22 dicembre 2024
“A giudizio c’era un politico, non la politica”
Il segretario Casciaro a colloquio con il Corriere della Sera
“A giudizio c’era un politico, non la politica”
di Fulvio Fiano
Tra chi festeggia la ritrovata possibilità di «difendere l’Italia» e chi accusa la procura di Palermo di aver istruito un processo persecutorio o velleitario, il segretario nazionale della Anm, Salvatore Casciaro, prova a riportare la sentenza di assoluzione per Matteo Salvini nel suo corretto perimetro giuridico: «A processo non c’era una politica, ma un politico. Un ministro, nello specifico, accusato di aver rifiutato di compiere atti d’ufficio e di sequestro di persona. Di politico c’è solo il personaggio, sotto processo non erano né le politiche sui flussi migratori né la difesa del suolo nazionale». Fatta questa premessa ne discendono precisazioni che potrebbero apparire ovvie se non venissero messe in discussione: «Se si facessero i processi solo con la certezza di arrivare a una condanna — dice Casciaro — , gli stessi processi sarebbero inutili. I processi si fanno per ricostruire faticosamente i fatti seguendo il metodo del contraddittorio nella formazione della prova. In questo caso c’è stata una assoluzione con formula ampia “perché il fatto non sussiste” che sembra andare oltre l’elemento psicologico di cui si è senz’altro anche discusso. Ma per una valutazione seria bisogna attendere le motivazioni».
L’equazione che l’Anm respinge con forza è dunque “piena assoluzione” uguale “processo sbagliato”. «Prima del rinvio a giudizio — sottolinea il segretario — c’è stato il vaglio del tribunale dei ministri e l’autorizzazione a procedere del Senato. La legge prevede che l’autorizzazione possa essere negata se le condotte che si chiede di sottoporre a giudizio siano state dettate da un preminente interesse pubblico o costituzionalmente rilevante. Dunque, entrambe queste ipotesi sono state escluse dal Parlamento. L’assoluzione è solo uno degli esiti fisiologici di un processo». L’altra obiezione è sulla durata del processo. «Nel dibattimento si devono accertare i fatti con il difficilissimo compito di ricostruire eventi del passato. Ed è proprio il metodo del contraddittorio tra accusa e difesa che permette ai giudici di formulare un giudizio. Su queste regole si fondano le garanzie giuridiche». Il discorso scivola inevitabilmente sulla riforma costituzionale di cui si discute in questi mesi con la separazione delle carriere tra giudici e pm. Come influirebbe su questo schema? Casciaro non ha dubbi: «In nessun modo e anche chi porta avanti questa riforma sa bene che non serve la separazione delle carriere perché il giudice sia imparziale. I dati statistici, non le opinioni, dicono che circa il 50 per cento dei processi già oggi si chiude con un proscioglimento, dunque la terzietà del giudice rispetto alle parti del processo, accusa e difesa, è già evidente nei fatti. La riforma si propone di indebolire surrettiziamente il ruolo del giudice: getterà le basi per intervenire in futuro attraendo il pm sotto l’orbita dell’esecutivo, così da influenzarne l’attività di indagine e preservare da controlli di legalità l’operato dei pubblici poteri».