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13 giugno 2021

"Il nostro sì alla riforma Cartabia i referendum uno stimolo inutile"

Il presidente dell'ANM Giuseppe Santalucia intervistato da "La Stampa"


Giuseppe Santalucia - Presidente ANM

Non accenna a fermarsi, la valanga di rivelazioni, inchieste e discredito che investe la magistratura italiana. Nel frattempo, si sta materializzando lo scenario peggiore per le toghe: con il referendum sulla separazione delle carriere, Matteo Salvini si è impadronito della scena. È una slavina che si chiama Palamara. «Invito tutti, però, ad aspettare l'esito degli accertamenti prima di balzare alle conclusioni. Non accontentiamoci delle prime indagini», dice con tono accorato Giuseppe Santalucia, il presidente dell'Associazione nazionale magistrati. «Consiglierei prudenza. Non per pavidità, ma per abitudine mentale. I fatti devono ancora essere sviscerati. Molti commentatori invece, da fatti ancora non accertati, traggono la conclusione che il sistema è marcio e che servono soluzioni radicali, demolitive».


Presidente, proprio voi che siete accusati di avere alimentato da vent'anni il circuito mediatico-giudiziario?
«Il problema è di non ridurre i processi alle indagini. Ma siccome i processi sono lunghi, vediamo tutti che c'è fretta di sapere, di commentare, di affermare... Ovviamente io mi rendo conto che i processi vanno fatti in tempi più veloci, e per questo le riforme sono necessarie, perché altrimenti se il processo arranca e ha tempi indefiniti, qualche cosa bisogna raccontarla, e ci si sofferma sulle indagini preliminari. Ma se riusciremo ad avere un processo con tempi ragionevolmente rapidi, che non significa sommari, io sono convinto che l'importanza mediatica delle indagini preliminari si sgonfierà. Vede, è tutto un problema di efficienza. Se il sistema diventa inefficiente, e le sentenze arrivano alle calende greche, allora prevalgono le distorsioni. Una è questa».


Intanto il governo, nel recepire una Direttiva europea, intende cambiare le regole nella comunicazione da parte delle procure.
«Guardi, non mi stancherò mai di ripetere che un avviso di garanzia non può e non deve passare come una risposta definitiva, quando poi le sentenze possono smentirla e allora tutto diventa incomprensibile. La logica processuale è un'altra, degli accertamenti progressivi. L'errore è affrettarsi alle conclusioni».


Vogliamo parlare delle famose conferenze stampa in occasione di arresti?
«Il nostro comitato direttivo centrale discuterà prossimamente anche di questo, proprio del rapporto tra i magistrati e i media. Io credo che molto sia già scritto nella legge. A volte non viene osservato. Occorre riprendere una riflessione che è innanzitutto di etica professionale. E non solo dei magistrati, ma anche dei giornalisti. Per ricordare tutti di una verità semplice, quel che è scritto della presunzione di innocenza nella Costituzione. La regolamentazione delle conferenze stampa, ad esempio, era stata già fatta nel 2006. C'è un problema, che è quello di rinnovare il rigore professionale, il senso di responsabilità nel momento in cui si parla con la stampa. E quindi sono costretto a ripetere: quando è in corso un accertamento, non si possono sostituire gli esiti definitivi con le opinioni, dando l'idea che quella delle indagini, per definizione una fase iniziale, sia la verità».


Anche se non ci sono i testi della riforma, la ministra Cartabia li ha illustrati. Avrete cominciato a parlarne tra voi magistrati. O no?
«Ovviamente stiamo aspettando anche noi, come Anm, di leggerei testi. E quindi, per rispondere alla sua domanda, no, non abbiamo ancora nemmeno iniziato la discussione tra di noi. Le proposte della ministra saranno oggetto di approfondimento nell'ambito dei nostri gruppi di studio. In linea molto generale, posso dire che l'impianto illustrato dalla ministra Cartabia ci vede d'accordo. Sia sul processo penale che sul processo civile non abbiamo contrarietà particolari».


Siete d'accordo anche sul ritorno della prescrizione, cardine della riforma?
«Sì, capiamo l'esigenza di garantire tempi certi del processo all'imputato. E perciò siamo favorevoli».


Premesso che le procure da tempo adottano criteri di priorità nella trattazione degli affari penali, il ddl Bonafede prevedeva che le decisioni venissero dal Consiglio superiore della magistratura e dai consigli giudiziari locali; ora si pensa piuttosto a un atto di indirizzo del Parlamento, «sentito» il Csm. È una minaccia alla vostra autonomia e indipendenza?
«Come lei ha detto, i criteri di priorità sono praticati da tempo. Sono una cosa buona. Ogni ufficio giudiziario ha risorse che sono strutturalmente limitate, e deve fare un programma di azione. Dobbiamo però intenderci su che cosa significa priorità: non significa che alcuni reati possono essere perseguiti ed altri accantonati. Questo sarebbe contrario al principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale. E non basterebbe un atto di indirizzo del Parlamento a superare la Costituzione. Quando ha determinato che un fatto è un reato, in fondo il Parlamento ha già dato il suo indirizzo».


La Lega e i radicali lanciano un referendum che ha intenti severi.
«Vengono presentati come uno stimolo alle riforme del governo Draghi. Se così è, mi sembra uno stimolo inutile perché la ministra sta dimostrando di voler dare tempi rapidi alle riforme. Temo invece, tenendo conto del clima generale, che si voglia un referendum sui magistrati. Sul tradimento che l'opinione pubblica sente di avere patito, sulla base di quello che si sente e si legge. E questa non è una cosa buona. Le riforme vanno fatte con freddezza e razionalità, avendo davanti l'obiettivo del miglioramento e non spirito di rivalsa o peggio di punizione. Non penso che sia interesse di alcuno indebolire la magistratura italiana, che svolge una funzione essenziale per la vita democratica del Paese».


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