L'ANM è l'associazione cui aderisce il 96% circa
dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

Le ragioni di un sorteggio

di Giorgio Piziali - 12 giugno 2014

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L’AUTOGOVERNO MALATO
L’autogoverno della magistratura è uno dei valori portanti dell’«Ordinamento giurisdizionale», di cui si occupa la Carta costituzionale nella prima sezione (così intitolata per l’appunto) del titolo IV, a sua volta rubricato sotto l’insegna, importante, «La Magistratura».
Per questo un cattivo autogoverno non è deleterio solo per i magistrati che vi sono sottoposti, ma, molto più seriamente, mette a repentaglio un valore costituzionale posto a presidio della stessa struttura della nostra forma di Stato.
Oggi, purtroppo, che l’autogoverno della magistratura sia aggredito da un virus, che può essergli letale, comincia a essere percepito distintamente sia all’interno della magistratura che all’esterno. Un virus che è indicato giornalisticamente, ma efficacemente, con il termine lottizzazione e che è costituito dal controllo assoluto sul governo di tutti i magistrati da parte di organismi privati che raccolgono l’adesione solo di alcuni magistrati e che si sono formati all’interno dell’Associazione Nazionale Magistrati, a sua volta un’associazione privata, che raccoglie alcuni ma non tutti i magistrati italiani. Organismi che si deve avere il coraggio di chiamare con il nome che hanno: correnti. Senza nascondersi dietro appellativi edulcorati, come gruppi o aree.
Osservatori certamente attenti e non sospettabili di atteggiamenti preconcetti verso la magistratura e le sue prerogative hanno potuto affermare, senza essere smentiti, che «è in crisi la credibilità dei giudici» «quando ogni corrente fa correre i propri correntisti, lottizzando il CSM, distribuendo posti e prebende», come ha scritto in data recente, il 22 marzo 2014, sul “Corriere della Sera”, Michele Ainis, nell’articolo «La memoria della giustizia». Oppure, ancora più pesantemente, che «se il criterio di scelta del candidato da sostenere per l’assegnazione di un incarico direttivo è quello dell’appartenenza, allora la lottizzazione è la naturale conseguenza, indifferente o quasi al merito», come ha scritto il professor Vladimiro Zagrebelsky in un fondo de “La Stampa” del 7 febbraio 2013, dopo che il Presidente della Repubblica aveva pubblicamente richiamato il CSM, con quella che venne definita “La sferzata al CSM: le correnti ritardano le nomine”.
Frasi dal far saltare sulla sedia ogni magistrato serio, tanto più di quelli che menano vanto di essere impegnati perché attivi militanti in qualche corrente e che, invece, vengono fatte passare sotto silenzio, producendo il nulla operativo.
Ma il dramma è che quel dato che oggi diventa patrimonio comune è da molto tempo assodato anche in ambiti scientifici, se è vero che Romano Canosa, in «Storia della magistratura in Italia da piazza Fontana a Mani pulite», già nel 1996, scriveva: «È stato nel corso degli anni Ottanta che il Consiglio superiore della magistratura è diventato il vero “padrone” dei giudici Italiani».
«Da un lato infatti esso, in molte occasioni, seppe difendere la sua autonomia e non esitò ad affermare principi, a fare proposte e ad adottare iniziative che meritavano soltanto approvazione da parte dei giudici e di tutti i cittadini desiderosi del buon funzionamento della cosa pubblica, dall’altro fu totalmente dominato dal demone del clientelismo, che ebbe a ispirare moltissime sue decisioni e che fu una delle non ultime ragioni dell’esistenza di “aree interne alla magistratura” che si posero “in posizione fortemente critica” nei suoi confronti» (frasi queste ultime che Canosa prende da V. Zagrebelski, Tendenze e problemi del Consiglio superiore della magistratura, in Quaderni costituzionali, 1983, n. 1, p. 138). Una situazione che non è per nulla migliorata nel corso degli anni ‘90 e poi in questo decennio del 2000, ma, anzi, è fortemente peggiorata, tanto che anche quelle «aree interne alla magistratura» che si posero «in posizione fortemente critica» nei confronti delle logiche clientelari del CSM, cui fanno cenno Canosa e Zagrebelski, sono diventate esse stesse strumento militante di quella lottizzazione: è ormai nota a tutti la cd “mail Vigorito”, dove anche il tenore delle parole ha un peso schiacciante, con il riferimento all’opportunità politica di “piazzare” una giovane collega di Area in un posto direttivo. Al più cercando di far passare l’idea che c’è una lottizzazione cattiva, fatta dalle correnti cattive e una lottizzazione buona, perché fatta dalle correnti buone.

L’AUTOGOVERNO SFIDUCIATO
Ma la totale perdita di credibilità dell’autogoverno si misura soprattutto all’interno della magistratura, dove vi sono magistrati normali e seri, che, ad esempio, rispetto al concorso per coprire determinati incarichi la cui assegnazione compete al CSM, giungono a scrivere pubblicamente: «Io faccio parte di quella maggioranza silenziosa che nemmeno fa domanda per questi posti, pur avendo scritto, pubblicato e tenuto convegni forse almeno quanto alcuni di coloro che la domanda la fanno. Non facciamo nemmeno domanda perché, non godendo di particolari conoscenze o, pur godendone, non volendo coltivarle […] sappiamo che sarebbe una fatica inutile, e che, alla ennesima conferma del nostro ragionamento una volta effettuata la selezione, saremmo ancora una volta frustrati e delusi. […] Sappiamo tutti quali sono i requisiti per accedere a certe cariche (il che non esclude certamente che i colleghi che sono scelti siano bravissimi e meritevoli, ma esclude che altri, forse al pari bravi, siano scelti)».
Un vero e proprio atto di sfiducia verso l’autogoverno, che non si fa neppure più grido di disperazione, ma solo mugugno rassegnato. Di nuovo, nel silenzio pressoché assoluto di quella magistratura che si descrive come impegnata e che non produce nulla di operativo per vincere quella sfiducia. E il dramma è che non si tratta solo delle scelte relative alla selezione di questo o quel magistrato, per questo o quell’incarico. Perché il meccanismo istituzionale che si è venuto in questo modo a realizzare, che lega i rappresentanti dei magistrati alle correnti interne all’ANM, va a inficiare ogni momento decisionale del CSM e dei suoi organi, anche quello, delicatissimo e vitale, dell’intervento disciplinare o delle valutazioni di professionalità. Due settori dove non solo non deve assolutamente essere, ma neppure deve lontanamente apparire che le decisioni possano essere inficiate da appartenenze e legami dei componenti del CSM a soggetti esterni al CSM, come sono le correnti. Cosa che, invece, è spesso, quanto meno, apparsa negli ultimi anni.
D’altra parte, è comune e corretta, all’interno della magistratura, la critica mossa alla degenerazione che si è realizzata nella selezione dei membri di nomina politica che compongono il CSM, rispetto alla quale si è di fatto stabilizzata una deleteria spartizione partitica dei nominati, che tradisce la Costituzione, la quale aveva immaginato un meccanismo di selezione volto a garantire la nomina di soggetti dotati di autonomia rispetto alle singole formazioni politiche.
Per cui non si capisce per quale ragione analoga critica non venga mossa alla degenerazione che si è realizzata nella selezione dei membri togati che compongono il CSM, dove si è parimenti stabilizzata una loro spartizione correntizia.

IL MECCANISMO DA ROMPERE
Allora, chi davvero ha a cuore un serio recupero di credibilità della capacità della magistratura di autogovernarsi non può non cogliere come il meccanismo da rompere sia quello che ha consentito, anche in ragione di scellerate leggi elettorali, ma non solo, di realizzare un’indebita e innaturale presa di possesso del CSM da parte delle correnti. Realizzando un corto circuito tale per cui, non solo alla stampa o ai lettori superficiali, ma spesso anche all’interno della stessa magistratura, finisce col non essere neppure più chiara la distinzione tra il CSM e l’ANM.
Infatti, se le correnti hanno un’indubbia e seria legittimazione nel momento in cui operano e agiscono dentro l’ANM e, soprattutto, nel concreto della vita quotidiana dei Tribunali (dove in realtà sono totalmente scomparse), invece, snaturano l’autogoverno nel momento in cui operano e agiscono al suo interno e se ne appropriano. Non ci vuole molto per capire, infatti (e per questo chi mostra di non capirlo è in evidente malafede), che se un magistrato componente del CSM si autoqualifica come rappresentante di una corrente già scredita il suo ruolo, la sua autorevolezza e la sua autonomia, e con questa scredita il ruolo, l’autorevolezza e l’autonomia del CSM di cui fa parte. Finendo per rendere il CSM, organo di presidio dell’indipendenza della magistratura, organo dipendente da soggetti esterni al CSM.
Perché se quel magistrato componente del CSM si qualifica come rappresentante di una corrente è legittimo credere, come effettivamente accade, che operi in conformità alla volontà della sua corrente. È legittimo credere, come effettivamente accade, che in ogni scelta operi con un occhio di riguardo per chi appartiene alla sua corrente. È legittimo credere, come effettivamente accade, che in ogni decisione pensi al fatto che deve evitare che quella decisione possa far perdere consensi alla sua corrente.
Per questo è indispensabile una radicale riforma del modo attraverso cui sono scelti i magistrati che fanno parte del CSM, passando a un sistema di selezione che spezzi il cordone ombelicale deleterio tra correnti e componenti del CSM.
In questa logica la scelta deliberata dall’ANM di indire una selezione dei candidati al CSM tramite elezioni primarie può essere positiva, perché può consentire a coloro che in questo modo sono indicati dal voto di poter rivendicare un’investitura, per così dire, popolare, della base dei magistrati e non già esclusivamente della corrente di appartenenza. Ma è molto poco se l’indicazione dei candidati che corrono per le primarie viene ancora e solo dalle correnti e se questi candidati rivendicano ancora quella loro appartenenza e, soprattutto, se la rivendicheranno nel momento in cui, eletti effettivamente al CSM, andranno a indossare, da consiglieri, la maglietta della loro squadra e non già solo la toga di tutti i magistrati.
Per questo un gruppo di volenterosi, visionari pratici, che sul piano teorico della riflessione sta ragionando e operando per favorire riforme radicali del sistema di selezione dei componenti togati del CSM, ha messo in campo, anche a normativa vigente, un meccanismo radicalmente innovativo per selezionare i candidati per il prossimo CSM. Un meccanismo imperniato sul sistema del sorteggio, ma, come è stato efficacemente detto, un sorteggio ben temperato.
Come ha scritto tempo fa Giovanni Tamburino (non certo estraneo al mondo delle correnti) e in un articolo pur critico sul sorteggio (pubblicato nel sito www.movimentoperlagiustizia.it, col titolo «Ancora sul sistema elettorale per il CSM»): «Non vi è dubbio che l’estrazione a sorte dei papabili e/o degli eletti colpirebbe alla radice la presa delle correnti sul CSM nel momento del rinnovo ed anche durante la sua vita. Sotto questo profilo il sorteggio dei componenti togati darebbe un colpo effettivo al correntismo».
Questo è l’obiettivo, il sogno, la speranza che ha mosso il Comitato Altra proposta: realizzare un sistema in grado di colpire «alla radice la presa delle correnti sul CSM nel momento del rinnovo e anche durante la sua vita». E nella piena consapevolezza che se il sorteggio puro e semplice può presentare dei limiti, invece, il sorteggio temperato da un voto sui sorteggiati elimina ogni difetto, tanto che lo stesso Giovanni Tamburino nell’articolo citato non indica un solo difetto del sorteggio che riguardi anche il sorteggio dei candidati.

IL SORTEGGIO NON È UN DEMONE CIECO
Questo obiettivo, a normativa vigente, è stato realizzato in modo molto semplice. Prima estraendo a sorte, in un seduta pubblica davanti a un notaio, tra tutti i magistrati aventi diritto al voto una rosa di possibili canditati, escluse quelle situazioni di incompatibilità che avrebbero potuto inficiare l’autonomia degli eventuali eletti rispetto alle correnti. Poi invitando gli estratti a sorte ad accettare di candidarsi. Infine, sottoponendo gli estratti a sorte che hanno accettato la candidatura a un voto telematico e aperto a tutti i magistrati con diritto di voto per selezionare gli effettivi candidati da proporre per le prossime elezioni del CSM.
Si è trattato, certamente, di una provocazione, ma anche di un esperimento. Una provocazione e un esperimento che hanno dimostrato sul campo che il sorteggio non è il demone cieco da molti (strumentalmente) paventato, che fa emergere chissà quali mostri a tre teste, ma semplicemente un sistema che attiva forze nuove e normali. Infatti, il sorteggio effettuato ha chiamato moltissimi magistrati, uomini e donne, seri e stimati, del centro e delle periferie, all’onere di farsi carico del loro autogoverno. Magistrati la cui partecipazione, altrimenti, con i criteri correntizi di selezione, comprese le primarie, mai sarebbe stata attivata. Un sistema, quindi, che ha dimostrato, anche alla prova pratica, di poter tranquillamente assurgere a meccanismo normativo di selezione dei candidati al CSM, senza produrre chissà quali rischi: se non il rischio, temuto da molti, di liberare il CSM dal controllo correntizio.
Ma quella attivata dal Comitato Altra proposta non è solo una provocazione o un esperimento, ma è anche un’operazione pratica. Perché grazie al voto nelle primarie telematiche ci sono ora quattro magistrati che concorrono realmente per l’elezione del CSM. Candidati che vengono dalla base vera, quella piegata quotidianamente sui fascicoli, che non ha fatto cursus honorum per giungere a una candidatura. Candidati che non sono tali per un’appartenenza. Candidati che, quanto meno, aumentano le possibilità di scelta per gli elettori. Ma, soprattutto, candidati che se saranno eletti non lo dovranno ad alcuna corrente e che, quindi, se diventeranno componenti del CSM, non indosseranno la maglietta di alcuna squadra, e, quindi, dei quali non si potrà mai dire che operano in conformità alla volontà di una corrente, oppure con un occhio di riguardo per chi appartiene alla loro corrente o per evitare che qualche decisione possa far perdere consensi alla loro corrente.
E questo è esattamente ciò che serve all’autogoverno della Magistratura, per ritrovare credibilità. Avere consiglieri del CSM che non rispondano a soggetti o esigenze esterni, ma solo alla loro professionale abitudine ad applicare le regole.

Autore
Giorgio Piziali
Giudice del Tribunale di Verona