La riforma sulla separazione delle carriere dei magistrati procede spedita. In gioco non è, secondo quel che ufficialmente si dice, la terzietà del giudice, il rafforzamento della posizione del giudice rispetto al pubblico ministero, come se oggi il giudice italiano non fosse già terzo rispetto alle parti. Se in gioco fosse la terzietà del giudice qualcuno dovrebbe spiegare perché potrà dirsi “terzo” il giudice che avrà di fronte, secondo quanto è scritto nel testo della riforma in discussione, un pubblico ministero pur sempre magistrato e appartenente ad una magistratura facente parte dell’ordine giudiziario, dunque dello stesso ordine del giudice.
È ovvio che, siccome l’azione penale, ossia la principale attribuzione del pubblico ministero, che si sostanzia nel potere di indagine e di accusa, è pubblica, ossia è prerogativa di un organo statuale, il pubblico ministero sarà sempre, se e quando sarà realizzato il disegno riformatore, un po’ più “vicino” al giudice di quanto possa essere una figura professionale schiettamente privata, quale è l’avvocato del libero foro, che rappresenta l’imputato e le parti private.
Ci vuol poco a comprendere che l’argomento della terzietà è nulla più che una suggestione, una giustificazione posticcia che, ad una considerazione appena più approfondita del disegno riformatore, si rivela una pezza incapace di coprire il reale disegno.
Né può persuadere l’altro argomento, secondo cui la separazione delle magistrature, giudicante e inquirente, consentirà di avere due Consigli superiori, ciascuno preposto ad amministrare le sorti della sua magistratura, in modo che i pubblici ministeri non abbiano voce sugli sviluppi di carriera dei giudici e viceversa.
Dovrebbero, infatti, pur spiegare i sostenitori della riforma, come mai una altrettanta sensibilità non venga manifestata di fronte al fatto, in prospettiva reso ancor più rilevante, che gli avvocati, che pure rappresentano l’altra parte del processo, continueranno ad occuparsi, come componenti sia dei consigli giudiziari, sia dei consigli superiori, delle sorti delle carriere e dei pubblici ministeri e dei giudici.
Il vero è che questa riforma ha un obiettivo diverso e non del tutto nascosto, perché a tratti reso palese in qualche dichiarazione di autorevolissimi esponenti di governo e diffusamente esposto nelle relazioni illustrative dei plurimi disegni di legge di iniziativa parlamentare sul tema. L’obiettivo è di indebolire la presenza e il ruolo del giudiziario, vissuto con sempre maggiore insofferenza come un potere che interferisce con le volontà delle maggioranze di governo, che ne ostacola i piani, che pretende di imporre un controllo di legalità anche nei confronti di quanti esercitano funzioni pubbliche per mandato elettivo, che non si piega e non arretra di fronte agli illeciti commessi da coloro che rivendicano di poter esser giudicati soltanto dal e nel momento delle competizioni elettorali.
E allora, lo sdoppiamento dei Consigli superiori servirà a indebolire la voce dialetticamente contrapposta al Ministro della giustizia sulle generali scelte di organizzazione della giurisdizione; la creazione di una Alta Corte di giustizia disciplinare servirà a rendere fragile la posizioni di giudici e pubblici ministeri sul terreno più delicato per la loro effettiva indipendenza, quello appunto della responsabilità disciplinare; la nomina dei componenti togati per sorteggio puro dentro i rispettivi Consigli superiori gioverà a deprimerne l’effettiva capacità di influenza rispetto alla componente di provenienza politica che, attraverso un meccanismo più articolato, sarà scelta con un sorteggio tutt’altro che cieco.
Ed infine, la separazione del pubblico ministero preparerà il terreno, al di là di quello che le disposizioni del disegno di legge dicono, alla sua collocazione, in un futuro più o meno prossimo, nella sfera di influenza dell’Esecutivo.
Una volta separato dalla giurisdizione dovrà pure trovare una sistemazione nell’area tripartita dei poteri dello Stato, e sarà quindi naturale avvicinarlo, come avviene in tutti gli ordinamenti esteri in cui è parimenti separato, al Governo.
Con buona pace della effettiva indipendenza e autonomia del giudiziario, conquista storica della Costituzione che ora si vuole stravolgere.