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21 dicembre 2014

"Debole l'anticorruzione del Governo"

la Repubblica


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Trenta articoli. Il testo del governo su corruzione e prescrizione, ma pure sulle intercettazioni, è uscito da via Arenula ed è alla “bollinatura” per i controlli economici. Finalmente, dopo 120 giorni, potrebbe arrivare alla Camera. Ma il sindacato delle toghe, l’Anm, piglia le distanze. «Debole». Perfino «controproducente» perché rischia di scoraggiare i già pochissimi che denunciano un fatto corruttivo, visto che non c’è uno sconto per i collaboratori (fa muro Ncd, ma pure Fi). Del tutto inadeguato sulla prescrizione che va bloccata in primo grado e non soltanto sospesa, per poi correre ancora. “Ammuina” insomma. Il gelido Rodolfo Maria Sabelli, il presidente dell’Anm, picchia duro davanti al parlamentino delle toghe. Al premier Renzi, che lo ha invitato a tacere («I magistrati parlino con le sentenze»), replica citando un ministro della Giustizia che già nel 1909 voleva toghe silenti.
Invece una magistratura che parla e «offre il suo contributo » è «democrazia». Tant’è che Sabelli al governo chiede, provocatoriamente, «meno stupore e scandalo e più determinazione».
Le minacce, per i giudici che annunciano nuove agitazioni, sono sempre le stesse. La responsabilità civile, «una specie di ossessione della politica, e non da tre, ma da 30 anni almeno». Una manovra contro la corruzione dilagante del tutto irrisoria, frutto di «una politica che sembra accorgersi improvvisamente dei guasti che i magistrati segnalano da anni». Lo «scandalo» della prescrizione «che disperde lavoro e risorse». Andrebbe «bloccata se non dopo l’esercizio dell’azione penale, come pure sarebbe ragionevole, quanto meno dopo la sentenza di primo grado». E invece eccolo qua il testo del governo, ben meno di quanto hanno proposto alla Camera lo stesso Pd, M5S, Sc (prescrizione doppia per la corruzione). Articolo 5. La prescrizione è solo «sospesa» dopo il primo grado, riprende se l’appello dura più di due anni e la Cassazione più di uno. Poi la “perla” della norma transitoria: «Le disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della presente legge». Scoppia l’inchiesta sulla mafia a Roma, il governo fa il “pacchettino” anticrimine. Ma la norma più importante non si applica all’inchiesta romana. Articolo 3 del ddl: «Per la corruzione propria la pena passa da 4-8 anni a 6-10». Ma la prescrizione quanto cresce? Solo di una manciata di mesi… Perché? Sicuramente perché Ncd minaccia di mettersi di traverso. Basta leggere Alessandro Pagano quando dichiara che «a voler seguire la tesi dell’Anm i processi potrebbero durare 30 anni, per paradosso nessun giudice fisserebbe più udienze».
C’è pure la stretta sulle intercettazioni nel ddl Orlando. Il vice ministro della Giustizia Enrico Costa non fa che ripeterlo, «senza questa riforma noi non votiamo il resto». È stato accontentato. Articolo 25. Una delega al governo «per garantire la riservatezza delle telefonate intercettate» con sistemi che «incidano sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati e che diano una precisa scansione procedimentale all’udienza di selezione del materiale intercettativo». Superando il linguaggio in stile ostrogoto, significa che pm e gip dovranno stare attenti a non mettere nelle ordinanze ascolti di persone né arrestate, né indagate. L’udienza stralcio, con magistrati e avvocati, dovrà vigilare. In compenso, si chiede «di semplificare le condizioni per l’impiego delle intercettazioni per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione». La via più semplice sarebbe applicare alla corruzione le regole della mafia. Intercettazioni più lunghe e con presupposti più ampi. Ma anche qui il governo Renzi si è fermato. Vedremo che farà il Parlamento.

 

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