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8 novembre 2012

Il ricordo di Fedele Calvosa

Fedele Calvosa, Procuratore dellaRepubblica di Frosinone, viene ucciso la mattina dell'8 novembre1978 insieme all'agente penitenziario Giuseppe Pagliei edall'autista Luciano Rossi, mentre si reca in ufficio, dalle"formazioni comuniste combattenti", che nel documento dirivendicazione scrivono di averlo voluto colpire per un mandato dicomparizione a 19 operai di una fabbrica tessile indagati diviolenza privata per un'azione di picchettaggio, motivazione che,come ebbe a sottolineare il Csm, bene evidenzia come il terrorismofosse giunto all'ultimo stadio: colpire l'ordinario esercizio dellagiurisdizione "quale garanzia essenziale dello Stato democratico edella legalità repubblicana". Per il figlio Francesco, FedeleCalvosa, "uomo onesto, grandissimo lavoratore, che svolgeva il suolavoro con impegno e dedizione", "non era un eroe, era una personanormale che svolgeva la sua professione con impegno".


(Tratto dalla pubblicazione del
Consiglio Superiore della Magistratura "Nel loro segno")



Fedele Calvosa

(Castrovillari, 3 ottobre 1919 - Patrica, 8 novembre
1978)

Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di
Frosinone.

Vittima del terrorismo di sinistra rivendicato dalle "formazioni
comuniste combattenti"



Ogni mattina, una Fiat 128 blu del
Servizio di Stato si dirige a Patrica per raggiungere l'abitazione
del procuratore capo Fedele Calvosa e accompagnarlo a Frosinone
dove svolge la funzione di Procuratore della Repubblica. Davanti, è
seduto l'agente penitenziario Giuseppe Pagliei, 33 anni, sposato
con due figli. Quel giorno, l'8 novembre del 1978, ha lasciato il
volante a Luciano Rossi, un impiegato ministeriale che dovrà presto
sostituirlo e che deve imparare il percorso di quello che pare
essere un servizio di routine. Il Procuratore siede dietro. Sono le
8,30 quando l'auto, pochi metri prima d'imboccare la provinciale,
rallenta davanti a un segnale di precedenza. Questo permette ai
killer d'intervenire e sparare all'impazzata. Moriranno Fedele
Calvosa, Pagliei e l'autista Rossi.



Un colpo uccide però anche uno dei
componenti del commando brigatista, Roberto Capone. La perizia
medico-legale accerterà che il terrorista è stato ucciso da un
colpo d'arma da fuoco da ritenersi esploso contro di lui da uno dei
suoi stessi complici, per errore o per un improvviso spostamento.
Gli altri terroristi sono presi dal panico; adagiano il compagno
nella vettura e poi abbandonano il cadavere in un boschetto. Loro
si danno alla fuga con l'auto "staffetta".



Fedele Calvosa, 59 anni, non aveva
messo in conto di essere un obiettivo del terrorismo. Nato a
Castrovillari, ai piedi del Pollino, studia con sacrificio a
Napoli. Dopo aver vinto il concorso in magistratura torna al paese
natale dove nel tran¬qi illo tribunale di Castrovillari inizia la
sua carriera di magistrato che lo porterà a Catanzaro, Ceccano e
poi a Roma.



Nel 1972 torna in provincia, a
Frosinone, come Procuratore capo. Qui ha costruito il suo mondo.
Una villetta immersa nel verde della campagna laziale a qualche
chilometro da Patrica, un piccolo paese arrampicato su una collina.
Un calabrese diventato ciociaro. Sposato, con due figli studenti
universitari. Sulla sua scrivania fascicoli tipici delle procure
periferiche. Qualche rapina, l'omicidio occasionale, lottizzazioni
abusive. L'unica istruttoria politica seguita da Calvosa riguarda
un mandato di comparizione per 19 operai di una fabbrica tessile
della zona accusati di "violenza privata". Dal documento di
rivendicazione, firmato dalle Formazioni Comuniste combattenti, si
apprende che questa è la motivazione della sua condanna a
morte.



Il giorno dopo l'omicidio, al Csm,
interviene il Capo dello Stato Sandro Pertini: «Questa mi è
parsa la sede più appropriata per manifestare il profondo dolore
che stringe il mio animo in quest'ora di lutto per la Magistratura
italiana, la sdegno per l'abiezione nella quale alcune frange di
criminali continuano a spingere il nostro Paese con implacabile e
fanatica viltà, la ferma determinazione dello Stato repubblicano,
in tutte le sue espressioni, di non cedere a questo attacco
spietato che ha come fine ultimo l'annientamento della Repubblica
democratica nata dalla Resistenza e la distruzione delle nostre
libertà e del nostro ordinamento civile. A nome della Nazione rendo
onore al magistrato Calvosa, all'agente Pagliei, all'impiegato
Rossi, che sono caduti per la loro qualità di servitori della
giustizia e dello Stato democratico e al loro ricordo unisco quello
del magistrato Girolamo Tartagliane, che fu assassinato il 10
ottobre scorso e del Prof. Padella che da studioso contribuiva a
rendere più umana e civile l'amministrazione della giustizia.
Salgono dunque a sette i magistrati crudelmente
assassinati
".



Al termine della stessa seduta, il
Csm emette un comunicato: "Il Consiglio Superiore della
Magistratura, dinanzi all'efferato assassinio, ad opera di
terroristi del Procuratore della Repubblica di Frosinone e dei suoi
due collaboratori, che segue a breve distanza di tempo a quello di
altri magistrati, rileva come questo ulteriore grave delitto
colpisce l'ordine giudiziario in quanto garanzia essenziale dello
Stato democratico e della legalità repubblicana... Sottolinea come
sia necessaria una nuova sensibilità verso i problemi della
giustizia e della magistratura, oggi particolarmente esposta e
chiamata ad assolvere,in condizioni di estrema difficoltà anche sul
piano morale, il proprio fondamentale ruolo di garante della
libertà e della sicurezza dell'intera collettività. Fa affidamento
sulla necessaria solidarietà di tutti i cittadini e rivolge un
pressante appello al Parlamento, al Governo ed a tutte le forze
politiche e sociali, affinché attraverso tempestive ed efficaci
iniziative vengano realizzate le condizioni necessarie per
restituire fiducia alla magistratura e tranquillità al paese".



E del padre così parla il figlio
Francesco: "Quando mio padre fu ucciso avevo vent'anni. Come lo
ricordo? Come un uomo onesto, come un grandissimo lavoratore.
 Era una figura autoritaria senza volerlo essere: incuteva
timore per la sua alta levatura morale, non perché in qualche modo
abusasse o ostentasse il potere che il suo ruolo di Procuratore
capo gli riconosceva. Al contrario era una persona estremamente
disponibile, e, sopra ogni cosa, onesta ... Spesso, durante le ore
in cui era chiuso nel suo studio con i fascicoli, gli capitava di
ricevere persone che gli chiedevano dei consigli, spesso anche di
estrazione molto umile. Una volta vennero alcune vecchiette: lui le
ricevette, le ascoltò, ma poi le mandò via con decisione: avevano
osato portargli un regalo di poco conto. Lui non solo non lo prese,
ma si ritenne offeso dall'offerta. Era una persona molto
equilibrata e me lo diceva sempre: «La dote che serve di più nel
mio lavoro è l'equilibrio» ...". I terroristi lo scelsero forse
"perché era un obiettivo facile, non certo perché si occupava di
processi particolarmente importanti. A Frosinone, un grande
paesone, non accadevano cose che potessero essere di interesse
rilevante per i terroristi. Dissero che papà aveva voluto colpire
degli operai, accusandoli per un'azione di picchettaggio, ma sono
convinto che si trattasse solo di un pretesto. Dovevano colpire un
magistrato, e mio padre svolgeva il suo lavoro con impegno e
dedizione. Ma attenzione, questo ci tengo a sottolinearlo: mio
padre non era un eroe, era una persona normale che svolgeva la sua
professione con impegno. Tutto qui".




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