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La modernità del giudice e la B.D.D.C.: viaggio virtuoso fra le vie dell’organizzazione e della formazione

di Mirella Delia - 29 maggio 2017

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Immaginiamo si possa intraprendere un viaggio nell’età contemporanea avendo a mente un’unica meta: comprendere la coscienza aggiornata del ruolo del giudice. Era già nel comune sentire dei magistrati – giuste le rivendicazioni assunte negli ultimi tempi con i termini “carichi esigibili”, “qualità del lavoro” “aggiornamenti statistici sulla produttività” – il bisogno di non rassegnarsi all’inefficienza del processo civile e di scuotere le rigidità dai propri luoghi di lavoro.


La spinta decisiva a compiere questo viaggio immaginario, però, è arrivata dalla mano riformatrice del nostro Legislatore, che da qualche anno imperversa negli uffici giudiziari.


Riforme che irrompono negli spazi di quelle che erano, fino a non molto tempo addietro, le segrete stanze dei magistrati, alleggerendone gli arredi, liberandole dai codici e dai faldoni colmi di fascicoli. Sulle ampie scrivanie, sparite d’improvviso le carte processuali, domina il computer, simbolo di un’informatica giudiziaria a tratti inquietante, perché avanza con gli strumenti del PCT e i lemmi del programma Consolle, assai lontani dalla nostra formazione e persino dalla nostra immaginazione. Riforme che aprono le porte di quelle stanze a nuove risorse umane.


Implementate le presenze dei magistrati onorari, numericamente sempre più determinanti, affiancati i giudici togati dai giovani dei tirocini formativi – linfa vitale nel disbrigo di attività tradizionali di ricerca giurisprudenziale e di assistenza in udienza– favorite le convenzioni con lavoratori in mobilità, destinati a funzioni ancillari, potenziate le figure di snodo della rete informatica fra periferie giudiziarie e uffici centrali (magistrati RID, MA.GRIF e CISIA), il panorama interno degli Uffici giudiziari appare sempre più un terreno su cui saggiare nuove potenzialità.


Riforme che, raggiunte le aule d’udienza, travolgono lo stesso processo civile, modificandone gli accessi, filtrandone i passaggi ai gradi superiori, sanzionandone gli abusi, stravolgendo le modalità .di stesura e di deposito degli atti processuali,innovando le forme motivazionali delle sentenze, variandone le formule definitorie. Non meno avventurosa si presenta l’esplorazione della nuova geografia giudiziaria, fra le soppresse sezioni distaccate e le potenziate sezioni specializzate, fra accorpamenti e ridefinizioni nella mappatura dei Tribunali e delle Corti d’appello. Il tutto con innegabili contrazioni delle terminazioni della rete di giustizia.


Novità che accerchiano infine i professionisti di giustizia – nessuno escluso – ponendone in discussione inevitabilmente i ruoli. Gli avvocati, ad esempio, la cui professionalità va estendendosi ormai ben oltre il processo per raggiungere le nuove aree delle ADR. I consulenti tecnici, nondimeno, sempre più indispensabili alla giustizia e alla qualità delle sue risposte, finanche sui tavoli conciliativi, per l’impiego rafforzato degli istituti di giustizia partecipata (artt. 696 bis e 185 bis c.p.c.). La logica delle collaborazioni nel sistema giudiziario prende finalmente il sopravvento.


A dare l’esempio del mutato modo di approcciare l’intero apparato giudiziario dovrebbero incominciare proprio i giudici. Prima di alimentare la fiducia del cittadino nel magistrato, conviene infatti rafforzare la fiducia che i magistrati hanno nel loro “essere giudici” e aprirsi con maggiore umiltà ad altri saperi tecnici è la strada più sicura per raggiungere nuove mete di autostima, equilibrio, autorevolezza.


Mete che non possiamo ignorare, se vogliamo rinnovare (e non semplicemente ritrovare) un’identità di categoria, i cui confini si allargano, fino quasi ad annullarsi, allorquando assistiamo al ricambio epocale di intere generazioni di magistrati, togati e non, espulsi per raggiunti limiti di età, per vie brevi (per non dire spicce).


Dobbiamo sostenere noi per primi, anche a tutela dei colleghi più giovani, la necessità di assimilare – affianco a tecniche e scienze giuridiche, di cui siamo portatori sani per definizione – le conoscenze specialistiche, perché la società è molto più complessa di quella agricola dell’immediato post guerra, che fu l’epoca gestionale del nostro codice civile.


È società del danno, dei rapporti commerciali e del lavoro, dove le comuni fattispecie non soddisfano più, mentre la definizione dei procedimenti civili di merito, cautelari, fallimentari ed esecutivi, spesso e più di quanto non avvenisse nella società della proprietà terriera, è frutto della collaborazione che a vario titolo viene prestata al giudice dagli ausiliari d’ufficio.


È principalmente nostro interesse incoraggiare i momenti di incontro e di scambio, non solo fra i colleghi della propria Sezione o dell’intero Ufficio, se non proprio del distretto, ma finanche con i rappresentanti delle altre categorie di operatori di giustizia (ad esempio, promuovendo i Protocolli giudiziari, condividendo le linee guida per le udienze e invitando alle periodiche riunioni di cui all’art. 47 quater ord. giud., oltre ai magistrati togati e onorari, avvocati ed esperti).


Assecondando la nostra partecipazione a tavoli di lavoro multidisciplinari, si arriverà ad affinare sensibilità e abilità decisionali, sì da renderci vigili e allenati nell’accogliere, interpretare e disciplinare la realtà della lite, offrendo a essa soluzioni di giustizia qualitativamente sostenibili.


Lite che, ancor prima che processuale, è sostanziale e tale dovrebbe rimanere fino al momento della sua definizione, anche quando si snodi attraverso i percorsi alternativi della conciliazione.


Riforme che, pure nel passaggio dalla mano del Legislatore a quelle ministeriale e di autogoverno della magistratura, continuano a voler innovare i ruoli dei magistrati, al contempo ampliandone le responsabilità, in primis dei capi ufficio.


I programmi di gestione dei procedimenti civili ex art. 37, la cd metodologia Strasburgo per la ragionevole durata del processo, l’Ufficio del processo: sono le tracce percorribili, a livello ordinamentale, per implementare il lavoro di gruppo negli Uffici giudiziari, per migliorarne i profili organizzativi e la produttività.


Un’altra tappa si affaccia all’orizzonte giudiziario: la ricerca di una governance di qualità della giustizia civile. La diffusione di case management, cioè di gestione integrata delle tempistiche processuali, e di court management, cioè di governo responsabile ed efficiente degli Uffici giudiziari, appare sempre più possibile e in grado di spazzare via il modello del “giudice artigiano”.


Cambiare l’ufficio dei giudici, come si è già intravisto, non è mera questione di efficienza deflattiva, di numeri da smaltire, ma è piuttosto operazione profonda.


Va dapprima sentita, poi condivisa, quale ricerca di maggiori garanzie evidentemente per l’utenza, dentro e fuori il processo: è cosa di cui, al di là dei contorni, incominciano a cogliersi i contenuti, grazie alla sperimentazione e al governo di spazi di miglioramento del nostro lavoro in chiave organizzativa, manageriale e ordinamentale.


Le disfunzioni nella gestione dei processi civili non tradiscono solo le aspettative delle parti rispetto all’esito della lite e il comune affidamento riposto all’utilità del decisum, ma contribuiscono – cosa se possibile ancor più grave - nelle grandi misure, al ristagno dell’economia.


Il magistrato, allora, non deve più lavorare come una monade isolata, protetto da sterili privilegi che solo gli ingannevoli principi dell’autosufficienza e autoreferenzialità producono. L’unico privilegio che vale la pena conservare è quello di matrice costituzionale, quello che ci vede liberi e indipendenti, soggetti soltanto alla legge. Il giudice deve raggiungere la consapevolezza di essere una parte, unica e preziosa, del cosmo giudiziario, andando incontro alle sinergie che s’innestano nel suo ufficio e, al contempo, interagendo nelle proficue forme di lavoro corale gravitanti nelle aule di giustizia. Il magistrato deve essere messo pure nelle condizioni di sentirsi parte di un più ampio progetto che va nella (ormai non più differibile) direzione di evolvere la macchina-giustizia.


Sono chiamati a questo cambiamento di prospettiva dapprima i capi dell’ufficio: non è forse più sensato riconoscere loro il profilo di leadership illuminati solo allorquando dimostrino di essere stati in grado di veicolare fra i colleghi – al di là dell’ansia di far guerra all’arretrato e ai numeri – una coscienza comune che rimanga sempre al servizio dei cittadini?


Gli interrogativi sono destinati ad aumentare con il progredire del nostro itinerario.


V’è da chiedersi, a questo punto del viaggio, se sia ancora possibile incontrare, nelle aule di giustizia, il cittadino.


V’è da chiedersi, soprattutto, se il cittadino possa ancora incontrare il giudice. Perché in fondo è ancora un suo diritto. è il dono ricevuto dal nostro Costituente!


La progettualità organizzativa, la velocità dei saperi, le dotazioni informatiche, non devono trasformare le scrivanie dei giudici in archivi cibernetici, perché il cuore dell’esercizio della giurisdizione è il giudizio, il suo nucleo deve rimanere nell’udienza, con il suo significato più profondo, che deriva da “audire”, ascoltare e non semplicemente sentire.


L’udienza a cosa serve se non si viene ascoltati? Se la professionalità è anche preparazione sull’oggetto di cui si discute e se il giudice decide ancora sulla base dell’oralità del processo, sulle prove assunte in giudizio – guardando in viso il testimone e scrutandone il linguaggio del corpo – sui propri convincimenti, finanche quando la contestuale decisione segua la discussione (nelle forme contratte previste dall’art. 281 sexies c.p.c.), non può negarsi l’importanza dell’oralità, degli stimoli raccolti con i chiarimenti resi nel contraddittorio, del dialogo con le parti fino a farne emergere i veri interessi, quelli sottostanti il conflitto.


Come coniugare tutto ciò con il mondo del PCT e la modalità dei documenti processuali inviati in remoto?


Al giurista-viaggiatore è reso possibile l’attraversamento del fiume dei fin qui descritti cambiamenti grazie a un guado improvviso.


Le buone prassi rappresentano l’unico punto da cui è possibile, con maggiore successo, raggiungere la sponda opposta, dove si compie cioè l’esercizio della giurisdizione. Il concetto di “Buone Prassi” può potenziare gli effetti pensati dal Legislatore delle ultime riforme nel processo civile fino ad arrivare a restituire, in misura sorprendente, coerenza al sistema Giustizia.


La buona prassi giudiziaria non è un miraggio o una dimensione virtuale. è un fenomeno reale, capace di fecondare in “circolarità” le idee e i progetti, garantendone lo spostamento da un luogo all’altro, pure fra loro assai lontani; fenomeno che, alimentandosi a livello locale nel confronto ragionato fra gli operatori del diritto, ne innova il ruolo, affinché non si limitino più ad applicare le indicazioni provenienti “dall’alto”, bensì, ispirati da una comune cultura di progresso nel servizio, si rendano protagonisti attivi degli spunti di cambiamento offerti, raccogliendoli, “rilanciandoli” e arricchendoli di contenuti ed efficacia, soprattutto muovendoli e divulgandoli sul territorio.


Il valore della best practice non è ignorato dal CSM, che lo ha ritenuto strumento capace di immettere efficienza nell’ambiente-giustizia, tanto da istituireuna Banca Dati Nazionale delle buone prassi, per censirle e catalogarle, per interpellare gli Uffici giudiziari sull’attualità delle buone prassi già censite e su quelle nuove, progettando un nuovo sito internet e infine redigendo un apposito “manuale”.


È il giudice che valuta la bontà di un’esperienza, la spinge in un percorso virtuoso e la conduce con i poteri che da sempre il Legislatore, per effetto dell’art 175 c.p.c., gli ha conferito nelle attività richieste in udienza, nei contraddittori, fra gli avvocati, i tecnici, le parti.


Giunti alla destinazione finale del nostro viaggio immaginario, proviamo allora a testare in concreto, fra le buone prassi finora generatesi negli uffici giudiziari, quella della ex Sezione Distaccata di Modugno, via via estesa a tutto il distretto barese, per verificare, attraverso le sue finalità e gli obiettivi raggiunti, il postulato appena predicato.


Il Progetto Conciliativo Barese propone un’efficace dimensione organizzativa del lavoro del magistrato civile, promuovendo, affianco alle sentenze, l’impiego di nuove “formule definitorie” del contenzioso pendente, ispirate dagli ultimi interventi normativi riformatori registrati negli ambiti della risoluzione alternativa dei conflitti (art. 185 e 185 bis c.p.c.).


Il metodo della c.d. “Conciliazione Integrata”è stato sperimentato, nei primi avvii, con il sostegno dell’Associazione Forense Modugnese e, rafforzati i suoi effetti deflattivi tramite gli studi condotti, grazie all’Università degli Studi di Bari, sulla similare esperienza conciliativa d’oltralpe di Simone Gaboriau, ha potuto nel tempo offrire altrettanto valide risposte di giustizia, alimentate da un prezioso approccio collaborativo fra i protagonisti della lite.


Le parti, assistite dai rispettivi legali, vengono condotte, quando ritenuto più propizio dal giudice (per gli esiti istruttori, il tenore delle eccezioni  ovvero le questioni complessivamente poste), al di fuori della logica della contrapposizione, tipica del modo con cui si è inteso – soprattutto in passato – il processo civile, e orientate, attraverso un dialogo aperto in udienza ma proseguibile anche oltre il suo ambito, alla condivisione di una soluzione.


Soluzione bonaria che, per essere tale, deve intercettare, al di là dei diritti, le reali esigenze delle parti, per ricomporle in un ambito negoziale alla cui tenuta satisfattiva contribuisce la volontà dei contraenti.


L’operazione richiede, com’è evidente, magistrati, avvocati e tecnici tutti abili nell’interpretare la realtà degli interessi dei contendenti e nel suggerire loro formule negoziali transattive e/o conciliative che saranno condivise e fatte proprie dalle parti.


Se il Legislatore della novella processuale spinge il processo civile verso una maggiore efficienza confidando nell’uso più sapiente dei percorsi di sua definizione alternativi alle sentenze, diviene principio di coerenza, insopprimibile, il portare tutti gli operatori delle aule di giustizia a parlare lo stesso linguaggio sui tavoli conciliativi.


Ogni professionista delle aule giudiziarie deve poter sviluppare un nuovo modus procedendi, per poter poi, a sua volta, sensibilizzare le parti all’area di controvertibilità delle questioni giuridiche sottostanti la lite e alla ponderazione dell’alea del giudizio.


Su queste prove di coerenza agisce la buona prassi barese, che, perseguendo le finalità inserite nei punti 2 e 3 del Protocollo elaborato il 2.10.2015 nell’ambito del Progetto “Ufficio del Processo, Ragionevole Durata e Best Practice Conciliativa”12, implementa l’incidenza deflattiva del contenzioso civile puntando sulla qualità delle risposte conciliative, mostrando attenzione alla ricerca dei precedenti conciliativi (verbali di conciliazione prima e ordinanze 185 bis c.p.c. e di mediazione delegata dopo) disponibili negli uffici del distretto.


Nella convinzione che quei documenti custodiscono utili leve conciliative, replicabili in fattispecie analoghe, quali geometrie capaci di tenere in equilibrio gli interessi delle parti in lite, i magistrati impegnati nel Progetto hanno messo quel bagaglio di conoscenze al servizio della Giustizia per il tramite di una raccolta digitale di agevole fruizione per nomenclature classificatorie e collegamenti ipertestuali in essa impiegati, on line e aperta alla consultazione anche fuori dagli Uffici giudiziari.


Alla selezione dei documenti e all’allestimento della banca dati conciliativa hanno collaborato gli stagisti del cd decreto del fare, assegnati all’ufficio, in attuazione degli obiettivi posti dall’apposito Mansionario adottato presso il Tribunale di Bari e dal punto 1 del Protocollo elaborato il 2.10.2015. è nata così la B.D.D.C. (l’acronimo sta per “banca dati digitale conciliativa”) che alimentata periodicamente con l’inserimento di nuovi documenti di sicura provenienza, cioè emessi negli uffici del distretto barese e reperiti attraverso la e-mailing list della Formazione Decentrata, oltre che d’interesse per il controllo sugli orientamenti giurisprudenziali assunti dall’ufficio in casi analoghi – ispirae rafforza le duttilità conciliative degli operatori del diritto.


I magistrati, allorché si cimentano con le innovative ordinanze 185 bis, gli avvocati e i CTU, quanto a tecnica redazionale condivisa da impiegare negli accordi bonari. Il Progetto virtuoso sa esprimere persino un’inedita portata formativa, indirizzata non solo alla magistratura – togata e non – ma a tutti gli altri operatori nella giurisdizione.


Il segnale di come ciò risponda al bisogno autentico dei professionisti del diritto, nessuno escluso, di progredire verso un servizio giustizia che si vuole da più parti riformare è nell’adesione prestata dai vari ordini professionali, addirittura delle loro più alte rappresentanze a livello nazionale (CNF, CNC, CNI), agli eventi organizzati per divulgare i contenuti dell’esperienza virtuosa in parola.


Si è avviato, in particolare, un percorso itinerante di seminari-laboratori di studio della prassi virtuosa della B.D.D.C. nell’ambito della SSM, in sede centrale e decentrata, e, in esecuzione dei punti n. 2 e 3 del Protocollo, si sono sperimentate con gli stagisti raccolte ragionate di casi, sulla falsa riga dei famosi case book nordamericani.


Ciascun discente-tirocinante viene chiamato allo studio della controversia da cui è originato un documento conciliativo inserito nella B.D.D.C. (verbale di conciliazione o proposta ex art 185 bis cpc), estrapolandone prima gli elementi rilevanti in fatto, per poi dedicarsi alla ricerca della regola e all’adozione del rimedio sostanziale e processuale più idoneo alla luce della giurisprudenza formatasi sulla questione.


Catalogando i precedenti conciliativi (epurati dai dati sensibili) per area d’interesse si offre, a chi intende esplorare la B.D.D.C., una carrellata di tecniche negoziali, da un lato, e schemi motivazionali dall’altro, di ausilio nelle aule di giustizia, allorquando s’intendano usare in modo più elastico gli istituti giuridici per soluzioni definitorie del contenzioso in alternativa alla sentenza.


L’apporto formativo della banca dati conciliativa è stato ritenuto una componente fondamentale nella ridefinizione del ruolo dei professionisti del processo civile e nella creazione di una loro convergente deontologia.


Un valore aggiunto che – in una circolarità da cui sembra possa ricomporsi il senso più profondo del bene Giustizia, perché a disposizione dei giudici, togati e onorari, degli avvocati e mediatori, dei tecnici, d’ufficio e di parte, e del cittadino, anche al di là degli uffici baresi – è garanzia dell’avvicinamento dell’utenza alla giustizia, in controtendenza con le opposte e irresponsabili spinte che vorrebbero delegittimare la centralità della giurisdizione nella società civile.


La B.D.D.C., estensibile con sessioni tematiche – verbali di conciliazione, 185 bis, mediazione delegata – tocca tutti i punti di non ritorno della moderna organizzazione dei nostri uffici: la prevedibilità della decisione, l’affidabilità dei precedenti raccolti e la loro divulgazione, oltre alla ripetibilità delle esperienze virtuose di giustizia partecipata.


Sono questi i punti entrati di diritto nello Statuto del giudice moderno, avendo il pregio di conservare (o riconquistare) la fiducia che in noi giudici ripone la collettività18. La B.D.D.C., muovendo cultura conciliativa a costo zero per l’amministrazione di giustizia, rimuove la diffidenza con cui gli operatori approcciano il mondo degli strumenti alternativi di risoluzione del contenzioso, e ne incoraggia in particolare l’uso fra noi magistrati, grazie a un’altra potente leva, quella dell’essere motivati nel produrre sforzi conciliativi.


V’è invero un’altra tappa da raggiungere nel cammino delle consapevolezze proprie del mondo della magistratura, rappresentata dall’impiego più coerente dell’informatica giudiziaria, dalle rilevazioni statistiche della produttività dei giudici e dal peso che a quei dati può darsi, nelle competenti sedi, all’avanzamento nella professionalità.


Motivare i giudici nel cambiamento, affiancando alle sentenze un uso più disinvolto dei nuovi istituti di esercizio della funzione giurisdizionale (185 bis e mediazione delegata), vuol dire anche saperli gratificare.


L’impegno profuso dal magistrato nello studiare il fascicolo di causa ed emettere il provvedimento di invio alla mediazione o di proposta conciliativa, nel caso di successo della mediazione o di accettazione della sua proposta, non ha oggi alcuna valenza in termini di rendimento professionale.


Per restituire su ciò coerenza all’intero sistema, il Progetto virtuoso barese ha affinatoun metodo di rilevazione periodica, per il tramite dei sistemi informatici ministeriali, delle ordinanze ex art. 185 bis c.p.c. emesse e dei procedimenti da esse variamente definiti.


I dati deflattivi dell’impiego degli istituti conciliativi possono così confluire nella statistica adeguatamente adattata a siffatta esigenza, per permettere l’apprezzamento della laboriosità e delle abilità conciliative del singolo magistrato nelle competenti sedi istituzionali.


La buona organizzazione degli uffici, la gestione dei processi all’insegna della rapidità, il rispetto dei diritti fondamentali delle persone devono camminare di pari passo, migliorando il sistema giudiziario senza confliggere mai con i nobili valori della nostra democrazia.

Autore
Mirella Delia
Referente del Progetto – Distretto Corte d’appello Bari

Immaginiamo si possa intraprendere un viaggio nell’età contemporanea avendo a mente un’unica meta: comprendere la coscienza aggiornata del ruolo del giudice. Era già nel comune sentire dei magistrati – giuste le rivendicazioni assunte negli ultimi tempi con i termini “carichi esigibili”, “qualità del lavoro” “aggiornamenti statistici sulla produttività” – il bisogno di non rassegnarsi all’inefficienza del processo civile. Mirella Delia