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27 aprile 2020

L'ANM sul processo penale da remoto nella fase 2 dell'emergenza

Modalità indispensabile in questo momento


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La grave emergenza sanitaria ha, di necessità, comportato una limitazione dei diritti di libertà di tutti i cittadini e uno stravolgimento delle nostre abitudini di vita.

Negli ultimi due mesi, il settore giustizia ha subito una significativa  riduzione dell’attività, ma è stata comunque garantita la trattazione dei casi urgenti da parte degli uffici giudiziari, anche grazie alla costruttiva e responsabile collaborazione tra dirigenti degli uffici  e rappresentanze dell'avvocatura.L’inizio della cd. ‘fase 2’ è ormai imminente e con essa, anche per il venir meno del regime di sospensione dei termini processuali e del rinvio d'ufficio dei processi non urgenti, il fisiologico e progressivo aumento dei processi da trattare.

In relazione a tale seconda fase riteniamo che la norma approvata in sede di conversione del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 rappresenti l'unica risposta adeguata, prevedendo lo strumento del "processo da remoto" per il cui impiego e adattamento alle singole realtà sono già in corso, in ogni ufficio, articolate procedure che vedono il confronto tra dirigenti, avvocatura e autorità sanitaria al fine di pervenire a soluzioni condivise, che tengano conto anche della situazione epidemiologica locale.

Si tratta di una disciplina imposta dall’emergenza, che dovrà valere solo per il perdurare - che ci auguriamo il più breve possibile - di essa e che consentirà una parziale ma significativa ripresa delle attività nel rispetto delle norme sul distanziamento sociale e delle ulteriori cautele che dovranno accompagnare le nostre vite nelle prossime settimane.

Non si tratta di derogare ai principi e alle garanzie proprie del modello costituzionale di processo, bensì di utilizzare una tecnologia che, da ‘remoto’, consente alcune attività nei limiti in cui le stesse siano compatibili con tali principi e tali garanzie.
Essa comporterà ulteriori oneri e difficoltà di gestione anche per i magistrati - la cui presenza negli uffici giudiziari è stata costante anche nelle settimane appena trascorse - che dovranno confrontarsi con uno strumento nuovo, spesso senza l'ausilio e il supporto tecnico da parte di personale qualificato.

I giudici italiani hanno a cuore i principi fondamentali del processo, il cui rispetto hanno sempre garantito e continueranno a garantire anche nella fase dell'emergenza. Per questo, per il settore penale, abbiamo proposto l’inserimento di una norma modellata sul co. 1 ter dell'art. 146 bis disp. att. c.p.p. - che disciplina le attività a distanza già previste dal nostro ordinamento - consentendo al giudice, anche su istanza di parte, di prevedere, nel singolo caso, la comparizione personale, ove lo ritenga necessario, anche per quelle attività che, secondo i protocolli adottati, potrebbero svolgersi da remoto.

La soluzione di rimettere alla sola volontà delle parti la scelta della modalità da remoto per alcune attività -oltre a non considerare che il rispetto dei principi e delle garanzie è il primo scrupolo di ogni giudice che, ad esso, ispira l’esercizio del delicato potere di direzione del processo anche in tempi ordinari- impedirebbe ogni razionale programmazione di tali attività, perché non ancorata ad alcun presupposto oggettivo, con conseguente frustrazione non solo dell’efficienza dell’attività giudiziaria ma anche della tutela dei diritti dei cittadini.

Lo svolgimento di alcune attività processuali da remoto per la durata dell'emergenza sanitaria e delle conseguenti norme di distanziamento sociale appare indispensabile perché la celebrazione dei processi presuppone non solo una compresenza nelle aule di udienza ma soprattutto inevitabili assembramenti nei luoghi di attesa e transito e un'elevata mobilità sul territorio nazionale di parti, testimoni, periti e polizia giudiziaria, costituendo, in tal modo, una rischiosissima fonte di trasmissione del contagio ed un concreto pericolo per la salute della collettività.



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