Oggi il parlamento ha numerose riforme in cantiere. Lei ora opera nella sezione lavoro della corte d’Appello di Roma ma è stato anche giudice civile: che valutazione dà della riforma proposta dal ministero della Giustizia?
Le riforme di cui abbiamo bisogno devono muovere dalla conoscenza dei problemi strutturali che affliggono la giustizia, il che orienta anzitutto verso la copertura degli organici di magistrati e personale amministrativo. Non solo, vanno considerate anche le esigenze di revisione delle piante organiche perché la domanda di giustizia è legata a specificità, e talora a contingenze, e non si presenta sempre in modo omogeneo sul territorio nazionale. E’ ragionevole quindi rimodulare l’assetto delle risorse e, laddove vi siano uffici giudiziari in sofferenza, potenziarli prontamente ampliandone le dotazioni organiche. In questo la macchina amministrativa sconta inevitabili lentezze. Non meno importanti sono, come dicevo, gli aspetti dell’edilizia giudiziaria: ben può verificarsi che all’incremento delle udienze, e di riflesso della produttività, sia di ostacolo proprio l’assenza di spazi idonei dove celebrare le udienze. Servono poi dotazioni materiali, informatiche, assistenza sistemistica e, in definitiva, una serie di interventi confluenti rispetto all’obiettivo.
La cosiddetta semplificazione dei riti, sulla falsariga del rito lavoro, è una soluzione che la convince?
Premetto che il profilo della semplificazione dei riti è un refrain ricorrente: ogni nuovo governo è intervenuto dicendo la sua sui riti, ma è una linea che non centra, almeno in tempi brevi, il bersaglio di velocizzare i tempi del giudizio. Nell’immediato l’intervento sul rito determina, con la disciplina processuale transitoria che distingue tra cause nuove, cui esso si applica, e cause più risalenti, soggette al rito pregresso, serie difficoltà tra gli operatori, con esiti talora controproducenti. La situazione migliora nel tempo quando la riforma sul rito va, come si suol dire, “a regime”, ma possono trascorrere parecchi anni prima che si avverta un risultato apprezzabile. Auspicherei piuttosto che non fossero trascurati, anche tenendo conto di spunti comparatistici con altri ordinamenti, interventi sul principio di sinteticità degli atti processuali e sull’abuso del processo che sono assai avvertiti dagli operatori.
Il piano della giustizia per il Recovery fund considera le riforme del rito civile e penale essenziali per lo smaltimento dell’arretrato. La modifica dei riti è la strada giusta?
Certo può aiutare la semplificazione o unificazione dei riti per il civile ovvero il potenziamento nel settore penale dei riti alternativi, allargandone il campo di intervento, e ancora l’introduzione di forme di depenalizzazione. Ma per lo smaltimento dell’arretrato occorrono, dicevo, interventi strutturali. Non credo molto nelle task force per l’abbattimento dell’arretrato che mi ricordano le sezioni stralcio di antica memoria che purtroppo non diedero buona prova. E’ comunque utile muovere da un significativo dato che riguarda i magistrati: mentre la media europea è di circa 22 magistrati ogni 100.00 abitanti, in Italia abbiamo solo 11 magistrati ogni 100.00 abitanti, e dunque praticamente la metà. Aggiungo che i magistrati italiani sono, come dice la Commissione Europea per l’efficienza della giustizia, CEPEJ, tra i più produttivi d’Europa, il che fa intendere come l’intervento sull’incremento delle risorse sia, in concreto, quello da perseguire. Passi in avanti sono stati indubbiamente fatti con il recente ampliamento della pianta organica della magistratura professionale e con le assunzioni del personale amministrativo e anche con l’investimento massiccio nella digitalizzazione, ma non basta. Il problema dei tempi della giustizia va affrontato e risolto perché esso si riflette anche sulla crescita economica: secondo stime diffuse da Banca d’Italia un efficiente sistema giudiziario consentirebbe infatti un recupero fino al 2,5 per cento di Pil stimolando flussi di investimenti nel nostro Paese.
Il governo ha previsto, nel settore penale, la possibilità di sanzioni per i magistrati che non rispettano la durata delle fasi processuali. E’ una previsione vessatoria?
Sarebbe bello se si potessero accorciare i tempi dei giudizi con un tratto di penna. In realtà, i tempi di definizione possono dipendere dal fondamentale ruolo esercitato dalle parti e non sono rigidamente preventivabili, così come non sarebbe ragionevole contingentare le attese dei pazienti che accorrono in massa in un presidio ospedaliero prescindendo dal numero dei sanitari in servizio. Le iniziative legislative sui tempi delle fasi processuali peccano di astrattezza e, se abbinate alla previsione di sanzioni per lo sforamento dei tempi, sono percepite come profondamente inique soprattutto da quei magistrati, e mi creda sono tanti, che operano con dedizione in uffici con carichi di lavoro difficilmente gestibili.
E’ fiducioso sulla possibilità che i fondi del recovery sblocchino la macchina della giustizia?
E’ un’opportunità unica, sarebbe un vero peccato non coglierla. Ma, per decidere per il meglio, bisogna prima saper ascoltare. In questo, nel settore della giustizia, l’apporto dell’esperienza della magistratura come dell’avvocatura, che operano come dire “sul campo”, è fondamentale.
Crede che sia utile l’Alleanza contro la corruzione istituita da Bonafede o potrebbero esserci sovrapposizioni con Anac?
Non voglio entrare nel merito di una proposta i cui contorni non mi sembrano ancora chiaramente definiti. Ferma l’indubbia utilità di ogni forma di approfondimento scientifico sul tema della corruzione, bisogna assolutamente evitare sovrapposizioni e interferenze con le prerogative dell’Anac. Sono tuttavia condivisibili le preoccupazioni del guardasigilli legate all’iniezione di liquidità connessa al Recovery plan.
Infine una battuta sul caso di Brescia.
L’attività giudiziaria che si esplica in pubblica udienza è per definizione trasparente e soggetta a critiche e controlli. Le vicende giudiziarie, tuttavia, non sempre sono di agevole comprensione nei loro delicati risvolti tecnici e possono essere soggette a distorsioni mediatiche. Ferme le prerogative del ministro, il cui esercizio dovrebbe tener conto, sul piano dell’opportunità, della estrema delicatezza del momento processuale che precede la pubblicazione delle motivazioni di una sentenza, posso dire che i magistrati non si sottraggono e non hanno timore dei fisiologici controlli, i quali però non debbono mai rischiare di interferire con l’esercizio della funzione giurisdizionale.
L'articolo originale è pubblicato sul sito del Quotidiano Domani