pubblico di appalto rilevi ai fini della competenza delle sezioni specializzate quando l’oggetto della causa concerne, nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario, diritti e obblighi derivanti da tale contratto e debba farsi applicazione della normativa di cui al citato d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, non sembrando possibile dilatare la portata della norma fino a ricomprendervi ogni rapporto, di per sé estraneo al contratto pubblico di appalto, intercorso con

uno dei soggetti sopra indicati, ma che trovi, quale mero presupposto di fatto, la sua origine in un contratto di appalto pubblico. Sotto questo profilo, in particolare in materia di subappalto, l’orientamento della giurisprudenza è costante nel ritenere che il contratto di subappalto stipulato dall’appaltatore di un’opera pubblica è strutturalmente distinto dal contratto principale e, stipulato fra soggetti entrambi privati, rimane sottoposto alla normativa del codice civile e al contenuto pattizio che le parti hanno inteso dargli, mentre non gli sono applicabili, se non attraverso gli eventuali richiami pattizi delle parti, le disposizioni di impronta marcatamente pubblicistica tipiche dell’appalto 19 di opere pubbliche . Ne discende che le cause aventi per oggetto tali contratti di subappalto dovrebbero ritenersi sottratte, indipendentemente da ogni considerazione circa l’eventuale esistenza di precedenti disposizioni interne relative alla distribuzione della competenza tabellare fra le varie sezioni del Tribunale, alla competenza per materia delle sezioni specializzate. 19 Cass., sez. I, 20 giugno 2000, n. 8384, in Giust. civ., 2000, I, 2577.

LE CAUSE AVENTI PER OGGETTO I CONTRATTI DI SUBAPPALTO DOVREBBERO RITENERSI SOTTRATTE ALLA COMPETENZA PER MATERIA DELLE SEZIONI SPECIALIZZATE

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L’IMPRESA DAVANTI AL TRIBUNALE DELLE IMPRESE Elena Riva Crugnola Giudice del Tribunale di Milano

Tribunale delle Imprese, come tutti sappiamo, è espressione che compare solo nel titolo dell’articolo 2 del d.l. n.1/2012, con il quale, alla ricerca di una specifica efficienza della giustizia riguardante le imprese, si è modificato il d.lgs. n.168/2003 per così dire “trasformando” le 24 sezioni specializzate in materia di proprietà industriale nelle 42 sezioni specializzate in materia di impresa, a base tendenzialmente regionale e competenti – oltre che per i procedimenti in materia di proprietà industriale/intellettuale già affidati alle SSPII – anche per la materia antitrust e per le liti “societarie” coinvolgenti società di capitali/ cooperative e per quelle in materia di appalti pubblici di rilevanza comunitaria coinvolgenti i medesimi enti, così concentrando presso articolazioni “specializzate” dei Tribunali e delle Corti d’Appello “regionali” alcune categorie di controversie civili caratterizzate da specifica complessità “tecnica” (l’intento del legislatore è a prima vista riconducibile al filone riformatore che a partire dalla fine del secolo scorso si è variamente proposto di “specializzare” e “accelerare” le controversie coinvolgenti materie individuate come “sensibili” rispetto alle esigenze delle imprese, pervenendo per quelle in materia societaria, bancaria e di intermediazione finanziaria – per le quali pure si era discussa ma poi accantonata la prospettiva della creazione di apposite sezioni specializzate distrettuali – all’istituzione non di un giudice specializzato ma di un processo ad hoc – il c.d. processo societario di cui alla legge delega

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133 n.366/2001 e al d.lgs. n.5/2003, le cui disposizioni, rivelatesi non funzionali, sono state poi abrogate dall’art.54 della legge n.69/2009 – e per quelle in materia di proprietà industriale e intellettuale alla “concentrazione” di competenza nelle sezioni specializzate di cui al d.lgs. n.168/2003 sopra citato). L’intervento normativo, realizzato senza alcuna modifica dell’organico degli Uffici divenuti sedi di SSI, ha dato luogo a diverse soluzioni organizzative/ tabellari, secondo gli schemi opportunamente elastici disegnati dalla circolare del CSM 11.7.2012; in particolare, secondo il monitoraggio realizzato dal Ministero della Giustizia la scorsa estate con il contributo del 76% delle sedi interessate:

19 UFFICI hanno adottato il modello della sezione unica con competenza tabellare in materia di impresa e in altre materie;

8 UFFICI

destinataria delle liti in materia societaria e di altre materie rilevanti quanto a flussi, da ultimo la materia “bancaria”, divisa a metà con altra sezione), designando queste due sezioni come SSIA e SSIB: la variazione tabellare ha comportato per la SSIB la “perdita” della materia bancaria, ma entrambe le sezioni rimangono destinatarie non solo, rispettivamente, dei procedimenti in materia di p.i.i. e di quelli in materia societaria, ma anche di controversie “contigue”, quali, per entrambe, quelle in tema di cessione di azienda e, per la SSIA, quelle in tema di concorrenza sleale cd. pura e, per la SSIB, quelle in tema di società di persone, di consorzio, di associazione in partecipazione. All’esigenza di accelerazione dei procedimenti nelle materie riservate alle SSI è stato quindi dato rilievo nella variazione tabellare, da un lato, aumentando di due unità i giudici effettivamente addetti alla SSIA (ove oggi sono in servizio una presidente e sei giudici), dall’altro, eliminando dalla competenza tabellare della SSIB (ove oggi

hanno adottato il modello della sezione unica con competenza tabellare esclusiva in materia di impresa;

3 TRIBUNALI hanno adottato il modello articolato su due sezioni con competenza tabellare in materia di impresa e in altre materie;

2 TRIBUNALI hanno adottato il modello della sezione unica articolato su due collegi

Il Tribunale di Milano rientra nel terzo caso: tenuto conto dei flussi nelle due materie principali, p.i. e societaria, si è mantenuta l’ossatura delle due sezioni specializzate già esistenti, l’una normativamente, la SSPII, e l’altra tabellarmente, la sezione ottava civile (quest’ultima da decenni

Civile


134 sono pure in servizio una presidente e sei giudici) la materia bancaria particolarmente rilevante quanto a flussi: variazioni tabellari queste che, una volta pienamente a regime, consentiranno una significativa contrazione dei tempi di definizione dei procedimenti cautelari e contenziosi. In definitiva quindi possiamo dire che presso il Tribunale di Milano una maggiore “effettività” nel settore della giurisdizione in tema di proprietà industriale, di antitrust e societaria è derivata o deriverà non tanto dalla concentrazione presso un’articolazione specializzata di queste controversie (che già erano concentrate presso due sezioni) quanto, come è ovvio, dal mutamento del rapporto tra numero dei giudici addetti e quantità dei flussi di procedimenti in una data materia. Osservando il primo dato del rapporto va però osservato che la “potenzialità” di trattazione e di definizione di ciascun giudice viene “moltiplicata”, anche qui come è ovvio, se il giudice può disporre di collaboratori direttamente impegnati nell’attività tipica, sotto la sua direzione e il suo coordinamento: in particolare il monitoraggio della sperimentazione milanese degli anni scorsi relativa al c.d. “ufficio del giudice”, prevedente l’affiancamento a un certo numero di magistrati di due tirocinanti per un periodo minimo di un anno e sviluppatasi grazie alla collaborazione tra la presidenza del Tribunale, l’ordine degli avvocati e finanziatori esterni, ha dato risultati molto interessanti in termini di aumento del numero dei procedimenti definiti e di diminuzione della loro durata (si rinvia sul tema alla relazione di DAMIANO SPERA, L’utilizzo di tirocinanti e stagisti in affiancamento del giudice civile, come premessa all’istituzione dell’ufficio del giudice civile: un primo bilancio, 2012, reperibile sul sito del CSM nella sezione riservata al materiale degli incontri di studio: in particolare dai dati allegati alla relazione emerge che i giudici dotati di collaboratori, nel periodo dall’1.7.2011 al 23.7.2012, hanno definito per semestre 327 procedimenti, con uno scostamento in aumento rispetto alla media della sezione di appartenenza del 15,81%.

»»

La Magistratura - Anno LXIII - Numero 1 - 2

Un legislatore che volesse dunque effettivamente migliorare la qualità della giurisdizione in termini di tempi e di accuratezza/prevedibilità delle decisioni dovrebbe allora far leva, anche in tempi di spending review e, anzi, proprio in tempi di spending review, sull’assistenza al giudice, secondo modelli presenti in altri paesi europei e che si giovano anche dell’apporto di giuristi in formazione (si rinvia al volume di BRUNO NASCIMBENE, La professione forense nell’Unione Europea, IPSOA 2010, Collana della Fondazione Forense di Milano, dalla cui analisi comparata si ricava che in vari Paesi UE – Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Polonia, Slovenia, Svezia, Ungheria – sono previsti periodi di formazione forense presso uffici giudiziari: particolarmente articolata è la disciplina tedesca, basata sulla formazione comune di tutte le figure di giuristi – avvocati, magistrati, notai –.

La potenzialità di trattazione e definizione di ciascun giudice viene “moltiplicata” se il giudice può disporre di collaboratori direttamente impegnati nell’attività tipica Al termine del periodo universitario, dopo aver superato un primo esame di Stato, l’aspirante giurista percorre due anni di tirocinio pubblico, durante i quali il Referendar viene assunto con contratto pubblico di lavoro e retribuito, partecipando a cinque distinti periodi di tirocinio – Stationen – presso gli uffici giudiziari civili, presso il pubblico ministero o presso l’ufficio giudiziario penale, nella pubblica amministrazione, nello studio di un avvocato: al termine del servizio preparatorio i Rechtsreferendare sostengono un secondo esame di Stato, al superamento del quale vengono immessi in una graduatoria pubblica di tutti i giuristi abilitati


135 all’esercizio delle professioni legali, potendo quindi scegliere, a seconda del punteggio ottenuto, professione e specializzazione, tenuto conto dei posti vacanti per le funzioni “contingentate” di magistrato e di notaio), abbandonando la prospettiva di concentrazioni di competenza che, oltre il limite distrettuale, pongono problemi di legittimità costituzionale e che, soprattutto se adottate senza alcuna preventiva analisi ragionata dei flussi, non sono in grado di incidere altrettanto efficacemente in termini di durata dei processi e di qualità delle decisioni. In questa prospettiva una grande delusione è stata la vicenda normativa del c.d. “decreto del fare”, nella cui versione d’urgenza era contenuta una disciplina di grande favore per l’inserimento di tirocinanti laureati negli uffici giudiziari con riconoscimento a tale tirocinio di un valore alternativo a quello del titolo rilasciato dalle SSPL, riconoscimento

poi “scomparso” nella legge di conversione, con prevedibile scarsa riuscita dei tirocini disegnati dalla versione convertita del decreto, per un verso irrigiditi – rispetto alle sperimentazioni precedenti – da una disciplina analitica e per altro verso resi in concreto non certo appetibili ai laureati più dotati.

Ciò detto e tornando alle modalità di funzionamento delle due SSI del Tribunale di Milano, vanno richiamate le risorse di “specializzazione” messe in opera in entrambe a fini di qualità della giurisdizione:

»»oltre

alla collegialità della fase decisoria, prevista normativamente, a fini dell’omogeneità della giurisprudenza sono programmate riunioni mensili di ciascuna sezione e bimensili di coordinamento tra le due sezioni;

»»a partire dalla primavera di quest’anno poi,

grazie ad apposita convenzione sottoscritta dalla presidenza del Tribunale con l’Associazione Disiano Preite per lo studio del Diritto delle Imprese e grazie alla conoscibilità telematica dei provvedimenti

UNA GRANDE DELUSIONE È STATA LA VICENDA NORMATIVA DEL C.D. “DECRETO DEL FARE”, NELLA CUI VERSIONE D’URGENZA ERA CONTENUTA UNA DISCIPLINA DI GRANDE FAVORE PER L’INSERIMENTO DI TIROCINANTI LAUREATI NEGLI UFFICI GIUDIZIARI

Civile


136 abitualmente redatti con consolle PCT da tutti i giudici della sezione, è attivo il sito www. giurisprudenzadelleimprese. it ad accesso libero e gratuito, ove sono raccolte e massimate tutte le sentenze emesse dalla SSIB nonché i provvedimenti cautelari e di volontaria giurisdizione segnalati dai giudici al momento del deposito telematico: si tratta di uno strumento di grande utilità quanto alla conoscibilità dei precedenti di sezione sia per tutti i fori del distretto sia per gli stessi giudici della sezione, con immediate ricadute positive in termini di prevedibilità delle decisioni e di coerenza delle (o di consapevole dissenso tra le) stesse nonché in termini di utilizzabilità del rinvio al precedente di sezione nella redazione dei provvedimenti; lo strumento è stato di recente ancora potenziato con l’adesione al progetto delle SSI del Tribunale e della Corte d’Appello di Genova e della Corte d’Appello di Brescia ed è previsto l’ampliamento ad altre sedi di SSI;

»»anche

per i provvedimenti della SSIA da tempo sono in atto meccanismi di conoscibilità tramite rivista e sito dedicati (i provvedimenti della SSIA dal 2004 sono pubblicati massimati sulla Rivista delle Sezioni Specializzate Proprietà Industriale e Intellettuale (Riv. SPI), che raccoglie i

provvedimenti di tutte le SSPII, con traduzione delle massime in inglese: sempre dal 2004 il testo completo di tutti i provvedimenti della SSIA è inserito in un sito europeo (darts-ip), di larghissima diffusione, con accesso gratuito ai magistrati (www.darts-ip. com.info@darts-ip.com tel. +32 2 733 2822) e che consente di leggere le decisioni di tutte le corti europee, statunitensi e di altri paesi);

»»presso la SSIB, attraverso lo

scambio continuo di riflessioni sul tema tra i suoi componenti, si è elaborata una tecnica di redazione dei provvedimenti “per punti”, ritenuta utile a evidenziare i nodi e le ragioni decisorie e agevolata dalla preparazione, già in vista della prima udienza, di “scheda del processo” via via aggiornata: attività quest’ultima molto utile ai fini di una trattazione effettiva della causa e nella quale la collaborazione di tirocinanti/ stagisti è fondamentale.

Quanto ai flussi numerici dei procedimenti assegnati alle due sezioni, dalla comparazione tra i dati relativi al primo semestre 2012 con

La Magistratura - Anno LXIII - Numero 1 - 2

quelli relativi allo stesso semestre 2013 si ricava che:

»»per la SSIA tali flussi sono

rimasti sostanzialmente invariati quanto al contenzioso (233 nel primo semestre 2013, 240 nel primo semestre 2012) con diminuzione invece dei procedimenti cautelari (166 nel primo semestre 2013, 191 1 nel primo semestre 2012) , il che porta a configurare come

1 Vedi allegati 1 e 2 forniti dall’ufficio innovazione del Tribunale: si segnala che i dati forniti dalla presidente della SSIA sono parzialmente diversi, indicando per il primo semestre 2012 194 cautelari e 236 contenziosi e per il primo semestre 2013 189 cautelari e 231 contenziosi, cosicché, secondo tali dati, la diminuzione risulta sostanzialmente irrilevante anche per i procedimenti cautelari.


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Contributo unificato Tribunale Ordinario

Contributo unificato Tribunale delle Imprese

fino a € 1.100,00

€ 37,00

€ 74,00

Superiore a € 1.100,00 fino a € 5.200,00

€ 85,00

€ 170,00

Superiore a € 5.200,00 fino a € 26.000,00

€ 206,00

€ 412,00

Superiore a € 26.000,00 fino a € 52.000,00

€ 450,00

€ 900,00

Superiore a € 52.000,00 fino a € 260.000,00

€ 660,00

€ 1.320,00

Superiore a € 260.000,00 fino a € 520.000,00

€ 1.056,00

€ 2.212,00

Superiore a € 520.000,00

€ 1.466,00,00

€ 2.932,00,00

Valore della controversia

non particolarmente rilevante la diminuzione di competenza territoriale derivante dall’istituzione della SSI del Tribunale di Brescia;

»»per

la SSIB, che ha visto aumentare all’intero distretto il bacino di afflusso dei procedimenti in materia societaria rispetto alla precedente sezione ottava specializzata solo tabellarmente in riferimento all’intero circondario del Tribunale di Milano, la proiezione in termini di flussi calcolata in sede di applicazione della riforma dalla commissione flussi del consiglio giudiziario prevedeva un aumento dei flussi del 25/30%: si tratta di una proiezione grosso modo confermata ma in diminuzione, con un aumento dei flussi complessivamente considerati intorno al 20%,

i procedimenti cautelari essendo passati dal 2012 al 2013 (sempre primo semestre) da 93 a 111, • i procedimenti contenziosi essendo passati dal 2012 al 2013 (sempre primo semestre) 2 da 262 a 295 , • e per i procedimenti di volontaria giurisdizione, particolarmente rilevanti nella materia societaria, risultando definiti nell’intero 2012 115 procedimenti a fronte di definizioni nel solo primo semestre 2013 pari a 171.

2 Vedi allegati 3, 4 e 5, realizzati attraverso il cruscotto della consolle PCT del Presidente grazie alla collaborazione del dr. Enrico Consolandi

Quanto alle caratteristiche degli affari:

»»per entrambe le SSI milanesi

il contenzioso è caratterizzato da una notevole incidenza di ricorsi cautelari e dei relativi reclami, con i quali vengono risolti in tempi brevi (due o tre mesi, ma anche pochi giorni nei casi di estrema urgenza) casi spesso molto complessi, quali:

per la SSIA: inibitorie, riequilibrio della concorrenza sul mercato, cessazione di comportamenti scorretti e di pratiche abusive; • per la SSIB: sospensione di delibere assembleari impugnate; ordini relativi allo svolgimento di assemblee societarie; autorizzazione

Civile


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alla fusione in pendenza di opposizione; sequestri conservativi relativi ad azioni di responsabilità; sequestri giudiziari di partecipazioni contese;

»»per

la SSIA in particolare vanno evidenziate per il periodo 2012/2013, in quanto coinvolgenti diritti in settori “sensibili”:

controversie riguardanti la tutela della salute, nel settore farmaceutico e dei prodotti alimentari, ove si è dato il sospetto di sofisticazioni o comunque del mancato rispetto delle regole comunitarie e nazionali dettate proprio per proteggere il diritto alla salute dei consumatori; • controversie riguardanti pratiche commerciali scorrette, abusi di posizione dominante nel settore

energetico o dei trasporti, intese comportanti indirettamente un aumento dei prezzi per i consumatori; • nel settore del diritto a una corretta e piena informazione, le cause contro la pubblicità ingannevole, quelle che valgono a dirimere conflitti nel settore dei diritti televisivi, della stampa, della telefonia mobile, del software e dell’Information Technology;

»»per la SSIB il contenzioso nel 2012/2013:

da un lato appare connotato in senso prettamente cautelare in riferimento a rilevanti questioni di governance societaria risolte, spesso ad horas, in vista dello svolgimento di assemblee cruciali di società quotate e non (si ricordano i casi

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coinvolgenti le spa SALINI, IMPREGILO, le sgr OPERA e ASKAR INVESTOR, il consorzio COMIECO): la sezione ha introdotto al riguardo un innovativo orientamento, anticipante alla fase cautelare la tutela dei soci ricorrenti per contrastare prevedibili lesioni del diritto allo svolgimento corretto di assemblee convocate; • dall’altro appare caratterizzato, »» in evidente dipendenza dalla situazione di crisi economica complessiva e anche in connessione con l’accentuato favor arbitrati di cui alla riforma del 2003, • come contenzioso da inadempimento, con netta prevalenza, per tipologia di oggetto, delle azioni di responsabilità e delle controversie riguardanti


139 l’adempimento di negozi di cessione di partecipazioni ovvero di opzioni put o call: »» nel primo semestre 2013 le azioni di responsabilità iscritte a ruolo sono state 83 (con aumento di 23 rispetto al primo semestre 2012) e rappresentano la tipologia di contenzioso più numerosa presso la sezione (sempre primo semestre 2013: 50 impugnazioni delibere, diminuite di 7 unità rispetto al primo semestre 2012; 58 cause in materia di rapporti societari, oggetto questo relativo in gran parte a controversie in tema di cessione di partecipazioni e inoltre a controversie relative a compensi pretesi dai titolari di cariche sociali; 47 altri istituti di diritto societario, oggetto anch’esso promiscuo e comprendente, oltre ancora a controversie in tema di cessione di partecipazioni, ad esempio controversie in tema di finanziamenti soci e di recesso dei soci; 2 opposizioni dei creditori alla fusione); • in particolare quanto alle azioni di responsabilità, lo specifico codice oggetto, ricavabile dal SICID e utilizzabile per le estrazioni statistiche, ricomprende tutte le azioni di responsabilità nei confronti di organi sociali, senza tener conto della natura dell’ente coinvolto né del tipo di organo sociale convenuto, ricomprendendo anche azioni nei confronti del revisore ovvero ex art.2497 cc; ricorrendo a dati di esperienza personale si può approssimativamente specificare che: »» non si danno casi di azioni sociali di responsabilità esercitate dai soci di spa ex art.2393bis cc; »» le azioni di responsabilità esercitate dai soci di srl ex art.2476 cc sono ricorrenti non tanto in sede contenziosa ma in sede cautelare con richiesta di revoca dell’amministratore; »» le azioni sociali di responsabilità nei

confronti di amministratori di spa e di srl promosse dalla società in bonis, le azioni di responsabilità ex artt. 2394 2395 cc, le azioni di responsabilità ex art.2497 cc corrispondono a numeri contenuti: si tratta peraltro di procedimenti i quali, anche se non numerosi, sono connotati da rilevante complessità, riguardando la gestione pluriannuale di imprese di peso nazionale, con addebiti articolati rivolti a decine di convenuti in termini, ad esempio, di opacità contabile e disinformazione al pubblico, di operazioni infragruppo in conflitto di interessi e simili; »» il maggior numero di azioni di responsabilità riguarda azioni promosse da curatele fallimentari, con predominanza del sottogruppo rappresentato da azioni promosse da curatele fallimentari di srl, il che corrisponde ai dati statistici relativi alla tipologia delle società di capitali, dai quali emerge dal 2002 ad oggi una consistente diminuzione del numero di spa e un rilevantissimo aumento del numero di srl (al 30.6.2013 le srl censite presso il Registro delle Imprese sono 1.377.200, le spa 47.308: al 30.6.2013 le srl rappresentano il 54,20% del totale delle società, le spa l’1,86%, la sapa lo

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0,01%, le società di persone il 43,93%, considerando le sole società di capitali, le srl rappresentano il 96,67% del totale, le spa il 3,32%, le sapa lo 0,01%); »» quanto alla tipologia di addebiti, a parte isolati addebiti di distrazione, l’addebito costantemente ricorrente è quello relativo alla violazione delle regole ex artt. 2485 2486 cc, vale a dire relativo al mancato tempestivo accertamento da parte degli amministratori della causa di scioglimento corrispondente alla perdita del capitale sociale e alla prosecuzione dell’attività sociale non nella prospettiva conservativa/liquidatoria prescritta dalle norme ma in una (non più sussistente) prospettiva di continuità aziendale; »» nei casi più frequenti gli addebiti sono rivolti nei confronti di amministratori soci (il che corrisponde alle risultanze statistiche circa il numero di soci delle

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società di capitali: per le srl è predominante l’ipotesi di un numero di soci da 1 a 3, rappresentante il 67,70% del totale, tale ipotesi è predominante anche nelle spa ma in via molto meno accentuata, rappresentando il 39,50% del totale); »» le fattispecie di addebito sono quasi sempre prospettate in termini di violazioni eclatanti, quali: -- maquillage contabili sottovalutazioni di poste passive e, più frequentemente, sopravvalutazioni di poste attive - volti a celare lo sbilancio patrimoniale, -- finanziamento dell’attività sociale a mezzo di veri e propri illeciti, quali il ricorso ad anticipazioni bancarie su fatture per operazioni inesistenti, l’omesso pagamento di tributi/oneri previdenziali e simili; Se a ciò si aggiunge il dato, frequentemente emergente dalla trattazione di questo tipo


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di processi, della incapienza risarcitoria dei patrimoni dei convenuti rispetto a danni anche per milioni di euro subiti dal ceto creditorio, il quadro che ne deriva (pur tenendo conto che si tratta di situazioni certamente patologiche, quelle fisiologiche non sfociano in azioni giudiziarie...) è particolarmente desolante, soprattutto se rapportato alle ormai approfondite riflessioni della scienza giuridica ed economica in tema di doveri e responsabilità degli amministratori nella c.d. “crisi di impresa”: si tratta dunque di un quadro che segnala la necessità di una “formazione di impresa”, particolarmente urgente per il tessuto della piccola e media impresa, frequentemente a gestione famigliare, che rappresenta larga parte della realtà imprenditoriale italiana e lombarda.

ulteriore risorsa di semplificazione/accelerazione della trattazione e decisione, la predisposizione di modelli standard per la presentazione dei dati storico-cronologici delle varie vicende gestorie censurate: si tratta di un accorgimento per ora solo ipotizzato presso la SSIB ma che andrà studiato con la collaborazione del foro e degli studiosi interessati.

Dal punto di vista processuale va poi segnalato che in questo tipo di controversie ricorrenti la ripetitività degli addebiti comportanti però complesse varianti di fatto (la cui ricostruzione è particolarmente onerosa per il giudicante) suggerisce, quale

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ALLEGATO 1 SSIA OGGETTI ISCRITTI 1° SEMESTRE 2013 109999 Altri istituti e leggi speciali 4 140012 Vendita di cose mobili 3 140021 Appalto di opere pubbliche 2 140022 Appalto altre ipotesi ex art. 1655 8 142999 Altri contratti d’opera 1 143101 Cessione d’azienda 52 143104 Licenza d’uso 5 170002 Brevetto di invenzione 15 170003 Brevetto di modello di utilità 6 170004 Marchio 27 170009 Brevetto (invenzione e modello)-Marchio: Altre ipotesi 6 170011 Concorrenza sleale 16 170013 Concorrenza sleale interferente 26 170021 Diritto di autore 25 170042 Antitrust 12 170999 Altri istituti di diritto industriale 25 Totale complessivo 233

SSPII OGGETTI ISCRITTI 1° SEMESTRE 2012 143104 Licenza d’uso 8 170002 Brevetto di invenzione 6 170003 Brevetto di modello di utilità 2 170004 Marchio 35 170009 Brevetto (invenzione e modello)-Marchio: Altre ipotesi 41 170011 Concorrenza sleale 57 170013 Concorrenza sleale interferente 28 170021 Diritto di autore 47 170031 Ditta - Insegna - Denominazione sociale - Ragione sociale 1 170042 Antitrust 8 170999 Altri istituti di diritto industriale 7 Totale complessivo 240

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ALLEGATO 2 SSIA OGGETTI CAUTELARI ISCRITTI 1° SEMESTRE 2013 ATP 3 Altri procedimenti cautelari 5 Descrizione 17 Inibitoria 87 Provvedimenti d’urgenza ex art. 700 37 Sequestro conservativo 4 Sequestro da norme speciali 7 Sequestro giudiziario 6 Totale complessivo 166

SSPII OGGETTI CAUTELARI ISCRITTI 1° SEMESTRE 2012 Altri procedimenti cautelari 3 Denuncia nuova opera o danno temuto 1 Descrizione 37 Inibitoria 86 Provvedimenti d’urgenza ex art. 700 32 Sequestro liberatorio 2 Sequestro conservativo 6 Sequestro da norme speciali 18 Sequestro giudiziario 6 Totale complessivo 191

Civile


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ALLEGATO 3 Periodo di Competenza: 2013

Trimestre 3

Trimestre 2

trimestre 1

Variazione carico per assegnazione/ riassegnazione nel periodo (D)

Variazione carico per assegnazione/ riassegnazione nel periodo (D)

Variazione carico per assegnazione/ riassegnazione nel periodo (D)

011001 - Sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c.

3

25

21

caut.sem.1

011002 - Sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c.

0

5

10

111

011011 - Sequestro da norme speciali (Legge Autore,Invenzioni,Marchi)

1

0

0

012001 - Accertamento tecnico preventivo/Prova testimoniale

0

1

2

015011 - Provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c

2

13

24

019999 - Altri procedimenti cautelari

3

5

5

109999 - Altri istituti e leggi speciali

0

2

3

5

140011 - Vendita di cose immobili

0

0

1

1

140012 - Vendita di cose mobili

1

0

0

0

140021 - Appalto di opere pubbliche

1

2

2

4

140022 - Appalto: altre ipotesi ex art. 1655 e ss. c.c. (ivi compresa l'azione ex 1669 c.c.)

1

3

3

6

140038 - Mutuo

2

1

0

1

140041 - Bancari (deposito bancario, cassetta di sicurezza, apertura di credito bancario)

0

0

2

2

140061 - Fideiussione - Polizza fideiussoria

0

-1

2

1

140101 - Promessa di pagamento - Ricognizione di debito

0

2

1

3

142001 - Prestazione d'opera intellettuale

0

2

3

5

142999 - Altri contratti d'opera

1

0

0

0

143101 - Cessione di azienda

1

0

1

1

143999 - Altri contratti atipici

3

0

-1

-1

145999 - Altre ipotesi di responsabilità Extracontrattuale non ricomprese nelle altre mat

0

1

0

1

150002 - Associazione in partecipazione

1

6

3

9

150003 – Consorzio

6

6

9

15

151110 - Cause di responsabilità contro gli organi amministrativi e di controllo, etc.

36

45

38

83

151112 - Impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del CdA

19

20

30

50

151120 - Cause in materia di rapporti societari

20

35

23

58

151121 - Cause in materia di trasferimento di partecipazioni sociali etc.

0

0

0

0

151130 - Opposizione dei creditori alla fusione delle società (art. 2503 c.c.)

0

1

1

2

151999 - Altri istituti di diritto societario

13

21

26

47

170002 - Brevetto di invenzione

-2

1

0

1

490999 - Altri procedimenti camerali

0

1

0

tot 6 mesi

Totale:

112

197

209

406

Oggetto (D)

merito ultimo trim 103

La Magistratura - Anno LXIII - Numero 1 - 2

6 mesi

merito 6 mesi 295


145

ALLEGATO 4 Periodo di Competenza: 2012

Trimestre 3

Trimestre 2

trimestre 1

Variazione carico per assegnazione/ riassegnazione nel periodo (D)

Variazione carico per assegnazione/ riassegnazione nel periodo (D)

Variazione carico per assegnazione/ riassegnazione nel periodo (D)

011001 - Sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c.

2

16

15

011002 - Sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c. 012001 - Accertamento tecnico preventivo/Prova testimoniale 013001 - Inibitoria (art. 63 RD 929/1942 art. 83 RD 1127/1939 - L52/1996, etc.) 015011 - Provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c 019999 - Altri procedimenti cautelari 109999 - Altri istituti e leggi speciali 111201 - Matrimonio (promessa di matrimonio ex artt. 79-81 c.c. - opposizione al matrim.) 111211 - Regime Patrimoniale: della famiglia ex artt. 159 e ss. c.c. 129999 - Altri istituti relativi alle successioni 130001 – Proprietà 140012 - Vendita di cose mobili 140022 - Appalto: altre ipotesi ex art. 1655 e ss. c.c. (ivi compresa l'azione ex 1669 c.c.) 140031 - Somministrazione 140038 - Mutuo 140041 - Bancari (deposito bancario, cassetta di sicurezza, apertura di credito bancario) 140061 - Fideiussione - Polizza fideiussoria 140101 - Promessa di pagamento - Ricognizione di debito 140102 - Titoli di credito 140999 - Altri contratti tipici e obbligazioni non rientranti nelle altre materie 142001 - Prestazione d'opera intellettuale 142002 - Responsabilità professionale 142999 - Altri contratti d'opera 143101 - Cessione di azienda 143111 – Factoring 143131 - Intermediazione finanziaria (S.I.M.) Contratti di Borsa 143999 - Altri contratti atipici 150002 - Associazione in partecipazione 150003 – Consorzio 151110 - Cause di responsabilità contro gli organi amministrativi e di controllo, etc. 151112 - Impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del CdA 151120 - Cause in materia di rapporti societari 151999 - Altri istituti di diritto societario 171102 - azione di inefficacia ex art. 64 180999 - Altre controversie di diritto amministrativo Totale:

-2 0

5 3

4 2

0

1

1

10 2 2 -2

21 3 0 1

21 1 0 0

6 mesi 0 1

0

1

0

1

0 1 3 0

0 0 3 -2

0 0 1 1

0 0 4 -1

0 23 34

1 45 80

1 51 53

2 96 133

35 1

56 1

65 0

121 1

3 1

10 0

7 0

17 0

1 0 0 0 0 -5

1 0 1 1 0 0

1 1 0 0 0 0

2 1 1 1 0 0

2 16 4 17

1 13 7 33

2 6 8 27

3 19 15 60

16

35

22

57

17 32 -2 0

25 19 0 -1

24 30 0 0

210 merito ultimo trim

378

344

49 49 0 tot 6 mesi 722 merito 6 mesi

Oggetto (D)

tot.c. sem.1 93

196

629 senza bancario

senza banca 101

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L’IMPRESA INNANZI AL TRIBUNALE 1 DELLE IMPRESE Giuseppe Tarantola già Presidente di sezione specializzata in materia di impresa presso la Corte d’Appello di Milano

1 Il testo riproduce integralmente l’intervento dell’autore alla “Giornata europea della giustizia civile” di Milano del 25 ottobre 2013

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147 Il compito che mi è stato affidato consiste nell’illustrare il funzionamento della sezione specializzata in materia di impresa presso la Corte d’Appello di Milano. È stata istituita il 5.7.2012 con un presidente e otto consiglieri con doppio incarico e con esenzione di un terzo dal lavoro delle sezioni di provenienza. Il modulo riproduceva quello della sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale. Questa sezione veniva contestualmente soppressa e le sue cause venivano trasferite sui ruoli della nuova sezione. La soluzione adottata era stata scelta a seguito di un ampio dibattito con i presidenti e i consiglieri delle sezioni civili, all’esito del quale era stata scartata la proposta di istituire una sezione autonoma, non giustificata dal numero delle pendenze (178 cause) e dalla previsione di un flusso di circa 150 nuove cause all’anno; la proposta di creare una sezione autonoma inoltre appariva irrealizzabile sia per la difficoltà di sottrarre almeno sei magistrati da altre sezioni, sia per le carenze di organico del personale di cancelleria. Il doppio incarico è stato attuato prevedendo di dedicare una settimana al mese alla materia di impresa, con un giorno per l’udienza in camera di consiglio e un altro per l’udienza pubblica. L’obiettivo era quello di definire almeno 100 cause all’anno, in modo da contenere la durata delle cause specializzate nella metà del tempo necessario a definire quelle ordinarie.

I risultati corrispondono solo parzialmente alle aspettative: da gennaio a fine settembre 2013 sono stati definiti 89 processi e nei successivi tre mesi è facile prevedere che il numero minimo venga superato; la durata dei procedimenti della sezione specializzata è però ancora di 814 giorni rispetto ai 1.198 di quelli della prima sezione civile. Bisogna quindi fare di più per velocizzare le definizioni, per eliminare l’arretrato, che è ancora di 176 cause e per fronteggiare l’aumento del

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148 prossimo flusso di sopravvenienze (vecchie cause societarie, antitrust, appalti pubblici di rilevanza comunitaria), che è destinato a raggiungere la quota di 150 calcolata dalla Commissione flussi del Consiglio Giudiziario (a settembre 2013 era di sole 79 cause). Per migliorare la produttività sono allo studio interventi sulla capacità dei magistrati addetti alla sezione e sulla loro organizzazione. L’ipotesi più accreditata consiste nell’incardinare la sezione specializzata nella prima civile, prevedendone la composizione con tutti o la maggior parte dei consiglieri, per la loro specializzazione già acquisita in passato. La materia di questa sezione ordinaria comprendeva infatti sia quella industriale sia quella societaria e l’antitrust prima dell’istituzione delle specializzazioni e quindi può garantire, specie in campo societario dove la specializzazione è più recente, la migliore competenza. Inoltre, l’appartenenza a una stessa sezione facilita le presenze in udienza e i momenti di riunione indispensabili per discutere e concordare indirizzi comuni. Tutto questo incontra grosse difficoltà nell’attuale composizione di tre consiglieri e del presidente della prima sezione, di due consiglieri della seconda e di due della terza e di un consigliere della quarta. Infine, per sopportare il peso delle materie specializzate ed evitare che la definizione delle cause ordinarie impedisca la rapida soluzione delle liti in materia di impresa, si prevede di integrare l’attuale organico di undici consiglieri della prima civile di almeno un’unità. Tutta questa problematica formerà oggetto delle modifiche tabellari che dovranno essere predisposte entro fine anno, per divenire operanti con l’approvazione del CSM,

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nella primavera del 2014. Per aumentare la produttività è anche indispensabile la collaborazione degli avvocati per consentire il rispetto dell’art. 132 c. 2 n. 4 c.p.c., che insegna di redigere la sentenza con “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. Al proposito ricordo che il presidente della Corte di Cassazione ha indirizzato al presidente del Consiglio Nazionale Forense in data 17.6.2013 l’invito a suggerire agli iscritti di «contenere ricorsi e memorie nel limite di 20-25 pagine, e, ove la complessità del gravame non consentisse di rispettare questo limite, a formulare all’inizio di ogni atto una distinta ed evidenziata sintesi». Attualmente siamo invece costretti a leggere centinaia di pagine, per ognuno dei tre atti consentiti, spesso in larga parte ripetitivi, con conseguente difficoltà di individuare gli argomenti decisivi, nascosti in espressioni ridondanti e/o devianti. Mi è stato chiesto di indicare qualche problematica incontrata nella soluzione delle liti: mi limito a segnalarne tre. In tema di azione di responsabilità degli amministratori, introdotta da un socio di srl con richiesta di liquidazione del danno in favore della società, può avvenire che l’amministratore in conflitto di interessi, per evitare la nomina del curatore speciale, inviti l’assemblea a nominare un amministratore amico che, costituendosi, chieda il rigetto della domanda in un contesto di conclamata irregolarità della gestione. Si è discusso se accogliere la domanda del socio, non essendo in atti la rinuncia della società al credito, approvata con le maggioranze qualificate; se dichiarare il difetto di legittimazione processuale della società, con nullità degli atti compiuti o con necessità di integrazione


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del contraddittorio e rimessione al primo giudice; se respingere la domanda e trasmettere gli atti al pubblico ministero, per le iniziative da assumere contro il vecchio e il nuovo amministratore; se assumere iniziative contro il difensore per aver svolto le difese in situazione di palese conflitto di interessi. A lungo si è discusso, anche sollevando eccezione di illegittimità costituzionale, sulle conseguenze della modifica dell’art. 2495 c.c. in tema di cancellazione della società dal registro delle imprese: mentre in precedenza l’atto formale della cancellazione non determinava l’estinzione della società, che manteneva la legittimazione processuale per i rapporti non ancora esauriti, la nuova formulazione sembra giustificare la soluzione che con la cancellazione la società perda la sua capacità processuale, con conseguente estinzione del processo, e così si è espressa la Cassazione a sezioni unite (n. 4060/2010). Questa soluzione consente però all’amministratore, chiamato in giudizio come legale rappresentante dell’ente, di provocare l’estinzione della società per rendere difficoltoso il recupero dei crediti sociali. È intervenuta ancora la Cassazione a sezioni unite (n. 6070/2013) per chiarire che alla cancellazione non corrisponde il

venir meno dei rapporti giuridici ancora in essere, ma si determina un rapporto di tipo successorio in virtù del quale l’obbligazione si trasferisce dalla società ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto disposto nella liquidazione o illimitatamente se pendente societate già lo fossero. Si è così accolta la tesi che, quando la cancellazione si verifica nel corso di un giudizio, si determina un evento interruttivo, con eventuale prosecuzione dell’azione da parte o nei confronti dei soci; inoltre l’impugnazione di una sentenza pronunciata nei confronti di una società cancellata deve provenire o essere indirizzata ai soci. Non risultano precedenti autorevoli. La terza difficoltà riguarda la scelta della procedura da seguire nelle varie controversie in cui è interessata la CONSOB. Non si tratta di materia espressamente assegnata alla specializzazione, ma riguarda comunque il rapporto tra giustizia e impresa, proprio di questo convegno. L’annunciata semplificazione dei riti si è rivelata in questo campo di difficile applicazione: l’art. 6 del d.lgs. n.150/2011 assoggetta al rito del lavoro le controversie previste dall’art. 22 legge n.689/1981, tra le quali non sembrano rientrare le sanzioni CONSOB o Banca d’Italia, che sono una specializzazione, regolata dal TUF, delle sanzioni amministrative.

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150 Essendo ancora in vigore il comma 7 dell’art. 195 TUF, le opposizioni alle sanzioni di cui al titolo II della parte V (irregolarità nello svolgimento di operazioni sociali: false comunicazioni, opa) vengono decise in camera di consiglio con le formalità della giurisdizione volontaria. Le opposizioni di cui al capo III del Titolo I della parte V (turbative del mercato: insider trading, aggiotaggio) erano regolate, ai sensi del comma 6 dell’art. 187 septies TUF dal rito previsto dall’art. 23 della legge n.689/1981 (che praticamente coincide col rito del lavoro) ma questo articolo è stato abrogato dall’art. 34 del d.lgs. di semplificazione, lasciando l’alternativa se procedere per queste opposizioni col rito del lavoro, previsto dall’art. 6 del citato d.lgs., o con quello ordinario; la nostra scelta è stata quella di non ricorrere all’applicazione analogica di un rito speciale e quindi di seguire la procedura ordinaria. Per le sanzioni connesse alle attività dei revisori contabili, previste dall’art. 163 comma 1 lettera b del TUF, non è prevista una procedura di opposizione; essendo comprese nella parte IV e non nella V del TUF, non possono seguire il rito di queste ultime; si è adottata la soluzione di procedere col rito generale di opposizione alle sanzioni amministrative, ora disciplinato ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. sulle semplificazioni, col rito del lavoro. Per concludere, osservo che il processo ordinario nella forma contenziosa, prevista come prevalente per la soluzione delle liti in materia di impresa, non può trarre gran giovamento dagli strumenti acceleratori predisposti efficacemente dal recente legislatore: il rito sommario, previsto agli artt. 792 bis-quater c.p.c. (disciplinato con legge n. 69/2009, in vigore dal 4.7.2009) non è applicabile alle procedure collegiali; la decisione contestuale di cui all’art. 281 sexies c.p.c., introdotta in grado di appello con la legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011 in vigore dal 1.1.2012) non è praticabile in presenza di diverse questioni da trattare e risolvere; i casi da definire con il novellato art. 342 e il nuovo art. 348 bis c.p.c (introdotti dal decreto sviluppo n.

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83/2012, convertito in legge n. 134/2012, in vigore dal 12.8.2012) sono isolati a causa della specifica preparazione del Foro: ricordo soltanto una causa filtrata in tema di responsabilità sociale di amministratore unico di srl, dove gli addebiti erano circoscritti e risolvibili con precedenti costanti.

TRIBUNALI DELLE SOCIETÀ CON SEDE ALL’ESTERO sarà competente il tribunale di BARI LECCE TARANTO (sezione distaccata) POTENZA CAGLIARI SASSARI (sezione distaccata) CALTANISSETTA CATANIA CATANZARO MESSINA PALERMO REGGIO CALABRIA BOLOGNA GENOVA BRESCIA GENOVA CAMPOBASSO NAPOLI SALERNO ANCONA FIRENZA L’AQUILA PERUGIA ROMA TORINO TRIESTE VENEZIA TRENTO BOLZANO

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