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dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.
    

19 settembre 2020

Caso Palamara, le ragioni della delibera dell’ANM

L’intervento di Stefano Giovagnoni all’assemblea generale


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Ritengo opportuno, in questa sede, illustrare le ragioni che hanno portato l’ANM nella seduta del 20 giugno 2020 a deliberare l’applicazione, nei confronti del dott. Luca Palamara, della più grave fra le sanzioni previste dall’art.10 dello Statuto, vale a dire l’espulsione dall’Associazione Nazionale Magistrati.

Credo sia utile ricordare ai colleghi, soprattutto a quelli che non hanno avuto la possibilità di seguire da vicino la vicenda del disciplinare interno all’ANM, quale sia il fatto storico in relazione al quale il Collegio dei Probiviri ha esercitato l’azione disciplinare e il materiale conoscitivo oggetto di valutazione in sede di istruttoria, e ciò al fine di fare chiarezza circa i motivi per i quali si è ritenuto non necessario attendere l’esito del procedimento innanzi alla Sezione disciplinare del CSM, né, a fortiori, quello di natura penale a Perugia, e di sgombrare il campo da pericolosi e fuorvianti equivoci che hanno accompagnato la decisione dell’ organo deliberativo della nostra associazione e che sembrano riaffiorare dalla lettura del ricorso su cui è chiamata a votare l’odierna Assemblea Generale.
Il fatto storico è rappresentato dall’incontro avvenuto a Roma, la sera del 9 maggio 2019, in luogo non istituzionale, tra il dott. Luca Palamara, alcuni magistrati componenti del CSM (Luigi Spina, Gianluigi Morlini, Paolo Criscuoli, Corrado Cartoni, Antonio Lepre), e due parlamentari (On. Luca Lotti e On. Cosimo Ferri) di cui uno già imputato in un procedimento penale intentato dalla Procura di Roma nell’ambito di una nota vicenda di risonanza nazionale.

Si contesta al dott. Palamara di aver discusso in quella riunione notturna con i suoi interlocutori della strategia da adottare, concertando le iniziative allo scopo necessarie, ai fini della nomina di specifici candidati in luogo di altri, con riguardo a taluni Uffici giudiziari direttivi, tra cui, in particolare, quello della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma; e di averlo fatto adottando, tra l’altro, un comportamento gravemente scorretto nei confronti dei colleghi che avevano presentato domanda per il conferimento di quell’ufficio direttivo.

Una vera e propria ripetuta concertazione, con soggetti diversi, (taluno anche imputato e perseguito da una delle Procure oggetto di attenzione) di azioni ritenute necessarie o utili per la collocazione di determinati magistrati a specifici uffici giudiziari, non indifferenti rispetto a Luca Palamara o a taluno degli interlocutori, perché individuati specialmente in relazione a interessi personali variamente articolati (interesse alla propria collocazione personale come Procuratore Aggiunto di Roma; interesse alla individuazione di un Procuratore della Repubblica di Roma ritenuto sensibile a vicende personali dell’interessato e di alcuni suoi interlocutori; interesse analogo quanto alla individuazione del Procuratore della Repubblica di Perugia; interesse a determinare una ordinata sequenza di “liberazione” e “occupazione” di svariati uffici giudiziari, come una sorta di “risiko giudiziario”, con la prospettazione condivisa di un programmato effetto domino; interesse a screditare taluni magistrati concorrenti per quegli Uffici a vantaggio di altri al fine di consentire la realizzazione dei propri obiettivi programmati).

In definitiva, una programmazione che, secondo la Sezione disciplinare del CSM, davvero implausibilmente potrebbe intendersi alla stregua di una libera manifestazione di idee e di valutazioni personali, ove si consideri che essa ha avuto luogo non con occasionali e indifferenti interlocutori, bensì con un soggetto indagato e poi imputato (On. Luca Lotti), da parte di una delle Procure in gioco, con il Presidente della V Commissione del CSM, con il Relatore della pratica di una delle procure di interesse, con diversi Consiglieri del CSM, tra cui i cc.dd. portavoce di maggioranza all’interno dello stesso organo di autogoverno.
È dunque questo, cari colleghi, il fatto storico che ha determinato l’applicazione della sanzione di massimo rigore da parte dell’ANM nei confronti del dott. Luca Palamara, che coincide solo in parte con i fatti contestati innanzi alla sezione disciplinare del CSM (in particolare, coincide con il capo 1 di incolpazione) e non ha alcuna attinenza con i fatti oggetto di imputazione nell’ambito del procedimento penale intentato dalla Procura di Perugia.

Ma ciò che più conta è che si tratta di un fatto storico vero, oggettivo, inconfutabile, indiscutibile, provato, perché non solo certificato dal contenuto degli atti valutati in sede di istruttoria dal Collegio dei Probiviri (vale a dire l’ordinanza n.73 dell’11.7.2019 della Sezione disciplinare del CSM, confermata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte), ma anche perché candidamente ammesso dallo stesso dott. Palamara che non ha negato né l’incontro, né il contenuto delle conversazioni intrattenute con i suoi interlocutori, anche se tali conversazioni sono state da lui definite “momenti di libera espressione di idee e di opinioni”.

E allora per quale motivo l’ANM avrebbe dovuto attendere l’esito del procedimento disciplinare innanzi al CSM? Per quale motivo l’ANM avrebbe dovuto attendere l’esito del procedimento penale di Perugia che, peraltro, riguarda fatti che non hanno alcuna attinenza con l’incontro della notte del 9 maggio 2019?

Tutti noi auspichiamo che il dott. Palamara in quelle sedi possa chiarire la sua posizione, ma è chiaro che l’esito di quei procedimenti, in un senso o nell’altro, giammai potrà incidere ed influire sul fatto storico oggetto del disciplinare interno all’ANM.
E proprio perché si tratta di un fatto certo, inconfutabile, indiscutibile, l’ANM ha deciso di non applicare l’art.11 bis (introdotto dalla novella del settembre 2019) riguardante la sospensione cautelare dall’attività associativa, ma direttamente la sanzione.
Allora dobbiamo chiederci, in primo luogo, se quel fatto abbia rilevanza disciplinare interna alla nostra Associazione, sia ai sensi dell’art.9 dello Statuto dell’ANM ante riforma, sia ai sensi dell’art.9 del medesimo Statuto così come riformulato dall’Assemblea generale il 14 settembre 2019; in secondo luogo, se meriti la sanzione di massimo rigore.
Occorre precisare che le condotte in esame sono state compiute sotto la vigenza del vecchio art.9 .

Prima della novella del settembre del 2019, l’art.9 prevedeva la possibilità di sottoporre i soci a sanzioni disciplinari in caso di azioni contrarie “ai fini generali che si propone l’Associazione e quando dalla loro opera possa derivare discredito per l’Ordine Giudiziario”.

L’attuale formulazione della norma contempla quale illecito disciplinare “la violazione del codice etico dei magistrati, nonché la commissione di illeciti penali dolosi”.

Ebbene, a prescindere da ogni valutazione in ordine alla eventuale rilevanza penale del fatto storico del 9.5.2019, ovvero alla eventuale sua rilevanza disciplinare ai sensi del d.lgs. 109/2006 (valutazioni che di certo non spettano all’Associazione), i componenti del CDC, in accoglimento della proposta formulata all’unanimità dal Collegio dei Probiviri, hanno ritenuto meritevole di sanzione le condotte tenute dal dott. Luca Palamara la sera del 9.5.2019 presso l’hotel “Champagne” di Roma perché in contrasto con i fini generali che si propone la nostra Associazione, segnatamente quelli elencati all’art.2 n.3 (prestigio e rispetto della funzione giudiziaria) e anche perché si tratta di condotte da cui è derivato un grave discredito per l’Ordine Giudiziario.

Ma i fatti di cui discutiamo hanno, senza alcun dubbio, una rilevanza disciplinare interna anche alla luce del nuovo art.9 dello Statuto, poiché evidentemente si pongono in contrasto con le norme del nostro codice etico, e segnatamente, quelle di cui all’art.1-Valori e Principi fondamentali- (Nella vita sociale il magistrato si comporta con dignità, correttezza, sensibilità all’interesse pubblico. In ogni comportamento professionale il magistrato si ispira a valori di disinteresse personale, di indipendenza, anche interna, e di imparzialità); art.2 -Rapporti con le istituzioni, con i cittadini e con gli utenti della giustizia- (Nelle Relazioni sociali ed istituzionali il magistrato non utilizza la sua qualifica al fine di trarne vantaggi personali o a favore di altre persone. Si astiene da ogni forma di intervento che possa indebitamente incidere sull’amministrazione della giustizia, ovvero sulla posizione professionale propria o altrui); art.5-Informazioni di ufficio. Divieto di utilizzazione a fini non istituzionali- (Il magistrato non utilizza indebitamente le informazioni di cui dispone per ragioni d’ufficio e non fornisce o richiede informazioni confidenziali su processi in corso, né effettua segnalazioni dirette ad influire sullo svolgimento o sull’esito di essi); art.8-L’indipendenza del magistrato- (Il magistrato garantisce e difende, all’esterno e all’interno dell’ordine giudiziario, l’indipendente esercizio delle proprie funzioni e mantiene un’immagine di imparzialità e indipendenza. Evita qualsiasi coinvolgimento in centri di potere partitici o affaristici che possano condizionare l’esercizio delle sue funzioni o comunque appannarne l’immagine); art.9-L’imparzialità del magistrato- (Il magistrato nell’esercizio delle sue funzioni opera per rendere effettivo il valore dell’imparzialità, agendo con lealtà e impegnandosi a superare i pregiudizi culturali che possono incidere sulla comprensione e valutazione dei fatti e sull’interpretazione ed applicazione delle norme); art.10-Obblighi di correttezza del magistrato- (Il magistrato non si serve del suo ruolo istituzionale o associativo per ottenere benefici o privilegi per sé o per altri. Il magistrato che aspiri a promozioni, trasferimenti, ad assegnazioni di sede o ad incarichi di ogni natura non si adopera al fine di influire impropriamente sulla relativa decisione, né accetta che altri lo facciano a suo favore. Il magistrato si astiene da ogni intervento che non corrisponda ad esigenze istituzionali sulle decisioni concernenti promozioni, trasferimenti, assegnazioni di sede e conferimento di incarichi).

E allora, se tutto ciò corrisponde al vero e se riteniamo rilevanti le condotte stigmatizzate ai fini del disciplinare interno alla nostra Associazione, dobbiamo chiederci se meritino la sanzione dell’espulsione dal consesso associativo, oppure debbano essere valutate in termini di minor rigore, con l’applicazione della censura o della interdizione dai diritti sociali, ricordando che l’art.10 dello Statuto (sia nelle vecchia che nella nuova formulazione) prevede l’espulsione nei soli casi di eccezionale gravità.

La decisione dell’ANM di applicare la sanzione di massimo rigore è stata senz’altro frutto di una valutazione sofferta che ha interrogato profondamente le nostre coscienze.
Dobbiamo però essere convinti che la decisione sia stata adottata con scrupolo e senza ricercare “capri espiatori” (nella consapevolezza che la vicenda in esame vada comunque inserita in un contesto di evidenti pressioni politiche) e che siano stati presi in considerazione esclusivamente i fatti sottoposti alla nostra attenzione.
Appare utile riportare la motivazione con la quale il Collegio dei Probiviri ha proposto all’ANM l’espulsione del dott. Palamara:

“Le condotte come sopra diffusamente descritte e accertate, poste in essere dal dr. Palamara e sorrette esclusivamente da suo esasperato interesse personale, appaiono radicalmente e incommensurabilmente incompatibili con lo status di magistrato, che deve essere e apparire, invece, indipendente ed autorevole interprete della “tutela giurisdizionale” e della attuazione della Giustizia sulla base dell’eguaglianza, tutela giurisdizionale ed eguaglianza principi supremi intangibili dell’Ordinamento costituzionale a presidio e garanzia della stessa democraticità di esso; condotte, di conseguenza, in aperta irriducibile antitesi con il predetto ordinamento e comportanti l’ulteriore imperdonabile violazione degli speciali doveri, connessi alle prerogative di indipendenza e imparzialità, che devono caratterizzare sempre e in ogni circostanza quale irrinunciabile regola deontologica, i comportamenti del magistrato, al fine di scongiurarne il venir meno della credibilità e della fiducia da parte dei cittadini”.

Tutti noi crediamo che i valori e i principi fondamentali del nostro codice etico debbano improntare la condotta del magistrato nella vita sociale, nei rapporti con le istituzioni, con i cittadini e con gli utenti della giustizia.

Alcuni hanno definito il codice etico una sorta di patto con i cittadini, in quanto volto a fornire alla collettività la conoscenza delle regole cui i magistrati devono attenersi, in modo da dare elementi di certezza sui loro comportamenti, consolidando la fiducia e il consenso di cui, ognuno di loro e la magistratura nel suo complesso, devono godere nella società. L’ impegno assunto dai magistrati, attraverso l’ANM, di rispettare regole di correttezza istituzionale sarebbe essenzialmente rivolto a conseguire quella fiducia e quel rispetto.
Ma la funzione del codice etico si svolge anche in direzione dei magistrati, nei cui confronti si pone come lo strumento per costruire una comune coscienza etica.

In questa prospettiva, si è detto, il codice etico rompe l’isolamento di ciascun magistrato nell’ esercizio delle sue funzioni, rendendolo parte attiva di un sistema che si confronta con la società. Esso costituisce non solo o non tanto un insieme di regole da osservare, ma un abito mentale, la cifra della nostra condotta quotidiana, quella che fa essere rigorosi e sobri nel comportamento e riflette la piena consapevolezza della fisionomia costituzionale della funzione esercitata.

La deontologia del magistrato esprime, dunque, il dover essere del medesimo e della sua funzione, il suo stile morale ed intellettuale, all’ interno dell’ordinamento e nella società. Noi magistrati crediamo fermamente che chi ha scelto questo mestiere nella coscienza del suo ruolo e della sua funzione istituzionale sia tenuto ad identificarsi e a modellare il proprio profilo professionale e personale nel rispetto di quelle regole deontologiche.
Qualcuno ha detto che della inosservanza di quelle disposizioni ciascun magistrato dovrebbe essere chiamato a rispondere non già dinanzi al giudice disciplinare, ma davanti al tribunale dell’opinione pubblica. Ebbene, cari colleghi, l’opinione pubblica ha già emesso il suo verdetto; è una sentenza di condanna senza appello che costituisce una macchia indelebile nella storia della Magistratura e che potrà essere superata soltanto con la riaffermazione dei principi etici cui ogni magistrato deve ispirarsi per ritornare ad essere “orgogliosamente umile”.

L’Anm non ha cercato un capro espiatorio; ha fatto, in primo luogo, un “mea culpa” e ha chiesto scusa in tutte le sedi istituzionali ai cittadini, ai colleghi , alla intera comunità, al Presidente la Repubblica e alla Carta Costituzionale , riconoscendo una propria responsabilità morale perché, forse, certe dinamiche erano conosciute e sono state taciute, ma mi sia consentito di dire che non pensavamo che si fosse arrivati al punto di concertare strategie di danneggiamento nei confronti di colleghi per le nomine agli uffici giudiziari e di tramare alle loro spalle per il perseguimento di finalità personali.

No, questo non potevamo saperlo e lo respingiamo con forza, la magistratura non è questa, non ci riconosciamo in quei comportamenti perché non ci appartengono.
Si tratta di fatti di eccezionale gravità perché hanno gettato una gravissima ombra sul prestigio e sulla credibilità dell’intera categoria, al punto che diversi colleghi hanno pubblicamente confessato di aver provato imbarazzo davanti ai loro parenti, ai loro genitori, ai loro mariti, alle loro mogli e soprattutto di essersi vergognati di dire ai loro figli di essere magistrati.

Dobbiamo essere convinti e credere con fermezza che il rigoroso rispetto delle regole deontologiche sia condizione della credibilità del magistrato e che la credibilità del magistrato sia, a sua volta, essenziale all’accettazione da parte della società della autonomia e dell’indipendenza della magistratura che non costituiscono, occorre ricordarlo, un grazioso regalo fatto dai costituenti ad un gruppo di privilegiati, ma sono funzionali all’esercizio della giurisdizione.



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