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14 luglio 2021

Il principio di realtà e la proposta del Governo sulla prescrizione processuale


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L’obiettivo di una riduzione dei tempi dei processi penali è da tutti condiviso. È un valore di civiltà giuridica che impegna certamente il Legislatore, ma di cui avverte pienamente la centralità anche la Magistratura.

Gli strumenti con cui perseguirlo devono però essere adeguati al fine, per non compromettere un altro caposaldo dell’assetto democratico, costituito dalla effettività della giurisdizione.

La valutazione di adeguatezza delle soluzioni di contenimento della durata dei processi deve essere condotta con necessario realismo, esponendosi altrimenti al rischio di imbastire riforme non solo inefficaci quanto dannose e inaccettabili sul piano della tenuta costituzionale del sistema.

Un siffatto pericolo è fortemente avvertito con l’emendamento governativo al disegno di legge AC 2435 – “Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello" – in punto di cd. prescrizione processuale.

Con esso si determina la durata dei giudizi di impugnazione, appello e cassazione, in termini eccessivamente brevi, specie se rapportati alla condizione dei carichi di lavoro e di disagio organizzativo di molte Corti di appello e della stessa Corte di cassazione; e si fa seguire al mancato rispetto dei ristretti limiti temporali la conseguenza, innovativa per il nostro sistema, della estinzione dell’azione e quindi dell’amputazione dei processi, che lascerebbe senza risposta le istanze collettive di accertamento dei reati e delle connesse responsabilità.

Occorre prendere atto che, ove l’emendamento fosse approvato, lo sforamento di tempi processuali definiti in astratto e senza la doverosa considerazione della realtà in cui versano gli uffici giudiziari sarebbe assai frequente, facendo ricadere sui singoli magistrati la responsabilità del mancato rispetto dei tempi di definizione dei giudizi senza che ve ne sia in concreto la possibilità.

Risulterebbe in tal modo vanificato il lavoro compiuto nei giudizi di primo grado, rendendo del tutto incomprensibile agli occhi della comunità il sistema di giustizia penale, anche per la conseguente irragionevole privazione di tutela delle vittime, le cui attese di giustizia resterebbero inopinatamente frustrate.

E’ agevole prevedere che, per effetto dell’innovazione si determinerà un incentivo per le impugnazioni, con ulteriore aggravio per gli uffici in sofferenza ed inevitabile incremento dei tempi di definizione, mettendo così a rischio il perseguimento dell’obiettivo strategico di riduzione dei processi penali del 25%.

L’ANM auspica vivamente che Governo e Parlamento possano farsi carico di queste forti preoccupazioni e si rende disponibile ad illustrarne compiutamente le ragioni nelle opportune sedi istituzionali.

Roma, 14 luglio 2021
La Giunta esecutiva centrale

 

 


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