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1 febbraio 2025

"Vogliono controllarci. Gli attacchi sono un avvertimento”

Il presidente Santalucia su La Stampa


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di Irene Famà


«Il governo mira al controllo della magistratura: il velo è caduto e ne fa le spese il procuratore capo di Roma». Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione magistrati sino a pochi giorni fa, riflette su questi «tempi bui». Di «intimidazioni» alle toghe, di «attacchi personali per svilire e denigrare».


Il procuratore Francesco Lo Voi è sotto assedio. Indagare il governo è stato un atto dovuto?


«Non voglio entrare nella pletora di commenti, del fiorire di giuristi che dicono la loro opinione. Lo Voi ha fatto il suo mestiere. Le scelte di iscrizione di una notizia di reato o della sua cestinazione sono prerogative del Procuratore della Repubblica. Quello che mi sorprende, e che penso debba essere messo al centro, è altro».


Cosa?


«La pretesa della politica di sindacare quella scelta. E di dire: “Avremmo voluto fosse diversa”. Questo è il dato inquietante: la pretesa che il magistrato si conformi ai desiderata del governo».


Si minacciano azioni disciplinari.


«Non solo. Si minacciano anche altre conseguenze, c’è il disconoscimento pubblico della validità di quel provvedimento, si recuperano altri fatti, altri dossier, per sporcare l’immagine personale».


La prima ad attaccarlo pubblicamente è stata proprio la premier. Una macchina del fango?


«Aggiungo una cosa».


«Se la premier non avesse divulgato la notizia, questa non sarebbe stata conosciuta».


È finita anche sul Financial Times. Colpa dei magistrati?


«Se quella notizia è anche sulla stampa estera, lo si deve alla determinazione della presidente del Consiglio di farne pubblica comunicazione. La magistratura aveva agito in piena riservatezza».


La premier parla di danno d’immagine al Paese. Una bugia?


«I danni indiretti d’immagine, se di danni vogliamo parlare, non sono conseguenti alla scelta della magistratura, ma alla determinazione della presidente di parlarne in pubblico».


I toni sono vittimistici. E spesso si paventa il complotto. Perché?


«La teoria del complotto è purtroppo già stata utilizzata nella scorsa estate, quando si parlava di complotto ai danni della sorella della premier».


Si ipotizzava un’inchiesta. Non c’era nulla di vero. Quale l’obiettivo?


«La teoria del complotto, così come quella del nemico, è strumentale».


A cosa serve?


«A creare una narrazione in cui si è vittime dei malvagi. Emerge invece la piena insofferenza nei confronti di una magistratura che fa il suo mestiere».


Ora il “cattivo” è il procuratore Lo Voi. È stato reso noto, con tanto di documenti, il suo ricorso per l’utilizzo dei voli di Stato.


«Non entro nel merito della vicenda».


Reso noto anche il suo carteggio con il sottosegretario Mantovano. Tempismo particolare, non crede?


«Anche questo contribuisce a degradare la qualità della sua decisione. Far passare la sua scelta come un atto intriso di interessi personali. È un modo per svilire l’immagine del magistrato».


L’attacco diretto della premier. Quello indiretto tramite i laici del centrodestra del Csm che chiedono azioni disciplinari. Strategia?


«Completano il quadro, traducono le posizioni della politica. Si fanno interpreti della pretesa della politica di sindacare il provvedimento di un Procuratore della Repubblica».


Peccato di tracotanza?


«Non è la politica a stabilire se la scelta di un magistrato è corretta o meno».


Il procuratore di Roma è capro espiatorio della guerra sulla riforma costituzionale?


«È diventato il protagonista di un capitolo che svela il vero nucleo di interesse della riforma. Sinora abbiamo dovuto confrontarci su argomenti formali e formalistici».


Ad esempio?


«Il principio di terzietà, il pubblico ministero che dev’essere lontano dal giudice. E noi ci siamo affannati a rispondere a questo tipo di argomenti».


Specchietti per le allodole?


«Di certo questi argomenti oggi possono essere accantonati. E lo ha detto chiaro il senatore Malan evocando, in risposta a quanto accade, l’abolizione del principio di obbligatorietà dell’azione penale. E lo mostrano le vicende che si agitano intorno al caso Almasri, gli attacchi personali al procuratore Lo Voi. La sostanza della riforma è un’altra».


Quale?


«Controllo politico ed azione penale discrezionale. Il velo è caduto e ne fa le spese il procuratore di Roma».


Le toghe sono il nemico numero uno del governo?


«Sono elevate a nemico, ma non lo sono assolutamente nella sostanza. Evidentemente c’è una convenienza a rappresentarle così».


Cosa spaventa l’esecutivo?


«L’autonomia di cui ancora godono i magistrati. Se fossimo parte del governo, tutto questo non accadrebbe».


Gli attacchi più accesi sono arrivati proprio dal ministro della Giustizia. Contraddizioni?


«La Costituzione è chiara: se ci sono magistrati che sbagliano, il ministro ha tutta la facoltà di chiederne la punizione. Quello che non può fare è andare alle Camere e parlare in generale di un pubblico ministero incontrollato e incontrollabile, che clona processi e opprime i diritti dei cittadini».


Disonestà intellettuale?


«Retorica denigratoria nei confronti dell’ordine giudiziario nel suo complesso».


È preoccupato?


«Molto. Con un clima del genere...».


Come lo descriverebbe?


«Ogni volta che c’è un provvedimento sgradito, si attacca il magistrato. Con il procuratore Lo Voi vengono fuori questi incartamenti sul volo di Stato, quando si trattò del giudice Apostolico vennero fuori altre vicende. Il canovaccio è questo: se fai qualcosa che non mi piace, ti attacco sul piano personale».


Intimidazioni?


«Il messaggio è che i magistrati devono avere paura, stare allerta. E non è un richiamo alla cautela e all’avvedutezza. È un avvertimento».


Il suo timore è per la tenuta della democrazia?


«Per la tenuta e l’indipendenza della magistratura».


La composizione dell’Anm è cambiata, dopo oltre vent’anni hanno vinto le toghe di destra. Il rapporto con il governo cambierà?


«Sulla tenuta della cornice istituzionale non ho mai registrato spaccature. E credo che l’Anm proseguirà compatta nella sua difesa. Queste non sono questioni su cui ci si può dividere».


Silvio Berlusconi attaccava le “toghe rosse”. Questa riforma è la sua vittoria postuma?


«Non lo dico io, sono le parole di un parlamentare».


Le condivide?


«Beh, è sicuramente vissuta come un atto di rivalsa».


 


 



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