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5 agosto 2013

In ricordo di Gaetano Costa

Procuratore della Repubblica diPalermo, Gaetano Costa viene ucciso per strada il 6 agosto 1980 daun killer di mafia. Nisseno, nato nel 1916, due Croci diGuerra come ufficiale dell'aviazione, partigiano in Val di Susadopo l'8 settembre 1943, Procuratore a Caltanissetta, nel periododella sua gestione la Procura di Palermo avvia una serie diindagini nell'ambito delle quali si cercano di penetrare i santuaripatrimoniali della mafia. Firma provvedimenti cautelari che i suoiAggiunti e sostituti non sottoscrivono. Rifiuta la scorta ("sonouno di quelli che ha il dovere di avere coraggio").


Gaetano Costa 

(Caltanissetta, 1 marzo 1946 - Palermo, 6 agosto
1980)

Procuratore Capo della Repubblica di Palermo, assassinato dalla
mafia.



Il 6 agosto del 1980 viene ucciso
il Procuratore della Repubblica di Palermo, Gaetano Costa. Nel
ventennale della morte, Rita Bartoli, sua moglie, ha ricordato così
quel giorno tremendo: "In un caldo pomeriggio di agosto, nella
parte alta di via Cavour, mentre era fermo a guardare i libri
esposti in una bancarella, un killer di mafia, indisturbato, in
tutta tranquillità, aggrediva alle spalle, uccidendolo, mio marito,
Gaetano Costa, Procuratore Capo della Repubblica di questa città,
colpevole di aver sempre fatto rispettare le leggi dello Stato da
ogni forma di prevaricazione criminale, in difesa della società di
questa Repubblica".

Di lì a poco, il magistrato e la sua famiglia sarebbero dovuti
partire per le vacanze. Appena appresa la notizia dalla
televisione, aggiunge la Signora Costa: "Istintivamente mi portai
le mani alla testa, quasi un gesto di difesa, dicendo, chiedendomi
come avrei fatto, cosa avrei fatto"; poi scandisce con forza:
"Gaetano Costa e' stato magistrato di grande valore e di indiscussa
preparazione e ciò malgrado non ebbe la dovuta solidarietà,
diciamo, dal suo ufficio e da chi aveva il sacrosanto dovere di
difendere il suo modo di amministrare la giustizia".



Nessuno è stato condannato per la
morte del dottor Costa. A continuare la sua opera, fu l'amico e
collega Rocco Chinnici, tra i pochi che allora ne compresero e
appoggiarono gli intenti; a lui tre anni dopo toccherà la stessa
triste sorte. Tra coloro che presero in mano l'eredità di Costa c'è
sicuramente anche la moglie Rita, che subito dopo l'omicidio volle
rivelare i retroscena delle vicende che avevano determinato
l'assassinio del consorte. Rita Bartoli non si è mai arresa nella
ricerca della verità e dei colpevoli che ordinarono l'uccisione del
marito. È morta il 19 gennaio del 2003 e qualcuno ha ricordato che
quel giorno, allo stadio di Palermo, fu esposto lo striscione
"Tutti uniti contro la mafia" in risposta a quello che un mese
prima chiedeva l'abolizione del "carcere duro".



Gaetano Costa nasce a Caltanissetta
nel 1916, dove consegue la licenza liceale. Si iscrive alla facoltà
di Giurisprudenza di Palermo. Dopo aver vinto il concorso in
magistratura, inizia la sua carriera a Roma. Si arruola poi, da
ufficiale, nell'aviazione ottenendo due croci di guerra. Ma, dopo
l'8 settembre del 1943, decide di raggiungere la Val di Susa per
unirsi ai partigiani nella liberazione dell'Italia dal
nazi-fascismo. Dal Tribunale di Roma viene trasferito, a richiesta,
alla Procura della Repubblica di Caltanissetta. Qui realizza la
maggior parte della sua attività di magistrato, da Sostituto
Procuratore prima e da Procuratore poi, offrendo sempre chiara
manifestazione di alta preparazione professionale, indipendenza, ed
equilibrio. Quando si insedia a Palermo, come Procuratore Capo,
Gaetano Costa è consapevole delle resistenze che avrebbe dovuto
affrontare e decide di esprimere immediatamente il suo modus
operandi: "Vengo, in un ambiente dove non conosco nessuno, sono
distratto e poco fisionomista. Sono circostanze che provocheranno
equivoci. In questa situazione è inevitabile che il mio inserimento
provocherà anche dei fenomeni di rigetto. Se la discussione però si
sviluppa senza riserve mentali, per quanto vivace, polemica e
stimolante, non ci priverà di una sostanziale serenità. Ma ove la
discussione fosse inquinata da rapporti d'inimicizia,
d'interlocutori ostili e pieni di riserve, si giungerà fatalmente
alla lite".



Nel periodo della sua gestione, la
Procura di Palermo avvia una serie di indagini nell'ambito delle
quali si cercano "di penetrare i santuari patrimoniali della
mafia". Quando, a conclusione di un'indagine contro i trafficanti
di stupefacenti, si decide di emettere provvedimenti cautelari a
carico di alcuni boss mafiosi, i Sostituti Procuratori delegati si
dissociano dal Procuratore. Rita Bartoli, nel libro dedicato al
marito ha così raccontato la vicenda: "L'allora Questore di
Palermo, in seguito al delitto Basile, aveva fatto arrestare 55
personaggi, tutti dediti a traffici illegali, e aveva chiesto alla
Procura della Repubblica la convalida di tali arresti, secondo la
normale procedura. Per l'occasione, dopo averne parlato con
l'aggiunto che si era mostrato d'accordo, Gaetano riunì nel suo
ufficio i due sostituti ai quali era stata affidata l'inchiesta per
discutere la convalida di quei fermi. L'aggiunto ritenne opportuno
non andare alla riunione e i due sostituti, che avevano interrogato
gli imputati, dichiararono sic et simpliciter il loro disaccordo
per la convalida dei fermi... Si discuteva, e animatamente,
sull'opportunità della convalida, quando uno dei due sostituti
dichiarò che non avrebbe firmato. Allora Gaetano firmò
personalmente quelle convalide, e con esse firmò anche la sua
condanna a morte". Quella firma "in solitudine" fu, secondo Rita
Bartoli, il passaggio chiave che determinò l'assassinio del
marito.



Nel 1980 Costa era l'unico
magistrato cui, in quel momento, erano state assegnate un'auto
blindata e una scorta; le rifiutò, perché non riteneva giusto che
la sua protezione potesse mettere in pericolo altre vite umane:
"Io", era solito dire, "sono uno di quelli che ha il dovere di
avere coraggio". "Era riuscito a capire la mafia più di altri che
non volevano capire". Così scrive di lui il giornalista Dino
Paternostro sul quotidiano La Sicilia nell'agosto 2010, a
trent'anni dalla morte. Le sue riflessioni Costa, le espose negli
anni sessanta alla prima Commissione antimafia dove sostenne, come
riporta Giuseppe Casarrubea, che "la mafia aveva subito una
radicale mutazione e che ormai si era annidata nei gangli vitali
della pubblica amministrazione, controllandone gli appalti, le
assunzioni e la gestione in genere". "Inutilmente", aggiunge
Casarrubea, "Costa richiamò l'attenzione delle massime autorità sul
fatto che un'efficace lotta alla mafia imponeva la predisposizione
di strumenti legislativi che consentissero di indagare sui
patrimoni dei presunti mafiosi e di colpirli".



Mario Farinella, all'indomani
dell'assassinio, su L'Ora di Palermo così descrive Costa: "Era
l'antisimbolo per cultura, per educazione, per naturale
disposizione. Si considerava ed era soltanto un caparbio
amministratore della giustizia, un uomo apparentemente comune,
disadorno, dalla vita semplice, essenziale nelle parole, nei gesti,
nel lavoro e perciò era un magistrato di audace modernità,
razionale e puntiglioso, di raro rigore morale e
intellettuale".

Nella seduta plenaria del 17 settembre del 1980 il Vice Presidente
del Consiglio Superiore della Magistratura ricordò l'attaccamento
del dottor Costa alle concezioni democratiche del paese e il suo
battersi contro il fenomeno mafioso. Aggiunse che dietro l'omicidio
potevano intuirsi motivazioni attinenti alla conservazione di
posizioni finanziarie acquisite e che il delitto non era stato un
semplice delitto di mafia "perché il fenomeno mafioso non è più un
fenomeno locale ma ormai un fatto nazionale con collegamenti
internazionali" (tratto dal volume "Nel loro segno" edito dal
Csm).




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