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21 settembre 2020

Rosario Livatino, intransigente difesa della legalità sia patrimonio comune per Magistratura italiana

A 30 anni dall'uccisione, la riflessione del presidente dell'ANM


Rosario-Angelo-Livatino.jpg  Rosario Angelo Livatino

Signor Presidente della Corte d’Appello, Signor Procuratore Generale, Autorità, care colleghe, cari colleghi.

Ho l’onore di portare a tutti Voi il saluto più caloroso dell’Associazione Nazionale Magistrati, che qui rappresento, con i colleghi della Giunta Esecutiva Centrale; grazie di cuore per l’invito a questa toccante giornata di memoria e di riflessione.

E’ con sincera, profonda emozione che partecipo a questa evento, in ricordo di Rosario Livatino, a 30 anni dal barbaro delitto che ne ha stroncato la vita, a 38 anni non ancora compiuti. 

La memoria è un esercizio doloroso, ma è un ineludibile dovere: non è solo ciò che noi ricordiamo, ma ciò che ci ricorda, un presente che non finisce mai di passare. 

L’evento che oggi si celebra in ricordo di Rosario Livatino ne onora la memoria nel modo migliore, perché mette al centro della riflessione il modo stesso di essere magistrato, di interpretare la funzione, di esercitare l’altissimo ruolo che la Costituzione ci assegna. La storia ci ha restituito la grandezza della figura di Rosario Livatino, della persona e del magistrato, come documentano in modo chiaro i giudizi espressi nel corso della sua carriera, le testimonianze dei colleghi e degli amici, l’oggettività - direi – del suo lavoro ostinato, puntiglioso, rigoroso, senza sosta, che infatti gli è costato la vita….

Rosario Livatino aveva una visione altissima del proprio ruolo, e trasferiva nella propria vita professionale quella misura, quel rigore, quella severa ricerca della coerenza che caratterizzava la sua vita personale, e le sue visioni ideali. Che aveva, eccome, profonde e lucide, come testimoniano gli interventi nelle peraltro rare occasioni pubbliche, in cui pronunciò parole chiare sul ruolo del magistrato, il rapporto tra le idee, i convincimenti politici e la giurisdizione, tra questa e la responsabilità della politica e del legislatore, la responsabilità disciplinare dei magistrati – all’epoca oggetto di un referendum popolare - il rapporto con la società. Idee rigorose e profondamente meditate, segno di una cultura vera, che non declinava mai in forma di manifesto.

Ma Livatino aveva dentro di se la preoccupazione più urgente e difficile, quella della coerenza, che dovrebbe accompagnare ogni uomo, e certo di più un magistrato: "Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili", disse, con una frase straziante e, ahinoi,  profetica di anni bui a venire, ma certo non del suo destino. Perché si, Rosario, tu sei stato davvero credibile, credibilissimo; e lo eri prima ancora che i tuoi assassini, proprio per la tua credibilità, ti rubassero la vita. 

‘E’ stato anche il magistrato più stimato, più rispettato, più amato del suo ufficio. Era stimato per l'alta professionalità, il rigore e la conoscenza del problema mafioso nel territorio di Agrigento; era amato per la dolcezza del carattere, per un atteggiamento umile,  quasi timido, e sempre rispettoso delle personalità altrui’,  come disse il Vice Presidente del CSM On. Giovanni Galloni, nel Plenum del C.S.M. del 26 settembre 1990, a pochi giorni dal barbaro delitto (peraltro alla presenza anche di chi non aveva esitato a coniare un’espressione carica di denigrazione all’indirizzo di magistrati ragazzini...)

E non è allora un caso, né una celebrazione retorica, che il C.S.M. abbia poi intitolato corsi di formazione dei Magistrati alla memoria proprio della professionalità di Rosario Livatino, ricordandone così le conoscenze profonde, il rigore professionale, la preparazione straordinaria, ciò che lo rende un modello di riferimento, ed un esempio in questo modo ancora vivente, proprio per la grandezza della sua eredità.

Ma nella tragica fine di Rosario Livatino, il tragico destino che lo ha perfidamente atteso ha saputo prevedere, un minuto dopo aver scritto una pagina di sangue e di dolore incancellabile, anche una sorta di speranza: la testimonianza decisiva di un cittadino, Pietro Ivano Nava, un cittadino che, con essa, avrebbe permesso di identificane gli assassini. Le parole con cui Pietro Nava ha spiegato la sua condotta – “non sapevo che era un giudice, ma non era questo l’importante: c’erano delle pistole, c’era qualcosa che non andava, poteva essere chiunque, in quel momento toccava a me, io non avrei più potuto né leggere un giornale, né guardarmi nello specchio se non mi fossi comportato così. Vi chiedete se lo rifarei? Certo, perché devo avere rispetto di me stesso, il primo ad avere rispetto di me stesso devo essere io, non gli altri…” - esprimono quel senso dello Stato, del dovere civile, l’idea della legalità, che aveva caratterizzato la vita e l’impegno di Rosario Livatino; e nel suo tragico destino appare allora un segno di toccante valenza simbolica che un cittadino della Repubblica abbia idealmente raccolto il suo testimone, e scritto così una pagina indelebile nella nostra storia.

Con Rosario Livatino, altri 27 Magistrati della Repubblica hanno perso la vita, caduti sotto i colpi di terroristi, di organizzazioni criminali, o di criminali comuni: sono ‘le rose spezzate‘, a cui l’Associazione Nazionale Magistrati ha dedicato, per sempre, un’immagine che crediamo bellissima, perché profondamente evocativa: un mazzo di rose, con il  bianco dell’ assenza,  tra il verde dei gambi recisi, e il rosso sangue dei fiori che, ostinatamente, vivono.  Un tricolore dove si intrecciano il lutto, ed i colori della Repubblica: quella Repubblica in nome della quale i magistrati agiscono, accusano, giudicano, ed a difesa della quale sono anche tragicamente caduti.

In un periodo drammatico per la Magistratura, e di fronte a sconcertanti episodi che documentano una miseria etica che avvilisce, e mina profondamente la fiducia dei cittadini nella Magistratura e nella giurisdizione, è per noi motivo di orgoglio ricordare figure come quella di Rosario Livatino, e degli altri colleghi che, come lui, hanno dato la loro stessa vita,  certi che il lavoro quotidiano, la rigorosa professionalità, l’intransigente difesa della legalità siano patrimonio comune alla Magistratura italiana, ed insieme consapevoli che sarà solo con la coerente ispirazione a questi valori che sapremo riconquistare la piena fiducia, fondamento imprescindibile della nostra legittimazione. 

Potremo continuare ad onorare la loro memoria se sapremo raccogliere la loro grande eredità, senza temere di non essere credibili.

Un grazie dal profondo del cuore a Rosario Livatino; e un grazie a tutti Voi che avete voluto, ancora una volta, onorarne la memoria.

Palermo, 21 settembre 2020 

Luca Poniz



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