L'ANM è l'associazione cui aderisce il 96% circa
dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

Introduzione alle fonti del Processo Penale Telematico

di Luigi Petrucci - 29 maggio 2017

ilya-pavlov-87438.jpg

Testo della relazione sulle fonti del Processo Telematico per il 2° corso organizzato dalla SSM a Napoli sul Processo Penale Telematico, dal titolo “La telematica nel processo penale”.


Un sincero ringraziamento all’ANM per avermi dato la possibilità di ospitare queste riflessioni a distanza di due anni dal seminario “Verso il processo penale telematico”, organizzato proprio dalla nostra Associazione su proposta dei colleghi più “telematici”. Due anni fa avevamo solo tante richieste, oggi molte di esse sono realtà: una di esse era proprio l’introduzione di questo tema nella Formazione Permanente della Scuola Superiore della Magistratura.


Il diritto dell’informatica contesto del processo telematico


Mi sembra indispensabile, prima di affrontare il tema delle fonti normative del PPT, introdurre una nozione di applicazione (c.d. App) ovvero della realtà che la norma intende regolare.


In questo contesto App sta per “tecnologia elettrica formata in base a regole convenzionali – quali sono i linguaggi di programmazione – che rispettano le disposizioni legislative dettate per la conservazione e sicurezza delle App e dei dati da esse trattate”.


È opportuno ricordare che i linguaggi di programmazione sono standard e protocolli, che appartengono al genere delle leges artis e così verranno nominate nel prosieguo, al voluto scopo di evocare un concetto familiare al giurista italiano, quale può essere, ad es. nel campo dell’edilizia, l’insieme di regole non scritte che presiedono alla buona costruzione di un edificio.


Le disposizioni legislative che, assieme alla lex artis, regolano il fenomeno del diritto dell’informatica (di cui il processo telematico è una branca specifica) sono sparse in una pluralità di fonti che vanno dal codice della privacy, al codice delle comunicazioni elettroniche, dal codice dell’amministrazione digitale alle numerose direttive dell’Unione Europea che, per molti dei “codici” appena citati, sono la base della normativa nazionale.


Fra queste merita di essere ricordato il Reg. UE c.d. eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature) n. 910/2014 sull’identità digitale, entrato in vigore il 1 luglio 2016.


La formazione della lex artis avviene in ambito sovranazionale ed extra statuale, in quanto viene determinata dai produttori di hardware (c.d. hw) e, soprattutto, software (c.d. sw), fra i quali dobbiamo sicuramente citare i c.d. Over the Top ovvero le grandissime multinazionali, che si spartiscono quasi per intero il mercato delle nuove tecnologie, come Apple, Microsoft, Google/Alphabet, Facebook e Amazon (cito queste cinque, sia perché si collocano fra le prime otto aziende più capitalizzate del mondo, sia perché, per il loro storico core business, rappresentano i cinque segmenti principali del mercato delle nuove tecnologie: hw, sistemi operativi per pc, sw per la rete internet, social network, vendite on line).


In Italia le disposizione legislative sono nate e si sono sviluppate soprattutto per disciplinare l’attività delle Pubbliche Amministrazioni (c.d. PA). Ciò non è sicuramente un caso, dal momento che la disciplina dell’organizzazione e dello stesso agire della PA è una competenza legislativa “elettivamente” riservata allo Stato nazionale.


Il d.lgs. n. 82/2005 (c.d. CAD) nella riforma del 2016


Il CAD è nato storicamente da un corpus di norme in materia di documentazione amministrativa, destinato in origine a disciplinare l’agire telematico della PA e si è nel tempo evoluto sino a divenire un vero e proprio “codice civile informatico”, poiché contiene norme di diritto comune che disciplinano la validità dei documenti informatici e delle comunicazioni informatiche anche nei rapporti tra privati.


Il testo del CAD è attualmente composto da ben 91 articoli, che vengono modificati quasi tutti gli anni sotto la spinta della legislazione dell’Unione Europea. L’ultima rilevante modifica è avvenuta proprio quest’anno per adeguarsi al citato reg. UE n. 910/2014, ma anche per importanti riforme della nozione del documento informatico. Un’altra parte molto importante del CAD è quella delle definizioni contenute nell’art. 1.


Il testo del decreto legislativo non è, però, l’unica fonte normativa alla quale dobbiamo fare riferimento perché, come i tutti i codici, si completa con la disciplina di attuazione di natura regolamentare, a loro volta in continua evoluzione.


L’ultima caratteristica del CAD – che, poi, è una caratteristica della legislazione in materia di informatica – è il rinvio al provvedimento sulle specifiche tecniche ovvero a un provvedimento di natura amministrativa, il cui compito è quello di adeguare i riferimenti normativi alla lex artis, a sua volta in rapidissima evoluzione (basti pensare alle continue nuove versioni dei sistemi operativi, che sono la base alla quale tutti gli altri sw si devono adeguare).


Con il d.lgs. n. 179/2016, ci sono state le seguenti innovazioni, che hanno una notevole importanza nell’ambito dello studio del PPT:


»il coinvolgimento obbligatorio del Ministero della Giustizia nella formazione delle regole tecniche;


»l’ulteriore espansione del perimetro di validità del documento informatico;


»la clausola espressa di prevalenza delle regole del processo telematico sulle regole dettate dal CAD, prevista dagli artt. 2, co. 6, e 21, co. 2;


»il riconoscimento di atti e documenti formati ai sensi della normativa “anche regolamentare” sul processo telematico;


»l’abrogazione del rinvio a regolamenti governativi o del Presidente del Consiglio di Ministri quale condizione sospensiva dell’efficacia di alcune disposizioni del CAD.


L’art. 4 d.l. n. 193/2009 conv. in l. n. 24/2010 e il d.m. n. 44/2011


Uno sguardo ampio sulla regolamentazione del servizio Giustizia abbraccia sia i servizi amministrativi alla Giustizia, che la Costituzione riserva alla competenza del Ministro della Giustizia, sia le regole del processo che, a stretto rigore costituzionale, non rientrano nel concetto di PA (fra le molte che escludono l’applicazione dell’art. 97 Cost. alla giurisdizione, cfr. Corte cost. nn. 64/09, 272/09, 117/2007, e, con specifico riferimento alla disciplina della connessione nel processo civile, l’ordinanza n. 398/00).


A seguito della modifica del 2016 è espressamente contemplata la consultazione obbligatoria del Ministro della Giustizia nella formazione delle regole tecniche del CAD: cade così lo sbarramento di natura costituzionale a una diretta applicazione del CAD anche ai servizi della giustizia. In precedenza, infatti, si era ritenuto che, essendo il provvedimento sulle specifiche tecniche del CAD di esclusiva competenza del Ministro della Funzione Pubblica, la sua diretta applicazione al servizio Giustizia avrebbe leso la competenza costituzionalmente riservata al Ministro della Giustizia.


Il CAD, in quanto disciplina rivolta in prima battuta a regolare l’organizzazione e l’azione delle PA, non si applica al processo civile e penale. L’art. 4 d.l. n. 193/2009 conv. in l. n. 24/2010 ha, però, previsto che l’adozione nel processo civile e penale delle tecnologie dell’informazione sia fatta tenendo presente i principi previsti dal CAD.


Prima di esplorare quali siano i “principi” del CAD che si applicano anche al PPT, bisogna soffermarsi sulla tecnica normativa utilizzata dal Legislatore che, come si è visto, rinvia alla normazione di carattere secondario.


Qui viene fatto con l’attivazione di una potestà regolamentare del Ministro della Giustizia, con una speciale procedura che prevede la consultazione del Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (c.d. CNIPA oggi Agenzia per l’Italia Digitale, c.d. AGID) e del Garante della Privacy, in aggiunta al parere del Consiglio di Stato e al controllo della Corte dei Conti previsti per ogni regolamento ministeriale dall’art. 17, co. 3, l. n. 400/1988.


La previsione di questa potestà normativa di carattere secondario (anziché della generale competenza normativa di carattere secondario del Consiglio dei Ministri, come era accaduto per le prime regole del PCT con il d.P.R. n. 123/2001) è coerente alla competenza esclusiva del Ministro della Giustizia sui servizi alla Giustizia.


L’art. 4 d.l. cit., dunque, funge sia da fonte di carattere primario necessaria per la validità della fonte di carattere secondario a norma dell’art. 17, co. 3, l. n. 400/1988 (in base al quale il regolamento ministeriale deve essere espressamente previsto da una legge), che da fonte di carattere primario per rispettare la riserva di legge in materia processuale (mi limito a segnalare la lettera dell’art. 111 Cost., sebbene la discussione sul punto meriti maggiori approfondimenti).


Ha, inoltre, la forza di legge necessaria per prevalere sulle disposizioni del codice di procedura penale, pure di rango primario, essendo certamente speciale nella materia del processo telematico e/o della forma digitale che disciplina, anche se attraverso il rinvio al regolamento ministeriale (ovviamente su questo punto si dovrebbe approfondire la discussione nei casi di conflitto fra codice e regolamento).


Dal punto di vista dell’opportunità, poi, va segnalato come fosse sicuramente necessario salvaguardare i delicati meccanismi processuali – e, soprattutto, i brevi termini, previsti spesso anche a pena di decadenza o di veri e propri effetti sostanziali, come la liberazione dell’indagato o dell’imputato nel processo penale –, dall’applicazione poco meditata di istituti pensati per le PA, che non hanno quasi mai termini così stretti o i cui effetti sono così radicali.


Il regolamento è stato emesso con d.m. n. 44/2011, successivamente modificato.


È composto da 37 articoli suddivisi in sei capi. Contiene un catalogo di definizioni e disposizioni che servono alla conformazione delle App che vengono utilizzate per rendere “telematico” il processo e, per quel qui interessa, il processo penale.


A queste definizioni e disposizioni vanno aggiunte anche quelle che sono inserite nel Provvedimento sulle specifiche tecniche del Responsabile dei Sistemi Informativi Automatizzati (c.d. Provvedimento), un provvedimento amministrativo che, utilizzando la stessa tecnica di produzione normativa utilizzata dal CAD, si fa carico di adeguare i riferimenti a standard e protocolli contenuti nelle disposizioni del regolamento ai mutamenti della lex artis.


I “principi” del CAD


Non è facile definire quali siano i “principi” del CAD, perché l’art. 4 non si preoccupa di darci alcuna indicazione al riguardo. A mio sommesso avviso fra i “principi” si devono annoverare le definizioni, per una sorta di naturale attitudine all’essere principio che hanno le definizioni (es. documento informatico, copia digitale, firma elettronica, firma digitale etc.), ma anche le disposizioni che, per espressa azione legislativa, si applicano anche nei rapporti tra privati (art. 2, co. 3, CAD).


Esse sono:


»tutte le disposizioni di cui al capo II del CAD, che regola il documento informatico e le firme elettroniche, i trasferimenti immobiliari, i libri, le scritture;


»l’art. 40 sulla formazione del documento informatico;


»l’art. 43 sulla riproduzione, conservazione dei documenti informatici e, più in generale, dei documenti, una volta che essi siano stati trasposti dal cartaceo al digitale;


»l’art. 44 sui requisiti per la conservazione dei documenti informatici;


»tutte le disposizioni del capo IV, che riguarda la trasmissione informatica dei documenti.


L’obbligo delle imprese e dei professionisti di avere una PEC non fa parte a stretto rigore del CAD, perché è stabilito dall’art. 16, co. 6 e 7, d.l. n. 185/2008 conv. l. 2/2009, n. 2, ma l’art. 6 bis CAD istituisce l’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (il c.d. INI-PEC), gestito dal Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE), che corrisponde all’anagrafe degli indirizzi fisici per imprese e professionisti. Per le persone fisiche la riforma del 2016 ha introdotto l’art. 3 bis CAD che istituisce l’Anagrafe nazionale della popolazione residente (c.d. ANPR), che censisce il domicilio digitale dei cittadini (per ora solo facoltativo).


Il d.l. n. 179/2012 convertito in l. n. 221/2012


Su questa articolata tessitura normativa sono intervenute delle leggi nel 2012, nel 2014 e nel 2015. In particolare all’interno del d.l. n. 179/2012 convertito in l. n. 221/2012 si trova una “Sezione Giustizia digitale”, la cui finalità non è quella di dettare una disciplina organica del processo telematico (civile, penale, amministrativo, contabile e tributario), ma quella di rendere obbligatoria in alcuni casi la “forma digitale” (così, ad es., anche per la notifica a mezzo PEC ai soggetti diversi dall’imputato) e di risolvere i problemi più immediati che sorgevano nella pratica.


Ciò ha fatto sì che le disposizioni si occupano di aspetti di dettaglio e di problematiche che sono sorte soprattutto nell’ambito del PCT, dove negli anni la “forma digitale” è stata imposta per tutte le comunicazioni, per alcuni atti del magistrato (il decreto ingiuntivo) e delle parti (le comparse successive alla comparsa di risposta).


I civilisti si stanno confrontando con la difficile conciliazione fra disposizioni generali-speciali (il CAD), speciali (la Sezione Giustizia digitale), superspecialistiche, ma di rango secondario (il d.m. n. 44/2011).


Non è certo questa la sede per affrontare con il necessario approfondimento i possibili conflitti fra queste norme, ma è bene ricordare quanto detto in apertura sulla nuova versione del CAD ovvero che, agli artt. 2, co. 6, e 21, co. 2, fa salve le regole del processo telematico. La “cedevolezza” delle disposizioni di rango primario rispetto alle norme di rango secondario è, in qualche modo, un riconoscimento del valore “primario” delle regole del processo telematico, a mio parere anche se dettate dalle norme di rango secondario del d.m. n. 44/2011.


Il dominio @giustizia.it


Fatte queste premesse, ci accorgiamo che, in linea di massima, lo statuto del PPT si barcamena fra i “principi” del CAD e le regole del d.m. n. 44/2011, essendo trascurabile l’impatto della legislazione successiva. In questa sede mi soffermo solo sulle regole del d.m. che disegnano gli elementi fondamentali per la comprensione giuridica del PPT. Il primo è quello di dominio giustizia (rappresentato dal suffisso @giustizia.it) ovvero l’insieme delle risorse hw e sw mediante il quale il Ministero della Giustizia tratta in via informatica e telematica qualsiasi tipo di attività, di dato, di servizio, di comunicazione, di procedura.


È la rete dei soggetti abilitati interni: Rete Unica della Giustizia (c.d. RUG ovvero la intranet del Ministero della Giustizia). Altre nozioni importanti sono quelle del Portale dei Servizi Telematici (c.d. PST), che è la struttura tecnologica-organizzativa che fornisce l’accesso ai servizi telematici resi disponibili dal dominio giustizia, e del Punto di Accesso (c.d. PdA), che è la struttura tecnologica-organizzativa che fornisce ai soggetti abilitati esterni al dominio giustizia i servizi di connessione al portale dei servizi telematici.


I soggetti abilitati esterni sono quelli censiti dal Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (c.d. REGINDE) ovvero l’anagrafe dei soggetti abilitati all’accesso al mondo della giustizia dal “mondo esterno” (internet), che altro non è se non la trasposizione all’interno del dominio giustizia.it di INI-PEC.


Gli utenti esterni sono tutti gli altri soggetti che, da internet, si interfacciano con i servizi del dominio giustizia.


Le certificazioni, pure definite dal regolamento, sono lo strumento che la lex artis disciplina per attribuire determinati requisiti di affidabilità ai documenti e alla loro trasmissione. Come fa il codice di procedura per le carte processuali, il regolamento si occupa di disciplinare la gestione deidocumenti del processo da parte dei soggetti abilitati (c.d. gestione documentale), che comprende:


»la formazione dell’atto informatico (inteso quale atto del soggetto del processo, sia esso la parte, il magistrato, il cancelliere o anche la polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari);


»le caratteristiche del documento informatico (inteso quale prova pre-costituita al processo);


»la conservazione degli atti e dei documenti all’interno del fascicolo informatico;


»la trasmissione degli atti fra i soggetti del processo.


Le App del PPT


Il registro è la base della struttura, perché contiene tutti i (meta-)dati del processo: la App che svolge questa funzione si chiama ReGe Web e fa parte di un gruppo di App (tecnicamente “moduli”) chiamato Sistema Informatico della Cognizione Penale (c.d. SICP). L’atto informatico dal punto di vista operativo viene formato attraverso una App (tecnicamente appartenente al genere dei “redattori”): nel PPT la App è un modulo di SICP chiamata Atti e Documenti di cui è in preparazione una nuova e rivoluzionaria versione 2.0.


La firma elettronica è la App che dà validità all’atto formato in modo informatico e dovrà essere gestita da Atti e Documenti 2.0. Il fascicolo informatico ovvero il contenitore digitale nel quale vengono introdotti gli atti e i documenti, nonché le notizie sulle trasmissioni degli atti tra i vari soggetti (l’equivalente cartaceo delle comunicazioni e notificazioni), è stato indicato da DGSIA nella App chiamata Trattamento Informatizzato Atti Penali (c.d. TIAP), anche se in alcuni Uffici giudiziari sono presenti altre App, fra cui vanno menzionate Auror@ e DIGIT, che hanno sviluppato importanti sinergie fra tutte le App. Nessuna di queste App fa parte di SICP.


La trasmissione dell’atto informatico verso i soggetti abilitati esterni avviene oggi nella quasi totalità degli Uffici giudiziari attraverso la App chiamata Sistema delle Notifiche Telematiche (c.d. SNT), solo in alcuni attraverso un modulo di TIAP, denominata PEC-TIAP. Anche SNT e PEC-TIAP non fanno parte di SICP.


La App “gestionale” non ha un immediato riscontro nel mondo “cartaceo” e, soprattutto, nel regolamento, ma assume un’importanza centrale nell’operatività delle altre App, che vi dovrebbero girare attorno come la ruota sul perno. Questa App si chiama Consolle Area Penale (c.d. Consolle) ed è un modulo di SICP.


Criticità della struttura del PPT rispetto al PCT


Volendo esaminare come il diritto vivente si confronta con i temi posti dall’utilizzo delle tecnologie al servizio del processo telematico penale è indispensabile partire dalle differenze che esistono, ad oggi, tra le App del PCT e quelle del PPT.


Pur essendo le disposizioni le stesse, la comparazione dei contesti tecnologici misura l’esportabilità delle soluzioni da un settore all’altro. Il PCT è caratterizzato da una “famiglia” di App, come il SICP, che copre però tutte le strutture (registro, redattore etc.) e tutte le ritualità (cognizione, esecuzione, volontaria giurisdizione, fallimento, lavoro etc.).


È prevista la firma digitale dei provvedimenti del giudice e la possibilità di accesso dall’esterno della RUG ovvero da internet. Il PPT, come si è visto, è formato da App diverse e non solo da moduli diversi di una stessa App: questo significa che o non c’è alcuna relazione con le altre App (es. SNT con SICP o TIAP) o la relazione che si crea sconta nella sua concreta operatività le diverse caratteristiche tecnologiche delle App (es. TIAP con SICP).


Fra le cose che non vediamo, ma che la DGSIA sta facendo, c’è proprio il tentativo di implementare le relazioni fra le App, in modo da avvicinare l’operatività del PPT al PCT. È un lavoro complesso e denso di ostacoli, perché i risultati dipendono dalle caratteristiche tecnologiche delle App, che sono molto diverse, perché prodotte da ditte, in epoche e visioni di fondo diverse.


Il risultato è che ancora oggi le App non prevedono la firma digitale dei provvedimenti del magistrato, è impossibile accedere ai servizi offerti dalle App dall’esterno della RUG (es. il fascicolo informatico in TIAP), fatta eccezione per il Portale delle Trascrizioni e, per ovvie ragioni, dal Portale delle Notizie di Reato (c.d. Portale NDR), dal momento che è la App attraverso la quale la polizia giudiziaria trasmette i dati delle notizie di reato e, con certi limiti, l’informativa di reato in formato digitale (il quadro aggiornato dello stato dell’arte e degli sviluppi è stato illustrato al corso dalla collega Alessandra Cataldi, coordinatore dell’area penale in DGSIA e si trova nel materiale del Corso).


Dal punto di vista dell’analisi della normativa, questo assetto delle App pone delle criticità con l’impianto di fondo del Regolamento, che è stato scritto pensando soprattutto al PCT e presupponendo il pieno coordinamento delle varie App. Basti pensare alla redazione dell’atto informatico comprensivo della firma digitale o alla conservazione delle comunicazioni telematiche all’interno del fascicolo informatico. Non sempre, poi, le App rispondono alle disposizioni del Regolamento, come nel caso del Portale NDR rispetto all’art. 19 Regolamento.


C’è, poi, il tema della parità delle armi, nella misura in cui le App non prevedono servizi analoghi per la parte pubblica e quella privata dopo l’esercizio dell’azione penale (prima la posizione del Pubblico Ministero è quella di Autorità giudiziaria procedente e, dunque, una differenza è del tutto fisiologica, com’è anche per la gestione cartacea del procedimento).


Comunicazioni e notificazioni


L’obbligatorietà della notificazioni a persone diverse dall’imputato prevista dall’art. 16, co. 4, seconda parte, d.l. n. 179/2012 conv. l. 221/2012 pone, anzitutto, un problema terminologico sulla nozione di “notificazione”, ben descritto da Valeria Bove in Notificazioni telematiche nel procedimento penale: questioni giuridiche e problematiche applicative, in Diritto Penale Contemporaneo (reperibile a questo indirizzo: http://www.penalecontemporaneo.it/d/4260- notificazioni-telematiche-nel-procedimentopenale- questioni-giuridiche-e-problematicheapplicative al quale rinvio anche per altre approfondite e condivisibili riflessioni sul tema).


In breve: la nozione di comunicazione non è definita dal codice di rito penale e l’espressione non è usata in modo tecnico, come nel codice di procedura civile, perché a volte si rifà al contenuto della comunicazione (notizia o atto es. art. 148, co. 3 e 5 bis, c.p.p.), altre volte è ancorata alla qualità del mittente della trasmissione, che riguarda rispettivamente le parti private o quelle pubbliche (art. 153, co. 1 e 2, c.p.p.). Nel contesto Regolamento le forme di trasmissione sono quattro:


»interoperabilità fra Soggetti Abilitati Interni, il che significa che la App provvede a dare notizia degli eventi processuali (art. 8);


»comunicazione da Soggetti Abilitati Interni verso Soggetti Abilitati Esterni o utenti privati (soggetti comunque dotati di pec, es. tutti gli imprenditori e le società), il che significa trasmettere loro l’atto mediante pec (art. 16). Questa disposizione del Regolamento ha imposto la modifica dell’art. 45 d.a.c.p.c., effettuata con l’art. 16, co. 3, l. n. 221/2012, che ora prevede la comunicazione del “testo integrale del provvedimento comunicato”;


»notificazione da Soggetti Abilitati Interni verso soggetti non muniti di pec: l’Ufficio trasmette mediante pec all’ufficiale giudiziario copia dell’atto da notificare, che avviene nelle forme tradizionali (art. 17).


Si tratta di un forma non ancora attuata nella pratica (v. Enrico Consolandi, Comunicazioni e notificazioni telematiche, in Libro dell’anno 2014 Treccani (disponibile su Internet a questo indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/ comunicazioni-e-notificazioni-telematiche_(Il- Libro-dell’anno-del-Diritto)/ );


»la trasmissione degli atti e dei documenti informatici dai Soggetti Abilitati Esterni e dagli utenti privati (il deposito del c.p.p.) avviene mediante pec di sistema (art. 13) ovvero quella che termina con @penale.ptel.giustiziacert.it, prevista dall’art. 4 Provvedimento.


»Poiché la disposizione di rango primario si riferisce alle sole “notificazioni” si possono avere delle perplessità sull’ammissibilità di comunicazioni fra Uffici giudiziari o fra Uffici giudiziari e PA a mezzo pec (sia essa quella amministrativa – del tipo nomeufficio@ giustiziacert.it – o quella di sistema - penale. ptel.giustiziacert.it -).


Personalmente ritengo che siano ammissibili, ove regolate da un protocollo fra gli Uffici giudiziari, e così si è espressa la circolare congiunta DAG e DOG sull’utilizzo di SNT. In questa sede di introduzione alle problematiche del PPT è interessante focalizzare l’attenzione sulle argomentazioni poste a fondamento delle varie opzioni che, secondo quanto ho detto fino ad ora, dovrebbero prendere le mosse sempre dal Regolamento.


Uno sguardo all’immediato futuro


L’obiettiva carenza delle App ministeriali ha fatto sì che il “mondo informatico” abbia già fatto ingresso nel processo penale al di fuori della cornice normativa descritta, che presuppone la presenza di una struttura tecnologica-organizzativa completa rispetto alle esigenze operative segnalate e armonica nella sue varie componenti.


Il caso più eclatante è proprio quello delle comunicazioni fra Uffici giudiziari o fra Uffici giudiziari e PA. Non è, però, il solo. Per restare all’uso della PEC, c’è ormai un vero e proprio filone di sentenze della Cassazione sulla trasmissione di atti: negata per l’impugnazione del Pubblico Ministero da Sez. 5, n. 24332 del 05/03/2015 - dep. 05/06/2015, Pmt in proc. Alamaru e altri, Rv. 263900, ammessa per l’istanza di rinvio del difensore, a rischio e pericolo del mittente che non venga letta per tempo dal giudice, da Sez. 2, n. 47427 del 07/11/2014 - dep. 18/11/2014, Pigionanti, Rv. 260963. Ci sono le notizie di reato “native digitali” trasmesse da ENEL e INPS o il verbale di fine operazioni delle intercettazioni redatto con Word e non stampato (v. Sez. 5, n. 8442 del 04/12/2013 - dep. 21/02/2014, Gullo e altro, Rv. 25829401).


Uno sguardo al futuro che ci attende sui diritti di copie e sulla partecipazione a distanza nel “mondo informatico” viene descritto nell’ordinanza emessa quest’anno dal Gup del Tribunale di Cremona nel processo c.d. Calcio scommesse.


Si tratta di realtà e percorsi argomentativi tutti da scoprire.


Dall’elaborazione che sta maturando nella Cassazione civile e fra i Colleghi che si occupano di PCT traggo alcune indicazioni per la riflessione di noi penalisti: - «in termini molto semplicistici, si può dire che l’attuale disciplina del processo telematico consista essenzialmente nella sostituzione della stampa cartacea degli atti e del loro deposito materiale in cancelleria con la stampa (meglio la conversione) degli atti stessi in pdf e il loro invio a mezzo posta certificata. (…) il ricorso a una nuova tecnologia comunicativa non è mai in sé neutrale, ma determina significativi cambiamenti nelle forme comunicative; e ciò proprio perché « il “messaggio” di un medium o di una tecnologia è nel mutamento di proporzioni, di ritmo o di schemi che introduce nei rapporti umani» (Mc LUHAN) (Paolo Comoglio, Processo civile telematico e codice di rito. problemi di compatibilità e suggestioni evolutive, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 2015)


«La giurisprudenza prevalente privilegia l’interpretazione conservativa, consente sanatoria etc., nonostante permangano numerose oscillazioni che disorientano l’interprete» (Antonella Ciriello, Tribunale di Napoli).


»La violazione delle disposizioni dettate dal Regolamento è una mera irregolarità, se non vi sono lesioni del contraddittorio e l’atto raggiunge lo scopo, anche perché il Regolamento non può fissare sanzioni processuali (per il principio della riserva di legge sul processo).


»Il Regolamento fissa solo le regole di uso delle tecnologie informatiche, ma l’atto non può raggiungere lo scopo se, a causa del mancato rispetto del Regolamento, non entra nel dominio giustizia, ad es. se l’atto informatico contiene un virus. Si potrebbe parlare in questo caso di “inesistenza informatica”, da valutarsi in base al Regolamento prima che in base al CAD, alla luce della riforma del 2016, nonostante il diverso rango delle due fonti.


Letture consigliate


Per cominciare a orientarsi nelle problematiche che ho qui solo introdotto, vorrei concludere con alcuni suggerimenti bibliografici, approfittandone per ringraziare anche diversi degli Autori citati dei loro contributi, anche personali, alla realizzazione di questa relazione.


Una silloge di testi normativi a cura di Piero Lupi si trova nel sito della SSM, materiale corso P 16043 Articoli nella rubrica a cura di Maria Cristina Amoroso e Alessandra Cataldi in Diritti&Giurisdizione, Rivista Trimestrale della Formazione Decentrata del Distretto di Napoli a partire dal n. 1/2015


Pasquale Liccardo, Ragione tecnologica e processo: ovvero delle ere del processo telematico, in Questione Giustizia n. 4/2015 e qui http://www.questionegiustizia.it/rivista/2015/4/ ragione-tecnologica-e-processo_ovvero-delleere- del-processo-telematico_294.php


Giovanna De Rugeriis, Effetti delle innovazioni tecnologiche sul processo penale, in AA.VV., Questioni di informatica forense, Aracne Editrice, 2015 (anche in SSM materiale del corso P 16078)


Paolo Comoglio, Processo civile telematico e codice di rito. Problemi di compatibilità e suggestioni evolutive in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc.3, 2015, pag. 953 (articolo che si trova per esteso nella Banca Dati De Jure sezione Dottrina della SSM)


Voci su processo civile telematico per il Libro dell’anno del Diritto della Treccani di Enrico Consolandi, che trovate qui: 


http://www.treccani.it/enciclopedia/organizzazione-e-uffici-giudiziari-processo-telematico_(Il-Libro-dell'anno-del-Diritto)/


http://www.treccani.it/enciclopedia/attitelematici_( Il-Libro-dell’anno-del-Diritto)/


http://www.treccani.i t/enciclopedia/comunicazioni-e-notificazioni-telematiche_(Il- Libro-dell’anno-del-Diritto)/


http://www.treccani.it/enciclopedia/il-fascicoloinformatico_( Il-Libro-dell’anno-del-Diritto)/


http://www.treccani.it/enciclopedia/depositotelematico- degli-atti-processuali_(Il-Librodell’anno- del-Diritto)/

Autore
Luigi Petrucci
Giudice del Tribunale di Palermo

Le disposizioni legislative che, assieme alla lex artis, regolano il fenomeno del diritto dell’informatica (di cui il processo telematico è una branca specifica) sono sparse in una pluralità di fonti che vanno dal codice della privacy, al codice delle comunicazioni elettroniche, dal codice dell’amministrazione digitale alle numerose direttive dell’Unione Europea che, per molti dei “codici” appena citati, sono la base della normativa nazionale. Luigi Petrucci